martedì 31 gennaio 2017

La La Land (Damien Chazelle, USA, 2016, 128')




"Nel West, quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda".
Su questa frase tratta dal meraviglioso L'uomo che uccise Liberty Valance di John Ford ho costruito molta della mia personale mitologia legata alla meraviglia del Cinema, a quel miracolo che, dai tempi di Melies, ha regalato magie a generazioni e generazioni di spettatori in tutto il mondo parlando spesso e volentieri del Graal di quasi tutti coloro che sono mossi da passione: i sogni.
Quei sogni che sono la materia di tutto - impossibile dimenticare Il mistero del falco -, dei quali Hollywood nella golden age dei grandi studios è stata forse il simbolo più splendente.
La Hollywood dei colori sgargianti, degli amori folli e dei musical, simbolo dell'unione tra il Cinema, per l'appunto, e la magia delle sette note: nel corso della mia carriera di spettatore, molti titoli figli di quell'epoca e molti altri appartenenti alla categoria, da West Side Story a Moulin Rouge!, mi sono entrati nel cuore rapendolo come in un ballo travolgente ed appassionato - e tutti quelli che mi conoscono ben sanno che, in quel senso, ho la stessa mobilità di un grizzly uscito cinque minuti prima dal letargo -.
Nel West, si diceva, quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda.
Damien Chazelle, regista del più che discreto - ma in parte sicuramente sopravvalutato - Whiplash, deve ben saperlo, perchè confeziona per due ore piene un pezzo di Cinema strepitoso, dal travolgente piano sequenza in apertura alla mimica facciale tra la provocazione e l'imbarazzo che Ryan Gosling ed Emma Stone raccontano alla perfezione per rendere la storia d'amore dei due protagonisti di una vicenda fotografata, musicata, diretta e montata alla perfezione, che, pur non avendo ancora visionato la maggior parte dei candidati ai prossimi Oscar, sarebbe un'ingiustizia non si portasse a casa quantomeno i premi nelle categorie tecniche.
Ma non si limita a questo: come, infatti, fu qualche stagione fa per il sorprendente The Artist, anche in questo caso un regista attuale rispolvera con mano ispirata ed una capacità che sconfina dall'omaggio e porta ad un nuovo livello il concetto di Classico tutto quello che, sulla carta, poteva apparire ormai morto e sepolto, come il jazz che Sebastian tanto tiene a mostrare per quello che è a Mia, e invece si trasforma in qualcosa che è già esistito eppure ha il sapore di futuro, che forse è più tecnica che non emozione pura - in questo senso, il già citato Moulin Rouge! stravince in quanto a scossoni e lacrime versate - ma travolge e lascia con la sensazione, nonostante l'hype altissimo che lo precedeva, di aver assistito ad uno spettacolo destinato a lasciare il segno ed essere considerato un riferimento dalle generazioni future, magari di quelli che ispireranno qualcosa simile nello spirito a questo tra una trentina d'anni.
Ma si parlava di West, realtà e leggenda.
Perchè la zampata vera sta tutta lì, a prescindere da quanto magica e strabiliante - per quanto mi riguarda, sempre tecnicamente parlando - possa risultare la visione: la zampata delle grandi occasioni, dei grandi film.
Sebastian che siede al piano, sei anni dopo aver conosciuto Mia.
Un gesto, un accordo, un brano, un film, un sogno.
Qualcosa che avrebbe potuto cambiare la sua vita, e quella dell'amata.
Peccato che il West, ed il Cinema, dove la leggenda vince, siano le meraviglie che ogni giorno ci fanno sgranare gli occhi o chiuderli - se si tratta di una canzone - per immaginare quello che potrebbe accadere se fossimo in un film, o nel ritornello del pezzo che più amiamo e ad ogni ascolto ci fa pensare che i sogni possano realizzarsi, e di essere i protagonisti di una di quelle meravigliose cavalcate su pellicola.
Ma la realtà è un'altra cosa.
Anche per Mia e Sebastian.
Nella realtà, che in questo caso coincide con la nostra, non vince la leggenda.
Cosa resta, dunque, oltre ad una manciata di sogni?
Sedere al nostro pianoforte, qualunque esso sia, e ringraziare chi abbiamo amato, amiamo ed ameremo per sempre per aver vissuto quei sogni accanto a noi.
Che si siano realizzati, oppure no.




MrFord




 

lunedì 30 gennaio 2017

Arrival (Denis Villeneuve, USA, 2016, 116')




Con ogni probabilità, in barba a denaro, fama, potere e tutte le altre cose con le quali a molti su questa Terra piace trastullarsi, il bene più prezioso che abbiamo e continueremo ad avere è e resta il Tempo.
Un Tempo che cambia forma e percezione che possiamo avere di Lui, in grado di cristallizzarsi quasi potesse essere messo in pausa o correre più veloce di quanto si possa immaginare anche nel più intenso e potente film di fantascienza.
Ricordo bene, per quanto "basso" possa risultare il riferimento, il verso di una canzone di Max Pezzali - non ricordo quale, onestamente - che dice "a sedici anni un anno dura una vita, poi a trenta sei già lì", ho impressi nella memoria come fossero accaduti oggi il giorno in cui morì mia nonna - la prima perdita che vissi sulla pelle - e quello in scoprimmo che Julez aveva perso la bambina - perchè per noi era ed è così - che aspettava.
Altri ricordi sono sensazioni, immagini, odori, canzoni, quasi parti di sogni.
Sorrido anche al pensiero di quella frase di Rocky V che cito di continuo quando parlo dell'essere padre, quando il buon vecchio Sly dice al proprio figlio sulla scena e nella vita - che, come sappiamo, è morto qualche anno fa - "averti avuto è stato come nascere un'altra volta".
Il Tempo, per l'appunto.
Quello che pensiamo come una linea retta che tende all'infinito, e invece è un grande cerchio, o forse qualcosa che non potremo mai davvero comprendere a fondo.
Un pò come la matematica, o la scienza, che in molti - me compreso, ai tempi in cui la studiai - considerano semplicemente come qualcosa di meccanico e privo di vita e che, al contrario, andrebbe approcciato come una nuova lingua in grado di riprogrammare il nostro cervello e la realtà che abbiamo attorno.
Ecco cos'è, Arrival.
Una nuova lingua da imparare, una parabola che racconta della vita e del Tempo, e di noi: non è un caso che sia tratta da un'opera intitolata proprio "Story of your life".
E proprio in questo senso viene giocata la domanda più importante della pellicola, a prescindere dalla tecnica, dalla narrazione, dalle interpretazioni - in particolare quella dell'ingiustamente ignorata dall'Academy Amy Adams -, dal genere: se tu avessi la possibilità di conoscere tutta la tua vita, cosa faresti?
Personalmente, penso che farei quello che cerco di fare ogni giorno: viverla.
In fondo, se dovessi guardare alla vita in termini di quotidianità, tornerei al concetto di Tempo espresso in linea retta, con un inizio ed una fine certi e tutto quello che è in mezzo da costruire.
Poi, di fronte ai Fordini, mi rendo conto che le regole vengono sovvertite, che tutti i pezzi che la mia memoria si perde vengono colmati dalle loro esperienze, e che soprattutto ora, che sono così piccoli - ma immagino non cambierà anche con gli anni - mi ritrovo ad essere l'alieno che osserva il loro mondo e che dona qualcosa che potranno usare in un Tempo che ancora non si è costruito.
L'arrivo del titolo potrebbe essere proprio questo.
E potrebbe essere anche il fatto che gli eventi traumatici restano impressi a fuoco nella memoria mentre quelli più intensi e felici sfumano per diventare onirici in più di un senso: il dolore prosegue la sua marcia come un treno lanciato a tutta velocità, un attacco militare o una bomba che esplode, mentre il piacere, la gioia, la meraviglia si dilatano uscendo dai confini che quello che conosciamo e viviamo ci impongono.
Anche quando si trovano di fronte il dolore.
In fondo, da genitori doniamo ai nostri figli tutto quello che sappiamo o che possiamo donare, finendo per essere aiutati a nostra volta ad affrontare qualcosa di più grande di tutti, un giorno che speriamo sempre possa essere linearmente molto lontano, ma che, inesorabilmente, arriverà.
Quando è il contrario, allora il Tempo si sconvolge e confonde, crea un apparente conflitto, una frattura che rischia di compromettere tutto.
Ed è allora, che occorre prendersi il tempo per comprendere il Tempo.
E capire che, pur conoscendo quello che sarà della nostra vita, non possiamo fare altro che viverla.
In fondo, è semplice.
Un giorno nasciamo, un giorno moriremo.
Sappiamo già cosa accadrà.
Eppure viviamo.
Perchè solo così il Tempo cambia le sue prospettive, e le nostre.
Come un arrivo.
Come una nascita.



MrFord



 

sabato 28 gennaio 2017

Rocco Schiavone - Stagione 1 (Rai, Italia, 2016)




Nel corso dell'appena trascorso duemilasedici, il Cinema italiano ha vissuto, almeno qui nella blogosfera, una vera e propria rinascita: in particolare, Veloce come il vento, Lo chiamavano Jeeg Robot e Perfetti sconosciuti, hanno conquistato posizioni nelle classifiche di fine anno di molti blog assolutamente di rilievo, segno quantomeno di una ripresa della quale il Cinema nostrano ha bisogno come l'aria.
Peccato che, quasi fossimo tutti stati colti da un'amnesia collettiva, tutti e tre i titoli appena citati non fossero all'altezza di altri ignorati per motivi "radical" come La grande bellezza o di diffusione come Still life, e che al confronto di pellicole simili prodotte oltreoceano o in Europa non possano risultare altro se non discreti.
Lo stesso vale per Rocco Schiavone.
La serie con protagonista un Marco Giallini in grandissimo spolvero, resa senza dubbio cult grazie al suo main charachter, che con le sue rotture di coglioni a diversi livelli pare una versione nostrana di House, è una vera e propria ventata d'aria fresca per quella che è la realtà televisiva - soprattutto Rai - della Terra dei cachi, pronta a regalare episodi ottimi ed un hype importante per la seconda stagione, ma se paragonata a produzioni crime o noir d'oltreoceano, finisce per risultare quantomeno artigianale, lontana dagli standard che hanno portato alla ribalta negli ultimi anni cose come True detective o Fargo.
Con questo non voglio certo negare la goduria molto pane e salame offerta spigolosamente dal Vice Questore Schiavone, pronto a portare sulle sue spalle non solo le già citate rotture di coglioni o donne dalle quali occorrerebbe scappare a gambe levate - e non parlo di sua moglie -, ma anche l'intero impianto narrativo, quanto frenare entusiasmi che potrebbero a loro volta impedire a titoli come questo di spingersi oltre e migliorare in modo da offrire un prodotto di livello sempre più alto, una cosa di cui al momento in Italia necessitiamo come l'aria.
In un certo senso, il prodotto di Michele Soavi è ancora lontano a mio parere dagli standard offerti da Gomorra e The Young Pope, e di molto, ma resta una solida base sulla quale costruire un domani migliore per qualsiasi spettatore televisivo italiano, che si tratti dell'appassionato o dell'occasionale: il potere più grande di un personaggio come Schiavone è proprio questo.
Nello specifico, posso dire di aver amato di più, paradossalmente, episodi quasi autoconclusivi come quello d'apertura, vicini alle atmosfere rustiche dei vecchi Blunotte, che non gli ultimi due, legati a grossi giri di criminalità e vendette personali, ma so anche che non smetterò certo di seguire le indagini di questo insolito tutore dell'ordine pronto a mettere da parte le regole quando qualcosa - che si tratti di coscienza, senso comune o umanità - spinge ad aggirarle.
Con ogni probabilità, se ricoprissi il suo stesso ruolo o svolgessi la stessa professione sarei senza dubbio simile al burbero romano trapiantato ad Aosta, ed avrei gli stessi problemi con l'Autorità, eppure, nonostante tutto, ritrovarmi qui a scrivere di questa serie finisce per essere, almeno in termini di post, una rottura di coglioni di sesto livello.
Leggera, ma presente.
E se il prodotto fosse stato di un altro spessore, probabilmente sarebbe uscito un post fiume sull'onda dell'entusiasmo.
Voglio dunque ripartire da qui.
Un nuovo inizio, come il suo.
Sperando di poter rimanere stupito di quello che mi può riservare.



MrFord



 

venerdì 27 gennaio 2017

Ash VS Evil Dead - Stagione 2 (Starz, USA, 2016)




Se esistesse un prototipo dell'eroe fordiano, senza dubbio Ash Williams sarebbe tra i candidati più forti a ricoprire il ruolo: casinista, beone, sboccato, reso completamente imbecille dal gentil sesso - per usare termini quantomeno decenti -, apparentemente menefreghista ed in realtà una gran bella persona, o quasi, un cowboy moderno pronto dall'alba al tramonto a far saltare teste di zombies e demoni usciti dall'Inferno, a prescindere da quale Inferno sia.
Alle spalle, dunque, l'esaltante prima stagione, i Ford sono tornati una volta ancora accanto ad Ashy Slashy ed ai suoi due, inseparabili, perfetti Pablo e Jessica - due charachters già mitici, resi alla grande dagli sceneggiatori -, questa volta impegnati in un comeback home del Nostro, che dalla Jacksonville in cui si erano tutti trasferiti a seguito dell'accordo con la mezza demone Ruby fanno ritorno nel cuore del Michigan per raddrizzare i torti demoniaci ed affrontare Baal, ex consorte della stessa Ruby nonchè esponente dell'Inferno di Serie A, pronto a dominare menti e sconvolgere la vita dell'allegra brigata protagonista della serie.
In questo senso viene compiuto un passo oltre rispetto alla già citata ed ottima prima stagione, unendo allo splatter ed all'umorismo nerissimo - da queste parti stiamo ancora ridendo per la sequenza della testa nel culo del cadavere posseduto, una vera chicca - anche momenti inquietanti e tesi - l'episodio nel manicomio "rimesso in attività" da Baal - ed altri di pura azione slasher in memoria dei tre, mitici film dedicati all'altrettanto mitico Ash, con un nuovo ritorno nel cottage che fu teatro dei primi massacri a seguito del ritrovamento del Necronomicon, condendo il tutto con un viaggio nel tempo nel pieno degli anni ottanta che è una goduria almeno quanto una mano riconquistata dopo trent'anni.
La cosa più interessante, comunque, oltre all'inossidabile ed irrispettoso Ash ed alla coppia dei suoi giovani aiutanti, resta il marchio di fabbrica ironico coltivato ai tempi d'oro che culminò con L'armata delle tenebre che ormai pare essere parte anche dell'approccio di qualsiasi demone al nostro mondo, perfino nei momenti più sanguinosi e drammatici: lo stesso Baal, nel suo essere inquietante, regala alcuni passaggi all'interno dei quali pare essere a sua volta posseduto dallo spirito sopra le righe di Ash, diventando a sua volta uno stronzo sboccato incapace di contenere i propri istinti.
Ovviamente, purtroppo per lui, nessuno è professionista in materia quando il vecchio Williams, che dopo una serie spassosissima di omaggi alla saga di Star Wars dovrà prepararsi ad affrontare una terza stagione che promette scintille grazie ai cambiamenti operati a Tempo e personaggi ed alle possibilità offerte dal patto siglato nel corso dell'ultimo episodio: poco importa, comunque.
Considerato quanto forte sono andate queste prime due annate - divorate entrambe a ritmi forsennati, grazie anche al minutaggio in stile Californication degli episodi -, il divertimento garantito, i personaggi più che azzeccati e lo stile - se così si può chiamare - di Ash, non posso dire altro se non che attendo con trepidazione la terza, anche se questo volesse dire turbare la tranquillità guadagnata un colpo di boomstick e di motosega dopo l'altro dal suo main charachter e scatenare su questa palla di fango una nuova pioggia di merda orchestrata dai demoni.
Del resto, non esiste ombrello più grande di quello che può metterci Ash Williams.



MrFord



 

giovedì 26 gennaio 2017

Thursday's child



E' ufficialmente iniziata la marcia di avvicinamento ad uno degli eventi cinematografici più attesi dell'anno, la Notte degli Oscar.
Questa settimana, accanto ad uscite potenzialmente pessime ed altre potenzialmente interessanti, arriverà il sala il film che ha fatto sensazione prima a Venezia, dunque ai Globes e per finire con le nominations, raccogliendone tante quante ne raccolsero Titanic ed Eva contro Eva: riuscirà La la land a soddisfare le aspettative?
E soprattutto, come accoglieranno il film i due antagonisti numero uno della blogosfera, il sottoscritto MrFord e Cannibal Kid?


"Come mi sono ridotto così? Ho guardato una selezione di film consigliati da Cannibal!"
La La Land

"Sai, Ryan, quel Ford dice sempre cose così sagge che mi sa che il prossimo film lo girerò con lui."

Cannibal dice: La La Land è davvero così bello come si dice in giro e merita tutti i premi e le nomination che sta ottenendo?
Lo scopriremo solo... ballando e cantando. E leggendo le recensioni di Fo Fo Ford e soprattutto Ki Ki Kid.
Ford dice: il film sensazione di questo inizio anno arriva in sala, incensato praticamente in ogni dove e forte di un gran bel trailer che mi ha ricordato Moulin Rouge!, seppur con una cornice completamente diversa.

Chissà cosa accadrà quando passerà dalle parti dei due antagonisti numero uno della blogosfera?
Solo il tempo lo lo dirà.







Split

"Accidenti! Quel Ford è anche più vecchio di me!"
Cannibal dice: Nella settimana di La La Land, zitto zitto ecco che ritorna ancora una volta M. Night Shyamalan, regista in crisi tornato in buona forma (almeno secondo me) con il brillante mockumentary The Visit. E con questo thriller con James McAvoy alle prese con molte personalità differenti mi sa che ne vedremo ancora più delle belle. Alla faccia di quelli come Ford che davano lo Shyamalan già bollito, quando invece se c'è qualcuno di bollito è proprio lui.
Ford dice: il boriosissimo Shambalà è ormai da anni in caduta libera, nonostante il pur non eccelso The visit sia risultato essere un passo avanti rispetto alle schifezze cui ormai mi ero abituato.
Questo Split, che è riuscito perfino a raccogliere qualche insospettabile recensione positiva, potrebbe essere un ritorno ai fasti degli esordi oppure l'ennesimo clamoroso fiasco.
Io, nel frattempo,splitto felicemente da Cannibal.







Proprio lui?

"Il look fordiano va proprio forte, vero?" "Assolutamente, James. Gli hai copiato anche il nome, dì la verità!"

Cannibal dice: Commedia famigliare/romantica che propone il classico scontro tra un padre e il fidanzato della figlia, potrebbe essere una delle cose più divertenti di questo inizio 2017. Dopo Ford che si autoproclama il più grande esperto di cinema nel mondo, naturalmente.
Ford dice: commediola che non dice nulla di nuovo e che pare la copia riciclata di Ti presento i miei. C'è da dire, però, che lo scorso anno pensai lo stesso di Nonno scatenato, che invece mi divertì parecchio.
Staremo a vedere.

 

Fallen

"Mi sa che Cannibal ha fatto incazzare Ford un'altra volta!"

Cannibal dice: Un nuovo young adult dalle tinte gotiche?
Potrebbe rivelarsi una schifezza fordiana come la saga di Twilight, oppure una sana e bella cannibalata adolescenziale come si deve. In ogni caso, tutti i bimbiminkia4life come me non potranno fare a meno di dargli un'occhiata.
Ford dice: young adult? Potenziale teenata? Roba per quel pusillanime del mio rivale!

 

Riparare i viventi

"Noi te l'avevamo detto, figliolo: non andare da Ford a dire che sei un fan di Pensieri Cannibali!"

Cannibal dice: Un film francese drammatico dalle tinte vagamente paranormali, che dal trailer mi ha ricordato Les Revenants (la prima splendida stagione, non la soporifera seconda) e che potrebbe essere la cannibalata più bella della settimana. La La Land permettendo...
Ford dice: versione radical di cannibalata che mi risparmierei anche, ma che se non altro ha dalla sua il fatto di incuriosire. Dovessi riuscire a vederlo, quantomeno potrebbe risultare una bella occasione per stronzare l'ennesimo film potenzialmente esaltato dal mio rivale.

 


Les ogres

"Signore e signori, accorrete ad assistere allo spettacolo più spaventoso del mondo: un Ford libero fuori dalla gabbia!"

Cannibal dice: Altra pellicola francese ad alto potenziale di radical-chicchismo, e che quindi difficilmente mi perderò, che però possiede anche una componente “zingaresca” che potrebbe attrarre persino quel selvaggio di Ford. A sorpresa, il film meno pubblicizzato della settimana potrebbe anche essere l'unico a mettere d'accordo i due blogger più rivali dell'Internet.
Ford dice: rimaniamo in territorio francese e radical, dunque decisamente più congeniale a Peppa Kid, eppure c'è qualcosa in quest'ultima proposta che potrebbe trasformare la stessa nella sorpresa della settimana.
Posso solo che ben sperare. E che gli orchi divorino Cannibal gustandoselo fino all'ultimo pezzetto.




martedì 24 gennaio 2017

Westworld - Dove tutto è concesso - Stagione 1 (HBO, USA, 2016)




In un posto ribattezzato Saloon come questo, è praticamente ovvio che un Western, vero o presunto che sia, partirà sempre da una corsia preferenziale.
E' altrettanto ovvio che, se fossi nella realtà di Westworld ed avessi il denaro per permettermelo, praticamente vivrei in un parco come quello mostrato da una delle serie più osannate della fine del duemilasedici, all'interno del quale si ha l'occasione di fare esperienza sulla pelle del vecchio West, dalle cittadine polverose ai confini infestati da selvaggi e soldati allo sbando, dai grandi spazi e dalla bellezza della Natura alla sconvolgente violenza tutta umana.
Jonathan Nolan, fratello del più noto Christopher ed ottimo sceneggiatore, autore di cult totali per il sottoscritto come The prestige o Inception, allo stesso modo da queste parti avrà sempre un giro offerto dalla casa.
Tecnicamente, inoltre, Westworld rappresenta senza dubbio una delle più impressionanti dimostrazioni che il piccolo schermo, ormai, non ha davvero più nulla da invidiare al grande.
Senza contare le recensioni entusiastiche di quello che è stato senza dubbio uno dei titoli sensazione dell'anno appena concluso.
Eppure.
Eppure, nel perfetto mondo costruito da Robert Ford - guarda caso - e dal suo defunto socio Arnold, qualcosa non torna.
E non torna neppure nella creatura apparentemente perfetta portata in scena da Jonathan Nolan e soci.
Nel corso delle dieci puntate di questa prima stagione, più volte - specialmente confrontandomi con Julez - ho pensato a cosa potesse non andare, in un prodotto che pare confezionato apposta per me: ho pensato alla troppa carne al fuoco, ai twist che possono lasciare a bocca aperta ma, quando cominciano a diventare troppi, possono addirittura produrre un effetto opposto e dunque negativo, al "tutto e contrario di tutto" che una storia di questo tipo permette ai suoi autori, quasi fosse troppo facile poter montare e smontare la sua intera impalcatura, come se fosse una costola del già citato Inception o un bel trucco da illusionisti che non nasconde nulla.
Ho pensato a tante cose, dal macroscopico al microscopico, da quello che potrebbe rivelare la seconda stagione a quello che non sarà mai in grado di svelare, perchè di fatto non esiste.
Ma la risposta, forse, è una sola: a Westworld, almeno fino ad ora, è mancata la scintilla.
La stessa che permette allo spettatore di innamorarsi perdutamente di un charachter, buono o cattivo o nessuno dei due che sia, che induca a consumare gli episodi come fossero bicchieri buttati giù troppo in fretta una sera in cui si ha una voglia incontenibile di sbronzarsi, che produca una sorta di dipendenza, invece che far soffermare l'audience sull'utilizzo intelligentissimo di noti brani musicali cult riarrangiati dal pianoforte automatico del Saloon di Sweetwater.
Westworld è un parco divertimenti, una magia dei suoi creatori, una meraviglia, eppure un clamoroso, riuscitissimo involucro vuoto, quasi come se il più riuscito dei suoi residenti non riuscisse mai ad avere un'epifania, una "ricordanza" in grado di portarlo ad un altro livello di coscienza.
E per un cowboy pane e salame come il sottoscritto, un West senza quella scintilla è come una pasta senza i fagioli dello stesso West che mi ha fatto innamorare del Cinema.
Quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda.
Una regola che ha sempre valso, lungo la Frontiera, da John Ford in avanti.
Ma che, almeno finora, a Westworld pare non valere.
E non è affatto un bene.




MrFord




lunedì 23 gennaio 2017

Face/Off - Due facce di un assassino (John Woo, USA, 1997, 138')




Questo post partecipa orgogliosamente indossando un parrucchino assurdo alle celebrazioni per il Nicholas Cage Day.




Quasi mi dispiace di aver utilizzato un supercult anni novanta - e sapete bene quanto sia problematico il mio rapporto con i nineties - come ripiego per questo Nicholas Cage Day organizzato dalla ciurma di F.I.C.A.: in realtà, approfittando dell'occasione, avrei voluto recuperare uno dei film più importanti della carriera del Gabbia - Via da Las Vegas, che gli portò l'Oscar - colpevolmente ancora mai passato sugli schermi del Saloon, ma per questioni organizzative e di tempo ho dovuto ancora una volta rimandare l'appuntamento con la Città del peccato e rispolverare, in un pomeriggio da solo con la Fordina, che più passa il tempo e più, rispetto a suo fratello, sembra una vera e propria bestia selvaggia - la sala, al termine della visione, pareva un vero e proprio campo di battaglia tra libri e giochi sparsi in ogni dove -, uno degli esperimenti più riusciti della carriera di un Maestro dell'action come John Woo, al servizio di una doppia grande interpretazione del Nicolone - ovviamente - e di John Travolta, entrambi talmente sopra le righe da fare spavento eppure efficaci come non mai.
Ammetto che, rivedendolo per la prima volta dopo qualche anno, l'impressione che sia un pò invecchiato ha fatto capolino a tratti, eppure Face/Off rappresenta ancora oggi l'esempio perfetto di unione quasi da fantascienza tra action tamarro e sguaiato e film d'autore, grazie ad un comparto tecnico perfetto al servizio di una vicenda totalmente implausibile ma in grado di reggere la tensione ed il ritmo - pazzeschi entrambi - dall'inizio alla fine, regalando uno dei charachters più strabilianti mai interpretati dal Nicolone, Castor Troy, che dal mitico "Mi piace mangiare la patata" agli occhi sgranati delle grandi occasioni è e resta indimenticabile non solo per i fan del Nostro, ma anche per chiunque apprezzi il classico cattivo senza ritegno di questo genere di produzioni.
Come se non bastasse - e, ricordiamolo, vale lo stesso discorso per Travolta - la doppia parte permette a Cage di sfoderare anche il suo lato romantico/patetico prepotentemente come poche altre volte nel corso della carriera, e senza dubbio in questo caso funzionale al personaggio, per l'appunto doppio: la rivalità tra Archer e Troy, che riesce ad essere intensa quasi quanto quella tra il sottoscritto e Cannibal Kid, fa da ossatura ad un film che è un vero e proprio caposaldo del genere, ed uno dei pochi action che, negli anni, sono riusciti a convincere perfino la critica "dura e pura".
Dai "bullet time" che anticiparono i tempi alle riflessioni sul tema del doppio e su quello che accadrebbe se fossimo costretti a vestire i panni del nostro peggior nemico, passando attraverso molti dei grandi nodi narrativi del poliziesco, Face/Off è un film nel suo ambito quasi perfetto, che potrà cominciare ad apparire datato agli spettatori attuali ma che è senza alcun dubbio una bomba pronta ad esplodere, un rollercoaster dal quale non si scende fino ai titoli di coda, e che permette di cedere al fascino del bad guy da parte di chi è sempre stato il buono per antonomasia - la rissa in carcere - così come a quello del bravo ragazzo per chi, al contrario, è sempre stato uno stronzo maiuscolo - il trattamento allo spasimante della "figlia" -: in un giorno di celebrazioni come questo, non mi sento troppo a disagio nell'affermare che si tratta senza ombra di dubbio di uno dei successi maggiori di Nicola Gabbia, in uno dei ruoli che più hanno calzato sulla sua capacità interpretativa da occhio sbarrato e movenze nervose ed apparentemente scomposte, un misto tra un cane maledetto ed un veterano della cocaina.
Chiunque pensi che l'action sia morta con gli anni ottanta o, ancora peggio, che viva in molti dei prodotti spompati che girano in sala di questi tempi - si veda il recente terzo capitolo dell'inutile XxX -, dovrebbe farsi un giro con i signori Archer e Troy per assaporare il vero brivido di un genere da sempre troppo sottovalutato ed in grado come pochi altri di esaltare a dismisura lo spettatore.




MrFord



 




Partecipano orgogliosamente indossando il parruccone con me anche:
Il Bollalmanacco 
Director's Cult
Non c'è paragone
Pietro Saba's World
In Central Perk 
Una mela al gusto pesce
Cooking Movies

domenica 22 gennaio 2017

House of cards - Stagione 2 (Netflix, USA, 2014)




Nonostante il clamoroso ritardo con il quale - cosa non nuova, del resto - qui al Saloon abbiamo approcciato una delle serie più incensate del passato recente, mi pareva di aver intuito le grandi potenzialità di House of cards nonostante l'argomento politica non fosse certo tra i primi della lista dei Ford: prima di tutto la presenza di due protagonisti come Kevin Spacey e Robin Wright - che mostrano un'alchimia pazzesca -, dunque un impianto che strizza l'occhio al Metacinema così come a Shakespeare, ed ancora uno sguardo disilluso e spietato sui meccanismi che regolano i corridoi del potere della più grande democrazia del mondo - almeno sulla carta -.
E, lo ammetto in tutta tranquillità, con le prime due stagioni House of cards non ha fatto altro che consolidare l'aura che la precedeva.
Se, però, la prima annata prevedeva quasi un posizionamento dei pezzi sulla scacchiera di Francis Underwood, la seconda compie un passo oltre, portando il deputato divenuto Vicepresidente a rischiare sempre il più possibile riuscendo al contempo a calcolare - sostenuto anche da una metà alla sua altezza, se non addirittura più diabolica - quali saranno le pedine sacrificabili e quali altre finiranno letteralmente mangiate dalla sua fame mascherata da melliflua mansuetudine.
Eppure, nonostante le parole spese, o le descrizioni, niente potrà rendere l'incedere silenzioso degli Underwood nei corridoi della Casa Bianca quanto la visione delle loro macchinazioni, l'audacia di alcune proposte ed alcuni rischi, la capacità di rimanere sempre credibili anche di fronte alle più spudorate menzogne, o a crimini veri e propri - ricordo che fece scalpore, all'epoca, l'uccisione di uno dei personaggi cardine della prima stagione -: e dall'episodio legato alla ricostruzione della battaglia della Guerra di Secessione fino al season finale, passando attraverso una serie di confronti tesissimi anche quando, da buoni politici, si parla al condizionale e di quello che non si dice, questo secondo giro di giostra è l'equivalente di un rollercoaster che, in tempi di insediamenti presidenziali come questi, finisce per risultare più che attuale.
Ai contenuti drammaturgici, poi, si aggiungono quelli attoriali - anche i caratteristi funzionano alla grande - e tecnici - del resto, quando in scuderia compaiono nomi come quello di James Foley, la qualità è assicurata -, pronti a rendere House of cards uno di quei titoli da piccolo schermo degni del grande, ed imperdibili perfino per chi mastica o si interessa poco degli intrighi - e ci sono, enfatizzati o no da sceneggiature e script - che hanno costruito, costruiscono e costruiranno le fondamenta di qualsiasi percorso politico a qualsiasi latitudine ed in qualsiasi epoca.




MrFord





sabato 21 gennaio 2017

Passengers (Morten Tyldum, USA, 2016, 116')




Per molti versi, la fantascienza al Cinema è un cliente anche peggiore dell'horror, considerato lo zoccolo duro dei suoi fan: se, infatti, in materia di mostri e paura tutto quello che serve è conservare una certa coerenza logica, per quanto riguarda il mondo sci-fi entrano in gioco fattori come la veridicità scientifica o presunta tale - ho sempre storto e non poco il naso a fronte delle critiche da professoroni, in fondo si tratta di storie di fantasia nate per l'intrattenimento, non di libri di testo - ed un certo background nerd che vede il romanticismo come fumo negli occhi a meno che non si tratti di qualcosa destinato a finire non troppo bene - Blade Runner - o a diventare in qualche modo mitico - Star Wars -.
La sfida di Passengers, diretto dal Morten Tyldum salito agli onori delle cronache hollywoodiane con il recente The imitation game, si presentava dunque piuttosto ardua, considerato che, a conti fatti, si tratta di una versione romcom drammatica dello splendido Moon, con due protagonisti - quasi tre, o quasi quattro - pronti a passare dall'idillio da isola deserta all'odio, per poi confrontarsi con il consueto rischio per la vita necessario non solo per giustificare il finale e le loro scelte ma anche per portare a casa la pagnotta, considerato che parliamo di un prodotto profondamente mainstream, la cui produzione, per evitare di mettersi proprio nella merda, si affida a due colpi sicuri pronti ad ipnotizzare il pubblico maschile e femminile, Chris Pratt e Jennifer Lawrence - che sinceramente penso qualunque uomo solo con novant'anni da passare a bordo di un'astronave in viaggio avrebbe svegliato nella speranza di poter trascorrere gli stessi molto, molto felicemente - nonostante, a conti fatti, quello destinato ad uscire meglio, in termini attoriali, dalla prova, è senza dubbio l'ottimo Michael Sheen in versione robotica, che in quanto barman era naturalmente destinato ad essere il mio preferito.
Nel complesso, comunque, Passengers non risulta particolarmente brutto, si lascia guardare ed è perfino scorrevole, nonostante rappresenti la pellicola ammeregana tipicamente massacrata dalla critica illustre, radical o europea, poco avvezza ai drammoni - specie se sentimentali - dal potenziale lieto fine a prescindere dalla salsa usata per cucinarli: io stesso, che sono un tamarro a stelle e strisce fatto e finito, me la sono schiaffata senza colpo ferire dall'inizio alla fine pur riconoscendone limiti e struttura piuttosto prevedibili, sperando in un colpo di scena che non è mai arrivato senza però uscire deluso o infastidito dalla visione.
Il lavoro di Tyldum è il menù a botta sicura del fast food in una serata in cui il vostro ristorante preferito ha dovuto tenere chiuso per l'esplosione della caldaia o la cantina allagata, o la pizza a domicilio tornati dal lavoro distrutti e per nulla desiderosi di mettersi ai fornelli: nessun piatto gourmet, o qualcosa destinato alle stelle Michelin, ma quanto basta per riempirsi la pancia e dormire di piombo.
Approcciare al viaggio dei due esuli protagonisti con questo spirito vi porterà ad una visione come tante altre per nulla dannosa e perfetta per riempire una serata senza troppe pretese, ma se al contrario farete l'errore di imbarcarvi sulla Avalon pensando di incontrare la nuova frontiera della sci-fi del Nuovo Millennio, allora con ogni probabilità vi parrà di essere a bordo di un Titanic interstellare sperando che giunga il più presto possibile il più grande degli iceberg galattici.
Alla peggio, per scacciare qualsiasi pensiero, almeno nella versione percepita dal sottoscritto, verrà sempre buona J-Law, accompagnata magari da un cocktail o due neanche volessimo fare uno sgarro al Kubrick di Shining.




MrFord



venerdì 20 gennaio 2017

Allied - Un'ombra nascosta (Robert Zemeckis, UK/USA, 2016, 124')




Ogni volta che incrocio il cammino con produzioni come Allied rimpiango - e non poco - i tempi del Bullettin, quando mi bastavano quattro o cinque righe per chiudere la recensione.
Devo ammettere, giusto per non apparire prevenuto, che, nel caso dell'ultimo lavoro di Zemeckis, pensavo di restare molto, molto più deluso: in fondo, questo Un'ombra nascosta - consueto ed inutile adattamento italiano - è a conti fatti un film innocuo che non aggiunge nulla alla storia di uno spettatore navigato quanto di uno casuale ed alle prime armi, incapace di fare davvero incazzare, e neppure così terribile da annoiare.
Ma resta il fatto che, perizie tecniche a parte, il pensiero che ha accompagnato la visione dal primo all'ultimo fotogramma è stato uno ed uno soltanto: se qualcuno come Hitchcock avesse avuto la possibilità di lavorare a sceneggiatura e regia, incattivendo il finale e lasciando la sua firma, Allied avrebbe avuto tutte le carte in regola per poter diventare un grande film, complici temi importanti e profondi come l'amore, il matrimonio, il legame con un'altra persona cui affidiamo la vita e dalla quale per molti versi, da esseri umani, dipendiamo pur non conoscendone i segreti più profondi.
A fronte di tutto questo è senza dubbio molto triste il fatto che, per quasi tutta la durata della pellicola, il mio pensiero principale sia stato quello che, per la prima volta - e forse complice un look sempre precisino e poco wild -, mi è parso di notare davvero il fatto che anche Brad Pitt - con Tom Cruise e Johnny Depp una delle icone della mia generazione - stia cominciando davvero ad invecchiare: un'aggravante senza dubbio per quello che dovrebbe essere un titolo profondamente drammatico - seppur non coraggioso fino alla fine, da buon, vecchio film USA - e carico di tensione, che avrebbe il dovere di vivere sul dubbio istillato nello spettatore e non sulle osservazioni legate alla pelle in lento rilascio sul collo del protagonista, sex symbol di almeno un paio di generazioni di spettatrici.
In un certo senso, Allied rappresenta il prototipo del film manifesto di una mancanza di idee e stimoli che induce l'autore di turno a rispolverare l'atmosfera di un grande periodo ormai passato - in questo caso, l'epoca d'oro degli Studios - fallendo nel suo intendo proprio a causa delle basi poco solide del progetto: niente di particolarmente brutto, quanto più che altro qualcosa di ininfluente ed a suo modo molto noioso.
E purtroppo, non parlo di noia in termini di rottura di coglioni di vario livello, quanto di incapacità di sorprendere davvero, portando in scena un prodotto che pare un manichino senza vita, un pò come la protagonista femminile, una Marion Cotillard per la quale appaiono lontanissimi i tempi di Un sapore di ruggine ed ossa ed essersi adagiata su una bellezza che, conviene cominci ad abituarsi, il Tempo - e già si comincia a notare - non lascerà intatta.
In un certo senso, l'unica speranza di godere davvero del risultato di produzioni come questa, è di non aver masticato nulla di Cinema, in modo da rimanere sul filo nell'attesa di scoprire la risoluzione della trama ed immaginare cosa accadrebbe se qualcuno vi dicesse che la vostra amata - o amato - è una spia che dovete, in caso di conferma del sospetto, giustiziare: nel mio caso, ho immaginato un finale ben peggiore di quello che Zemeckis ha portato sullo schermo.
E che, ai miei occhi, non è parso neppure il difetto più grande di un film senza vizi di forma ma privo di qualsiasi idea.




MrFord






giovedì 19 gennaio 2017

Thursday's child



Nuova, attesissima (?) puntata della rubrica più seguita (?) della blogosfera legata alle uscite in sala ed ai titoli che attendono tutti i cinefili e non in quella che comincia ad essere la marcia di avvicinamento all'assegnazione degli Oscar di quest'anno - le candidature verranno annunciate tra poco più di una settimana -: titoli molto attesi ed altri decisamente meno verranno qui sotto commentati con il consueto piglio pane e salame ma molto professionale dal sottoscritto e controcommentati con il consueto piglio radical e decisamente amatoriale dal mio rivale di sempre, Cannibal Kid.



"Se non mi alleno come si deve, Ford continuerà a preferire The Rock a me."

Arrival

"Meglio essere chiari, con quell'alieno di Cannibal."

Cannibal dice: Il nuovo film di Denis Villeneuve con Amy Adams sembra possa essere un lavoro che segna un cambio di rotta all'interno dello statico (e pure stitico) cinema di fantascienza contemporaneo. Un po' come l'arrival di Cannibal Kid all'interno della blogosfera. Sarà davvero così o sarà il solito film fordiano tutto fumo e niente arrosto e a volte nemmeno fumo?
Ford dice: Denis Villeneuve è uno dei pochissimi registi in grado di mettere d'accordo quasi sempre perfino i due nemici per eccellenza della blogosfera, l'esploratore Ford e l'alieno Cannibal. Riuscirà anche in questo caso?
Io spero semplicemente tenga fede alle ottime recensioni che l'hanno preceduto.

 

xXx – Il ritorno di Xander Cage

"Il missile è puntato dritto su Casale: attendo l'ok presidenziale di Ford per fare fuoco."

Cannibal dice: Sarà la fordianata della settimana e forse dell'anno?
E pensare che la saga di Fast and Furious a Ford l'ho consigliata io, se no lui Vin Diesel manco sapeva ancora chi fosse...
Essendo però xXx una serie action di (relativa) nuova generazione, può anche darsi che questo filmazzo tutto muscoli e niente cervello per una volta potrebbe gasare più me di lui, who knows?
Ford dice: xXx mi è sempre parso una gran cagata, quelle robe da Nuovo Millennio che vorrebbero imitare i film tamarri anni ottanta senza riuscirci neanche per sbaglio.
Dunque, non mi avvicinerò neanche per sbaglio a questo terzo capitolo del franchise.
Neanche l'avesse consigliato Cannibal.

 

L'ora legale

"La coppia dell'anno siamo noi, altro che Ford e Cannibal!"

Cannibal dice: Il nuovo film di Ficarra e Picone è una commedia di impegno civile. Devo aggiungere altro?
Non per fare lo snob, visto che ad esempio mi gusterei volentieri una nuova pellicola con Checco Zalone, ma questi due non li sopporto proprio e non guardarei un loro lavoro nemmeno se Ford promettesse di lasciare il mondo dei blog (o il mondo in generale) per sempre.
Ford dice: triste, tristissimo esempio di "Cinema" italiano impestato da comici riciclati dalla tv che riesce ad evocare il fantasma dei miei anni da radical chic.
Non lo consiglierei neppure al mio peggio nemico. O al mio peggio Cannibal. Che poi sono la stessa cosa.

 

Qua la zampa!

"Per favore, insegnami a parlare con Ford!"

Cannibal dice: Oh, mio Dio! Una commedia buonista dalle tinte paranormali con un cane doppiato da Gerry Scotti???
E io ingenuo che pensavo che peggio di White Russian non ci fosse nulla...
Ford dice: faccio finta di trovarmi in un incubo all'interno del quale sono perseguitato da Cannibal vestito da Cappellaio Matto che replica la danza di Johnny Depp in Alice in Wonderland.
Sarà sicuramente meglio che guardare questa roba.

 

Il ragno rosso

"Un tuffo nel buon Cinema? Solo su White Russian!"

Cannibal dice: Un thriller ambientato negli anni '60 co-prodotto da Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca che sembra proprio una di quelle fredde visioni dell'Est perfette per l'autore di quel glaciale blog che risponde al nome di White Russian. Io glacialmente passo.
Ford dice: in una settimana piuttosto insapore, ecco quella che potrebbe essere una sorpresa.
Sempre che non si riveli una cannibalata radical chiccata.


Dopo l'amore

"Forza, tutti di corsa ad imitare i Ford!"

Cannibal dice: Dramma borghese co-prodotto da Francia e Belgio che rischia di essere troppo radical-chic persino per me. Probabile che finirò per vederlo comunque, però in questa strana settimana non so bene perché mi ispira più l'azione a neuroni zero di Xander Cage rispetto a questa potenzialmente pesante visione.
Ford dice: penso di aver terminato le scorte di potenziale radicalchicchismo con Il ragno rosso. Questo lo lascio volentieri a Cannibal, così che possa millantare ancora una volta di conoscere ed amare solo il Cinema che conta.

 

Il mondo magico

"Accendo un cero per Cannibal. Anche se mi sa tanto che neanche dio può farci più molto."

Cannibal dice: Un film di Raffaele Schettino, da non confondere con Francesco Schettino, il James Ford dei mari. Spero solo che con la sua pellicola combini meno guai rispetto al suo quasi omonimo.
Ford dice: il nome Schettino mi provoca quasi più brividi di Goi. Così come questo film rischia di spaventarmi quanto non sarà mai in grado di fare Peppa Kid con il suo piglio da liceale fuori tempo massimo.

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