Così, il buon vecchio polpo Paul aveva ragione. Otto su otto.
E la Spagna è campione del mondo per la prima volta nella sua storia, realizzando un "doble" che fa il paio - pur se a vittorie invertite - con quello della Francia, mondiale nel 1998 ed europeo nel 2000.
Le furie rosse ce l'hanno fatta, pur non brillando come nella semifinale con la Germania ed essendo protagoniste di una gara segnata - ma era inevitabile - dal nervosismo e dalla paura di sbagliare, come quasi tutte le finali degli ultimi vent'anni.
Ad ogni modo, la tensione è stata pressochè costante, e i gol mancati da entrambe le parti - clamorosi gli errori di Robben e Fabregas - hanno mantenuto altissima l'attenzione fino alla rete decisiva, firmata da quel furbetto di Iniesta - costato il cartellino rosso a Heitinga con un volo modello Inzaghi -, che mette dentro una palla che cambia la storia, scacciando lo spettro dei rigori ormai a tre minuti e poco più di distanza.
Curioso il fatto che, a condividere cibo e alcool nel corso della finalissima, ci fosse parte dello stesso gruppo che il 9 luglio del 2006 uscì in condizioni di devastazione totale dal Palacucco, e che la nostra sostenitrice spagnola di allora sia stata sostenuta da noi - quasi tutti - anche nella serata di ieri.
Grande dispiacere per il folletto Wesley, che nella notte della partita più importante della sua carriera pare essersi dimenticato di accendere la lampadina decisiva come era stato, al contrario, per gli altri scontri vinti dagli orange, che erano giunti a quest'ultimo match imbattuti, al contrario della Roja, sconfitta dalla Svizzera proprio alla prima partita di questo mondiale.
L'assist straordinario a Robben prima del suo gol mancato è stato l'unico acuto di una serata finita mestamente con le lacrime agli occhi, seduto sul campo ormai divenuto teatro della festa spagnola.
D'altro canto, la gioia dei nostri cugini iberici è stata liberatoria e condivisa - anche se apparentemente contenuta, rispetto ai nostri standard italioti - e ha regalato due dei momenti più belli della finale e non solo: sollevata la coppa, la compagine spagnola ha sfilato in un corridoio formato dagli avversari sconfitti, che, chi incazzato chi affranto, chi rassegnato e chi sportivamente felice per gli avversari, dispensavano strette di mano e pacche sulle spalle.
Per la seconda immagine, invece, mi concedo addirittura una foto - o meglio, un fotogramma, restando in ambito cinematografico - legato al post partita del capitano spagnolo.
Dall'inizio della kermesse iridata - specialmente dopo l'inaspettata sconfitta all'esordio - venne criticata aspramente in patria la presenza costante, dietro la porta di Iker Casillas, della giornalista televisiva Sara Carbonero, fidanzata dell'estremo difensore delle furie rosse.
La coppia incassa e prosegue per la sua strada, in barba a malignità e critiche, e giunge insieme alla finale.
Spagna vittoriosa, tutti felici, dal popolo alla regina, ed intervista inevitabile al termine della premiazione: Sara Carbonero mantiene un contegno formale ineccepibile, degno di una giornalista di grido.
Casillas, al contrario, complici l'euforia della vittoria e l'adrenalina salita dopo il pianto di gioia che l'aveva colto sul fischio finale, trattiene a stento le risate: ascolta, risponde, ci prova fino all'ultimo.
Ma a tutto c'è un limite.
Così il portierone spagnolo - autore, va detto, di un miracolo che ha reso meno grave l'errore di Robben mettendo il piede là dove nessun uomo l'avrebbe messo - si porta le mani sul viso, cercando con un ultimo sforzo di resistere, prima di ridere, afferrare la fidanzata e baciarla in diretta, lasciando a bocca aperta lei e tutti gli spettatori.
Un gesto pane e salame che risveglia la passione che lo sport e la vita - se usati bene - possono stimolare in ognuno di noi.
Basta solo viverli davvero, in fondo.
Potrà poi anche essere che Sara, irritata dal gesto del fidanzato, lo pianti clamorosamente.
Ma anche fosse, sono convinto che ci sono milioni di donne, spagnole e non solo, che dopo aver visto questa semplice, intensissima dimostrazione d'amore saranno più che pronte a prendere il suo posto.
Oppure, colpita anch'ella, mollerà la carriera di giornalista e diventerà la moglie di un campione del mondo. Che dovrà dimostrarsi tale per il resto della sua vita. Sconfitte o vittorie che siano.
Il mondiale è finito, dunque, e con lui due eventi catturano la mia attenzione e le ultime righe del post prima del ritorno del Cinema a protagonista di queste pagine: il ritiro del polpo Paul, che si è chiamato fuori dal grande giro degli indovini, e il premio di miglior giocatore del mondiale assegnato a Forlan, trascinatore dell'Uruguay.
Se con il primo mi trovo dispiaciuto di perdere il mio simpatico antagonista acquatico nonchè rivale imbattibile nelle previsioni delle partite, con il secondo non posso che essere felice per il fuoriclasse della Celeste, vincitore morale della classifica marcatori - tecnicamente, con il parimerito, il titolo è andato a Muller per il conteggio degli assist - ed esempio perfetto di quanto un campione non debba necessariamente conquistare copertine e far vendere magliette per essere in grado di regalare vagonate di sogni ai suoi tifosi.
E la sparerò anche più grossa: per quanto bene abbia voluto a Snejider durante questo mondiale, mi piacerebbe che il prossimo Pallone d'oro andasse proprio al buon Forlan.
Speriamo. E speriamo che il polpo Paul speri con noi.
In fondo, lui non ne sbaglia una.
"La tierra de mi gente hermosa
(armada latina),
cielo y sol, me acompanan donde quiera
(mi fama in prada)."
MrFord
CASILLAS CASILLAS
RispondiEliminaTutta la sera a dire che non mi piaceva, tel chì un bacetto ed è il mio nuovo eroe romantico.