martedì 31 marzo 2015

Mortdecai

Regia: David Koepp
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
107'






La trama (con parole mie): Mortdecai è un non troppo pulito mercante d'arte di base in Inghilterra, pronto ad occuparsi dei suoi baffi come dell'amata moglie Johanna e delle opere che i suoi bisogni economici o le circostanze lo inducono a recuperare, comprare o vendere.
Quando il vecchio rivale in amore ed agente dell'MI6 Martland lo coinvolge nella ricerca di un Goya misteriosamente trafugato a seguito della morte della restauratrice che se ne stava occupando, i nodi sentimentali, economici ed artistici vengono al pettine: Mortdecai dovrà dunque venire a patti con se stesso, i baffi che di recente l'hanno contraddistinto, il suo fido guardaspalle Jock e tutto il mondo dell'arte - più o meno sotterraneo - per poter risolvere il caso, tirarsi fuori dai guai e rimediare al recente precipitare della sua reputazione.
Riuscirà l'impacciato ed assolutamente inaffidabile ed improvvisato uomo d'azione a portare a termine la più importante delle missioni che mai si è trovato ad affrontare?








In tutta onestà, pensavo che quest'anno non ci sarebbe stata gara, rispetto alla prima posizione nella classifica dedicata al peggio, considerato il livello garantito da Cinquanta sfumature di grigio.
Purtroppo per me, ero in errore: Mortdecai, infatti, ha rappresentato senza ombra di dubbio una delle esperienze da spettatore più agghiaccianti degli ultimi mesi, una fiera del ridicolo di un'ora e quaranta capitanata da un inguardabile Johnny Depp, ormai degno erede di Robert De Niro rispetto allo sputtanamento di se stessi e di una carriera un tempo da brividi, pessimo prodotto di finta avventura patinata assolutamente ridicola.
Trovare altro da scrivere a proposito dello scempio firmato da David Koepp - che sarà pure un mestierante, ma in passato è riuscito anche a portare in sala cose discrete - è davvero difficile, e a nulla servono ambientazioni europee finto alternative - almeno per gli abitanti degli States - o un cast sulla carta stellare - il già citato e spompatissimo Depp, Paul Bettany, Gwyneth Paltrow, Ewan McGregor -, così come un impegno prossimo allo zero dei neuroni per trovare almeno una parziale giustificazione all'esistenza di una roba inutile sotto tutti i punti di vista come questa.
Neppure l'azione e l'utilizzo almeno sulla carta ironico del tuttofare Jock riescono a salvare il salvabile, specie quando ad ogni piè sospinto il protagonista pare non attendere altro se non l'occasione per gigioneggiare risultando, più che un improvvisato James Bond shakerato con Clouseau, una pallida e patetica imitazione di Mr.Bean, uno dei fenomeni di grande e piccolo schermo che più ho detestato nel corso della mia vita.
Non ricordo quando fu l'ultima volta in cui dovetti lottare con il desiderio di mandare avanti veloce una pellicola - il già citato Cinquanta sfumature di grigio escluso -, ma è giusto che sappiate che resistere, in questo caso, è stato di una difficoltà da record: se possibile, dunque, a meno che non cerchiate un titolo destinato a finire per certo in cima alle classifiche del peggio dell'anno, fate in modo di non incrociare neppure per sbaglio il cammino di Mortdecai e dei suoi ridicoli baffi, resi protagonisti di un tormentone di coppia noioso quanto il film stesso.
Vorrei poter trovare lo spunto per rendere più interessante il post, corposo ed in grado di compensare l'eventuale visione di questo Merdecai, ma è davvero, davvero troppo perfino pensando di mettersi alla tastiera - o davanti allo schermo - con in corpo una robusta dose di White Russian.
Senza contare che, effettivamente, questa roba davvero non merita niente più di due righe che la possano liquidare il più in fretta possibile.




MrFord




"State, state, state, state of the art
(state of the art)
(hold the phone, it's so)
state, state, state, state of the art
(listen to the difference!)
state, state, state, state of the art
(by use of a computer)
(oh my God, it's so)
state, state, state, state of the art."
Gotye - "State of the art" - 




lunedì 30 marzo 2015

Inside man

Regia: Spike Lee
Origine: USA
Anno: 2006
Durata:
129'






La trama (con parole mie): Dalton Russell sa bene quello che deve fare. E conosce il piano come le sue tasche. Una rapina, nel pieno centro di Manhattan. Arthur Case è il proprietario e socio della Banca assalita dal commando di Russell, e sa bene cosa potrebbe perdere, se il contenuto di una certa cassetta di sicurezza venisse allo scoperto. Madeleine White è una negoziatrice, una donna con le palle d'acciaio sempre pronta a risolvere le grane peggiori dei potenti, per la giusta parcella. Keith Frazier è un detective tosto ed incasinato, indagato dalla disciplinare per una vicenda di soldi rispetto alla quale si dichiara innocente e una voglia di riscatto che punta ad una promozione.
Quando le loro strade finiranno per incrociarsi, mantenere l'equilibrio potrebbe diventare decisamente difficile: a fare da arbitro, la Grande Mela, New York City, la città che più di ogni altra ha simboleggiato la modernità ed il concetto di metropoli cosmopolita.








Questo post partecipa alle celebrazioni del Black Power Day.





"Ed è qui, come direbbe il Bardo, che sta l'inghippo", sentenzia Dalton Russell, guardando in camera, in apertura di uno dei più straordinari film degli Anni Zero.
Onestamente, l'unico inghippo che mi pare di trovare, è dato dal fatto che si tratti del più grande film che Spike Lee - regista manifesto della cultura "black" - abbia mai girato, nonchè uno dei titoli più importanti, parlando di heist movies, dai tempi di Rapina a mano armata.
E non parliamo, dunque, di piccoli calibri.
Personalmente, ho sempre pensato che il problema del vecchio Spike risiedesse principalmente nella sua eccessiva ed incontrollata rabbia, e nel fatto che i suoi prodotti - anche i migliori - fossero razziali e razzisti, in una certa misura, quanto il sistema che il cineasta newyorkese cercava di criticare: il suo percorso per giungere a questo vertice assoluto, partito con Summer of Sam e passato attraverso l'altrettanto splendido La 25ma ora, ha visto come protagonista principalmente una sorta anestetizzazione del lato più black del suo approccio, affidandosi alla tecnica e ad un'ironia - in questo caso - graffiante in grado di colpire ad ogni latitudine sociale e, allo stesso tempo, fornire al pubblico una delle dichiarazioni d'amore più profonde per New York che siano state mai portate sullo schermo.
Dalla sequenza della ricerca di qualcuno che possa comprendere il linguaggio della registrazione "donata" dai rapinatori alla polizia - "Siamo a New York, qualcuno conoscerà la lingua che stanno parlando" - alla vicenda di Vikram, passando per il cellulare di Peter Hammond ed il dialogo - da antologia - tra Dalton ed il bambino con il padre tra gli ostaggi a proposito del videogame che il piccolo sfrutta come passatempo nel corso delle ore del sequestro, tutto suona come un ritratto ironico ed allo stesso tempo traboccante amore di una città ricca di contraddizioni e conflitti, dalla strada ai salotti d'alto bordo, ma ugualmente e forse proprio per questo una delle più affascinanti al mondo.
Ma Spike Lee non si limita a questo: grazie soprattutto al confronto tra Russell ed il suo antagonista - il perfetto Frazier di Denzellone Washington - con Inside man viene a galla un Cinema di genere che ricorda i Classici come Un bacio e una pistola, o i romanzi di Mickey Spillane ed Elmore Leonard impreziosito da una tecnica ed un approccio assolutamente moderni, cui fa da cornice - o da cuore - una critica meno arrembante ma non per questo poco decisa agli anni del bushismo e della cultura del terrore, culminata con una parte finale grazie alla quale, in una certa misura, tutti i protagonisti di questo intrigo finiscono per cavarsela senza però uscire puliti, quasi come se la sceneggiatura ci ricordasse l'imperfezione - ed il bello della stessa - che si cela dietro l'umanità, rappresentata alla grande dagli ostaggi della banca e dai loro interrogatori.
E dato che, malgrado qualche scivolone nel corso degli anni - cinematografico ed in termini di dichiarazioni -, il pungente Spike non è affatto stupido, Inside man finisce anche per risultare uno degli esempi migliori di confezione hollywoodiana impeccabile e titolo assolutamente perfetto nell'ambito del Cinema dell'illusione - forse, a memoria del sottoscritto, superato soltanto, in tempi recenti, dall'appena precedente The prestige -, che lega lo spettatore alla poltrona e lo trasporta di prepotenza quasi dentro lo schermo: un'evoluzione, in questo senso, è riuscita a farmi rabbrividire, nel corso della revisione concessa a questo Modern Classic grazie al Black Power Day che celebriamo oggi.
Un passaggio che, dal primo gennaio del duemilaquattordici, era accaduto soltanto una volta.
La partenza dal divano e l'arrivo a terra del sottoscritto, cocktail alla mano e culo sul tappeto, a bocca aperta di fronte al televisore: come fu per The Wolf of Wall Street.
E basterebbe questo, per definire Inside Man.
Anche se, a ben guardare, forse l'idea rende di più per definire il filmone totale di Scorsese, altro grande interprete della cultura newyorkese nella settima arte.
Ma poco importa.
Qui non c'è nessun inghippo.
Solo un fottuto, grande colpo.
Un fottuto, grande film.
Anzi, più che grande.
"Noi non dimenticheremo", si intravede su un muro dietro Denzel Washington.
La ferita del World Trade Center ancora aperta.
Neppure io dimenticherò.
Non dimenticherò quanto è grande Spike Lee quando misura l'ego di Spike Lee e diventa un dannato, enorme interprete della cultura americana.
Black e non solo.




MrFord






"Chal chaiyya chaiyya chaiyya chaiyya
chal chaiyya chaiyya chaiyya chaiyya
chal chaiyya chaiyya chaiyya chaiyya
chal chaiyya chaiyya chaiyya chaiyya."
A. R. Rahman - "Chaiyya Chaiyya" -





domenica 29 marzo 2015

Get shorty

Regia: Barry Sonnenfield
Origine: USA
Anno: 1995
Durata: 105'




La trama (con parole mie): Chili Palmer, addetto al recupero crediti delle famiglie mafiose di Miami in rotta con uno dei suoi boss, viene spedito prima a Las Vegas e dunque a Los Angeles per mettere le mani su un fuggitivo che deve all'Organizzazione dei soldi e proprio per le strade di L. A. decide di scrivere la parola fine al suo rapporto con la malavita ed iniziare una nuova carriera in ambito cinematografico, spinto dalla sua passione per il grande schermo.
Entrato in contatto casualmente con il produttore Harry Zimm, Chili farà del suo meglio affinchè la vicenda che l'ha visto - e lo vede - protagonista possa diventare una sceneggiatura in grado di essere la base di un film pronto a lasciare il segno.
Ma riuscirà l'ex gorilla della mala a sopravvivere alla vera e propria giungla del mondo dello spettacolo?








Esistono titoli clamorosamente figli dell'epoca in cui tu stesso sei cresciuto, considerati piccoli o grandi cult, o consacrati come successi, o fallimenti colossali, che arrivano ad essere protagonisti degli schermi anche di chi con il Cinema c'entra poco o nulla, conquistando fette di pubblico - anche profondamente occasionale - inconcebili sulla carta che, per una qualche strana ragione, finiamo per mancare inesorabilmente.
Nel mio caso, Get Shorty è uno degli esempi più lampanti di questo tipo di fenomenologia: diretto dal Barry Sonnenfeld di Men in black e costruito a partire da un romanzo di Elmore Leonard - vecchia conoscenza del Saloon e fordiano ad honorem, tra racconti western, l'ispirazione per Justified e molto altro -, questo film a tratti pacchiano e decisamente divertente e godibile cavalcò, ai tempi, l'onda del successo clamoroso e planetario di Pulp fiction, ripescando un John Travolta rilanciato proprio da Tarantino grazie ad un personaggio che fin dalle prime battute promette di rimanere nel cuore di chi ne seguirà le gesta per parecchio tempo.
Senza dubbio questa commedia nera pronta a bersagliare l'apparentemente dorato mondo dello spettacolo hollywoodiano in maniera molto più incisiva del recente vincitore dell'Oscar come miglior film Birdman - e non starò qui a menarla sul fatto che il lavoro di Inarritu sia stato clamorosamente sopravvalutato - ha connotati profondamente derivativi e legati esclusivamente ai tempi della sua uscita, è un wannabe pulp senza dubbio edulcorato e più incentrato sulla parte grottesca del genere, che non sulla violenza vera e propria, non può ambire a ridefinire uno standard o a segnare la Storia della settima arte, eppure funziona, avvince e diverte ancora, sfruttando senza dubbio le atmosfere da noir assolato in pieno stile Chandler - un pò come avrebbe fatto di lì a poco Il grande Lebowski - ed un'ironia di fondo gustosa e di pancia.
Interessante, inoltre, osservare quelli che allora erano attori in piena rampa di lancio - o rilancio - come John Travolta e Rene Russo, vecchi leoni pronti a dare sostegno al progetto - Delroy Lindo e Gene Hackman - e caratteristi certo ancora non consci della carriera che li avrebbe attesi in seguito - James Gandolfini - muoversi in un contesto in bilico tra il violento - anche non soltanto in termini fisici - ed il ridicolo, in grado di strappare ben più di una risata ma anche di indurre riflessioni neppure troppo banali sulla Natura umana quando il successo - che si parli di crimine o di spettacolo, poco importa - bussa alla nostra porta e snocciola le sue dorate promesse.
Non tutte le ciambelle riescono con il buco - si veda la sottotrama dedicata ai trafficanti colombiani, accantonata troppo in fretta ed in maniera sbrigativa -, ed il film è ben lontano dall'essere perfetto - le opere che in qualche modo rimangono prigioniere del loro tempo non lo sono mai -, eppure ammetto di essere stato più che felice di aver dedicato una serata a questo recupero, e che il fatto di averlo a disposizione per un'altra visione senza troppi pensieri legata al genere "ludico-investigativo" - dal già citato Il grande Lebowski a Kiss Kiss Bang Bang, passando per Sette psicopatici e il recente Vizio di forma - non può che farmi sentire non solo bene in quanto spettatore, ma anche come scombinato e caotico attore della grande commedia umana.




MrFord



"Kick 'em when they're up, kick 'em when they're down
kick 'em when they're up, kick 'em when they're down
kick 'em when they're up, kick 'em when they're down
kick 'em when they're up, kick 'em all around."
Booker T and the MG's - "Can't be still" - 




sabato 28 marzo 2015

Missing New York

Autore: Don Winslow
Origine: USA
Anno: 2014
Editore: Einaudi




La trama (con parole mie): Frank Decker è un detective della polizia di Lincoln, in Nebraska, ha trentacinque anni, una carriera promettente ad attenderlo - si dice sia il candidato più probabile per la successione nel ruolo di Capo della Polizia locale - ed un matrimonio che, se non fosse per i figli che non arrivano, prosegue senza alcun problema apparente.
E' un uomo tutto d'un pezzo, vecchia scuola, reduce dell'Iraq, legato all'istinto ma anche ad una solida etica morale.
Quando la piccola Hayley Hansen scompare, la sua vita cambia: la promessa fatta alla madre della bambina di ritrovarla a tutti i costi, infatti, diviene la miccia pronta a far esplodere la sua intera impalcatura sociale: mollato il lavoro e lasciato naufragare il matrimonio, con i risparmi del padre da sempre messi da parte per una casetta da pesca sul lago Deck comincia un viaggio per le strade degli USA che lo porterà, in oltre un anno di ricerche, sulle tracce di chi, forse, sa dove la piccola può essere finita.
Sempre che sia ancora viva.








A prescindere dal fatto che ora sia padre, ci sono argomenti che mi sono sempre stati a cuore: uno di questi, e forse uno di quelli cui sono maggiormente sensibile, è la violenza o l'abuso rispetto ai minori.
Parallelamente, e considerando materie decisamente più leggere, trovo che il fascino del "lone rider" legato alla strada, agli errori e disequilibri tanto quanto agli slanci irrefrenabili e passionali sia uno dei più irresistibili presenti nella realtà così come nella finzione.
Don Winslow, uno degli autori che ho più amato nel corso degli ultimi dieci anni, con questa sua ultima fatica è riuscito alla perfezione ad unire i due elementi appena citati: una storia crime dal ritmo serrato del thriller d'alta scuola unita ad un main charachter destinato a rimanere nel cuore del lettore per lungo tempo, umano e vivo come piacciono da impazzire da queste parti.
Perchè Frank Decker, o Deck, come perfino sua moglie Laura ama chiamarlo, è un tipo old school, tutto d'un pezzo, abituato a battersi ma non per questo incline a farlo, deciso quanto delicato, generoso quanto profondamente egoista: del resto, salvare qualcuno - specialmente quando il qualcuno in questione è l'emblema dell'innocenza e della meraviglia -, è un pò come salvare se stessi.
Era dai tempi dell'Harry Hole di Nesbo o degli Hap e Leonard di Lansdale - e non sto certo parlando di piccoli calibri - che non mi capitava di imbattermi in un protagonista con il quale empatizzare così tanto: la scommessa di Deck nel mettersi alla ricerca della piccola Hailey Hansen, il suo viaggio attraverso un'America lontana e distaccata quanto partecipe e viva sulle note del più che proletario Springsteen trasformano Missing in un romanzo on the road tra i più appassionanti che il genere possa offrire, lontano senza dubbio dai fasti de Il potere del cane ma non per questo non in grado di tracciare solchi profondi nel cuore di chi lo affronta.
Ma non voglio trasformare il post di questo lavoro che ho sentito profondamente nelle budella in una recensione nuda e cruda: voglio sia chiaro il brivido provato nel seguire pagina dopo pagina le imprese di un uomo comune, che potrebbe essere un amico, il vicino, un fratello, o un genitore - non se la prenda male il vecchio Deck - deciso a rendere il luogo in cui viviamo un posto migliore, fosse anche solo per l'innocenza probabilmente perduta ma ugualmente e profondamente cercata di Hailey.
Tutti noi sappiamo bene che seguire il valzer dei giorni ponendosi domande ed affrontandole non è il più facile dei modi in cui vivere, tanto quanto sia più semplice scoprire come essere indifferenti - o lasciarsi catturare dal fascino di un ruolo "limitato" - che non tentare a tutti i costi di cambiare le regole, sovvertire il Destino, portare chi non l'avrebbe mai sospettato davanti ad un banco dei testimoni, a prescindere dalla posizione sociale, il conto in banca, il numero di favori che in questi casi si finisce per essere pronti a chiedere, pur se a malincuore.
C'è chi va a caccia di nuovi "talenti", senza alcun obbligo fisico o remora morale, e chi, al contrario, lotta per mantenere una parvenza di normalità ed equilibrio al cospetto degli individui di tale risma, quasi potesse sospendere il giudizio nonostante si augurerebbe per loro le più atroci sofferenze.
Probabilmente non sarò mai stupido, coriaceo o anche soltanto pronto quanto il personaggio creato da Winslow, in grado di risvegliarsi dal torpore modaiolo di Le Belve e I re del mondo finendo per confezionare la sua opera più matura dai tempi di Satori: la vicenda di Deck è quella di molti spiriti indomiti, coraggiosi o semplicemente cacciatori di gloria in attesa dell'occasione di una vita, quella fornita dallo sguardo di una madre che sarà eternamente riconoscente al salvatore della sua piccola, il suo amore, il suo sangue.
Ma comprendo il significato di ogni gesto, il senso di una ricerca anche senza speranza.
Quello della possibilità che Hailey ci sia, comunque vada.
Qualunque cosa resti.
E a conti fatti, è sempre sicuro che resti Frank Decker.
Perchè senza Deck, questo romanzo sarebbe solo un buon thriller.
E i sogni on the road non avrebbero la stessa forza.




 MrFord




"Licence, registration, I ain't got none,
but I got a clear conscience
'Bout the things that I done
Mister state trooper please don't stop me..."
Bruce Springsteen - "State Trooper" -












giovedì 26 marzo 2015

Five times Saloon

La trama (con parole mie): e quasi senza che me ne accorgessi - palle, dato che ormai è praticamente un secondo lavoro pagato dalla passione - il Saloon giunge alla sua prima quasi cifra tonda. Il 26 marzo di cinque anni fa, infatti, nasceva WhiteRussian, partito come uno sfogo da post sbronza cinefila e divenuto una realtà sempre più grande anche per il sottoscritto.
Come di consueto, dunque, dedico una giornata ai brindisi ed ai festeggiamenti lasciando da parte la normale programmazione, e godendo dell'attimo, senza pensare troppo se riuscirò mai a tagliare il traguardo dei dieci.




Ormai mi sento quasi come uno di quei vecchi bevitori - o vecchi e basta - pronto a raccontare allo sfinimento la solita, altrettanto vecchia - ma non per questo meno affascinante - storia della notte del neonato ventisei marzo duemiladieci, quando, Jagermeister alla mano, al termine di una serata passata con un paio di vecchi amici, decisi di avventurarmi in quello che, ancora non lo sapevo, sarebbe diventato praticamente un diario di viaggio, film e vita: ai tempi ricordo di come si trattasse solo ed esclusivamente di uno sfogo, un angolo mio senza neppure immagini o dati rispetto ai film recensiti, senza valutazioni o etichette, e di quei primi tre mesi in cui non avevo neppure idea del fatto che sarebbe stato utile esplorare il resto della blogosfera per conoscere e farsi conoscere.
Ora le cose sono molto diverse, visite, lettori e commentatori fissi non mancano, contatti per iniziative anche, e con il tempo e grazie ad altri bloggers dediti alla settima arte ho avuto modo ed occasione di confrontarmi con film e serie tv che, chissà, se non fossi passato da queste parti non sarebbero mai arrivati sui miei schermi: in questi cinque anni ho avuto anche la fortuna di incontrare di persona alcuni degli altri viaggiatori della rete, di bere e mangiare insieme, e come nel caso del mio fratellino Dembo, anche stringere amicizie che spero mi accompagneranno fino alla vecchiaia - quella vera -.
Come di consueto, dunque, e dato che dovrei ringraziare ognuno di voi peccatori che passate quotidianamente o quasi al bancone per brindare con il sottoscritto, prendo ad esempio il mio sempre sgradito rivale Cannibal Kid, che con i suoi assurdi giudizi fornisce, di fatto, uno stimolo a continuare a percorrere questa strada, se non altro per regalarvi un parere critico più sensato, e Lazyfish, attuale top commentatrice.
Ma più di ogni altro non posso che ringraziare Julez - che oltre ad aver cominciato a scrivere qualche post, continua a sopportarmi giorno dopo giorno - ed il Fordino, che presto tornerò a raccontare in qualche post della serie "Unchained", pronto a crescere, imparare, stupire e soprattutto insegnare a me e alla signora Ford quanto meraviglioso possa essere vivere.
Soprattutto con lui.
E se ci penso, il desiderio di essere ancora qui tra una quindicina d'anni, alternando i miei post e le recensioni ai suoi, è così forte da farmi quasi esplodere il cuore nel petto: e se quella notte di cinque anni fa pensavo che tutto sarebbe finito senza particolare clamore, ora sono felice che la vita vissuta e la settima arte continuano a contraddirmi e a rincorrersi giorno dopo giorno, e film dopo film.



MrFord




Thursday's child

La trama (con parole mie): come ogni giovedì, torna su questi schermi la rubrica che, purtroppo, porta con lei anche il mio sempre più scombinato - almeno per quanto riguarda la critica cinematografica - rivale Cannibal Kid. E purtroppo, con lui arriva anche la solita carrettata di titoli non propriamente in grado di alzare l'hype a mille, quanto più che altro di sperare di strappare un sei politico evitando le bottigliate.
Se non altro, in un paio di casi almeno sulla carta c'è la speranza di incontrare qualcosa di vagamente fordiano. Ma solo vagamente, purtroppo.


"Che storia! Sono atterrato sul pianeta dei Cuccioli Eroici!"
Home - A casa

"Mi sa tanto che guido anche peggio di Ford!"
Cannibal dice: Bambinata DreamWorks che lascio volentieri a casa Ford. In casa Pensieri Cannibali sono preferiti i film per adulti. O quelli per teenagers.
Ford dice: la Dreamworks, fatta eccezione per pochi titoli decisamente ottimi come i due Dragon Trainer, mi è sempre sembrata la versione sfigata della Pixar. Questo Home mi pare non si discosti molto da quest'idea.
Posso solo sperare di essere smentito, non fosse altro che per recensire bene un titolo che so già che il mio rivale potrebbe detestare.



L'ultimo lupo 3D

"Finalmente anche io ho il mio Cucciolo Eroico!"
Cannibal dice: La bambinata d'animazione per questa settimana non bastava. Ci voleva pure la pellicoletta d'avventura con tanto di animali e anche se parlo di lupi, e non di quella bestia di Ford, non ci siamo comunque. Io i Lupi non li sopporto. L'unico che mi piace è quello di Wall Street.
Ford dice: Annaud, fin dai tempi de L'orso, pare essersi preso una cotta clamorosa per i film radical new age che con il tempo ho finito per sopportare sempre meno.
L'ultimo lupo io lo terrei a stecchetto per qualche giorno, e poi lo scatenerei nella cameretta del Coniglione.



Lettere di uno sconosciuto

"Ford è l'unico blogger a scrivere ancora a mano."
Cannibal dice: Cos'è, la settimana del cinema fordiano? Tra i film in arrivo c'è pure questa mazzata pseudo autoriale cinese che mi attira quanto la recensione del mio blogger rivale di un film pseudo autoriale cinese.
Ford dice: probabilmente una decina d'anni fa sarei corso a recuperare questo film, considerato quello che è stato il mio "periodo asiatico": ora, sinceramente, preferisco investire le mie energie - e la banda larga - per ripescare Michael Mann.



La famiglia Bélier

"Non preoccuparti, ti consolo io: quella stronzetta di Katniss Kid non doveva permettersi di vincere il titolo di reginetta al tuo posto!"
Cannibal dice: Meno male che a risollevare una settimana che pareva dedita al fordismo più spinto ci pensa il buon cinema dal paese più radical-chic del mondo: la Francia, ovviamente. Questa commedia dai toni adolescenziali potrebbe rivelarsi la visione più radical-chic, e quindi più cannibale, della Ford Week.
Ford dice: questa è l'incognita della settimana. Potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa o una robetta radical chic degna delle peggiori bottigliate. Staremo a vedere.
Cannibal, invece, è una certezza: i suoi giudizi sono sempre ben oltre il grottesco.


French Connection

"Piuttosto che far guidare Ford ho dovuto rispolverare la mia macchina anni settanta."
Cannibal dice: Altra pellicola francese, altra possibile sorpresa positiva. Thriller ambientato negli anni settanta con il buon Jean Dujardin, questo French Connection dal trailer molto promettente una visione sembra meritarsela tutta. E potrebbe anche essere l'unico film settimanale a mettere d'accordo sia me che Ford. Purtroppo, perché sarebbe meglio se non ce ne fosse manco uno.
Ford dice: seconda pellicola francese e secondo film potenzialmente interessante della settimana. Il titolo richiama al grande Classico Il braccio violento della legge, il trailer pare discreto, le aspettative moderatamente alte. Speriamo non finisca per diventare una bottigliata connection.


Ho ucciso Napoleone

"Ora questa boccia la spacco dritta in testa al Cannibale."
Cannibal dice: Avrei preferito che avesse ucciso un certo mio blogger rivale, ma bisogna accontentarsi...
Questo Ho ucciso Napoleone è una commedia con Micaela Ramazzotti e Libero De Rienzo che mi pare possa avere del potenziale. Mentre Ford uccide il cinema italiano a colpi di recensioni strampalate, io una possibilità a questa produzione nostrana mi sento invece di concedergliela.
Ford dice: il mio rapporto con il Cinema italiano, di recente, è assolutamente pessimo.
Dunque, piuttosto che concedere spazio a proposte di questo tipo, penso potrei recuperare qualche chicca nostrana d'autore molto datata giusto per fare incazzare un po' il mio antagonista.



La terra dei santi

"Ha visto un film di troppo tra quelli esaltati dal Cannibale, e questo è il risultato."
Cannibal dice: Un'altra pellicola italiana, ma questa volta si parla di 'ndrangheta e mi sa di una cosa troppo seriosa e impegnata. Preferisco passarla a Ford.
La pellicola, intendo. Avevate capito la 'ndrangheta?
Ford dice: mi pare una pellicola troppo seriosa e impegnata per il mio superficiale rivale. Vedrò di recuperarla io.



Onde Road

"Forse ho visto troppi film esaltati da Peppa Kid: ormai comincio a vederci doppio."
Cannibal dice: Docu-fiction che parla di radio pirata anni '70/'80 e che sulla carta pare una visione interessante. Nella realtà, ho come l'impressione che possa tramutarsi in una fordianata clamorosa. Ma spero di sbagliarmi.

Ford dice: questa è un'incognita vera e propria. Potrebbe rivelarsi una cosa nelle mie corde, o una robetta di quelle per le quali si esalta senza alcuna ragione apparente il mio rivale. Per il momento non ho fretta di scoprire dove stia la verità.


mercoledì 25 marzo 2015

Necropolis - La città dei morti

Regia: John Erick Dowdle
Origine: USA 
Anno: 2014
Durata:
93'





La trama (con parole mie): Scarlett, giovane archeologa americana figlia di uno studioso ed appassionato di alchimia morto suicida in circostanze misteriose scopre in Iran quella che potrebbe essere la chiave per portare a termine il lavoro del padre, una serie di indicazioni cifrate che indicherebbero il luogo di sepoltura della famigerata Pietra Filosofale, sogno proibito degli studiosi ed appassionati di alchimia di tutto il mondo.
Le tracce portano alle catacombe di Parigi, e dunque Scarlett, assemblata una squadra di amici esperti di archeologia e di ragazzi del luogo abituati ad escursioni ed esplorazioni delle catacombe stesse si avventura in quello che potrebbe diventare un vero e proprio viaggio all'Inferno.








Il da poco trascorso duemilaquattordici non sarà ricordato certo come uno degli anni più interessanti del genere horror, che ha navigato in acque decisamente agitate qui al Saloon, fatta eccezione per una manciata di pellicole - ovviamente non distribuite in Italia - che hanno finito per sobbarcarsi il peso delle aspettative che un fan di vecchia data come il sottoscritto finisce per avere anche senza volerlo.
Tra i titoli, al contrario, distributi anche qui nella Terra dei cachi, avevo finito per evitare questo Necropolis nonostante il mockumentary sia un guilty pleasure decisamente irresistibile, per il sottoscritto, temendo una porcata di proporzioni bibliche che sarebbe inevitabilmente finita ad infarcire le fila della già combattutissima decina dedicata al peggio della scorsa stagione: ripescato quasi per caso, però, il lavoro di John Erik Dowdle si è rivelato, a conti fatti, un divertissement neppure troppo malvagio, forse non perfetto in fase di scrittura e costruzione dei personaggi, perso nella parte finale, eppure a suo modo funzionale, in grado di regalare un'ora e mezza di intrattenimento senza sconfinare nella schifezza o entrare nel radar delle bottigliate.
L'idea dell'esplorazione delle catacombe di Parigi - che visitai in parte anni fa, davvero affascinanti - alla ricerca della Pietra Filosofale - un mito assoluto per i cultori di esoterismo - ed il cocktail prodotto mescolando l'Inferno dantesco a quello che ognuno di noi si porta dentro - interessante, e forse l'idea migliore dell'intera pellicola, l'effettiva interpretazione del potente artefatto - risultano quantomeno non banali - anche se, occorre ammetterlo, ormai trovo difficile spaventarmi davvero per un horror -, ed ho apprezzato anche i richiami evidenti a titoli di culto come The descent così come l'impressione - questa personale - che questo prodotto possa essere associato al nostrano e decisamente tosto Radice quadrata di tre, che prima o poi ho intenzione di ripescare.
In un certo senso, si potrebbe addirittura pensare che un prodotto assolutamente d'intrattenimento e senza pretese come questo sia riuscito dove Onirica, film autoriale e tecnicamente su un altro pianeta rispetto a questo, aveva clamorosamente fallito, riuscendo, seppur senza rimanere di fatto impresso nella memoria, a portare a casa la pagnotta.
Se ci trovassimo ancora nel pieno degli anni settanta o ottanta e l'horror fosse nel suo momento migliore, allora con ogni probabilità Necropolis scomparirebbe - un pò come se confrontato con cose davvero toste come Lake Mungo - di fronte a proposte decisamente superiori, ma allo stato attuale, finisce per non sfigurare nonostante non si tratti, di fatto, di nulla di nuovo o di davvero potente.
Come se non bastasse, a posteriori, mi sono trovato quasi a pentirmi di non aver dato prima una possibilità all'opera di Dowdle, e ho trovato alcune critiche rivolte allo stesso assolutamente eccessive, specie in un momento storico in cui in sala, alla voce horror, troviamo schifezzine incapaci di spaventare perfino la più pusillanime tra le ragazzine come Ouija.
E l'idea di un panorama di quel genere è un Inferno decisamente peggiore di quello labirintico che offre questo viaggio nelle viscere di Parigi, della Terra e di noi stessi.




MrFord



"Down in a hole and I don't know if I can be saved
see my heart I decorate it like a grave
well you don't understand who they
thought I was supposed to be
look at me now I'm a man
who won't let himself be."
Alice in chains - "Down in a hole" -





martedì 24 marzo 2015

Focus - Niente è come sembra

Regia: Glenn Ficarra, John Requa
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Nicky è un professionista della truffa, uno specialista cresciuto da un nonno ed un padre fuoriclasse del mestiere. Nel corso della preparazione della settimana del Superbowl a New Orleans con tutti i colpi che l'occasione offre è vittima del tentativo di truffa dell'intraprendente Jess, giovane e bellissima aspirante borseggiatrice: smascherata la ragazza e maturata la decisione di addestrarla e portarla a NOLA sotto la sua ala, Nicky orchestrerà una serie di truffe culminate con un raggiro ai danni di uno scommettitore in grado di mettere in crisi perfino la stessa Jess.
Per evitare di cadere vittima del legame nel frattempo creatosi con la partner, al termine della settimana di eventi Nicky decide di scaricare malamente la ragazza, in modo che non ci possano essere influenze nello svolgimento del suo lavoro.
Tre anni dopo, a Buenos Aires, Nicky è ingaggiato dal magnate e proprietario di una scuderia di auto da corsa Garriga, che vorrebbe tagliare fuori dal campionato il suo più acerrimo rivale: pianificato il progetto, Nicky si troverà però sconvolto da una scoperta in grado di mettere in difficoltà perfino un professionista come lui. Jess, infatti, pare essere la nuova fiamma dello stesso Garriga, ed i sentimenti torneranno a mescolarsi al lavoro: riuscirà Nicky a tenere le redini di entrambi? E sarà tutto esattamente come appare?








Meglio ammetterlo subito: Focus - Niente è come sembra, nonostante la presenza di uno degli attori-garanzia di bottigliate più importanti del panorama delle bottigliate, Will Smith, non mi è affatto dispiaciuto, con tutti i suoi limiti.
Certo, si tratta di un prodotto ad uso e consumo del grande pubblico, patinato all'inverosimile e fastidioso in numerosi passaggi, per nulla innovativo e legato al classico canovaccio della truffa cinematografica che ormai abbiamo imparato a conoscere a menadito anche rispetto all'illusionismo e la magia - da Nolan a Now you see me -, eppure devo ammettere di essere stato intrattenuto a dovere e di aver perfino sentito una certa tensione in almeno un paio di passaggi - su tutti, la sfida con lo scommettitore cinese al Superbowl, notevole nonostante l'utilizzo reiterato dell'abusatissima Sympathy for the devil degli Stones, comunque spiegato con una logica niente male poco dopo -, tanto da non aver patito troppo neppure l'ex simpatico Principe di Bel Air ed aver goduto della notevole presenza di Margot Robbie nonostante resti dell'idea dell'australiano proprietario della scuderia rivale del Garriga di Rodrigo Santoro a proposito del seno non troppo "prepotente", per usare un eufemismo.
Il merito di questa mancata delusione, probabilmente, va assegnato ai registi Glenn Ficarra e John Requa, da queste parti in passato apprezzati per Crazy, stupid love e Il mago della truffa, che seppur alla loro prova meno convincente costruiscono un giocattolo che tutto sommato passa indenne alla visione senza avere speranze di rimanere nella memoria dello spettatore ma, dall'altra parte, senza neppure scomodare le peggiori incazzature da visione: certo, la mediocrità non è mai una buona cosa, e spesso e volentieri anche io preferisco avere materiale più interessante per scrivere che non cercare di arrangiarmi sulla tastiera affrontando il nulla, eppure devo ammettere che, per una serata da relax sul divano una cosetta come Focus funziona perfino quasi bene, ed accompagna l'audience senza richiedere troppo impegno permettendo ai più esperti di riposare i neuroni ed al pubblico occasionale di aver avuto l'impressione di aver assistito ad uno spettacolo più profondo di quanto in realtà non sia.
Una truffa, in parole povere.
Ma per quanto suoni assurdo detto da qualcuno che, considerato il numero di visioni alle spalle, dovrebbe considerare titoli come questo il male assoluto esportato da Hollywood in tutto il mondo, ho finito per farmi fregare volentieri, godendo della cornice prima di New Orleans e dunque di Buenos Aires, due città che mancano alla mia lista di viaggi compiuti ma che prima o poi mi piacerebbe davvero esplorare: mescolando questo ingrediente ad un ritmo tutto sommato sostenuto ed alla presenza della Robbie, il cocktail è risultato senza dubbio annacquato ma comunque dal buon sapore.
Considerate le premesse da zero assoluto che nutrivo in proposito, si può addirittura definire un successo per nulla trascurabile.



MrFord



"Gimme danger, little stranger
and I'll give you a piece
gimme danger, little stranger
and I'll feel your disease
there's nothing in my dreams
just some ugly memories

kiss me like the ocean breeze."
The Stooges - "Gimme danger" -





lunedì 23 marzo 2015

The Drop - Chi è senza colpa

Regia: Michael R. Roskam
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Bob Saginowski è un solitario e timido barman che da anni lavora fianco a fianco con il cugino Marv nel locale una volta di proprietà dello stesso Marv, da anni passato in mano alla mala cecena, sempre pronta ad amministrare i passaggi di denaro legati alle scommesse.
Quando una rapina che pare improvvisata provoca un ammanco di cinquemila dollari ed i boss chiedono conto degli stessi a Marv e Bob, la tranquilla monotonia dei due è sconvolta: e mentre Marv rivela i suoi scheletri nell'armadio, Bob, grazie al ritrovamento di un cucciolo di pitbull picchiato selvaggiamente, stringe un legame con Nadia, senza sapere che un suo ex nonchè padrone del cucciolo, l'instabile Eric Deeds, è disposto a prenderlo di mira spingendolo al limite, ed anche oltre.
Quando i nodi verranno al pettine la notte del Superbowl cosa accadrà ai due gestori del piccolo bar?








Sarebbe davvero una gran cosa se film come The Drop - e caliamo un velo pietoso sull'orrido titolo italiano Chi è senza colpa - uscissero ogni settimana: prodotti tosti, solidi, di pancia, pane e salame come piacciono al sottoscritto, ben scritti ed interpretati, pronti a trasportare lo spettatore in un mondo che, di colpo, pare quasi diventare il suo: del resto, nonostante l'esportazione in terra statunitense non sempre porti bene ai registi promettenti approdati alla corte di Hollywood da ogni parte del mondo, avrei dovuto sospettare che Michael R. Roskam, già autore dell'ottimo Rundskop, non avrebbe fallito, specie se supportato da uno script firmato Dennis Lehane - che molti di voi conosceranno per cose come Gone baby gone o Mystic river - e da un'interpretazione come sempre notevole di Tom Hardy, che passa dall'apparenza minacciosa cui ci ha abituati in passato ad una dimensione quasi dimessa, e dall'accento profondamente inglese di Locke ad uno slang americano invidiabile.
The Drop è un classico film di genere che pesca a piene mani dall'immaginario noir metropolitano, che non inventa nulla di nuovo - sarebbe esagerato definirlo un cult, o un filmone, nonostante mi senta di sostenerlo e mi sia davvero piaciuto dal primo all'ultimo minuto - ma che porta sullo schermo passione e voglia di raccontare, una tensione per dosata - e decisamente notevole in almeno un paio di sequenze - e soprattutto una storia che non fa sconti, legata alla bassa manovalanza del crimine ed ai losers di un mondo che vede giungere in cima alla catena alimentare solo pochi predatori.
In questo senso, è interessante notare i diversi atteggiamenti di Marv e Bob, ex piccoli criminali finiti il primo a rimpiangere i vecchi tempi della propria "grandezza" ed il secondo a tenere un profilo così basso da rischiare di scomparire anche di fronte alle angherie di un bullo senza arte nè parte - ed è stata una piacevole sorpresa ritrovare nella parte dell'irritante ed inquietante Deeds Matthias Shoenaerts, protagonista del già citato Rundskop e dello splendido Un sapore di ruggine e ossa -: il climax della parte finale, che vede i due main charachters tornare in una certa misura al passato, mantiene sul filo quel tanto che basta per ricordare quanto il genere abbia ancora da dare al pubblico, e nel caso di The Drop, quanto a volte un lavoro onesto e solido possa a visione conclusa lasciare sensazioni più forti e ricordi di titoli blasonati ed autoriali privi dello stesso spessore.
Ma il lavoro del regista belga non si limita a raccontare una fosca vicenda criminale: il legame tra Bob e Nadia, mostrato per sottrazione, sottovoce come i suoi protagonisti, evita i clichè della classica storia d'amore e mostra un aspetto profondo e per nulla scontato del corteggiamento e dell'avvicinarsi di due persone abituate ad essere estremamente selvatiche e refrattarie al mondo esterno.
I passi compiuti dai personaggi interpretati da Hardy e Noomi Rapace, simili a quelli che ci permettono di conquistare l'amore e la fiducia di un animale, risultano così credibili da non rendere fastidiosa neppure una chiusura che ha decisamente il sapore della concessione alla grande distribuzione, e che in condizioni normali avrebbe causato uno scivolone dell'intera pellicola proprio al suo apice.
A conti fatti, dunque, e nonostante certo non si tratti di un titolo pronto a raccontare la storia di una vittoria, quanto più di un pareggio risicato, la scommessa di The Drop, da queste parti, è senza dubbio vinta.
E un brindisi all'operato di Roskam e Lehane ci sta come il bicchiere della staffa in un bar fumoso della periferia.



MrFord



"This man so humble, this man so brave.
a legend to many, he fought to his grave.
saved family and friends from the hardship and horror, 
in a land of depression he gave hope for tomorrow."
Dropkick Murphys - "Boys on the docks" - 




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