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sabato 4 febbraio 2012

Lo scafandro e la farfalla

Regia: Julian Schnabel
Origine: Francia
Anno: 2007
Durata: 112'


La trama (con parole mie): Jean Dominique Bauby ha quarantadue anni, è un uomo di successo, con tre figli e una rivista da mandare avanti. Un ictus lo colpisce riducendo la sua mobilità al solo occhio sinistro. Prigioniero di questa nuova condizione, l'uomo dovrà superare la dolorosa fase della presa di coscienza del dolore, della solitudine e del rammarico prima di trovare la via per comunicare con l'esterno ed iniziare un nuovo percorso di vita.
Attraverso l'aiuto dei medici e di un'assistente, l'uomo progressivamente riuscirà a dettare un libro che ne rievochi le sensazioni legate ai ricordi, alla sua nuova condizione e alla percezione della vita da un punto di vista unico, oltre a riuscire ad imparare a comunicare con l'esterno grazie all'immaginazione e ad una palpebra.
Mica roba da poco.




Se c'è una cosa che non sopporto, sono le occasioni sprecate.
E quasi peggio, i film autoriali - non blockbuster, quelli sono fatti apposta - che lottano dal primo all'ultimo minuto per convincere pubblico ed eventuali giurie della loro sincerità, dell'emotività che portano alle platee sperando di incontrare indulgenza.
Ricordo quando Kate Winslet, nel corso di un episodio dell'interessante Extras, dichiarò che il modo più facile per essere premiati era recitare in un film che trattasse la disabilità o l'Olocausto.
Lo scafandro e la farfalla sfrutta gli stessi principi.
Se, infatti, da un lato troviamo una regia ottima ed interpretazioni da ricordare di Mathieu Amalric - che personalmente detesto, nonostante sia un attore eccezionale -, Niels Arestrup e Max Von Sydow, dall'altro l'approccio al protagonista, alla voce fuori campo e alle immagini che ne dovrebbero dare la dimensione troviamo il peggio che il Cinema abbia offerto dai tempi di Mare dentro, altra pellicola dallo stesso piglio che, per gli stessi motivi, detestai profondamente alla sua uscita.
A Schnabel va dato atto della grande abilità e del coraggio legati alla scelta di giocare sulla soggettiva per la maggior parte del tempo - nonostante l'evidente rischio noia dello spettatore, tutto sommato non troppo pervenuto -, mostrando un protagonista impossibilitato a comunicare con l'esterno nello stile del Capolavoro della Letteratura - nonchè cult cinematografico - E Johnny prese il fucile, che Dalton Trumbo, autore sia del romanzo che della regia, regalò al mondo con la fine del periodo della paura maccartista, mostrando la realtà dell'antimilitarismo e dell'obiezione di coscienza con una lucidità assolutamente profetica.
Purtroppo, al contrario del commovente incedere del Classico di Trumbo, Schnabel non riesce con la stessa costanza e determinazione del grande autore e sceneggiatore a mantenere le redini del suo lavoro, alternando il presente di narrazione ed i ricordi - certamente di ottimo livello - con tediose elucubrazioni in stile new age quando Jean Dominique decide di sfruttare la sua immaginazione per "viaggiare" costruendosi, di fatto, una nuova realtà di vita.
In questo modo, le sequenze dei ghiacciai sgretolati e dello scafandro e la farfalla che danno il titolo al film - così come al romanzo - divengono retorici e pesanti al confronto di sequenze decisamente più interessanti come quella del dialogo con il padre poco prima dell'ictus - emotivamente, il passaggio più importante della pellicola - o il continuo riferimento ai desideri sessuali certo non sopiti - almeno mentalmente - di Bauby.
Un'occasione sprecata che sarebbe valsa le bottigliate senza i guizzi legati alla realtà effettiva della pellicola e dell'esperienza del suo narratore, in grado di regalare anche una sequenza decisamente visionaria - ed efficace - con il viaggio dello stesso a Lourdes in tempi in cui la malattia non era ancora entrata nella sua vita: peccato poi che il tutto venga inesorabilmente rovinato da un crescendo conclusivo retorico dalla grana grossissima, quasi in grado di azzerare completamente l'emozione dell'audience.
Resta la curiosità di scoprire cosa sarebbe accaduto se a dirigere lo stesso film si fosse trovato il vecchio Trumbo, venendosi a confrontare con una persona reale capitata in una sorta di prigione - telefonati ma efficaci, in questo senso, i richiami a Il conte di Montecristo - terribilmente simile a quella del suo protagonista Johnny, finito su una mina e privato di ogni possibilità di comunicare con l'esterno: allo stesso modo, l'impresa incredibile di Bauby, che con la sola palpebra, due grandi palle e la determinazione riesce a mostrare tutta la voglia di vivere che continuo a condividere con lui.
Per quanto resti un incubo, una condizione come quella non riuscirebbe a farmi desistere dalla mia volontà di rimanere da queste parti a lungo ed il più a fondo possibile rispetto alle mie chances, nonostante continui a rispettare la decisione di chi decide di abbandonare questo mondo come mostrato - e con maggior efficacia rispetto al già citato Mare dentro o a questo film - dall'enorme Million dollar baby o da Kill me please.
Dunque, posso dire che Lo scafandro e la farfalla si è rivelato essere un film dalle ambizioni decisamente più grandi del talento di chi lo ha realizzato.
Ma questa, in un certo senso, è una colpa quasi sopportabile.


MrFord


"With your feet on the air and your head on the ground
try this trip and spin it, yeah
your head'll collapse
if there's nothing in it
and you'll ask yourself."
Pixies - "Where is my mind?" -

domenica 12 giugno 2011

My soul to take

La trama (con parole mie): Il solito serial killer dalle multiple personalità viene ucciso - ma solo forse - dopo un rocambolesco inseguimento con la polizia subito dopo l'omicidio della moglie. Quella stessa notte sette ragazzi - tra i quali spicca il figlio dello stesso assassino, estratto vivo dal corpo della madre - vedono la luce prematuramente.
Sedici anni dopo i loro destini si confrontano con l'eredità dell'identità dell'omicida e ad uno ad uno sono uccisi brutalmente: chi sarà il responsabile? Lo stesso uomo, fuggito a cattura e morte ai tempi? Un nuovo volto per la stessa "maschera"? Oppure uno dei giovani ha definitivamente sbroccato perdendo il lume della ragione?
La più ovvia risposta che avete in mente è quella giusta.
Ovvero: Wes Craven, ormai, non realizza un buon film neppure sotto tortura.

E' davvero triste vedere un Maestro dell'horror come Craven ridotto a portare sullo schermo robetta pseudo teen come tanto piacerebbe al Cannibale come questa.
Lo stesso autore di pellicole storiche come Nightmare o Il serpente e l'arcobaleno ridotto a fare la pallida imitazione di se stesso e riuscendo quasi ad instillare nel sottoscritto una struggente nostalgia per la da me affatto amata saga di Scream, tanto per dire a quali livelli ci attestiamo nel caso di My soul to take.
Dalla pochezza dei protagonisti all'esile sceneggiatura, poco o nulla pare funzionare in questa pellicola praticamente invisibile: pare tutto talmente anonimo da rendere poco soddisfacente anche l'idea di dare sfogo alle bottigliate delle grandi occasioni per affossare quest'operetta di un regista che pare ormai irrimediabilmente compromesso, e al quale non si riesce più neppure a dare il beneficio del dubbio dell'affetto da fan di vecchia data.
Restano soltanto le domande che hanno affollato la mia mente nel corso della visione: perchè tutto appare così incredibilmente prevedibile? Per quale motivo - se non quello di realizzare un film che gira attorno ad un gruppo di ragazzi appena maggiorenni - il killer avrebbe dovuto attendere proprio sedici anni, e non quindici, o quattordici? Per quale motivo il finale, telefonatissimo, si risolve in un'illogica giustificazione legata alla svolta buonista del personaggio più "cattivo" tra i protagonisti?
Purtroppo, una vera e propria risposta non c'è, e cosa ancora più grave, pare esserne totalmente sprovvisto anche il vecchio Wes, che esaurito il bonus - comunque discutibile - di un film in bilico tra ironia e "spavento" come Scream pare non sapere dove sbattere la testa per portare a casa la pagnotta, e sfodera uno degli horror più scialbi ed insulsi della storia recente del genere, tanto da riuscire a provocare nel sottoscritto un'irresistibile, quasi insormontabile ed inesorabile noia mortale.
Se l'idea dei sette ragazzi in rappresentanza delle sette personalità dell'assassino poteva risultare sulla carta molto interessante, è mancata completamente la realizzazione del suo stesso potenziale, e quelli che avrebbero dovuto essere i volti del temutissimo mostro divengono le classiche macchiette uscite dritte dritte dall'ultimo programma "generazionale" di Mtv. Non importa quale, paiono proprio tutti uguali.
Un pò come i protagonisti, e quest'horror.
Che è come tanti altri, solo molto in ritardo e decisamente meno interessante.

MrFord

"Why don't you take another little piece of my soul
why don't you shape it and shake it 'till you're really in control
all you do is take
and all I do is give
all that I'm askin'
is a chance to live."
Queen - "Let me live" -

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