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mercoledì 12 dicembre 2012

Holy motors

Regia: Leos Carax
Origine: Francia
Anno: 2012
Durata: 115'




La trama (con parole mie): le molteplici vite di Monsieur Oscar, dall'alba al tramonto intento a rappresentare, esplorare, mettere fine ed osservare esistenze che passano e vanno, trovano il loro senso o lo perdono. Nella cornice di una Parigi che potrebbe avere un tempo, oppure no, in bilico tra dramma e commedia, osserviamo il padre, l'uomo, il mostro, l'assassino, l'amante, il solitario.
Dov'è il segreto del grande spettacolo della settima arte? E quello della commedia umana?
E' proprio vero che la nostra specie sta cercando progressivamente di sbarazzarsi delle cineprese e dei motori sempre più ingombranti, divenuta come insofferente alle loro dimensioni?
Morire e resuscitare. Perchè non c'è come sperare in un nuovo giorno, uguale e differente dal precedente, per sentire quell'unico, inconfondibile brivido.




Non è da tutti, riuscire ad interpretare - e soprattutto rappresentare - il concetto più profondo di Viaggio all'interno dei confini - o oltre, come in questo caso - di un film: si contano sulle dita, gli esempi in questo senso, e tutti illustri.
Kubrick con 2001: odissea nello spazio - e, in una certa misura, anche Eyes wide shut -, Noè con Enter the void, Refn con Valhalla rising, Tarkovskij con Solaris e Stalker.
Roba grossa, insomma.
Da oggi, al Saloon, Leos Carax farà parte di questa ristrettissima, clamorosa, elitaria ed incredibile cerchia: Holy motors, film maestoso, geniale, ipnotico, splendido nella forma quanto profondo nella sostanza, coinvolgente quanto enigmatico, è una delle esperienze più incredibili che questo 2012 possa aver regalato ad uno spettatore.
Costruito sulle spalle della clamorosa interpretazione di Denis Lavant - che ruota attorno a ben undici charachters, tutti con un'identità precisa e ben definita, dalla fisicità alla storia - e sulla splendida resa tecnica, questa pellicola rappresenta senza dubbio una sfida vinta dal suo eccentrico regista, che rischia grossissimo chiedendo al pubblico non soltanto di fidarsi del suo operato, ma di seguirlo come in un cammino alla cieca che resta in equilibrio tra realtà e sogno, e si fonde nella sua evoluzione con l'elemento all'interno del quale uno come lui pare essere nato per nuotare, respirare, esistere: la settima arte.
Martin Scorsese, qualche anno fa, chiuse uno dei suoi film a mio parere più sottovalutati - e che ancora ritengo straordinario -, The aviator, lanciando come una bomba verso l'audience il valore di "mezzo del futuro" del Cinema stesso, l'elemento che Orson Welles plasmò con Quarto potere e che le "macchine" di Holy motors portano al cuore dalla prima all'ultima sequenza - entrambe alle soglie della genialità, così come lo splendido intervallo musicale -.
"Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuire con un verso. Quale sarà il tuo verso?", citava Whitman l'indimenticato professor Keating de L'attimo fuggente.
"Perchè è così la dannata commedia umana va avanti", sussurrava sornione lo Straniero ne Il grande Lebowski.
Ed è proprio da qui che passano i molteplici significati di questa esplorazione di un mondo che siamo abituati a vedere dall'altra parte dello schermo, e che finisce per passarci davanti agli occhi così come in fondo all'anima, senza lesinare sui generi - la commedia, il grottesco, il metaCinema, il noir, l'horror, il musical, l'amore e la morte -, sfruttando cavalli d'acciaio che fanno finalmente dimenticare la delusione che fu, in questo senso, il vuoto, inefficace Cosmopolis di David Cronenberg.
Oscar, Virgilio multiforme e poliedrico, guida il nostro essere scarrozzati mettendosi a nudo - in tutti i sensi -, uccidendo se stesso e sfidando ogni nuova forma, scommettendo su qualcosa di talmente stratificato da dover essere assimilato come un cocktail della cui potenza potremo accorgerci soltanto quando sarà troppo tardi: la teatralità ed i grandi spazi, la carne ed il sangue e lo spirito più elevato, i giochi ad incastro e l'illusione del velo bianco che si dipinge grazie ad un calderone di colori e sensazioni che paiono caotiche e finiscono per risultare quasi cristalline, nella loro primordiale semplicità.
Siamo Uomini, siamo Animali, siamo le scimmie di 2001. 
Quelle che chiudono una giornata di lavoro intensa di questo attore dai mille volti, e ci rivelano che prima o poi tutto finirà, anche per noi che vogliamo vivere per sempre: ma come vivere per sempre, senza una Madre?
Lo diceva Boccadoro all'amico di una vita Narciso, sul letto di morte.
"Senza madre non si può amare, senza madre non si può morire".
La settima arte è quella madre.
E Holy motors uno dei suoi figli prediletti.
Il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuire con un verso.
Quale sarà il tuo verso?
Abbiamo un tempo limitato per trovare il nostro.
Carax, nel frattempo, ha senza dubbio scovato il suo.


MrFord


"I just can't get you out of my head
boy your loving is all i think about 
I just can't get you out of my head
boy it's more than I dare to think about."
Kylie Minogue - "Can't get you out of my head" -


sabato 4 febbraio 2012

Lo scafandro e la farfalla

Regia: Julian Schnabel
Origine: Francia
Anno: 2007
Durata: 112'


La trama (con parole mie): Jean Dominique Bauby ha quarantadue anni, è un uomo di successo, con tre figli e una rivista da mandare avanti. Un ictus lo colpisce riducendo la sua mobilità al solo occhio sinistro. Prigioniero di questa nuova condizione, l'uomo dovrà superare la dolorosa fase della presa di coscienza del dolore, della solitudine e del rammarico prima di trovare la via per comunicare con l'esterno ed iniziare un nuovo percorso di vita.
Attraverso l'aiuto dei medici e di un'assistente, l'uomo progressivamente riuscirà a dettare un libro che ne rievochi le sensazioni legate ai ricordi, alla sua nuova condizione e alla percezione della vita da un punto di vista unico, oltre a riuscire ad imparare a comunicare con l'esterno grazie all'immaginazione e ad una palpebra.
Mica roba da poco.




Se c'è una cosa che non sopporto, sono le occasioni sprecate.
E quasi peggio, i film autoriali - non blockbuster, quelli sono fatti apposta - che lottano dal primo all'ultimo minuto per convincere pubblico ed eventuali giurie della loro sincerità, dell'emotività che portano alle platee sperando di incontrare indulgenza.
Ricordo quando Kate Winslet, nel corso di un episodio dell'interessante Extras, dichiarò che il modo più facile per essere premiati era recitare in un film che trattasse la disabilità o l'Olocausto.
Lo scafandro e la farfalla sfrutta gli stessi principi.
Se, infatti, da un lato troviamo una regia ottima ed interpretazioni da ricordare di Mathieu Amalric - che personalmente detesto, nonostante sia un attore eccezionale -, Niels Arestrup e Max Von Sydow, dall'altro l'approccio al protagonista, alla voce fuori campo e alle immagini che ne dovrebbero dare la dimensione troviamo il peggio che il Cinema abbia offerto dai tempi di Mare dentro, altra pellicola dallo stesso piglio che, per gli stessi motivi, detestai profondamente alla sua uscita.
A Schnabel va dato atto della grande abilità e del coraggio legati alla scelta di giocare sulla soggettiva per la maggior parte del tempo - nonostante l'evidente rischio noia dello spettatore, tutto sommato non troppo pervenuto -, mostrando un protagonista impossibilitato a comunicare con l'esterno nello stile del Capolavoro della Letteratura - nonchè cult cinematografico - E Johnny prese il fucile, che Dalton Trumbo, autore sia del romanzo che della regia, regalò al mondo con la fine del periodo della paura maccartista, mostrando la realtà dell'antimilitarismo e dell'obiezione di coscienza con una lucidità assolutamente profetica.
Purtroppo, al contrario del commovente incedere del Classico di Trumbo, Schnabel non riesce con la stessa costanza e determinazione del grande autore e sceneggiatore a mantenere le redini del suo lavoro, alternando il presente di narrazione ed i ricordi - certamente di ottimo livello - con tediose elucubrazioni in stile new age quando Jean Dominique decide di sfruttare la sua immaginazione per "viaggiare" costruendosi, di fatto, una nuova realtà di vita.
In questo modo, le sequenze dei ghiacciai sgretolati e dello scafandro e la farfalla che danno il titolo al film - così come al romanzo - divengono retorici e pesanti al confronto di sequenze decisamente più interessanti come quella del dialogo con il padre poco prima dell'ictus - emotivamente, il passaggio più importante della pellicola - o il continuo riferimento ai desideri sessuali certo non sopiti - almeno mentalmente - di Bauby.
Un'occasione sprecata che sarebbe valsa le bottigliate senza i guizzi legati alla realtà effettiva della pellicola e dell'esperienza del suo narratore, in grado di regalare anche una sequenza decisamente visionaria - ed efficace - con il viaggio dello stesso a Lourdes in tempi in cui la malattia non era ancora entrata nella sua vita: peccato poi che il tutto venga inesorabilmente rovinato da un crescendo conclusivo retorico dalla grana grossissima, quasi in grado di azzerare completamente l'emozione dell'audience.
Resta la curiosità di scoprire cosa sarebbe accaduto se a dirigere lo stesso film si fosse trovato il vecchio Trumbo, venendosi a confrontare con una persona reale capitata in una sorta di prigione - telefonati ma efficaci, in questo senso, i richiami a Il conte di Montecristo - terribilmente simile a quella del suo protagonista Johnny, finito su una mina e privato di ogni possibilità di comunicare con l'esterno: allo stesso modo, l'impresa incredibile di Bauby, che con la sola palpebra, due grandi palle e la determinazione riesce a mostrare tutta la voglia di vivere che continuo a condividere con lui.
Per quanto resti un incubo, una condizione come quella non riuscirebbe a farmi desistere dalla mia volontà di rimanere da queste parti a lungo ed il più a fondo possibile rispetto alle mie chances, nonostante continui a rispettare la decisione di chi decide di abbandonare questo mondo come mostrato - e con maggior efficacia rispetto al già citato Mare dentro o a questo film - dall'enorme Million dollar baby o da Kill me please.
Dunque, posso dire che Lo scafandro e la farfalla si è rivelato essere un film dalle ambizioni decisamente più grandi del talento di chi lo ha realizzato.
Ma questa, in un certo senso, è una colpa quasi sopportabile.


MrFord


"With your feet on the air and your head on the ground
try this trip and spin it, yeah
your head'll collapse
if there's nothing in it
and you'll ask yourself."
Pixies - "Where is my mind?" -

giovedì 22 settembre 2011

Nord

Regia: Rune Denstad Langlo
Origine: Norvegia
Anno: 2009
Durata: 78'







La trama (con parole mie): Jomar, ex promessa dello sci crollato sotto il peso di un esaurimento nervoso, lavora svogliatamente come guardiano in un impianto quasi abbandonato, sperando sempre di poter convincere la direttrice della clinica psichiatrica locale a ricoverarlo. 
Quando il suo ex migliore amico torna a cercarlo, Jomar scopre di essere padre di una bambina di quattro anni che vive nell'estremo Nord del paese, e così, pur se riluttante, decide di mettersi in viaggio a bordo della sua motoslitta per incontrare la piccola.
Attraverso gli scenari quasi incantati dominati dalla neve il giovane incontrerà personaggi curiosi e malinconici come lui, riscoprendo l'avventura di un vero e proprio - pur se insolito - road movie.



Fin dai tempi del mio primo post, e come ormai tutti voi avete imparato a conoscere, sono stato uno strenuo difensore del panesalamismo cinematografico e non solo in opposizione all'atteggiamento spesso spocchioso ed irritante di chi vive praticamente in simbiosi con il solo Cinema autoriale, e guarda tutti gli altri poveri stronzi sempre un pò dall'alto in basso.
Ho anche ammesso in più di un'occasione che il mio approccio attuale, frutto certo delle esperienze di vita vissuta e non solo di visioni, nasce dal fatto che qualche anno fa, ai tempi dell'esplosione vera e propria della mia passione per il Cinema, ho vissuto un paio di stagioni da "sbruffone che se ne intende di Cinema al contrario di tutti voi che andate a vedere il blockbuster da sabato sera, poveri rincoglioniti" in cui riuscivo - complici gli impegni lavorativi meno pressanti - a schiaffarmi anche tre o quattro mattonazzi sconosciuti al giorno senza battere ciglio, a volte addirittura alzandomi la mattina presto per spararmi il film russo di turno prima di andare in negozio.
Fortunatamente, sono uscito da un vortice che mi avrebbe privato di tutta una serie di visioni necessarie - fosse anche solo al divertimento e alla distensione -, senza contare il fatto che sono ormai convinto che chi ama il Cinema lo ama indiscutibilmente in toto, a prescindere dai generi e dall'autorialità in senso "alto" del termine - con alcune eccezioni, ovviamente, ma per questo esistono le bottigliate! -.
Ma perchè mai mi sto dilungando in questa sorta di manifesto programmatico?
Semplicemente perchè Nord, che è indiscutibilmente, clamorosamente, inesorabilmente autoriale dall'inizio alla fine, esponente della tipica categoria dei "film da Festival" con pochi dialoghi, atmosfere grottesche, inquadrature ricercate e certamente non costruito per piacere al grande pubblico, risulta essere un'opera cui mi pare davvero difficile non voler bene.
Certo, è evidente fin dal principio quanto lo script sia poco importante per il regista - ex documentarista concentrato principalmente sull'immagine e sull'idea del viaggio - e risulti in qualche modo estremamente convenzionale, malgrado i bizzarri personaggi che lo popolano, ed altrettanto evidente appare la sterilità di alcune situazioni, completamente al servizio dell'aspetto visivo e della colonna sonora - magnifica, ad opera degli altrettanto incredibili Motorpsycho in una delle loro identità alternative -, ma poco importa.
Sarà che da sempre sono affascinato dal viaggio - come concetto ed esperienza -, o che il protagonista Jomar conquista subito grazie alla sua involontaria piromania - impagabile la sequenza del rifugio in cui trova riparo dalla tormenta di neve -, ma questo piccolo film che da alcuni è stato esageratamente paragonato al meraviglioso Una storia vera di David Lynch è riuscito a farsi strada nel mio cuore quasi come se non fosse l'odioso prodotto da cineforum che, a ben guardare, indiscutibilmente è.
I personaggi incontrati dal protagonista lungo la strada, persi in quel candore splendido e terribile, a metà strada tra la follia e le magiche atmosfere che in passato hanno illuminato il Maestro Bergman, o "tra il nulla e l'addio", come direbbe Clint, più che apparire distanti ed "altolocati" come i radical chic cinematografici vorrebbero, si mostrano estremamente umani, e clamorosamente vicini allo spettatore proprio nella loro condizione di entità smarrite, perennemente alla ricerca di qualcosa - o qualcuno - che dia il significato che cercano alla vita.
Così, alternando l'ottimo confronto con il vecchio nella tenda alla sbronza "in fieri" a suon di capelli rasati ed assorbenti interni imbevuti d'alcool legati attorno alla testa secondo "le indicazioni di un polacco" culminata con l'esibizione dei passati talenti del protagonista come professionista dello sci - un momento quasi alla Jackass, grottesco ed esilarante -, Jomar ci conduce, non proprio per mano, attraverso un deserto algido ed accecante, all'incontro che potrebbe cambiare la sua vita: senza neppure rendersi conto che il cambiamento potrebbe già essere giunto attraverso il viaggio stesso.

MrFord

"Have you seen the North
that cold grey place
don't want its shadow anymore
on my face."
Elton John - "The North" -

sabato 2 luglio 2011

Apocalypto

La trama (con parole mie): Zampa di giaguaro, giovane maya cacciatore membro di una tribù che vive nella foresta, è costretto a lottare per la sopravvivenza quando un misterioso gruppo di spietati guerrieri fa irruzione nel suo villaggio per fare razzia e procacciarsi agnelli sacrificali in nome di un sovrano a capo di una città imponente e maestosa. Nascosti in un pozzo profondo la moglie incinta ed il figlio ed assistito all'uccisione del padre, il nostro attende il momento propizio per fuggire al controllo dei suoi carcerieri: scampato al sacrificio grazie ad una provvidenziale eclissi, Zampa dovrà fare ritorno alla sua foresta cercando di contenere gli assalti di Cazzo duro, Dente cariato, Strani capelli, Ferri di cavallo sulla schiena ed il resto dei guerrieri sulle sue tracce.
Un ritorno al Cinema d'avventura tutto sommato guardabile rispetto allo scempio precedente firmato Mel Gibson.

Diciamolo pure chiaro: se non fosse stato Dembo a propormelo, non so se avrei mai preso la decisione di guardare un altro film diretto da Mel Gibson dopo il disastro cosmico che fu quella montagna di immondizia di La passione di Cristo.
Certo, nel corso degli ultimi anni mi era capitato di leggere più di una recensione che rassicurava il pubblico affermando che quel vecchio pazzo di Mel aveva contenuto il suo fervore religioso e si era limitato ad infarcire un classico film d'avventura con un pò di quella truce violenza che tanto pare dargli soddisfazione, ma non ero mai riuscito a superare la barriera che ancora costituiva il secondo film più brutto che abbia mai visto al Cinema nel corso della mia vita di spettatore.
La serata in amicizia con il suddetto Dembo, però, ha permesso che i miei pregiudizi rispetto al regista/attore australiano si quietassero liberando più che altro una robusta dose d'ironia, che ha accompagnato la visione - sicuramente scorrevole e ritmata, come deve essere per un film di questo tipo - ribattezzando praticamente tutti i protagonisti e bersagliando ad ogni occasione il William Wallace dei NeoCon.
Occorre riconoscere, comunque, che le poco più di due ore trascorse in compagnia di Zampa di giaguaro sarebbero passate senza troppi problemi anche se non ci fossimo fatti quattro risate alle spalle del controverso cineasta, nonostante le numerosissime citazioni di capisaldi del genere sicuramente di altra caratura - L'ultimo dei mohicani, Predator - e la suddetta violenza come al solito molto compiaciuta tipica dei lavori del protagonista di Mad Max.
Il tentativo di riportare lo spettatore ad un mondo lontano e crudele, affascinante e barbaro, può quasi definirsi riuscito, e le ingenuità e le inesattezze storiche escono quasi subito di scena per lasciare spazio alla sola adrenalina dell'impresa del giovane protagonista, che più che in fuga, appare nel pieno di una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà dalla giovinezza all'età adulta.
La stessa aura quasi sciamanica di Zampa ed il suo progressivo avvicinarsi alla foresta e ai suoi abitanti, una sorta di appartenenza sancita dal sangue e dalla terra si pongono a difesa del protagonista contro gli inseguitori, guerrieri dal distruttivo fascino che riportano alla mente le epopee di Mongol e Avatar, ancora una volta con la coscienza che entrambe queste pellicole siano, e di gran lunga, migliori del lavoro della nostra mascotte Gibson.
Dunque cosa resta, del mio incontro di riconciliazione con Mel? 
Un'ottima serata con il già citato Dembo e Julez, un film d'avventura che si lascia guardare, con tutti i limiti del caso, un sacco di risate e, chissà, la possibilità, al prossimo film, di tentare la visione nonostante i miei trascorsi non proprio pacifici con il più fervente tra i credenti della settima arte.
Se non altro, per dispensare un pò di sane, divertite bottigliate.


MrFord


"And I can tell you why
people die alone
I can tell you I'm
a shadow on the sun."
Audioslave - "Shadow on the sun" -


 
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