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lunedì 15 aprile 2019

White Russian's Bulletin



Agli archivi la trasferta newyorkese che, per la gioia del Cannibale, quest'anno risparmia agli avventori del Saloon il resoconto di Wrestlemania 35 - spettacolo pazzesco dal vivo un evento del genere vissuto sulla pelle negli States -, torna il Bulletin con il resoconto delle visioni che hanno accompagnato i viaggi di andata e ritorno dalla Grande Mela e quella che ci ha suggerito di salutarla dall'Italia.


MrFord


LA FAVORITA (Yorgos Lanthimos, Irlanda/UK/USA, 2018, 119')

La favorita Poster


Una delle pellicole più chiacchierate ed incensate dell'ultima Notte degli Oscar ha dovuto aspettare il volo di andata per New York per passare anche dalle parti del vecchio cowboy: avevo lasciato Lanthimos anni fa, con il geniale ma profondamente irritante Dogtooth, e lo ritrovo in una veste stilistica quasi kubrickiana - e per uno come me che adora il Maestro dei Maestri è un grande complimento - raccontare la Guerra come concetto andando ad incastrare in una storia in cui una Guerra fa da cornice la guerra tra due donne più una, o quantomeno per le attenzioni e la posizione che quell'una può garantire.
Strepitose le tre protagoniste, una linea sottile che passa tra la commedia nerissima ed il dramma leggero, la lotta selvaggia ed il soft porno: è preferibile un'amara verità o una piacevole menzogna? Questa è la domanda più difficile alla quale si può tentare di rispondere nel corso della visione rispetto all'amore. 
Perchè rispetto alla guerra, la risposta è una e praticamente certa: si perde sempre, e si perde tutti.




IL RAPPORTO PELICAN (ALAN J. PAKULA, USA, 1993, 141')

Il rapporto Pelican Poster


Di ritorno da New York, con una selezione di titoli decisamente più rosicata - Delta batte nettamente Alitalia sotto tutti i punti di vista -, ho ripiegato prima di dormire non troppo bene per la maggior parte del viaggio su un Classico degli anni novanta che ancora mi mancava, un legal thriller in cui il Denzellone di noi tutti unisce le forze con una Julia Roberts allora agli inizi della sua carriera senza neppure regalare l'emozione della consueta notte di passione tipica dei film del periodo.
La struttura è abbastanza classica, la cornice decisamente nineties ad oggi forse un pò ingenua e datata, la risoluzione forse un pò frettolosa rispetto a quanto potrebbe essere nel romanzo firmato da Grisham - che, però, non ho letto, dunque si rimane nel campo delle teorie -: il risultato, ad ogni modo, è un prodotto solido girato da un vecchio leone - del resto Pakula ci ha regalato quel gioiello di Tutti gli uomini del Presidente -, di quelli che, quando si incontrano in tv, una visione finiscono per assicurarsela sempre.




BOY ERASED - VITE CANCELLATE (Joel Edgerton, Australia/USA, 2018, 115')

Boy Erased - Vite cancellate Poster

Accolto con un certo scetticismo ed una sana dose di jetlag la sera successiva al rientro in Italia, il lavoro di Joel Edgerton come regista e attore legato ad una storia vera e alla riprogrammazione sessuale - raramente ho considerato talmente assurda un'idea quanto questa - è stato una vera e propria sorpresa: non è perfetto, la Kidman e Crowe sono un pò troppo imbrigliati in trucco e parrucco, la risoluzione piuttosto facile e in parte furbetta, eppure sono stato molto toccato come da tutte le pellicole che trattano, in un modo o nell'altro, il tema della paternità.
Ammetto, infatti, che il confronto tra il giovane Lucas Hedges ed il già citato Crowe nella parte finale alla ricerca di un modo per recuperare un rapporto che pare quasi definitivamente compromesso è valso tutta la visione, è riuscito ad emozionarmi e a pensare a quanto profondo è e resta il legame con i propri figli, che siano come li hai sognati, come vorresti o, come più probabile, simili a loro stessi e magari assolutamente diversi da te.




I GUERRIERI DELLA NOTTE (Walter Hill, USA, 1979, 92')

I guerrieri della notte Poster

Ne avevo già parlato, qui al Saloon, qualche anno fa, ma non ho resistito: anche perchè rivedere questo supercult totale firmato da Walter Hill ad un paio di giorni dal ritorno da New York, mappa della metro alla mano e ricordi freschi delle camminate tra Manhattan, Brooklyn e Coney Island è stato come assaporarlo una volta ancora dal principio.
Una lezione quasi senza pari di ritmo, tensione, gestione dei personaggi, irriverenza - per i tempi fu davvero "oltre", tanto da avere il bollino di vietato ai minori -, un mix tra il passato di Arancia meccanica ed il futuro di Tarantino: e la New York della strada e della metro, vissuta con il fiato corto e sempre in corsa, ha tutto il fascino che le luci della Manhattan bene, per quanto ipnotiche, possono solo immaginare di avere.
E' lo stomaco di una delle città più grandi, sognate, filmate e vissute al mondo, nonchè di un Cinema che, nonostante quarant'anni sulle spalle, è ancora pronto a dare lezione al futuro, e ad apparire sempre pronto a battersi: questi Guerrieri non mollano mai.
Neanche quando, finalmente, giungono all'alba della loro Coney.


lunedì 15 gennaio 2018

Bright (David Ayer, USA, 2017, 117')




E' ormai chiaro quanto grande sia l'influenza di Netflix nel panorama non soltanto più circoscritto al piccolo schermo, ma anche, in una certa misura, al grande, pur se riferito al proprio portatile o al salotto di casa e non ad un multisala da weekend: il network che ha rivoluzionato il modo di approcciarsi all'universo dei serial si è ormai definitivamente lanciato anche nella produzione originale di lungometraggi, da Okja a 1922 o Il gioco di Gerald, per citarne tre che nel corso degli ultimi mesi hanno fatto parecchio parlare di loro.
Bright, giunto in rete a seguito di una campagna pubblicitaria piuttosto forte, diretto dal David Ayer di End of watch e Sabotage ed interpretato da Will Smith e Joel Edgerton, era senza dubbio una scommessa, un rischio, una di quelle cose in bilico tra l'essere una potenziale figata ed un potenziale fallimento, nonchè la produzione più costosa messa in piedi finora da Netflix: mescolando elementi che paiono usciti dritti dalla mitologia de Il Signore degli anelli con le tensioni razziali di District 9 e gli elementi urbani da sempre nel corredo artistico del regista, gli autori sono, a mio parere, riusciti a vincere la scommessa confezionando un prodotto assolutamente tamarro e sopra le righe, assolutamente imperfetto, eppure godibilissimo da guardare e pronto a solleticare il desiderio non solo di un sequel, ma anche di un'eventuale e reiterata visione, portandomi a riflessioni simili a quelle indotte dall'altrettanto imperfetto e recente Seven Sisters.
L'odissea da sbirri da strada di Ward e Jakoby, segnati da un destino che li ha visti essere messi in coppia a causa del carattere difficile del primo e della natura di orco del secondo, che porta a galla pregiudizi e razzismo - anche se parliamo di creature fantastiche, la metafora è evidente -, hard boiled nel senso più classico del termine, un'atmosfera da manga fantasy pronta a prendere il sopravvento soprattutto nella seconda parte, una dose consistente di violenza, un'interpretazione affascinante di una Los Angeles versione modern fantasy, per l'appunto, funziona ed intrattiene con l'irruenza tipica del film action anni ottanta con qualche deriva nel thriller soprannaturale e soprattutto nel prodotto da quartiere malfamato, musica alta - gran colonna sonora, senza dubbio - e proiettili che nel mio caso ha sempre esercitato un certo fascino.
Personalmente, avendolo approcciato senza alcuna pretesa se non scoprire cosa aveva progettato Netflix con un team che sapeva più di grande produzione hollywoodiana in cerca di risultati da fantascienza al botteghino, ho trovato piuttosto esagerato il tiro al bersaglio che è stato fatto rispetto ad un prodotto solido e piacevole, che non entrerà certo nella Storia del Cinema ma che svolge il suo compito nel migliore dei modi, neanche fosse un orco apparentemente non troppo sveglio e di sicuro ingenuo che affianca come meglio può un collega che non solo non si fida di lui, ma neppure lo vorrebbe al suo fianco, rinverdendo i fasti del buddy movie versione sbirro neanche fossimo tornati indietro ad Arma letale.
Avendo poi un background legato a doppio filo al mondo dei fumetti e dei giochi di ruolo, Bright ha rappresentato un divertissement perfetto, un pò come se Tolkien avesse deciso di ambientare una storia in mezzo ai casini di Strange Days: certo, il lavoro di Ayer non avrà pretese ed originalità, ma sfrutta il cocktail caotico e vario che si ritrova per le mani finendo per appoggiare sul bancone uno di quei beveroni dai colori sgargianti che pensi, da ottimo bevitore, che vada bene giusto per le feste degli adolescenti ed invece ti ritrovi a scolare a raffica con la sensazione di buttare nel motore benzina pronta soltanto ad essere data alle fiamme.
Per un vecchio cowboy come me, non ci si pone neppure il dubbio: anche perchè bere un cocktail in più non solo può significare scoprire sapori nuovi, ma anche che non si ha paura di tutta la diversità presente in qualsiasi mondo, reale o immaginario.
E conoscere, gustare, imparare da quella diversità può essere un ottimo modo per uscire anche dai più brutti guai vivi e più pieni.



MrFord



 

lunedì 25 luglio 2016

Saloon's Bullettin #2



Le prime due settimane da "part-time" della blogosfera, lo ammetto, sono state un vero piacere.
Nessuna pressione rispetto al vedere film o serie e scriverne, completo relax, approccio easy neanche fossi precipitato nella pigrizia alcolica lebowskiana: una manna dal cielo, senza contare che, rispetto alla scorsa tornata, a questo giro mi pare sia andata ancora meglio, in termini di visioni.
Dunque, giusto per togliermi il sassolino, parto con la nota "dolente" della settimana, legata alla lettura: ho terminato da un paio di giorni La ragazza dal cuore d'acciaio, uno dei pochi Lansdale che ancora mancavano alla mia lista, e devo ammettere con rammarico di essermi trovato di fronte al romanzo più debole del vecchio Joe. Nonostante, infatti, un protagonista sulla carta perfetto per il sottoscritto - reduce di guerra, tendenzialmente alcolizzato, donnaiolo e casinista -, Cason Statler - già visto in un paio di occasioni come ospite nella saga di Hap e Leonard - e la presenza dello squilibrato Booger - anch'egli coprotagonista del recente Honky Tonk Samurai -, ho trovato La ragazza dal cuore d'acciaio spento e lento, rispetto allo standard ironico, fresco e rapido del romanziere texano, a tratti perfino moralista per bocca del suo main charachter. Niente di abbastanza grave da incrinare il rapporto con uno dei favoriti del Saloon, ma senza dubbio una parziale delusione (due bicchieri).
Il Cinema, invece, ha finito per regalarmi una settimana di discrete soddisfazioni: considerato che il suo precedente era il decisamente sopravvalutato Oculus, il nuovo lavoro di Flanagan, Hush, home invasion arricchito dall'idea di una protagonista sordomuta in perenne necessità di un contatto visivo con il suo potenziale assassino, si è rivelato una sorpresa davvero niente male.
Grazie ad un ottimo ritmo, una violenza decisa ma non eccessiva - la sequenza della mano e della porta scorrevole è stata davvero un bel pugno nello stomaco -, soluzioni interessanti - le ipotesi della protagonista a proposito delle differenti vie di fuga - ed un minutaggio adeguato la visione scorre davvero alla grande, incassando solo qualche colpo nel finale a causa delle concessioni che, di norma, in questo tipo di pellicole vengono autorizzate rispetto alla distribuzione ed al grande pubblico: peccati veniali, comunque, per un lavoro che si propone come uno dei riferimenti dell'horror/thriller di questo inizio estate (due bicchieri e mezzo).
Pur cambiando l'ordine degli addendi ed accelerando su ironia e splatter, la sorpresa resta la costante anche per Manuale scout per l'apocalisse zombie, recuperato quasi per caso con il sospetto che si potesse trattare di una merda fumante buona per la visione in sala del weekend di Ferragosto e rivelatosi, invece, un ibrido divertentissimo e spassoso di Shaun of the dead, Zombieland e I Goonies, con un Tye Sheridan a farla da padrone ed una Sarah Dumont a rompere qualsiasi indugio nel pubblico maschile: nonostante il lavoro di Landon sia clamorosamente derivativo, passaggi come quello della citazione a Britney Spears o del "si sta rompendo il cazzo" assurgono senza colpo ferire a potenziali scene cult dell'anno, pronti ad andare a braccetto con un elogio degli outsiders adolescenti degno degli anni ottanta, un ritmo veloce ed una colonna sonora assolutamente perfetta.
Un film perfetto per la stagione, per i ragazzini in cerca di conferme e per gli adulti che ricordano con affetto il loro periodo di lotta adolescenziale per emergere rispetto a tutti quelli che si trovavano, per un motivo o per un altro, con la pappa pronta e che poi, di fronte alla vita vissuta, hanno finito per soccombere, o diventare zombies (due bicchieri e mezzo).
Chiudo in bellezza, sempre nello spirito eighties, con Midnight Special, nuovo film dell'amatissimo da queste parti Jeff Nichols, che riprende il discorso iniziato con lo splendido Take Shelter mescolando fantascienza, famiglia e road movie appoggiandosi alle garanzie Michael Shannon e Kirsten Dunst e ad un eccezionalmente in parte Joel Edgerton per raccontare la metafora del superamento di una perdita devastante come quella di un figlio: un film che, probabilmente, ad una prima visione - o ad una superficiale - rischia di apparire meno potente di quanto non sia in realtà, e che non solo conferma il talento del suo autore - colpevole, forse, soltanto di un paio di passaggi di sceneggiatura un pò troppo tagliati con l'accetta -, ma grazie ad una fotografia pazzesca e a riprese splendide porta lo spettatore all'interno di un dramma affrontato con determinazione, coraggio ed una dose di Fede da fare invidia perfino ad un miscredente convinto come questo vecchio cowboy.
In questo caso il mio consiglio è montare senza troppi pensieri sui sedili della vettura condotta in modo forse a tratti sconsiderato da Nichols, gettare ogni pregiudizio ed aprire il cuore ad una vera e propria rivelazione (tre bicchieri).
Non c'entra invece nulla con il resto, ma data la perfezione tecnica e lo script non potevo esimermi: in questi giorni, con Julez, abbiamo completato Uncharted 4, conferma clamorosa del valore cinematografico che i videogiochi stanno acquistando titolo dopo titolo: la saga di Nathan Drake non ha nulla da invidiare a quella di Indiana Jones, e pur non avendo un corrispettivo su grande schermo, andrebbe gustata dal primo all'ultimo secondo.





MrFord

mercoledì 16 marzo 2016

The gift - Regali da uno sconosciuto

Regia: Joel Edgerton
Origine: USA, Australia
Anno: 2015
Durata: 108'






La trama (con parole mie): Simon e Robyn sono una coppia di successo - lui esperto di sicurezza informatica, lei designer di interni - appena trasferitisi da Chicago a Los Angeles per ricominciare a seguito del cambio di lavoro di lui e della volontà di lasciarsi alle spalle la gravidanza finita male di lei l'anno precedente. Quando, in un negozio, incontrano per caso Gordo, vecchio compagno di liceo di Simon, e quest'ultimo comincia a ricoprire la coppia di attenzioni e regali, Robyn resta incuriosita mentre il marito pare rifiutare l'uomo, memore del fatto che ai tempi della scuola venisse considerato strambo e poco raccomandabile.
Quando proprio Simon tenta di chiudere i rapporti con Gordo ed il cane della coppia sparisce, l'inquietudine cresce, e rischia di esplodere fino a quando, di colpo, il quadrupede fa ritorno e tutto pare tornare alla normalità: ma cosa si nasconde dietro l'ossessione di Gordo per la coppia? E quali segreti cela lo stesso Simon?









Se, neppure troppo tempo fa, qualcuno mi avesse garantito che sarei uscito più che soddisfatto dalla visione di un film non solo interpretato - non l'ho mai considerato particolarmente dotato in questo senso -, ma anche scritto e diretto da Joel Edgerton, ragazzone australiano salito alla ribalta qualche anno fa grazie a Warrior - anche se, di fatto, la sua performance migliore resta a mio parere quella offerta in Il grande Gatsby -, avrei potuto giurare che il tasso alcolemico nel sangue del diretto interessato fosse decisamente fuori scala.
E invece, dopo aver raccolto i saggi consigli di Ink, Lazyfish e Dembo, e recuperato The gift - Regali da uno sconosciuto, stendendo un velo pietoso sull'adattamento italiano, mi sono dovuto ricredere: facendo riferimento ad un impianto classico da thriller "di persecuzione" - da Misery ad Attrazione fatale, per intenderci -, Edgerton scrive e dirige con discreta perizia un lavoro che tiene più che bene dall'inizio alla fine, ed offre un punto di vista originale rispetto a questo tipo di pellicole grazie al "twist" legato al passato di Simon e Gordo, pronto a ribaltare più di un punto di vista dell'audience e trasformare radicalmente la pellicola nella sua seconda parte.
Il fatto, poi, di analizzare almeno in parte una tematica scottante ed attuale come quella del bullismo filtrandola attraverso i concetti di solitudine, vendetta e visione ideale di una famiglia che non si può o potrà avere - ed aver incluso nel cocktail anche il dramma vissuto da Simon e Robyn con la perdita del bambino - funziona alla perfezione e permette non solo al regista di osare con un paio di momenti ad alta tensione e salto sulla sedia, ma anche di lavorare sulla sua stessa interpretazione di Gordo e su quella di un sorprendente Jason Bateman, che negli ultimi anni siamo stati più abituati a vedere al lavoro in parti molto più leggere e scanzonate.
Altro punto a favore del film è dato dall'utilizzo, come arma, prima ancora della violenza fisica, quella verbale unita alla calunnia, spesso e volentieri in grado di colpire e lasciare segni più profondi di un livido o un taglio: arbitro della contesa e punto di vista più vicino al pubblico diviene dunque il personaggio di Robyn, pronta ad attraversare l'ora e quaranta abbondante della visione in uno stato di costante tensione emotiva, che si parli di Gordo o di Simon, proprio mentre è alla ricerca di una strada che la riporti a guardare il mondo con la testa alta e la voglia di ricominciare dopo una perdita come quella subita prima del trasferimento in California.
Un esperimento riuscito, dunque, che pur non considerabile all'altezza dei Classici del genere - non siamo certo di fronte ad un novello Hitchcock - convince ed avvince per tutta la sua durata, e solletica il dubbio nel sottoscritto se il futuro di Joel Edgerton non sia più roseo dietro la macchina da presa - o da scrivere - che non a favore della stessa: non sarebbe certo il primo attore rivelatosi più incline ad una carriera "dietro le quinte" - l'idolo fordiano Eastwood è l'esempio più eclatante in questo senso -, e, forse, a quel punto non sarebbe più così improbabile aspettarsi da un film di Joel Edgerton qualcosa di assolutamente positivo.




MrFord




"La calunnia è un venticello
un'auretta assai gentile
che insensibile sottile
leggermente, dolcemente,
incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
sotto voce sibilando
va scorrendo, va ronzando
nelle orecchie della gente."
Gioacchino Rossini - "La calunnia è un venticello" - 







giovedì 3 marzo 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): prima edizione della rubrica più attesa della blogosfera - più o meno - giunta dopo la Notte degli Oscar, con tanto di coda di proposte legate a doppio filo alla stessa.
Purtroppo, come di consueto, oltre al sempre divertente e pane e salame qui presente dovremo portarci dietro quella lagna radical di Cannibal Kid, ma è uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare.
Nel frattempo, godiamoci il più possibile le proposte più interessanti di un periodo tutto sommato meno peggio del normale.


"Questo è quello che succede a chi sostiene Pensieri Cannibali, bello."
Room

"Certo che i film proposti da Ford sono proprio una bomba."
Cannibal dice: Il film preferito da Pensieri Cannibali tra quelli nominati agli Oscar 2016, già recensito qui http://www.pensiericannibali.com/2016/02/boom-boom-boom-boom-i-want-brie-larson.html, arriva finalmente nei cinema. Avrebbero potuto anche farlo uscire prima della cerimonia per sfruttare l'hype, ma tempismo e furbizia non sono tra le doti principali dei distributori italiani. Hey, chissà chi mi ricordano?
Ford dice: tra i candidati alla statuetta per il miglior film Room è stato uno dei miei favoriti, forse quello che avrei preferito veder vincere dopo Mad Max.
L'ho visto da un po', ma ho atteso l'uscita in sala per poter pubblicare il post, che purtroppo potrebbe essere perfino d'accordo con quello del mio rivale Cannibal Kid.




Legend

"Tranquillo, ha detto Ford che ci pensa lui, a gonfiare il Cannibale."
Cannibal dice: Una pellicola gangsta britannica ambientata negli anni '60 con Tom Hardy e... Tom Hardy. Un film che io ho già visto e che presto recensirò, ma nel frattempo mi sento di consigliarlo soprattutto ai fan di... Tom Hardy.
Ford dice: altro film passato già da un pò sugli schermi del Saloon ed uscito clamorosamente in ritardo qui in Italia, consigliatissimo soprattutto per l'interpretazione di Tom Hardy, che sarebbe stato un premio Oscar migliore rispetto a Marc Rylance, se proprio l'Academy doveva fare uno sgarro a Sly. Ma questa è un'altra storia.



Suffragette

"Carey, sei in arresto per cannibalismo."
Cannibal dice: Con il termine Suffragette venivano indicate le femministe che si battevano per i diritti delle donne. Quelle che volevano tutti i film action machisti tanto amati da Mr. Ford fuori dalle scatole, o almeno fuori dalle sale. Questo film ci racconterà se ce l'hanno fatta o meno.
Ford dice: questo Suffragette, legato ad una tematica importante come quella dell'emancipazione femminile, mi pare la classica cannibalata finto impegnata che finirà per sfracellarmi i cosiddetti durante la visione.
Ma dato che ci tengo all'emancipazione delle donne - perfino quella di Katniss Kid, riesumata per l'occasione -, un'occhiata la darò comunque.


Attacco al potere 2

"Cannibal, è inutile scappare: ormai i fordiani ti sono alle calcagna."
Cannibal dice: Come potete intuire dall'uscita di questa pellicola, le Suffragette non sono riuscite a estirpare le pellicolacce action machiste dalla faccia dell'Universo. E così ecco che arriva il sequel di un film imbarazzante (http://www.pensiericannibali.com/2013/09/olympus-has-fallen-and-cinema-too.html) di cui nessuno sentiva la necessità. Forse giusto Ford.
Ford dice: per quanto sia un appassionato di action tamarri, non sentivo affatto la necessità di questo sequel. Per riempire il vuoto lasciato dalla Notte degli Oscar, però, penso rivedrò qualche vecchio Sly d'annata.



Heidi

"Che palle, dobbiamo pure portare quella capra di Cannibal al cinema!"
Cannibal dice: La conoscete la versione dei Gem Boy della sigla di Heidi?
Ecco, riassume bene cosa ne penso anch'io di questo personaggio che, fin da piccolo, non mi è mai piaciuto. E che in questa versione live action potrei detestare ancora più di quell'altro montanaro di James Ford.
Ford dice: non ho mai amato particolarmente Heidi, non ho mai seguito il cartone animato neppure da piccolo e certo non comincerò ora, con questa versione live che pare sinceramente da incubo. Anche peggio delle proposte di Cannibal Creed.



Regali da uno sconosciuto - The Gift

"Ti lovvo da vero stalker. Sono perfino peggio di Peppa Kid."
Cannibal dice: Joel Edgerton è un attore parecchio inespressivo e quindi molto fordiano che non mi piace particolarmente. Chissà se, passando dietro la macchina da presa, dimostrerà un maggiore talento? Per una serata thriller, questo suo esordio alla regia potrebbe anche rivelarsi un piacevole regalo.
Ford dice: ho sempre avuto poca fiducia in Joel Edgerton come attore, e sinceramente come regista mi pare che la situazione possa solo peggiorare.
Considerato il genere, però, potrei tenerlo buono per qualche serata di decompressione.



The Other Side of the Door

"Ford, ti prego, fammi uscire: non dico più di essere d'accordo con Cannibal."
Cannibal dice: Prendi una storiella horror e ci metti dentro un paio di attori televisivi, in questo caso Jeremy Sisto di Six Feet Under e Suburgatory e Sarah Wayne Callies di The Walking Dead, Prison Break e Colony, attrice che a me sta abbastanza indifferente, ma in rete è tra le interpreti seriali più odiate di sempre, sarà per colpa dei suoi personaggi. Io invece il mio odio preferisco conservarlo tutto per qualcun altro...
Ford dice: altro filmetto da sabato sera su Italia Uno che viene buono per l'other side di questa rubrica, quello meno buono. E direi che lo cedo molto volentieri.



Marie Heurtin - Dal buio alla luce

"Non scappare, per favore! Giuro che non ti obbligo più a vedere The tree of life!"
Cannibal dice: Pellicola francese radical-chic della settimana che in teoria dovrebbe intrigarmi, ma considerando che è ambientato in un convento la voglia di vederlo è subito scesa al di sotto del livello di un film russo d'autore consigliato da WhiteFuckinRussian. Anche se c'è da dire che, nonostante la riluttanza iniziale, alcune storie di suore, come Ida, Lourdes e Sister Ford - Uno svitato in abito da suora, alla fine finiscono pure per piacermi.
Ford dice: considerate le delusioni della Notte degli Oscar, penso mi prenderò almeno un paio di settimane lontano da radicalchiccate e proposte anche solo vagamente cannibalesche per poter fingere che non sia successo nulla di particolarmente fastidioso, anche se, in realtà, ho la sensazione che non sia così ogni giorno aprendo Pensieri Cannibali.



Pedro - Galletto coraggioso

"Il mio prossimo sfidante è Cannibal? Ahahahahah! Quel pulcino lo spenno ad occhi chiusi!"
Cannibal dice: Heidi non bastava, per questa settimana? Doveva pure arrivare la bambinata d'animazione sui galletti che mi farei volentieri allo spiedo insieme a Ford? E non intendo nel senso che mangerei un galletto in sua compagnia...
Ford dice: filmetto d'animazione che mi dice poco o nulla e che non penso proporrò neppure al Fordino, specie considerando che, tra un paio di settimane, avremo l'uscita dell'anno pronta a festeggiare l'esordio in sala del più piccolo dei Ford.
Per il momento, dunque, il galletto me lo mangio e basta, senza guardare niente.


mercoledì 21 ottobre 2015

Black mass - L'ultimo gangster

Regia: Scott Cooper
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 122'





La trama (con parole mie): a partire dalla seconda metà degli anni settanta James "Whitey" Bulger, piccolo boss di Boston, grazie ad un accordo con l'agente FBI nonchè suo amico d'infanzia John Connolly, conquista un potere sempre maggiore che finisce per andare ben oltre i confini della città.
Nonostante l'ascesa in politica del fratello Billy e le tragedie che colpiscono la sua famiglia, Bulger prosegue nella sua carriera alternando strategia e violenza efferata, costruendo un impero che l'FBI stessa impiegherà anni a smantellare e che avrà una parola fine soltanto quando, con gli Anni Zero ormai suonati, dopo oltre un decennio di latitanza, il vecchio Whitey verrà finalmente arrestato.
Ma la sua storia ha sfumature che ognuno dei suoi vecchi compagni e collaboratori finisce per rendere più ricche e terribili.









I crime movies, con le loro storie epiche, dolenti e terribili di ascese vertiginose ed inevitabili cadute sono stati una parte fondamentale della formazione del sottoscritto da cinefilo, dalle grandi epopee scorsesiane di Quei bravi ragazzi e Casinò ai cult Scarface e Carlito's Way, passando attraverso la saga de Il padrino, Melville e la produzione orientali: il fatto, forse, di aver sempre pensato che, se fossi nato in un contesto sociale differente, forse questa sarebbe stata la mia strada, ha sempre contribuito ad aumentare il fascino di figure controverse, oscure e senza dubbio ben oltre i confini della socialità per come la viviamo ogni giorno.
L'ultimo lavoro di Scott Cooper - da queste parti apprezzato sia per Crazy heart che per il successivo Out of the furnace - rientra perfettamente nel filone, è molto scorrevole e godibile, confezionato più che discretamente e vanta un cast importante ed il grande merito di aver riportato Johnny Depp a livelli quantomeno interessanti dopo i recenti, disastrosi exloit commerciali - Mortdecai su tutti -: racconta, inoltre, la vicenda di uno dei boss più tosti e terrificanti di South Boston, James "Whitey" Bulger, che per quasi un ventennio dominò la scena irlandese della città e fino a pochi anni fa risultava ancora latitante ed inserito nella lista dei criminali più pericolosi ricercati dall'FBI.
Peccato che, nonostante la confezione artigianalmente ben realizzata ed una vicenda che qui al Saloon, di fatto, gioca in casa, il risultato sia solo di medio livello, e Black Mass non manifesti la scintilla in grado di elevare un film allo status di cult o quantomeno di visione imperdibile per una stagione cinematografica: in particolare, ho trovato la sceneggiatura piuttosto elementare, lineare nel cercare di focalizzarsi sugli eventi principali della carriera di Bulger senza però, di fatto, approfondire nulla, rimanendo in superficie piuttosto che regalare al prodotto lo spessore necessario perchè lo stesso possa avere possibilità di rimanere davvero impresso nella memoria del pubblico: dall'appena accennata differenza tra il Bulger padre ed il Bulger boss al dramma della perdita dell'unico figlio, fino alle sfumature praticamente azzerate dei comprimari e co-protagonisti, molto spesso tagliati con l'accetta, si ha di fatto l'impressione di aver assistito ad un compitino molto ben svolto privo, però, del carattere e della grinta necessari per guadagnarsi un posto al sole.
Un passo indietro, dunque, per Cooper, che si conferma onesto artigiano ma poco più, e per il sempre celebratissimo Benedict Cumberbatch, appiattito come la pellicola, mentre oltre a Depp si difendono molto bene il giovane Jesse Plemons, la conferma Peter Sarsgaard e l'insospettabile Joel Edgerton, che ho sempre considerato un vero cane mentre in questo caso regala fisicità e spessore al personaggio forse più oscuro e viscido della pellicola, il bieco John Connolly, paradossalmente più detestabile del violento e pericolosissimo Bulger, che quantomeno resta fedele al suo ruolo ed a se stesso.
Solo qualche spunto, comunque, rispetto ad una potenzialità che, probabilmente, nelle mani di un regista e di uno sceneggiatore più consistenti avrebbe potuto trasformare Black Mass in una di quelle chicche destinate a formare una generazione di spettatori: visione alle spalle, invece, si ha soltanto l'impressione di aver assistito ad uno spettacolo buono come riempitivo da rispolverare di tanto in tanto per passare un pò di tempo con la sicurezza di cadere in piedi.
Troppo poco, però, per rendere davvero il concetto di "Black mass".
E secondo me, troppo poco anche per un personaggio come quello di James Bulger.
Che, dovesse mai assistere a questo spettacolo, potrebbe non essere così soddisfatto.
E non è mai un buon affare, scontentare il vecchio Whitey.




MrFord




"But in the end, baby
long towards the end of your road
don't reach out for me, babe
'cause I'm not gonna carry your load
but I'll live on and I'll be strong
'cause it just ain't my cross to bear."
The Allman Brothers Band - "It's not my cross to bear" - 





lunedì 2 febbraio 2015

Exodus - Dei e re

Regia: Ridley Scott
Origine: UK, USA, Spagna
Anno:
2014
Durata:
150'





La trama (con parole mie): Mosè e Ramses sono cresciuti come fratelli dal padre di quest'ultimo, Faraone d'Egitto e sovrano assoluto dei suoi domini. Quando il primo, esiliato a causa delle sue origini e dagli intrighi avversari politici, lascia campo libero al secondo divenuto a sua volta Faraone, ha l'occasione non solo di mettersi alla prova come uomo, ma di riscoprire quello che sarebbe stato il suo credo, il suo sangue, le sue radici.
Scettico e rabbioso, Mosè giungerà, prescelto riluttante, di fronte al Dio ebraico, e proprio in suo nome farà ritorno in Egitto per chiedere a Ramses la liberazione del suo popolo: ma il rapporto con il sovrano sarà difficile, ed il conflitto inevitabile.
Toccherà dunque a Mosè fare da guida per l'esodo della sua gente, e da tramite di fronte al Faraone per conto di Dio.








In casi come questo, occorre mettere subito in chiaro le cose: parlando di produzioni titaniche di stampo hollywoodiano, Exodus - Dei e re non è senza dubbio tra i titoli peggiori che si possano immaginare, e con certezza non ha nulla a che spartire con il polpettone difficilmente digeribile che fu Noah.
Appurato questo, nonostante il dispendio di mezzi, il cast, gli effetti, l'indubbia tecnica del regista, resta comunque difficile credere che l'uomo dietro la macchina da presa sia lo stesso Ridley Scott che trent'anni fa o poco più realizzò un triplete d'esordio a dir poco clamoroso con I duellanti, Alien e Blade runner: anche, infatti, se paragonato al molto sopravvalutato ma ugualmente divertente Il gladiatore o al sottovalutato ma ugualmente divertente Robin Hood, Exodus perde nettamente il confronto, entrando di diritto nella categoria dei film uguali a tanti altri e facilmente dimenticabili, destinato a non lasciare il segno nella memoria del pubblico così come sulla carriera di chi lo ha prodotto o interpretato.
Eppure, devo ammettere di avere molto apprezzato principalmente due aspetti del lavoro del vecchio Ridley: il primo è legato a doppio filo al concetto di fratellanza - non a caso il film termina proprio con la dedica al fratello del cineasta Tony, scomparso non troppo tempo fa - ed al rapporto di amore/odio che lega Mosè e Ramses, con il secondo destinato a perdere tutto pur essendo, di fatto, il favorito ed una quasi divinità nel suo mondo a scapito del più inquieto e destinato ad una sofferenza comunque vincente primo - e sarebbe interessante, in questo senso, cercare di capire in quale veste si rivede proprio l'autore di Blade runner, se come il Faraone che possiede tutto - anche il talento - ma finisce con un pugno di mosche in mano - letteralmente - o come l'illuminato ma perennemente inquieto Mosè.
Il secondo, invece, tocca un argomento al quale sono sensibile al contrario: chi frequenta il Saloon, ben sa quanto il sottoscritto sia allergico ai sermoni, agli integralismi religiosi e più in generale alle istituzioni alla religione legate, ed il timore della vigilia era proprio quello che Exodus si rivelasse una sorta di spottone neocon infarcito di lodi al Dio che tutti noi occidentali ben conosciamo neanche l'avesse firmato Mel Gibson.
Fortunatamente, l'approccio di Scott mi è parso decisamente equilibrato, ed ho trovato molto lodevole il tentativo di spiegare fenomeni come le famigerate Piaghe d'Egitto in un modo quasi "scientifico", a partire dalle invasioni degli insetti all'acqua tinta di sangue, per giungere all'ormai nota sequenza delle acque del Mar Rosso aperte di fronte a Mosè ed al popolo ebraico, giustificata come fosse il risultato di uno tsunami - che, effettivamente, a quei tempi poteva essere considerato un vero e proprio atto da ira divina - come molti sconvolsero l'area del Mediterraneo in quel periodo - si pensi ai casi delle Cicladi e di Santorini, della supposta Atlantide e via discorrendo -.
Un approccio, dunque, tutto sommato molto laico per un film profondamente - almeno sulla carta - religioso, che al sottoscritto è parso puntare molto sul lato umano dei personaggi - rendendo anche non propriamente amabili Mosè e tantomeno Dio, rappresentato alla grande da un irritante ragazzino che potrebbe essere letto come un'interpretazione di Dio stesso, almeno nella sua incarnazione da Vecchio Testamento, di bambino capriccioso dal potere illimitato - così come, ovviamente, sulla resa visiva, ottima seppur sconfitta senza appello dalla controparte classica I dieci comandamenti, che ancora oggi riesce a fare impallidire qualsiasi effettone da milioni di dollari.
Considerato, comunque, che l'aspettativa era quella di una piaga in grado di far apparire tenui quelle già citate patite da Ramses e soci, direi che è andata discretamente bene perfino ad un senza dio come il sottoscritto.




MrFord



"Exodus, all right! 
Movement of Jah people!
Oh, yeah! O-oo, yeah! All right!
Exodus: movement of Jah people! Oh, yeah!"
Bob Marley - "Exodus" - 




lunedì 8 dicembre 2014

The rover

Regia: David Michod
Origine: Australia
Anno: 2014
Durata:
93'





La trama (con parole mie): dieci anni dopo il collasso economico planetario, nel cuore dell'outback australiano il solitario Eric si getta all'inseguimento della banda di rapinatori in fuga responsabile del furto della sua auto. Ignorando qualsiasi ostacolo e difficoltà, lo stesso Eric si troverà, nella rincorsa alla gang, ad incrociare la strada con Rey, fratello del leader dei fuggitivi lasciato a morire ferito sul luogo della rapina.
I due uomini, mossi da motivazioni profondamente differenti, si troveranno a condividere uno strano, lungo viaggio uno accanto all'altro: cosa accadrà quando giungeranno a destinazione?
E soprattutto, riusciranno a trovare un equilibrio tra le loro differenti visioni in modo da poter raggiungere lo scopo senza intralciarsi - o uccidersi - l'un l'altro?
Quando la sabbia si sarà depositata, e resterà solo il vento a parlare, solo la Legge della giungla fornirà una risposta.








Ricordo bene il giorno in cui vidi Animal Kingdom, qualche anno fa: non tanto per il film, che nonostante alcune ottime recensioni ed una certa potenza mi parve solo discreto, quanto perchè mio padre fu ricoverato per un'improbabile peritonite a sessant'anni suonati da un pezzo.
Il ritorno sullo schermo dello stesso, ruvido regista australiano, però, mi incuriosiva non poco, in parte per l'amore incondizionato che nutro per la terra Down Under, in parte perchè il genere pareva proprio quello giusto per il sottoscritto: spazi sconfinati, inseguimento, sparatorie, poche parole.
Come direbbe il Cannibale, una fordianata.
E devo ammettere che The rover non è neppure così male, preso nel complesso: i due protagonisti - sì, perfino Pattinson - sono a loro modo convincenti, la colonna sonora interessante - pur se con le dovute proporzioni, è riuscita perfino a ricordarmi l'allucinato e splendido viaggio composto da Neil Young per Dead man -, i paesaggi mozzafiato - del resto, il deserto australiano è qualcosa di davvero spettacolare anche nei suoi scorci più spogli -, l'equilibrio tra tempi dilatati ed improvvise fiammate ben calibrato.
Eppure The rover non è neppure un buon film. Per niente.
Anzi, la cosa a cui somiglia di più è un piatto potenzialmente buono completamente privo di sale.
Il lavoro di Michod - che, a questo punto, forse non dev'essere proprio un fenomeno come molti avevano pensato ed io stesso avevo sperato ai tempi dell'uscita del già citato Animal Kingdom -, elaborato a partire da un soggetto scritto con l'attore Joel Edgerton, mostra lacune decisamente importanti dal punto di vista del carisma - se così si può scrivere a proposito di una pellicola - e della capacità di prendere il pubblico e trascinarlo all'interno di una storia violenta e priva di grandi speranze - come, del resto, aveva già mostrato di essere nel mood di raccontare - pronta, nel finale, a fare una sorta di passo indietro "morale" che vorrebbe colpire dritto al cuore ma che era riuscito decisamente meglio a Lucky McKee nello splendido Red: non ho pensato, nel corso della visione, che si trattasse di una questione di noia o incapacità di raccontare - esistono titoli decisamente più lenti, ed altri incredibilmente più brutti di questo -, quanto al fatto che l'impressione trasmessa dal viaggio grottesco e spietato di Eric e Rey sia quella di qualcosa che il regista poteva anche non raccontare, più o meno la stessa comunicata dalla differenza tra un post scritto con il cuore a proposito di un film che si è amato - o odiato - ed uno che, a conti fatti, aver visto oppure no finisce per non cambiare di una virgola la nostra visione del mondo.
Come se non bastasse, inoltre, le ore trascorse dalla visione hanno finito per ridimensionare le già non entusiasmanti impressioni iniziali, andando a gettare benzina sul fuoco rispetto all'idea che Michod non sia altro che un fuoco di paglia - per l'appunto - in attesa di approdare ad Hollywood e cominciare a girare blockbuster di serie b come capitò a giovani promesse del calibro di Matthew Kassovitz senza però aver mai raggiunto le vette che quest'ultimo toccò con L'odio.
Lo stesso cocktail proposto, frutto della combinazione di road movie, action, vendetta, disagio interiore ed esteriore e futuro prossimo distopico - attenzione, però, a non confonderlo con un altro prodotto australiano doc, Interceptor, che una cosetta come questa se la mangia a colazione - finisce per risultare incapace di prendere una via definitiva, così come per sprecare momenti decisamente interessanti come il confronto tra Rey e suo fratello nel finale - che deve molto sempre ad Animal Kingdom -: quello che resta passa tutto da Eric di fronte al nano trafficante d'armi e dal durissimo e meraviglioso outback australiano.
Ma è troppo poco perchè si possa credere di essere di fronte ad un grande film.
Così come è troppo poco perchè si possa pensare di essere in procinto di massacrarne uno pessimo.




MrFord



"There can be no denyin' 
that the wind 'll shake 'em down
and the flat world's flyin'
there's a new plague on the land 
if we could just join hands
if we could just join hands."
Led Zeppelin - "The rover" - 




 

lunedì 20 maggio 2013

Il grande Gatsby

Regia: Baz Luhrmann
Origine: Australia, USA
Anno: 2013
Durata:
142'




La trama (con parole mie): Nick Carraway, giovane di belle speranze del Midwest, giunge a New York, culla dei sogni, per coltivare le speranze di scrittore e riallacciare i rapporti con la cugina Daisy, sposata al milionario vecchio stampo Tom Buchanan. Il giovane finisce per trovare un lavoro a Wall Street ed incuriosire nientemeno che Jay Gatsby, nuovo ricco in testa ad un impero dalle dubbie origini che vive in un castello proprio accanto alla piccola abitazione di Nick, noto in tutta la città per le sue principesche feste alle quali chiunque, dalle star di Musica e Cinema ai politici, dai criminali alle ereditiere, desidera partecipare per perdersi nel cuore del suo mondo.
Quello che nessuno sa è che Jay Gatsby è un uomo solo, all'inseguimento di un desiderio che è anche una rivalsa rispetto ad una società che l'aveva rifiutato e costretto, in qualche modo, a pensare sempre e solo in grande.
Nick diverrà il suo confidente, e scoprirà la sostanza che è fuoco e motore di quello stesso desiderio, finendo per abbandonare New York, l'alcool, le feste e l'ipocrisia di un universo in cui tutto pare misurarsi con l'apparenza.




"E così, mentre noi eravamo tutti presi a cercare di scoprire cosa ci fosse di sporco dietro il successo di Gatsby, lui inseguiva un sogno più puro di quanto ognuno di noi fosse."
Recita più o meno così una delle frasi di Nick Carraway che definiscono Jay Gatsby, straordinario protagonista del mitico romanzo firmato da Francis Scott Fitzgerald portato in sala con magnifica ridondanza da Baz Luhrmann, che lasciatosi alle spalle il suo film meno riuscito - Australia, per la cronaca - è tornato a strabiliare il pubblico e ai fasti di Moulin rouge!, in barba alla tiepida critica che l'ha accolto a Cannes.
Senza dubbio la materia che ha originato quest'opera magnificente e tecnica, commovente e sentita, esplosiva e malinconica, è qualcosa che molti romanzieri potranno solo sognare di produrre in tutta la loro più o meno illustre carriera, eppure il regista australiano è riuscito nella non facile impresa di mettere il suo visionario talento per l'eccesso al servizio di una vicenda dal respiro classico, una delle storie d'amore e critiche alla società e all'Uomo moderno più intense e vibranti di sempre, trasformando la New York spumeggiante che precedette il crollo del ventinove in un melting pot all'interno del quale si mescolano jazz e Jay-Z, fumo e colori, spirito da esploratori e salotti da film in costume, riuscendo a tirare fuori il meglio da un cast praticamente perfetto, all'interno del quale non sfigura neppure Joel Edgerton, uno dei cani maledetti più sconcertanti che il Cinema americano possa offrire. Da Isla Fisher a Toby Maguire - forse il vero anello debole della catena, se di debolezze possiamo parlare, per un'opera come questa -, da Carey Mulligan - perfetta per interpretare la vuota, pessima, frigidissima Daisy - ad un clamoroso Leonardo Di Caprio, che sfodera un fascino in grado di trasformare le spettatrici in sala in quattordicenni neanche ci trovassimo ai tempi d'oro di Titanic e porta in scena un protagonista che trasforma Il grande Gatsby in una versione al maschile del già citato Moulin rouge! con la sua Satin.
Come se non bastasse, negli eccessi e nella solitudine di questo personaggio larger than life, nella purezza del suo sogno, nei misteri che circondano la sua inesorabile ascesa, troviamo riferimenti che vanno dall'Howard Hughes che lo stesso Di Caprio interpretò nello splendido e troppo sottovalutato The aviator scorsesiano al Kane di Quarto potere, oltre ad una versione positiva del Calvin di Django unchained, potentissima ultima fatica tarantiniana che aveva visto brillare il buon Leo come ormai siamo abituati a vedere.
Ad ogni modo, si potrebbero davvero scrivere molte cose, di un film come Il grande Gatsby: si potrebbe discutere della messa in scena fastosa e festosa della prima parte contrapposta al decadente oblìo autunnale della seconda, del ritmo vorticoso che quasi non permette di percepire le due ore e un quarto suonate conclusive, della colonna sonora come sempre curata nei minimi dettagli, della fotografia patinatissima e perfetta, delle influenze letterarie e cinematografiche dietro a sequenze che sono veri e propri gioiellini come il the pomeridiano a casa di Carraway che permette l'incontro a distanza di anni di Gatsby e Daisy - un omaggio perfetto alla screwball comedy dei tempi d'oro di Howard Hawks, per intenderci -, del crescendo che porta a quella fatidica telefonata a bordo piscina e della luce verde che è la Rosebud di Jay Gatsby, milionario per attitudine, ambizione ed aspirazioni prima che per denaro.
Ma non è quello che ho intenzione di fare ora.
Quello che voglio è chiudere gli occhi e lasciarmi travolgere dal ricordo struggente di una visione tra le più emozionanti dell'anno - l'ultimo film uscito in sala ad avermi colpito in questo modo è stato Noi siamo infinito, pur narrando di epoche della vita decisamente differenti -, sulla grandezza schiacciante del sogno di Gatsby e la sua impotenza di fronte ad un Idea in grado di soverchiare completamente la Realtà, anche quando la stessa è modellata da qualcuno con il Potere ed il denaro che soltanto nei sogni da mille e una notte si potrebbe pensare di avere: voglio sentire sulla pelle il brivido di una corsa in macchina attraverso le strade di una città che pare essere il centro del mondo, la rabbia montare di fronte a chi giudica e prende posizione e continua a pensare di essere superiore per diritto di nascita - altro passaggio straordinario, quello del confronto tra Gatsby e Buchanan rispetto all'amore di Daisy -, sogni in bianco o nero perdersi in un presente inesorabilmente grigio, che non prevede buoni o cattivi, non giudica e al massimo osserva, come gli occhi di un dio che pare essere in prima fila per uno spettacolo travolgente e magico, proprio come il Cinema.
Voglio camminare a passi decisi lungo quel pontile ed osservare la luce verde fendere la nebbia ed arrivare nel cuore di ogni festa sfarzosa e sopra le righe, nel luogo in cui esistono solo silenzio e malinconia, solitudine ed il mare in tempesta di quello che vorremmo essere intento ad infrangersi sugli scogli di quello che siamo destinati ad essere.
Un tempo mi sarei perso nella visione di questo film immaginando di essere Carraway, l'aspirante scrittore che, di fronte a quella che sarà la "grande" materia della sua opera e della sua vita, scopre un passo dopo l'altro se stesso, dall'apice al declino, dai colori all'oscurità, dal sole e dal mare fino alla neve dell'inverno.
Ora guardo avanti e vedo la mia luce verde, e sento il formicolio che lungo la schiena sale per finire dritto al cuore, come un proiettile: Gatsby.
Chi è veramente Gatsby?
E' un milionario? Un esploratore? Un soldato? L'assassino del Kaiser? Un reduce? Un ragazzino di umili origini divenuto un nuovo ricco con mezzi non sempre leciti? Un amico? Un sognatore?
Un prigioniero dei sogni? La vittima di un'idea?
Una barca che rema controcorrente, risospinta senza sosta nel passato?
Ci sono tante domande, ipotesi, voci e dicerie, a proposito di Gatsby.
Per me esiste una sola risposta: Gatsby è grande.
Come questo film.


MrFord


"In all my dreams
it's never quite as it seems
never quite as it seems
I know I've felt like this before
but now I'm feeling it even more
because it came from you."
The Cranberries - "Dreams" - 


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