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mercoledì 24 maggio 2017

La bella e la bestia (Bill Condon, USA/UK, 2017, 139')




Se esistesse una classifica dedicata ai film più inutili mai realizzati, o dei quali non si sentiva certo il bisogno, con ogni probabilità questa versione live action di La bella e la bestia - splendido film d'animazione Disney che segnò il cambio di marcia del colosso fondato dal vecchio Walt negli anni novanta - si batterebbe con le unghie e con i denti - da vera bestia, per l'appunto - in modo da conquistare una posizione di rilievo: del resto, quando dietro la macchina da presa c'è Bill Condon - che molti ricorderanno per il suo "esemplare" operato nel corso della saga di Twilight - una certa garanzia pare evidente, e se a questo aggiungiamo una Emma Watson più cagna maledetta del solito, un Dan Stevens che fa rimpiangere a tutti i suoi fan dei tempi di The guest ed un Ian McKellen pagato per cinque minuti di faccette neanche fosse Depp in Alice in Wonderland, il gioco è fatto.
Certo, quasi nulla è stato modificato rispetto all'originale, ma questo non fa che rendere il paragone ancora più impietoso: questa noiosissima versione, infatti, pare essere stata totalmente privata della magia che il buon, vecchio cartone animato riesce a regalare ancora oggi, esempio lampante di quanto importante sia il cuore in qualsiasi produzione, a prescindere dagli scopi commerciali per i quali è stata biecamente e banalmente creata a tavolino - come questa -.
Un fallimento su tutta la linea che mi è costato un paio delle ore più noiose di visione degli ultimi mesi, nel corso delle quali con Julez abbiamo sfiorato più volte l'idea di premere stop e porre fine alle nostre sofferenze e di cercare di restare svegli stando dietro ai Fordini sempre più scatenati ed alla giostra delle faccende di casa nel momento più caotico della giornata, quello della preparazione della cena.
Una produzione inutile, finta e posticcia, trionfo di effetti creati ad uso e consumo del 3D e della retorica senza alcuna scintilla che rende un film ancora peggiore di quanto in realtà non possa essere.
Ed affidandomi al nuovo corso del Saloon più spiccio e senza troppi giri di parole, mi pare di avere già scritto fin troppo.




MrFord




mercoledì 18 gennaio 2017

Il GGG - Il grande gigante gentile (Steven Spielberg, USA/India, 2016, 117')




Voglio sia chiaro a tutti che, come molti della mia generazione, voglio un bene sconfinato a Steven Spielberg: grazie a lui e ad alcuni film come E.T., Indiana Jones, Incontri ravvicinati del terzo tipo ma anche Duel, Lo squalo, L'impero del sole ho avuto le prime esperienze sulla pelle della meraviglia del Cinema, consolidate, nonostante qualche scivolone, in tempi più recenti con Schindler's List, Munich o Prova a prendermi.
Ad oggi, posso contare davvero sulle dita di una mano le opere del regista che ancora non ho affrontato da spettatore.
Eppure, con il Nuovo Millennio, qualcosa tra me ed il vecchio Steven si è rotto: La guerra dei mondi, War Horse e Lincoln, nello specifico, hanno messo così a dura prova la pazienza da farmi dubitare di molto di quel bene, e soltanto il recente e più che discreto Il ponte delle spie aveva riacceso la speranza.
Ma evidentemente anche Spielberg non deve volermi troppo bene, perchè con questo Il GGG ce l'ha messa davvero tutta per farsi detestare come nei momenti peggiori delle tre rotture di coglioni quantomeno di ottavo livello - per dirla come Rocco Schiavone - citate poco sopra: a prescindere, infatti, dall'aspetto tecnico - come sempre curatissimo e lavorato ad uso e consumo dell'hd e del 3D neanche fossimo in un parco tematico da Universal Studios -, e dal romanzo per ragazzi che l'ha ispirato - e che, occorre ammetterlo, non ho mai particolarmente amato -, Il grande gigante gentile è la favoletta per bambini buonista e noiosa per eccellenza, una sorta di Hugo Cabret - altro titolo che avevo detestato con tutte le mie forze - all'ennesima potenza, resa ancora più insopportabile da una piccola protagonista saccente e fastidiosa - ed io adoro i bambini - ed un modo di parlare dei giganti - ma questa, va detto, non è certo colpa del regista - assolutamente insopportabile ed adattato neanche tutti gli spettatori fossero un pò indietro di cottura, per dirla in termini metaforici ed edulcorati.
In buona sostanza, Il GGG ha tutte le carte in regola per essere il tipico film da sabato pomeriggio su Italia Uno, di quelli che perfino i piccoli - ormai tutti troppo svegli ed esposti a molte delle visioni non solo degli adulti, ma anche più adulte dei film d'animazione di nuova generazione - snobbano vinti dalla noia dopo qualche minuto, figurarsi dopo un paio d'ore.
Non basta, dunque, la sola perizia tecnica o meraviglia di effetti - la sequenza della caccia ai sogni è sicuramente una gran cosa, visivamente parlando -, se le stesse mascherano semplicemente carenza di idee e coinvolgimento: in questo senso Spielberg dovrebbe imparare da se stesso, quando con Hook riuscì nell'impresa certo non facile - seppur confezionando un prodotto imperfetto - di unire la magia della favola con l'epicità del titolo ad ampio respiro, portando gli spettatori adulti a riscoprirsi bambini ed i bambini a sentirsi un pò più "grandi".
Nel caso del GGG, tutto pare, semplicemente, una presa per il culo.
Adulti o bambini, conta poco.
E sinceramente, dopo aver amato incondizionatamente Swiss Army Man, ho vissuto la sequenza dedicata alle scoregge verdi degna della volgarità del peggior Cinepanettone.
E del peggior Cinema.
Cinema di cui, tristemente, Il GGG fa senza dubbio parte.




MrFord



martedì 21 giugno 2016

Viaggio nell'isola misteriosa

Regia: Brad Peyton
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 94'







La trama (con parole mie): il tormentato poco più che adolescente Sean, ancorato al ricordo del nonno scomparso e grande fan dell'opera di Verne e dei vecchi romanzi d'avventura, da sempre in rotta con il patrigno Hank, pensa di aver ricevuto un messaggio proprio dal vecchio parente sperduto proveniente nientemeno che dall'Isola misteriosa, leggendaria località portata su carta proprio da Verne. Accompagnato in un'impresa folle da Hank, che spera in questo modo di rinsaldare il suo legame con il ragazzo, da una guida turistica delle isole del Pacifico verso le quali sono diretti, Gabato, e da Kailani, la figlia di quest'ultimo, Sean scoprirà non solo che il luogo mitico esiste, ma che suo nonno è ancora vivo e sarà accanto a lui in un'avventura incredibile con un obiettivo molto importante: portare a casa la pelle.






Non troppo tempo fa, nel corso di una cena con particolari difficoltà di riproduzione della puntata della serie di turno, in casa Ford ci imbattemmo in un The Rock neppure troppo d'annata - duemiladodici, per l'esattezza, l'anno del suo ritorno al wrestling lottato - ai tempi dell'uscita snobbato selvaggiamente perchè schiavo in termini di realizzazione della moda del 3D in quel periodo particolarmente fastidiosa, Viaggio nell'isola misteriosa, filmaccio d'avventura di grana grossissima del quale non mi preoccupai quasi per nulla.
Il risultato fu una totale esaltazione del più piccolo della tribù - e non sto parlando di me - nell'osservare elefanti ridotti alle dimensioni di maialini e lucertole giganti pronte a fare polpettine dei protagonisti, api ed uccellini paragonabili ad elicotteri ed una serie di saliscendi ed inseguimenti che ci convinsero a recuperarlo per una visione in famiglia pomeridiana di quelle che accompagnano le sessioni di gioco più intensive del sottoscritto insieme al già citato Fordino: dunque, il tempo di ripescare il titolo, ed eccoci pronti ad affrontare un viaggio che pare una versione tamarra, sguaiata e di serie b dei film d'avventura "educativi" che esaltavano noi tutti negli anni ottanta, con buona pace del gusto cinematografico ma tanta spensieratezza e godimento da rutto libero.
In fondo, ho ormai sperimentato sulla pelle che visioni leggere e poco significative come questa assumono i connotati dei titoli perfetti se associati ai pomeriggi di gioco con il Fordino, con il plus, in questo caso, della presenza di animali pronti ad ipnotizzare lui e di The Rock - per ragioni affettive, di simpatia, tamarraggine e wrestling - e Vanessa Hudgens - per motivi senza dubbio più alti - pronti a fare lo stesso con me: e dalla terribile ma a suo modo esilarante sequenza della danza dei pettorali alla splendida versione della casa sull'albero di Michael Caine - che di tanto in tanto mi sorprende trovare nel cast di titoli come questo, soldi intascati a parte -, il film scorre innocuo e diretto dall'inizio alla fine, rispolverando almeno nei titoli grandi romanzi d'avventura come Ventimila leghe sotto i mari o L'isola del tesoro e stuzzicando la meraviglia che un'attrazione da parco divertimenti in stile Universal Studios ispirata a questo titolo potrebbe suscitare nel pubblico se ben realizzata.
Sono ben conscio del fatto che, con ogni probabilità, titoli come questo sono buoni giusto per l'uscita in sala di gruppo con amici non proprio vicini alla settima arte in vena di fare casino o del pomeriggio in famiglia con impegno zero, così come del fatto che i più radical, oltre a The Rock - pronto comunque a farsi beffe di se stesso grazie ai battibecchi con Michael Caine e a sfoderare un'ottima intepretazione musicale a metà pellicola -, potrebbero criticare praticamente tutto - tranne, forse, la già citata Hudgens -, eppure personalmente trovo che proposte come questa siano ottime per arieggiare il cervello e godersi il momento per quello che è, senza pressioni o necessità di attenzioni particolari, ottimi con birra e patatine o come sottofondo se si vuole utilizzare il televisore come una sorta di animale da compagnia.
Inoltre, per quanto neppure lontanamente all'altezza dei grandi classici della mia infanzia, penso che prodotti di questo tipo, se visti con gli occhi dei più piccoli - o dei nonni, chissà - possano assumere un fascino quasi magico che noi adulti nella fase "realizzativa" della vita stentiamo, di fatto, a riscoprire: dunque ben vengano, fintanto che risultano innocui, spassosi e pronti a strappare un sorriso o un grido di giubilo ai più piccoli della brigata.
In fondo, se non ci fossero loro, tutto sarebbe molto, molto più triste.
Ed un mondo senza isole misteriose da scoprire ed esplorare è un pò come il wrestling senza The Rock, o Rosy Bindi al posto di Vanessa Hudgens: una vera occasione sprecata.





MrFord





"Ci trovi nell'atlante cercando Atlantide
il cuore all'equatore
la testa all'Antartide
ed ogni volta che il carrello dell'aereo tocca terra
mi sento ancora a casa e dico “bella”!"
Salmo - "The island" - 






domenica 24 agosto 2014

A spasso con i dinosauri

Regia: Barry Cook, Neil Nightingale
Origine: USA, Australia, UK, India
Anno: 2013
Durata: 87'



La trama (con parole mie): uno speleologo accompagnato dal nipote e dalla sua fidanzata viaggiano attraverso l’America alla ricerca di reperti che documentino la vita dei dinosauri in quei luoghi, centinaia di migliaia di anni fa.
Scovato un dente di Gorgosauro, ha inizio una sorta di viaggio indietro nel tempo che porta a seguire la storia di Patchi, un Pachirinosauro che, con il suo branco, cresce e diviene adulto una migrazione dopo l’altra, lottando per la sopravvivenza in un mondo feroce e per la sua identità rispetto ai suoi simili così come a se stesso.
Accompagnato dal fratello e dalla possibile compagna per la sua vita “da grande”, così come da un pennuto che funge da narratore della vicenda, Patchi mostrerà i lati magici e quelli spaventosi della vita ancestrale di quell’epoca remota.







A volte, non si capisce bene per quale motivo ci si imbarchi in alcune visioni: certo, l’amore per il Cinema finisce per giustificare anche tentativi legati a titoli chiaramente pronti a confermarsi scarsi, il blog a tenersi aggiornati anche rispetto alle novità che meno ci attraggono, eppure dovrebbe sempre esserci un limite.
Quando, però, anche il lavoro finisce per rendere particolarmente pesanti le ultime giornate prima delle ferie, si finisce per cadere vittime anche dei tranelli più biechi della grande distribuzione come A spasso con i dinosauri, uscito in sala qualche mese fa principalmente per spingere il 3D – che continuo a detestare, neppure troppo cordialmente – e la classica invasione da multisala da parte di tutte quelle famiglie composte da spettatori occasionali pronte ad anestetizzare per un’ora e mezza i figli nel corso del weekend.
Il lavoro, australiano d’origine – purtroppo per il mio legame con il continente Down Under – e realizzato unendo riprese naturalistiche ad un lavoro decisamente notevole di computer graphic, cerca di riportare l’attenzione soprattutto del pubblico più piccolo all’epoca dei dinosauri, vent’anni fa rilanciata dall’efficace – seppur non perfetto – Jurassic Park e da allora finita almeno parzialmente nel dimenticatoio.
Per poter ingraziare gli adulti accompagnatori, invece, si adotta l’ormai inflazionata e sempre fastidiosa tecnica del narratore esterno ammiccante ed almeno sulla carta ironico, che dovrebbe coinvolgere i genitori ai quali, di norma, poco importa di nomi e caratteristiche di lucertoloni vissuti sulla Terra centinaia di migliaia di anni or sono.
Ora, non so come si siano comportati gli australiani o i distributori del resto del mondo, ma di sicuro la versione italiana – dal protagonista al suo decisamente poco sopportabile compagno di viaggio volante – finisce per essere quantomeno agghiacciante sia per quanto riguarda la scelta delle battute – quella del weekend lungo associato alla migrazione è assolutamente da brividi, e purtroppo non è neppure l’unica -, pronta ad appesantire uno svolgimento degno del peggior film Disney, tutto prevedibilità e retorica.
Non che voglia necessariamente sfogare un’ira particolarmente funesta su questo titolo – che, di fatto, è sostanzialmente innocuo per la sua pochezza -, anche perché resto convinto che gli spettatori più piccoli potrebbero comunque risultarne affascinati, se non altro per gli scorci mozzafiato e la classica storia di riscatto che vede protagonista il piccolo Pachirinosauro che da outsider diviene riferimento per il suo branco, quanto criticare per l’ennesima volta lo sfruttamento bieco che le case di produzione continuano ad operare rispetto ad operazioni come questa e la capacità quasi innata del pubblico di caderci con tutte le scarpe, neanche fosse difficile capire di essere protagonisti della classica operazione mangiasoldi pronta a gonfiare le tasche delle majors e dei gestori dei multisala pronti a sfregarsi le mani per ogni confezione di pop corn, caramelle o bibita servita prima dell’ennesima proiezione che dovrebbe riportare tutti indietro nel tempo come per magia, ma che finisce per essere, semplicemente, l’ennesima vuota illusione di un Cinema che non sa più emozionare a certi livelli.




MrFord




"D-I-N-O-S-A-U-R a dinosaur
D-I-N-O-S-A-U-R a dinosaur
and O-L-D M-A-N
you're just an old man
hitting on me what?
You need a cat scan."
Kesha - "Dinosaur" - 




domenica 8 giugno 2014

Nightmare 6 - La fine

Regia: Rachel Talalay
Origine: USA
Anno: 1991
Durata:
89'




La trama (con parole mie): Freddy Krueger, sempre dedito a perseguitare gli adolescenti attraverso i loro incubi, torna per l'ennesima volta nel tentativo di proseguire la sua missione di eliminare tutti i teenagers di Springwood, sua città d'origine, e raggiungere la figlia, con la quale pare avere un conto in sospeso fin dai tempi in cui era in vita.
La bambina, cresciuta e divenuta una psicologa ignara dell'identità dello psicopatico genitore, si troverà a fronteggiare lo spauracchio artigliato insieme ad alcuni giovani in cura presso il riformatorio per il quale lavora e ad uno degli specialisti che si occupano di loro all'interno della struttura.
Riuscirà l'improvvisato gruppo a trovare un modo per mettere la parola fine all'esistenza del Signore degli incubi?






Quando, qualche mese fa, decisi di dedicare parte del tempo e delle visioni a maratone di recupero delle icone dell'horror, pensai anche che Freddy Krueger, vero e proprio mostro sacro del genere, avrebbe fatto polpette di Chucky e della saga de La bambola assassina, passata appena prima di quella di Nightmare on Elm Street: al contrario, invece, più il tempo - ed i film - passano, più mi rendo conto che, escludendo il magnifico primo capitolo, le avventure di Krueger hanno subito una vera e propria debacle rispetto alla prova del tempo, finendo per perdere nettamente il confronto con quelle del succitato e sboccato Chucky, decisamente più ironico ed attuale rispetto all'ustionato dagli artigli affilati.
Come se non bastasse, questo sesto capitolo, rivisto a distanza di anni dall'ultima volta - per la gioia di Julez, che fin dal terzo capitolo non vedeva l'ora di ritrovare la sequenza dell'adolescente sordo torturato da Freddy grazie ad un personale apparecchio acustico creato per l'occasione - risulta di gran lunga il peggiore dai tempi del secondo, e se non fosse stato per l'interessante esperimento del 3D - allora ancora agli albori del suo sviluppo, e portato in sala con occhialini dedicati e brandizzati Freddy - gestito davvero molto bene nella parte conclusiva, si sarebbe salvato poco o nulla di quella che è stata la pietra tombale su uno dei charachters principi dell'horror dagli anni ottanta in avanti, divenuto una macchietta soporifera e poco divertente, lontana dallo spaventoso uomo nero degli esordi.
Nonostante tutto, però, ai tempi perfino questo terribile episodio fu un vero e proprio successo, che riuscì quasi a quintuplicare con gli incassi il budget per la produzione, cosa rara rispetto ad un genere che certo non ha mai davvero potuto definirsi "blockbuster": ma è davvero una magra consolazione se confrontato con una storia che definire stiracchiata e banale sarebbe riduttivo, o a interpretazioni ed interpreti che a stento potrebbero aspirare a qualche piccola parte da piccolo schermo, senza contare una regia molto, molto artigianale.
Pure troppo.
Una delusione che si aggiunge a quelle dei comunque più riusciti tre, quattro e cinque che diminuisce di molto l'hype per il ritorno dietro la macchina da presa del creatore del brand, Wes Craven, per il tanto celebrato numero sette che, lo ammetto, da queste parti non è mai passato: a questo punto spero soltanto che le aspettative basse tramutino la visione incombente in qualcosa in grado di rivalutare, ai miei occhi, l'intero franchise, che al momento non solo patisce, ma rischia di decadere dallo status di cult dell'horror cui fu innalzato all'inizio dell'adolescenza dal sottoscritto.
Data l'importanza che il charachter ha avuto per milioni di spettatori di diverse generazioni in tutto il mondo - e soprattutto per l'allora piccolo Ford, che più di una volta accarezzò il terrore grazie allo stridìo di quegli artigli - spero davvero di sbagliarmi, e che il Maestro Craven possa effettivamente compiere un miracolo e tornare a far vivere un mito seppellito da incassi sempre favorevoli ma da una qualità sempre più scadente.



MrFord



"I've been where the river ran
I'm drownin' in a sunless sea
sleep has helped me find my end
you promised me you'd set me free
don't fall asleep to dream."
Goo Goo Dolls - "I'm awake now" - 





martedì 20 maggio 2014

Operazione noccioline - The Nut Job

Regia: Peter Lepeniotis
Origine: USA, Canada, Corea del Sud
Anno: 2014
Durata: 85'





La trama (con parole mie): Surly, scoiattolo dalla forte indipendenza sempre pronto a pensare a se stesso ed alla sua sopravvivenza, vive di espedienti insieme ad un topo compagno di mille avventure incurante delle regole imposte dal Procione a capo della comunità che alberga all'ombra del grande albero. Quando un incidente di "caccia" che coinvolge Surly ed il suo compare ed una squadra inviata proprio da Procione - composta dall'intraprendente Andie e dal sempre pronto a mettersi in mostra Greyson - per recuperare una scorta di noci per l'inverno dal carretto di un venditore ambulante provoca un incendio che distrugge proprio il grande albero e le scorte alimentari di tutti gli abitanti del parco, Surly decide di riguadagnare la stima degli animali elaborando un piano per rapinare un negozio in via di ristrutturazione specializzato nella vendita di frutta secca.
L'impresa richiederà tutto il coraggio e la voglia di mettersi in gioco dello scoiattolo, e porterà a ribaltare l'intero mondo degli animali della zona.








Evidentemente questo non dev'essere l'anno giusto per l'animazione.
Alle spalle la parziale delusione che fu il duemilatredici, per i buoni, vecchi cartoni questa prima parte di 'quattordici ha portato quasi esclusivamente conferme in negativo, fatta eccezione per alcuni episodi che potrei a questo punto definire miracolosi - The Lego movie, per esempio -: con Mr. Peabody&Sherman, ad ogni modo, pensavo di avere toccato il fondo e che non restasse altro che risalire, sperando in qualche sorpresa inaspettata.
Niente di più sbagliato.
The nut job - Operazione noccioline, infatti, si inserisce alla perfezione in questo terrificante trend negativo, portando sullo schermo una storia che, nonostante sia animata discretamente, appare come totalmente sviluppata ad uso e consumo del 3D, terribilmente prevedibile, buonista - altro che i tanto bistrattati Classici Disney! - e poco appassionante perfino per chi, come me e come sottoscriverebbe il Cannibale, cerca di godersi la piacevole sensazione di ritorno al passato di un film d'animazione ad ogni buona occasione.
La vicenda dello scoiattolo "ribelle" - spacciarlo per una sorta di antieroe suona davvero come un colpo basso perfino e soprattutto per l'intelligenza dei più piccoli - Surly alle prese con un piano che vorrebbe portare la struttura degli heist movies old school all'interno di una cornice da Boing di serie b - soltanto portato in scena con più soldi di quelli sborsati per il piccolo schermo - risulta infatti un clamoroso fallimento su tutta la linea, a partire dai personaggi - stereotipati e banali, ben doppiati dal ricco cast originale eppure assolutamente incapaci di creare l'empatia necessaria a fare presa non solo nella parte del pubblico più piccola e sveglia, ma anche in quella più stagionata ed incline alla siesta da noia. Ammetto infatti di avere avuto io stesso enormi difficoltà a tenere gli occhi aperti nonostante il minutaggio decisamente scarso ed il ritmo sostenuto scandito dagli inseguimenti - altro particolare che di norma provoca spasmi incontrollati di "gioia" nel mio rivale Peppa Kid -, tanto poco significativi risultano essere personaggi - principali e non -, script, siparietti almeno sulla carta divertenti e spalle comico/grottesche - la componente umana della pellicola -.
Non che mi aspettassi chissà quale filmone, ma dal trailer - ed in questo senso mi sono lasciato ingannare come se anni di Dreamworks non mi avessero insegnato niente - visto tra l'altro nel pieno di uno degli stacchi tra un episodio e l'altro di Kung Fu Panda su Rai Gulp - ormai uno dei preferiti del Fordino - speravo quantomeno in qualcosa che, entro un annetto, avrei potuto anche mostrare al centro di gravità permanente di casa Ford senza che potesse pensare di essere stato preso per il culo dal suo vecchio: al contrario, invece, Operazione noccioline si inserisce senza neppure fare troppa fatica nel novero dei purtroppo numerosi titoli d'animazione massacrati dal sottoscritto di recente neanche ci trovassimo di fronte ad un qualche inutile film radical chic e pomposo firmato da un regista in cerca di affermazione in un Festival importante.
L'amarcord dei cartoni animati, in questi casi, si concentra tutto sul valore di quelli trasmessi in tv e portati in sala nei favolosi anni ottanta, quando tra Disney e Giappone si potevano trovare vagonate di magia coloratissima e coinvolgente, piuttosto che sequenze ben oltre il trash come quella dei titoli di coda ritmati dalla hit "Gangnam style" di Psy - davvero, davvero imbarazzante -.
Se poi dovessi voler gettare benzina sul fuoco direi che, per un appassionato di noci come il sottoscritto, trovarsi di fronte ad un filmetto di così poco conto è quasi come un guanto di sfida lanciato in faccia alle bottigliate.
Peccato che il valore effettivo di The Nut Job, di fatto, non meriti neppure quelle.



MrFord



"Oppan gangnamseutail 
gangnamseutail
najeneun ttasaroun inganjeogin yeoja 
keopi hanjanui yeoyureul aneun pumgyeok inneun yeoja
bami omyeon simjangi tteugeowojineun yeoja
geureon banjeon inneun yeoja."
Psy - "Gangnam style" - 






giovedì 6 marzo 2014

Thursday's child

La trama (con parole mie): passata la sbornia da Oscar, tornano le care - più o meno -, vecchie - questo è sicuro - uscite in sala, come di consueto presentate dal sottoscritto e dal suo sgradito socio Cannibal Kid. In un weekend che, con ogni probabilità, sarà dedicato al recupero dei film trionfatori nella notte cinematografica più importante dell'anno, però, non aspettatevi chissà quali nuove proposte in grado di farvi correre in sala: potreste rimanere delusi almeno quanto lo sono io quando scopro che il mio rivale numero uno recensisce un film mostrando opinioni simili alle mie.


"Ma tu sei il Cucciolo Eroico?" "Ford, ma che dici!? Quello è un coniglio, mica una scimmia!"

300: L'alba di un impero di Noam Murro


Il consiglio di Ford: meglio trecento fordiani di un impero Cannibale!
Chi bazzica da qualche tempo il Saloon sa bene quanto, ai tempi, abbia detestato 300, vera merdata filo bushista neppure buona per una bella visione a neuroni zero che vidi in sala mezzo sbronzo ridendo alla sequela di battute fulminanti di Julez. Non credo che questo sequel riuscirà a cambiare la mia opinione su quello che trovo un brand assolutamente inutile, non fosse per l'utilizzo di Eva Green.
Il consiglio di Cannibal: 300? Cosa sono, gli anni di Ford?
Pur senza condividere l’odio fordiano assoluto nei confronti del primo 300, un action abbastanza ridicolo ma se non altro interessante e originale a livello visivo almeno ai tempi dell’uscita, la voglia di assistere a un suo seguito sta a zero. Già io sono anti-sequel in generale, in questo inoltre sono cambiati sia il regista (il già non fenomenale Zack Snyder rimpiazzato dal novellino Noam Murro) che gran parte del cast. Sento quindi fortissima la puzza di schifezzona. Ma mi consolo per il fatto che Ford lo detesterà ancora più di quanto potrò fare io.

"Peppa Kid, c'è posto per un solo impero, in questo mondo: e non è il tuo."
Tarzan di Reinhard Klooss e Holger Tappe
 

Il consiglio di Ford: Ford, il signore della giungla, incontra Cannibal, il pusillanime di città.
Dopo La bella e la bestia della scorsa settimana, altra rivisitazione di una storia nota ed arcinota giocata, a questo giro, tutta sulla motion capture del cast ed un'avventura tutta e rigorosamente nel tanto detestato 3D, una di quelle cose che riesce a mettere d'accordo perfino me e Peppa Kid.
Non credo che il suo destino sarà diverso da quello della favola del weekend appena passato: verrà ignorato senza troppi patemi.
Il consiglio di Cannibal: la vera storia di MrFord torna sullo schermo, peccato solo non freghi a nessuno
Ma ancora?
Il film della Disney non è così vecchio e i crucchi decidono di farne una nuova versione animata?
Io ho sempre detestato la storia di Tarzan, un buzzurro selvaggio che rappresenta il tipico personaggio fordiano, quindi figuriamoci se mi sorbirò questa nuova (ma nuova dove?) riproposizione.

"Hey, ma dove ti credi di essere, dentro Up?"
Un ragionevole dubbio di Peter Howitt


Il consiglio di Ford: ho il molto ragionevole dubbio che Cannibal si stia fordizzando troppo.
Questo thriller dal sapore di già visto e rivisto è da parecchio tempo in attesa di una visione da parte del sottoscritto, ma come molti titoli poco convincenti, ogni volta che pare giunto il momento giusto, si trova sempre qualche film che, almeno sulla carta, potrebbe rivelarsi più interessante.
Come se non bastasse, le recensioni non sono affatto entusiastiche, dunque manca solo che il mio antagonista cominci ad incensarlo come fosse il nuovo Malick e rischia di finire dritto nel cestino: staremo a vedere.
Intanto potrei approfittare dell'uscita in sala per vederlo e togliermi il sassolino dalla scarpa. Per poi darlo in pasto al Cucciolo Eroico.
Il consiglio di Cannibal: non lo vedrò, nessun dubbio in proposito
Come Ford vi trovate davanti al ragionevole dubbio di guardare Un ragionevole dubbio?
Ok, allora ve lo tolgo subito io: ben che vada, vi ritroverete di fronte a un thrillerino a malapena decente simile a migliaia di altri che vi sarete dimenticati nel momento stesso in cui scorrono i titoli di coda. Mal che vada, avrete sprecato un’ora e mezza della vostra vita che avreste potuto sprecare lo stesso, ma in una maniera molto più divertente, ad esempio leggendo Pensieri Cannibali.

"E lì, seduto al banco degli imputati, vedete Cannibal Kid. L'accusa è di omicidio. La vittima è il Cinema."
La mossa del pinguino di Claudio Amendola


Il consiglio di Ford: la mossa del coniglione, la preferita di Cannibal Kid.
Ma davvero nella settimana dell'assegnazione degli Oscar, con un buon numero di grandi film disponibili da vedere o recuperare, dovremmo sprecare tempo e parole per il primo lavoro da regista di Claudio Amendola!?
Il consiglio di Cannibal: la mossa del giaguaro, quella del tamarro Ford
A me di solito i romanacci me fan piegà in due dalle risate. Claudio Amendola no. Claudio Amendola per me ha sempre rappresentato la mediocrità più assoluta già come attore (attore?), figuriamoci come regista. Penso allora che opterò per questo suo atteso (ma da chi? manco da Ford!) debutto dietro la macchina da presa quando avrò voglia di fare un bello spargimento di insulti contro una pellicola, anche se in coda c’è pure l’ultima fatica cinematografica di Luca Barbareschi.
La mossa del pinguino?
Ah Claudio Ammerdola, piuttosto te parcheggio ‘na mano in faccia!
Tra l’altro fare uscire un film sul curling quando ormai le Olimpiadi invernali sono finite non mi sembra proprio una mossa furbissima…

"Non tirare troppo forte: per abbattere Katniss Kid basta poco!"
Allacciate le cinture di Ferzan Ozpetek


Il consiglio di Ford: Kid, allaccia bene la cintura, ti porto a fare un giro in macchina!
Ozpetek è un regista decisamente strano, che negli anni è passato dal prendersi bottigliate clamorose a produrre filmetti onesti ed interessanti, pur non toccando mai chissà quali vette.
Questa sua nuova fatica, almeno dal trailer, non mi pare proprio quella che definirei una novità, o una bomba, eppure, forse perchè l'alternativa italiana è Amendola, una possibilità potrei anche provare a concederla.
Alla peggio, verrà piacevolmente massacrato.
Il consiglio di Cannibal: più che allacciarvi le cinture, se salite in auto con Ford dovete farvi il segno della croce
Condivido con Ford il rapporto conflittuale nei confronti di Ferzan Ozpetek, regista che non mi ha mai entusiasmato del tutto ma di cui ho comunque apprezzato alcuni film, su tutti La finestra di fronte e Mine vaganti. Un’occhiata a un nuovo film dell’Almodovar italo-turco comunque gliela si dà sempre, se non altro per vedere chi sceglierà la bella Kasia Smutniak tra lo sciallato Filippo Scicchitano e il tronista Francesco Arca. Quanto a voi, non avete certo questi problemi di scelta. Tra WhiteRussian e Pensieri Cannibali, meglio se andate a leggervi qualche blog di cinema davvero competente.

"Ma quelli sono Ford e Cannibal? Fanno proprio ridere!"
Il superstite di Paul Wright


Il consiglio di Ford: dovesse venire in macchina con Ford, Cannibal Kid difficilmente sopravviverà.
Dovendo considerare un film "alternativo" o radical della settimana, la scelta potrebbe ricadere su questo dramma che segna l'esordio di un giovane regista scozzese sulla scena internazionale.
La trama è interessante, eppure c'è qualcosa che non mi convince: più o meno la stessa sensazione che provo quando apro Pensieri Cannibali, e, come accade troppo spesso ultimamente, scopro che il mio rivale numero uno ha scritto di un film esprimendo un parere simile al mio. E non è mai una sensazione piacevole.
Il consiglio di Cannibal: se non sono un superstite io che sono sopravvissuto a una settimana di Sanremo, chi lo è?
Piccolo film indipendente britannico di un regista esordiente che a sorpresa sbarca dalle nostre parti. Sembra proprio una buona notizia e io allora, che sono diffidente per natura, mi chiedo se non ci sia la fregatura sotto. Di solito queste piccole gemme si trovano solo in rete, non nei cinema, quindi questo se esce in Italia sarà davvero una chicca?
In una settimana tutto fuorché entusiasmante, potrebbe rivelarsi l’uscita più gradita. Ancora più gradita sarebbe l’uscita di Ford. L’uscita di scena.

"Piuttosto che andare in macchina con Ford parto per un giro del mondo in solitaria. In canotto."
Chocò di Jhonny Hendrix Hinestroza


Il consiglio di Ford: vieni, Cannibal, ti offro una Chocolata alla cicuta.
Seconda proposta radical finto alternativa della settimana e seconda perplessità, decisamente più importante di quella per Il superstite.
Secondo me, qui in Italia, non abbiamo mai capito la differenza tra l'autorialità di nicchia ed i tentativi decisamente casuali.
Il consiglio di Cannibal: chos’è?
Non sapevo che, oltre alla droga, dalla Colombia esportassero pure film. Ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo. Chissà se arriverà mai anche il giorno in cui Ford dirà delle cose che non sono radical cacchiate?
Quanto alla pellicola, non mi sembra una cosa del tutto disprezzabile e allo stesso tempo manco una roba imperdibile, soprattutto considerando come ora, dopo la pausa per i giochi olimpici, sono tornate in onda un sacco di serie tv strafighe da recuperare. E poi dalla Colombia non sono certo i film quello che vogliamo…

"Ford si era offerto di accompagnarci a fare la spesa in macchina, ma preferisco attraversare la giungla a piedi."
Registe di Diana Dell'Erba


Il consiglio di Ford: neppure le migliori registe potrebbero raccontare una storia assurda come quella del giovane Goi.
Radical chic in agguato parte terza. Documentario sulla realtà della regia al femminile in Italia che mi attrae quanto un the delle cinque all'Anteo con le sciùre milanesi finte alternative in attesa di smanacciarsi un pò con il nuovo Von Trier.
Peccato, perchè la tematica era anche interessante.
Il consiglio di Cannibal: Dell’erba, che ce l’hai dell’erba?
Questo docufilm sa di radical-chiccata eccessiva persino per me. Mi divertirei un sacco a farlo vedere in loop a JamesFord e penso che potrei persino realizzare un documentario su questa sua esperienza traumatica. Documentario distribuito poi in 4 sale in croce che nessuno vedrà mai, un po’ come questo Registe.

"E pensare che vent'anni fa lavoravo con Tarantino!"
Felice chi è diverso di Gianni Amelio


Il consiglio di Ford: felice di essere diverso. Da Cannibal Kid.
Finalmente una proposta veramente radical e veramente interessante, un documentario sull'evoluzione sociale del rapporto con l'omosessualità. Dagli anni del fascismo ad oggi, un viaggio che pare profondo ed interessante operato da uno dei migliori registi italiani degli ultimi vent'anni, tra l'altro fresco di coming out.
Oserei quasi dire che si possa parlare del film della settimana.
Il consiglio di Cannibal: felice chi non conosce Ford
Il titolo dice già tutto. No, che avete capito? Felice chi è diverso non è la storia di Nonno Felice, è invece un film sulla Storia dell’essere diversi in Italia. Chi sono, questi diversi?
Tutti siamo diversi. Io ad esempio sono diverso da Ford. Spero lo siate anche voi. Ford invece è diversamente competente di film. Questa docupellicola riguarda quindi un po’ chiunque. Pur non conoscendo molto il cinema di Gianni Amelio, mi sembra allora che potrebbe essere una visione interessante anche se – diciamolo – questa settimana di film da correre a vedere al cinema non ce ne sono proprio.

"Se sono felice di essere diverso da Ford e Cannibal? Potete scommetterci!"

venerdì 22 marzo 2013

Il grande e potente Oz

Regia: Sam Raimi
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 130'




La trama (con parole mie): siamo agli inizi del novecento, in Kansas, ed il giovane illusionista Oz, donnaiolo incallito, bugiardo ed egoista è costretto alla fuga dal circo in cui lavora al termine dell'ennesima tresca. Nel corso della sua ritirata strategica, si ritrova catapultato in un reame incantato e magico dove scopre di essere atteso come un salvatore in base ad un'antica profezia: attratto dall'idea di diventare il sovrano incontrastato di un regno ricco e popolato di splendide streghe, Oz accetta di buon grado il suo nuovo ruolo, senza sapere che l'unica condizione per conquistare il bottino sarà quella di sconfiggere la pecora nera delle sue nuove conquiste femminili, che minaccia l'equilibrio dell'intero mondo.
Aiutato da una scimmia volante e da una bambolina di porcellana, scoperto l'inganno che si cela nel palazzo della Città di smeraldo, Oz si troverà ad interpretare più di quanto credesse il ruolo dell'eroe, sfruttando la sua abilità di ingannatore per portare a casa la vittoria e ritrovare la parte migliore della sua indole.





Devo ammettere che mi aspettavo certamente peggio, da Il grande e potente Oz.
Avevo letto in più di un blog di accostamenti agghiaccianti come quello con il terribile Alice in wonderland di Burton, uno degli abomini cinematografici peggiori degli ultimi anni, e le mie iniziali speranze di trovarmi di fronte ad un giocattolone d'intrattenimento tamarro al punto giusto erano precipitate nel più profondo dei recessi della mente, lasciando spazio al solo terrore, pur avendo a disposizione ingressi omaggio per la sala e, dunque, di fatto non rischiando nulla a livello di bilancio di casa Ford.
Dunque, come mai campeggiano in bella mostra le bottigliate, se di fatto il film non si è rivelato il disastro totale che mi aspettavo?
Principalmente perchè di rado mi è capitato di osservare un regista completamente schiacciato dalla produzione come è accaduto in questo caso a Sam Raimi, leggendario cineasta che nel corso degli anni ottanta fece la storia dell'horror con la saga de La casa: nonostante, infatti, alcune trovate decisamente azzeccate - gli splendidi titoli di testa - e personaggi particolarmente riusciti - su tutti la scimmia volante che fa da spalla al protagonista -, il povero Sam si è visto letteralmente travolgere da quelle che paiono essere le imposizioni standard che la Disney, in queste situazioni, scarica senza ritegno sulle spalle del regista di turno neanche fossero macigni, considerando l'opera finita come una grande, clamorosa, inarrestabile macchina da soldi e derivati che possano andare dai giocattoli alle attrazioni dei parchi sbattendosene bellamente della qualità che non sia quella dei colori caramellosi, del 3D e della logica del risultato.
Un vero peccato, perchè se da un lato troviamo delle idee forse non originali eppure molto interessanti - il ruolo da illusionista di Oz, che fa chiaramente riferimento alla potenza del mezzo cinematografico e quasi cita, con la sua apparizione nel corso della battaglia finale, l'omaggio alla settima arte che Tarantino regalò in Bastardi senza gloria -, dall'altro imperano un appiattimento clamoroso dei personaggi femminili - tutti ridotti a macchiette, nonchè recitati malissimo dalle tre attrici -, alcuni passaggi decisamente debitori - e non è certo una bella cosa - della già citata Alice burtoniana ed un generale approccio allo script assolutamente lontano da quelli che potrebbero essere standard "d'autore".
E' curioso quanto le major dall'incasso facile continuino a sottovalutare l'intelligenza del pubblico proponendo  delle confezioni di lusso cui manca, di contro, lo spirito legato alla meraviglia che rese grandi - o se non altro cult - titoli figli degli anni ottanta - e anche precedenti - ancora oggi celebrati da ben più di una generazione di spettatori, e che Raimi cerca di far rivivere attraverso il progressivo riscoprirsi di Oz - un James Franco un pò troppo gigioneggiante, ma ugualmente funzionale - dovendo, però, preoccuparsi anche di lottare al contempo con una produzione che preferisce riuscire ad imbruttire Mila Kunis e sfoderare personaggi al limite del trash - il nano Knuck, assolutamente inutile - piuttosto che dedicare una maggiore attenzione a quello che Il grande e potenze Oz sarebbe potuto diventare se ci si fosse preoccupati meno delle leggi di mercato e più di portare sul grande schermo un titolo destinato ad essere ricordato come fu per l'originale Il mago di Oz - oggetto di culto ancora oggi - ed il suo seguito - il poco noto, sottovalutato e decisamente interessante Nel fantastico mondo di Oz, arricchito da venature di horror grottesco davvero ben riuscite -.
Resta senza dubbio una visione buona per tappare i buchi di una serata senza pretese e decisamente meno in grado di fare incazzare come fu per l'immondizia targata Burton ormai stracitata, eppure il sapore amaro dell'occasione sprecata finisce per non lasciare i palati fini o meno dell'audience come raramente è capitato quest'anno: considerate dunque di partire con poche speranze, e forse riuscirete a farvi bastare le poche idee interessanti che Raimi ha cercato - invano, malefica Disney - di regalare con questo suo lavoro, decisamente troppo lontano dalle sperimentazioni dei suoi esordi ma anche dall'eleganza del blockbuster d'autore - come i primi due Spider Man - per lasciare davvero il segno.
E vedere l'attore feticcio Bruce Campbell segregato ad una comparsata di poco conto nascosto sotto quintali di trucco è l'emblema di un'epoca di gioia e tripudio di panesalamismo come furono i gloriosi eighties che se ne va lasciando spazio ad un'altra, in cui il 3D e gli incassi a trecentosessanta gradi delle majors divengono la meridiana del "mezzo del futuro", e costringono anche autori di un certo spessore a compromessi che un tempo li avrebbero fatti inorridire.
Ma il fatto resta sempre quello: la meraviglia - e di materia, in questo caso, ce ne sarebbe stata - non dovrebbe avere prezzo.


MrFord


"Demons worry when the wizard is near
he turns tears into joy
everyone's happy when the wizard walks by
never talking
just keeps walking
spreading his magic."
Black Sabbath - "The wizard" -


martedì 8 gennaio 2013

Vita di Pi

Regia: Ang Lee
Origine: Taiwan, USA, Cina
Anno:
2012
Durata: 127'




La trama (con parole mie): uno scrittore in cerca di ispirazione per un romanzo che fatica ad arrivare incontra Pi, un uomo indicatogli dopo un incontro casuale come l'unico in grado di restituirgli la scintilla della creatività e rivelargli, di fatto, l'esistenza di Dio.
Pi, nato in India e naufragato con la famiglia nel corso di un viaggio che li avrebbe condotti in Canada, si ritrova abbandonato su una scialuppa di salvataggio alla deriva nel Pacifico a disputarsi la sopravvivenza con gli elementi ed una tigre del Bengala di nome Richard Parker, pronta ad aggredirlo ad ogni occasione: tra i due si instaura un curioso rapporto di rivalità ed amicizia che li porterà a combattere fino allo stremo delle forze e all'insperata salvezza.
A quali conclusioni porterà la storia di Pi? Lo scrittore troverà quello che cerca e quel giovane naufrago la Fede? E quale ruolo avrà in tutto questo la tigre?




Ho mollato la religione da parecchio tempo, ormai: ho sempre creduto fosse qualcosa che poteva funzionare all’epoca  in cui ero un bambino, quando per stimolare i sensi di colpa e la paura dei lati oscuri c’era bisogno dello spauracchio di una punizione, e con la quale chiusi da adolescente, quando iniziai a scrivere e, il giorno del funerale di mio nonno, capii che dentro quella chiesa non sentivo nulla che non fosse un dolore molto umano decisamente lontano dal divino.
Certo, nel corso degli anni ho sviluppato una mia spiritualità in grado di passare dalla meraviglia degli sconfinati paesaggi australiani all’avvicinarsi del momento in cui sarò padre, dal Cristo cantato da De Andrè alla filosofia di Lebowski, dalle sbronze alla goduria di un filetto al sangue, da una scopata selvaggia alla sensazione che, in un modo o nell’altro, si lotterà ed amerà sempre accanto a quella persona, senza alcun bisogno di sapere perché.
Ma non venitemi a parlare, per l’appunto, di religioni o indottrinamenti: certo, le mitologie sono splendide da leggere ed immaginare, afferrarne il meglio come nel corso di una sorta di happy hour culturale, ma niente di più.
Nel corso della visione di Vita di Pi, sono stato percorso in più di un’occasione dall’irritazione che mi aveva allo stesso modo – pur se mossa da sensazioni diverse – accompagnato con Moonrise kingdom, senza contare che, in questo caso, il termine di paragone più vicino e solleticato era quello del bottigliatissimo War horse spielberghiano, realizzato alla grande ma talmente retorico da far sembrare Salvate il soldato Ryan praticamente una versione più asciutta de La sottile linea rossa.
Anche il lavoro di Ang Lee è portato sullo schermo sfruttando mezzi tecnici prodigiosi, fotografando la magia e la meraviglia del Cinema neanche fossimo tornati alle sue origini, sull’onda degli stessi intenti che mossero James Cameron con Avatar e Martin Scorsese con Hugo Cabret – anche se, rispetto al secondo, ho nutrito e nutro ancora moltissime riserve -: e senza dubbio la vicenda di Pi si carica sulle spalle un bagaglio decisamente ingombrante in termini di sensazionalismo di grana grossa e retorica da Oscar, tanto che, se non fosse che le nominations non sono ancora state rese note, mi verrebbe quasi da pensare che, per quest’anno, i giochi possano essere già fatti – considerato anche che Ang Lee è un regista molto amato nell’ambito dei grandi Festival e delle premiazioni -.
Combattuto su quale strada fare prendere a questo post e al voto, ho seguito il film animato da uno scetticismo in grado di farmi sentire affine allo scrittore che, in cerca di una storia, si ritrova a dividere la tavola ed una giornata sicuramente unica con un uomo assolutamente semplice che si è reso protagonista di avvenimenti straordinari: il naufragio della nave che lo separò dalla sua famiglia gettandolo in pieno Pacifico in compagnia di uno sparuto gruppo di animali – i genitori di Pi, allora poco più che adolescente, erano proprietari di uno zoo ed in procinto di trasferirsi dall’India al Canada, dove è ambientata la parte nel presente della narrazione, in cerca di fortuna – è stata giudicata da un vecchio insegnante del sopravvissuto non soltanto una grande storia, ma l’unica che conoscesse in grado di far “trovare Dio”.
E di nuovo fa capolino quella religione così distante dal sottoscritto, dai cowboys e dai saloon, facendo sfoggio del potere dell’illusione che pare trasformare l’epopea marittima del ragazzo e della tigre nella più classica delle costruzioni drammatiche di un’amicizia improbabile, da Oscar, per l’appunto. Ed il rollìo delle bottigliate si fa pericolosamente vicino, nonostante le magnifiche sequenze girate con uno stile che mescola il patinato National Geographic sfoggiato anche da Malick nel suo The tree of life a quello lisergico di Jodorowski e del 2001 kubrickiano.
Combattuto, scettico e dubbioso, ecco come mi sono sentito.
Eppure, come per lo stesso Pi, qualcosa pareva celato dietro gli occhi della tigre.
Gli occhi della tigre, neanche fossimo nel pieno delle tamarrate anni ottanta, pronti a cavalcare la furia del rientro in grande stile dello Stallone italiano.
Gli occhi della tigre, come cantava William Blake, uno che il suo Dio l’aveva trovato senza bisogno che gli venissero imposti dei comandamenti: “Tigre! Tigre! Divampante fulgore nelle foreste della notte, quale fu l’immortale mano o l’occhio che ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria? In quali abissi o in quali cieli accese il fuoco dei tuoi occhi? Sopra quali ali osa slanciarsi? E quale mano afferra il fuoco?”
La tigre è stata il profeta di Blake. E non solo.
Perché anche Ang Lee pare aver ricevuto da Lei una simile, clamorosa, magnifica illuminazione.
E dunque, quando la storia giunge alla conclusione, e di fronte al suo protagonista e narratore lo scrittore – ed io con lui – mostra il dubbio nella sua monumentale staticità, ecco che la prospettiva cambia, grazie ad un gioco di prestigio neanche ci trovassimo al cospetto di Nolan e degli incastri di ragione e sentimento, scienza e fede di Inception.
Fede, non religione. Trovare Dio, o chi per Lui.
E negli occhi della tigre, nel cambio di prospettiva, in questo Vita di Pi mi è parso di trovarLo un po’ anche io, che sono solo uno stronzo miscredente abituato a vivere alla giornata lungo la Frontiera.
Quale storia avremo preferito, alla fine?
Quella della tigre, o l’altra?
Il divino o l’umano?
Io, che costruisco il mio sapere sull’esperienza, sono fautore dell’Umanità anche quando regala il peggio di sé: eppure, per un momento, quando Pi, serenamente, accenna al giornalista a seguito della sua risposta “anche Dio sceglierebbe quella”, mi è parso di sentire gli occhi della tigre dritti su di me. La Fede, non la religione.
E ho pensato che mi sarebbe piaciuto, il giorno del funerale di mio nonno, avere una tigre agli occhi della quale affidare tutto il dolore che mi spezzava dentro.
Se il Cinema è meraviglia, il gioco di prestigio la volontà del pubblico di essere ingannato, la vita un grande viaggio che sappiamo tutti come andrà a finire, allora Ang Lee è riuscito in un miracolo:
perché io, che non voglio, e non riesco a crederci, per un momento mi sono sentito toccato da qualcosa in grado di portarmi dove fino ad ora potevo solo sognare di arrivare.
E lo ha fatto nello stile di quelli come me, che vivono tutto sulla pelle: con gli occhi della tigre.


MrFord


"It's the eye of the tiger
it's the thrill of the fight
risin'up to the challenge of our rival
and the last known survivor
stalks his prey in the night
and he's watching us all
with the eye of the tiger."
Survivor - "Eye of the tiger" -



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