Regia: Ang Lee
Origine: Taiwan, USA, Cina
Anno: 2012
Anno: 2012
Durata: 127'
La trama (con parole mie): uno scrittore in cerca di ispirazione per un romanzo che fatica ad arrivare incontra Pi, un uomo indicatogli dopo un incontro casuale come l'unico in grado di restituirgli la scintilla della creatività e rivelargli, di fatto, l'esistenza di Dio.
Pi, nato in India e naufragato con la famiglia nel corso di un viaggio che li avrebbe condotti in Canada, si ritrova abbandonato su una scialuppa di salvataggio alla deriva nel Pacifico a disputarsi la sopravvivenza con gli elementi ed una tigre del Bengala di nome Richard Parker, pronta ad aggredirlo ad ogni occasione: tra i due si instaura un curioso rapporto di rivalità ed amicizia che li porterà a combattere fino allo stremo delle forze e all'insperata salvezza.
A quali conclusioni porterà la storia di Pi? Lo scrittore troverà quello che cerca e quel giovane naufrago la Fede? E quale ruolo avrà in tutto questo la tigre?
Ho mollato la religione da parecchio tempo, ormai: ho sempre creduto fosse qualcosa che poteva funzionare all’epoca in cui ero un bambino, quando per stimolare i sensi di colpa e la paura dei lati oscuri c’era bisogno dello spauracchio di una punizione, e con la quale chiusi da adolescente, quando iniziai a scrivere e, il giorno del funerale di mio nonno, capii che dentro quella chiesa non sentivo nulla che non fosse un dolore molto umano decisamente lontano dal divino.
Certo, nel corso degli anni ho sviluppato una mia spiritualità in grado di passare dalla meraviglia degli sconfinati paesaggi australiani all’avvicinarsi del momento in cui sarò padre, dal Cristo cantato da De Andrè alla filosofia di Lebowski, dalle sbronze alla goduria di un filetto al sangue, da una scopata selvaggia alla sensazione che, in un modo o nell’altro, si lotterà ed amerà sempre accanto a quella persona, senza alcun bisogno di sapere perché.
Ma non venitemi a parlare, per l’appunto, di religioni o indottrinamenti: certo, le mitologie sono splendide da leggere ed immaginare, afferrarne il meglio come nel corso di una sorta di happy hour culturale, ma niente di più.
Nel corso della visione di Vita di Pi, sono stato percorso in più di un’occasione dall’irritazione che mi aveva allo stesso modo – pur se mossa da sensazioni diverse – accompagnato con Moonrise kingdom, senza contare che, in questo caso, il termine di paragone più vicino e solleticato era quello del bottigliatissimo War horse spielberghiano, realizzato alla grande ma talmente retorico da far sembrare Salvate il soldato Ryan praticamente una versione più asciutta de La sottile linea rossa.
Anche il lavoro di Ang Lee è portato sullo schermo sfruttando mezzi tecnici prodigiosi, fotografando la magia e la meraviglia del Cinema neanche fossimo tornati alle sue origini, sull’onda degli stessi intenti che mossero James Cameron con Avatar e Martin Scorsese con Hugo Cabret – anche se, rispetto al secondo, ho nutrito e nutro ancora moltissime riserve -: e senza dubbio la vicenda di Pi si carica sulle spalle un bagaglio decisamente ingombrante in termini di sensazionalismo di grana grossa e retorica da Oscar, tanto che, se non fosse che le nominations non sono ancora state rese note, mi verrebbe quasi da pensare che, per quest’anno, i giochi possano essere già fatti – considerato anche che Ang Lee è un regista molto amato nell’ambito dei grandi Festival e delle premiazioni -.
Combattuto su quale strada fare prendere a questo post e al voto, ho seguito il film animato da uno scetticismo in grado di farmi sentire affine allo scrittore che, in cerca di una storia, si ritrova a dividere la tavola ed una giornata sicuramente unica con un uomo assolutamente semplice che si è reso protagonista di avvenimenti straordinari: il naufragio della nave che lo separò dalla sua famiglia gettandolo in pieno Pacifico in compagnia di uno sparuto gruppo di animali – i genitori di Pi, allora poco più che adolescente, erano proprietari di uno zoo ed in procinto di trasferirsi dall’India al Canada, dove è ambientata la parte nel presente della narrazione, in cerca di fortuna – è stata giudicata da un vecchio insegnante del sopravvissuto non soltanto una grande storia, ma l’unica che conoscesse in grado di far “trovare Dio”.
E di nuovo fa capolino quella religione così distante dal sottoscritto, dai cowboys e dai saloon, facendo sfoggio del potere dell’illusione che pare trasformare l’epopea marittima del ragazzo e della tigre nella più classica delle costruzioni drammatiche di un’amicizia improbabile, da Oscar, per l’appunto. Ed il rollìo delle bottigliate si fa pericolosamente vicino, nonostante le magnifiche sequenze girate con uno stile che mescola il patinato National Geographic sfoggiato anche da Malick nel suo The tree of life a quello lisergico di Jodorowski e del 2001 kubrickiano.
Combattuto, scettico e dubbioso, ecco come mi sono sentito.
Eppure, come per lo stesso Pi, qualcosa pareva celato dietro gli occhi della tigre.
Gli occhi della tigre, neanche fossimo nel pieno delle tamarrate anni ottanta, pronti a cavalcare la furia del rientro in grande stile dello Stallone italiano.
Gli occhi della tigre, come cantava William Blake, uno che il suo Dio l’aveva trovato senza bisogno che gli venissero imposti dei comandamenti: “Tigre! Tigre! Divampante fulgore nelle foreste della notte, quale fu l’immortale mano o l’occhio che ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria? In quali abissi o in quali cieli accese il fuoco dei tuoi occhi? Sopra quali ali osa slanciarsi? E quale mano afferra il fuoco?”
La tigre è stata il profeta di Blake. E non solo.
Perché anche Ang Lee pare aver ricevuto da Lei una simile, clamorosa, magnifica illuminazione.
E dunque, quando la storia giunge alla conclusione, e di fronte al suo protagonista e narratore lo scrittore – ed io con lui – mostra il dubbio nella sua monumentale staticità, ecco che la prospettiva cambia, grazie ad un gioco di prestigio neanche ci trovassimo al cospetto di Nolan e degli incastri di ragione e sentimento, scienza e fede di Inception.
Fede, non religione. Trovare Dio, o chi per Lui.
E negli occhi della tigre, nel cambio di prospettiva, in questo Vita di Pi mi è parso di trovarLo un po’ anche io, che sono solo uno stronzo miscredente abituato a vivere alla giornata lungo la Frontiera.
Quale storia avremo preferito, alla fine?
Quella della tigre, o l’altra?
Il divino o l’umano?
Io, che costruisco il mio sapere sull’esperienza, sono fautore dell’Umanità anche quando regala il peggio di sé: eppure, per un momento, quando Pi, serenamente, accenna al giornalista a seguito della sua risposta “anche Dio sceglierebbe quella”, mi è parso di sentire gli occhi della tigre dritti su di me. La Fede, non la religione.
E ho pensato che mi sarebbe piaciuto, il giorno del funerale di mio nonno, avere una tigre agli occhi della quale affidare tutto il dolore che mi spezzava dentro.
Se il Cinema è meraviglia, il gioco di prestigio la volontà del pubblico di essere ingannato, la vita un grande viaggio che sappiamo tutti come andrà a finire, allora Ang Lee è riuscito in un miracolo:
perché io, che non voglio, e non riesco a crederci, per un momento mi sono sentito toccato da qualcosa in grado di portarmi dove fino ad ora potevo solo sognare di arrivare.
E lo ha fatto nello stile di quelli come me, che vivono tutto sulla pelle: con gli occhi della tigre.
Certo, nel corso degli anni ho sviluppato una mia spiritualità in grado di passare dalla meraviglia degli sconfinati paesaggi australiani all’avvicinarsi del momento in cui sarò padre, dal Cristo cantato da De Andrè alla filosofia di Lebowski, dalle sbronze alla goduria di un filetto al sangue, da una scopata selvaggia alla sensazione che, in un modo o nell’altro, si lotterà ed amerà sempre accanto a quella persona, senza alcun bisogno di sapere perché.
Ma non venitemi a parlare, per l’appunto, di religioni o indottrinamenti: certo, le mitologie sono splendide da leggere ed immaginare, afferrarne il meglio come nel corso di una sorta di happy hour culturale, ma niente di più.
Nel corso della visione di Vita di Pi, sono stato percorso in più di un’occasione dall’irritazione che mi aveva allo stesso modo – pur se mossa da sensazioni diverse – accompagnato con Moonrise kingdom, senza contare che, in questo caso, il termine di paragone più vicino e solleticato era quello del bottigliatissimo War horse spielberghiano, realizzato alla grande ma talmente retorico da far sembrare Salvate il soldato Ryan praticamente una versione più asciutta de La sottile linea rossa.
Anche il lavoro di Ang Lee è portato sullo schermo sfruttando mezzi tecnici prodigiosi, fotografando la magia e la meraviglia del Cinema neanche fossimo tornati alle sue origini, sull’onda degli stessi intenti che mossero James Cameron con Avatar e Martin Scorsese con Hugo Cabret – anche se, rispetto al secondo, ho nutrito e nutro ancora moltissime riserve -: e senza dubbio la vicenda di Pi si carica sulle spalle un bagaglio decisamente ingombrante in termini di sensazionalismo di grana grossa e retorica da Oscar, tanto che, se non fosse che le nominations non sono ancora state rese note, mi verrebbe quasi da pensare che, per quest’anno, i giochi possano essere già fatti – considerato anche che Ang Lee è un regista molto amato nell’ambito dei grandi Festival e delle premiazioni -.
Combattuto su quale strada fare prendere a questo post e al voto, ho seguito il film animato da uno scetticismo in grado di farmi sentire affine allo scrittore che, in cerca di una storia, si ritrova a dividere la tavola ed una giornata sicuramente unica con un uomo assolutamente semplice che si è reso protagonista di avvenimenti straordinari: il naufragio della nave che lo separò dalla sua famiglia gettandolo in pieno Pacifico in compagnia di uno sparuto gruppo di animali – i genitori di Pi, allora poco più che adolescente, erano proprietari di uno zoo ed in procinto di trasferirsi dall’India al Canada, dove è ambientata la parte nel presente della narrazione, in cerca di fortuna – è stata giudicata da un vecchio insegnante del sopravvissuto non soltanto una grande storia, ma l’unica che conoscesse in grado di far “trovare Dio”.
E di nuovo fa capolino quella religione così distante dal sottoscritto, dai cowboys e dai saloon, facendo sfoggio del potere dell’illusione che pare trasformare l’epopea marittima del ragazzo e della tigre nella più classica delle costruzioni drammatiche di un’amicizia improbabile, da Oscar, per l’appunto. Ed il rollìo delle bottigliate si fa pericolosamente vicino, nonostante le magnifiche sequenze girate con uno stile che mescola il patinato National Geographic sfoggiato anche da Malick nel suo The tree of life a quello lisergico di Jodorowski e del 2001 kubrickiano.
Combattuto, scettico e dubbioso, ecco come mi sono sentito.
Eppure, come per lo stesso Pi, qualcosa pareva celato dietro gli occhi della tigre.
Gli occhi della tigre, neanche fossimo nel pieno delle tamarrate anni ottanta, pronti a cavalcare la furia del rientro in grande stile dello Stallone italiano.
Gli occhi della tigre, come cantava William Blake, uno che il suo Dio l’aveva trovato senza bisogno che gli venissero imposti dei comandamenti: “Tigre! Tigre! Divampante fulgore nelle foreste della notte, quale fu l’immortale mano o l’occhio che ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria? In quali abissi o in quali cieli accese il fuoco dei tuoi occhi? Sopra quali ali osa slanciarsi? E quale mano afferra il fuoco?”
La tigre è stata il profeta di Blake. E non solo.
Perché anche Ang Lee pare aver ricevuto da Lei una simile, clamorosa, magnifica illuminazione.
E dunque, quando la storia giunge alla conclusione, e di fronte al suo protagonista e narratore lo scrittore – ed io con lui – mostra il dubbio nella sua monumentale staticità, ecco che la prospettiva cambia, grazie ad un gioco di prestigio neanche ci trovassimo al cospetto di Nolan e degli incastri di ragione e sentimento, scienza e fede di Inception.
Fede, non religione. Trovare Dio, o chi per Lui.
E negli occhi della tigre, nel cambio di prospettiva, in questo Vita di Pi mi è parso di trovarLo un po’ anche io, che sono solo uno stronzo miscredente abituato a vivere alla giornata lungo la Frontiera.
Quale storia avremo preferito, alla fine?
Quella della tigre, o l’altra?
Il divino o l’umano?
Io, che costruisco il mio sapere sull’esperienza, sono fautore dell’Umanità anche quando regala il peggio di sé: eppure, per un momento, quando Pi, serenamente, accenna al giornalista a seguito della sua risposta “anche Dio sceglierebbe quella”, mi è parso di sentire gli occhi della tigre dritti su di me. La Fede, non la religione.
E ho pensato che mi sarebbe piaciuto, il giorno del funerale di mio nonno, avere una tigre agli occhi della quale affidare tutto il dolore che mi spezzava dentro.
Se il Cinema è meraviglia, il gioco di prestigio la volontà del pubblico di essere ingannato, la vita un grande viaggio che sappiamo tutti come andrà a finire, allora Ang Lee è riuscito in un miracolo:
perché io, che non voglio, e non riesco a crederci, per un momento mi sono sentito toccato da qualcosa in grado di portarmi dove fino ad ora potevo solo sognare di arrivare.
E lo ha fatto nello stile di quelli come me, che vivono tutto sulla pelle: con gli occhi della tigre.
MrFord
"It's the eye of the tiger
it's the thrill of the fight
risin'up to the challenge of our rival
and the last known survivor
stalks his prey in the night
and he's watching us all
with the eye of the tiger."
it's the thrill of the fight
risin'up to the challenge of our rival
and the last known survivor
stalks his prey in the night
and he's watching us all
with the eye of the tiger."
Survivor - "Eye of the tiger" -
Sono contento che sia anche un film da vedere e sai perchè? Sono quindici giorni che tutti quelli che incontro mi dicono:"È uscito un film su tuo figlio (Pee): Vita di Pi". Per cui, almeno per sfinimento lo avrei visto anche se fosse stato un cinepanettone :)
RispondiEliminaGae, secondo me, per quello che mi pare di conoscere di te, potrebbe piacerti molto! Poi mi farai sapere!
EliminaBellissimo post James.
RispondiEliminaE con questo credo ancora più in Dio.
Perchè ero sicuro l'avresti bottigliato.
Felice ti sia piaciuto, quando sei venuto da me ti avevo sconsigliato di non vederlo.
Ascolta cocchino, non vedo Synecdoche nemmeno nei migliori 30 film, esigo spiegazioni.
Presto.
Un saluto. :)
Muchas gracias, Dae.
EliminaAnche se io continuo a non crederci, questo film me l'ha fatto almeno immaginare.
Synecdoche è terzo tra i film non distribuiti in Italia, tranquillo: non l'avrei ignorato neanche volendo! :)
Gran post, Ford.
RispondiEliminaDi quelli che fanno riflettere anche le scettiche come me. Sei riuscito anche a incuriosirmi un po' (ma poco poco, eh?) nei confronti del film, a cui non avevo dato alcuna possibilità. Ma continuo a credere che non faccia per me. Anche se "mai dire mai" vale sempre, a casa mia! :)
Muchas gracias anche a te, Poison!
EliminaEffettivamente non mi pare un film per te, ma in fondo non pareva neppure un film per me, quindi effettivamente mai dire mai vale tantissimo!
dopo il tuo giudizio positivo e spirituale, sono ancora più certo che odierò questo film con tutto me stesso buahahah :D
RispondiEliminaTu non hai idea di quanto lo odierai: e la cosa mi piace un sacco! Ahahahahahaahahh!
EliminaSono arrivata alla fine del post col magone, bellissimo post! Pensavo che l'avresti seppellito di bottigliate e invece... grande Ford!!
RispondiEliminaMuchas gracias Sonia!
EliminaAnche io sono rimasto sorpreso, avevo già la mano sulle bottiglie, e invece ecco qui!
Bellissimo post, Ford!
RispondiEliminaE sono contenta che il film sia piaciuto anche a te.
Neppure io credo in Dio o, meglio, credo in QUALCOSA ma, come Pi, vorrei credere in qualcosa di universale e contemporaneamente personale, senza dover ricorrere necessariamente alle barriere fin troppo limitanti ed umane della religione imposta.
E sperare, prima o poi, di poter guardare dritta negli occhi della Tigre e riuscire a sostenerne lo sguardo.
Babol, grazie anche a te!
EliminaUn film davvero sorprendente, che detto da un miscredente come me, è davvero un gran complimento!
Speriamo, un giorno, di avere un'illuminazione! :)
Che belle parole.
RispondiEliminaIo il film ancora non l'ho visto. Non perché mi manchi la curiosità ma perché, un po', ne ho paura. Ho letto il libro qualche anno. E penso non me ne libererò mai. Sai no, quei libri che entrano direttamente nella top-ten dei libri della vita di ognuno di noi. E quindi ho paura. E se il film toglierà tutta la magia? Io sono una di quelle persone che non riesce a staccare il film dal libro da cui è tratto. Che (purtroppo) non riesce a vederli come due elementi separati. E quindi mi spavento. E arrabbio.
Capisco quello che intendi a proposito del rapporto libro/film, ma non avendo letto questo romanzo non ti so dire: quello che so è che sono partito scetticissimo e la visione mi ha ribaltato il punto di vista.
EliminaMica male.
Quando la mia dolce metà mi propose di andare a vederlo io mi rifiutai categoricamente. Posso intuire di aver fatto più che male.
RispondiEliminaPesa, purtroppo devo dirti che sì, hai fatto male.
EliminaE con la cita di Blake ci vinci l'internetto! Letto da te, stò film è esattamente quello che mi aspettavo.'Un lo vedrò se non per riempitivo/terza serata/non m'addormo manco a litrate.
RispondiEliminaAh pensavamo a te l'altra sera con un paio di amici che si parlava di blog di cinema:
http://4.bp.blogspot.com/-MsFHcpPw86w/TqfRrHawzNI/AAAAAAAAArU/OOhhv6ai3sk/s1600/jura-superstition.jpg
Ecco, questa rece ha lo stesso sapore... ;)
Giocher, vado a leggere il link.
EliminaIntanto ti dico: bevi e gustatelo. Potresti uscire illuminato. ;)
Ah, lo Jura. Che bomba.
EliminaBuonissimo.
E sono due. Spero di riuscire a vederlo al cinema, a sto punto.
RispondiEliminaSicuramente in sala rende anche meglio che in salotto! ;)
EliminaMah, dunque. Invece io sono credente e religiosa, ma scettica sul film - che invece ad esempio a mio marito è piaciuto moltissimo -. In particolare, come tu spieghi bene nel post, per l'aura da kolossal da Oscar che nella mia percezione cozzava un po' con i temi trattati. Comunque un bel film, fatto bene, per carità, bellissime immagini; ma non mi ha preso il cuore. Ah, condivido in pieno i film che hai citato, che sono venuti in mente anche a me; ma tu non hai per caso anche collegato Big Fish, come ho fatto io? Secondo me un po' sì. (anche se preferisco di gran lunga Big Fish...)
RispondiEliminaAdriana, forse proprio perchè io sono molto distante dalle concezioni di Fede e Religione mi ha colpito così tanto, chissà!
EliminaComunque, Big Fish è un Capolavoro, il migliore di Tim Burton senza dubbio.
che post new age eheheh ;)
RispondiEliminaIo non l'ho ancora visto e non so ancora se farlo o meno, mi sa di finto e troppo perfetto e il battage pubblicitario pompatissimo e sfarzoso mi fa temere...vedremo!
Margherita, se ha fatto ricredere me, una visione puoi tranquillamente concederla! :)
Eliminaa me questi film animaleschi, con tanto di riferimento pindarico ad avatar, attraggono come le dita negli occhi...
RispondiEliminaPatalice, ribadisco: se ha convinto anche me, che sono uno stronzo scettico malefico, puoi tentare.
Eliminaleggendo il tuo post mi sono quasi immedesimato, anche io durante la visione ho provato un senso di irritazione quasi incoercibile ma poi quella morale "pe(n)sante" lì in bella mostra nel finale mi ci ha fatto ripensare. Ero sicuro che lo avresti bottigliato e invece...
RispondiEliminaAnche io pensavo che l'avrei bottigliato fino a slogarmi la spalla, e invece con il finale mi ha spiazzato in positivo. Stranezze - e bellezze - del Cinema! :)
Eliminaciao capitano,
RispondiEliminaanch'io, così a naso, immaginavo che l'avresti bottigliato. e invece.
insomma, mi tocca andarlo a vedere?
Ciao Metiu,
Eliminasono il primo ad essere sorpreso, figurati.
Messe via le bottiglie, dunque, ti dico, provaci.
Lungi da un Avatar e un pochino più vicino invece a un Cabret per impatto visivo ed emotivo, anche se diverso, ma la cosa più bella e convincente è vedere come questi film ribaltano pure uno scettico come te Ford. ;-) Bellissima recensione comunque...e meraviglioso il film!!! :-)
RispondiEliminaValentina, muchas gracias!
EliminaTi dirò: sono contento anche io, per una volta, di aver subito un "ribaltamento dello scettico"! ;)
Tu sei in un periodo speciale...i giudizi sono viziati (ah ah volente o nolente) da questo.
RispondiEliminaIo dall'alto della mia profonda ariditá spirituale lo eviterò senza troppa difficoltá...certo che essere in compagnia del Cannibale, in quanto assenza di entusiasmo verso una pellicola, un po' mi fa pensare. O in fase di profonda regressione (il ritornare bambini della estrema senilitá) o in fase di invecchiamento precoce lui....ai posteri ;-)
Sorella, dici?
EliminaPensa che io ero partito con l'idea di massacrarlo, questo film. ;)
A volte, invece, è proprio piacevole essere sorpresi!
dico, dico...
EliminaChe dire? Concordo, tra l'altro è la prima volta che ti leggo. E quindi tanto di "salute", nel senso di bicchierone alzato con a seguito bevuta soddisfacente da reiterare. Cosa che sto effettivamente facendo or ora, pur ciucciando avidamente dalla bottiglia. Ad ogni modo, mi permetto di rimandare il mio scomposto parere in toto qui: http://are-steroid.blogspot.it/2013/10/vita-di-pi-di-ang-lee-2012-eye-of-tiger.html
RispondiEliminaNelson, benvenuto da queste parti!
EliminaI brindisi e le bevute, specie per film meritevoli, sono sempre ben accetti qui! Vengo a leggerti!