Speravo di godermi una tamarrata senza ritegno.
Non pensavo mi sarei trovato di fronte alla versione poraccia e da sabato pomeriggio su Italia Uno nel giorno del Gran Premio o della partita di calcio di turno degli Avengers.
Per di più, prodotta e confezionata in Russia.
Neanche fossimo tornati ai tempi della Guerra Fredda.
E se neppure un tamarro come me riesce a promuovere questa roba che pare lo Sharknado dei supereroi, è difficile che ci siano speranze.
Praticamente potrei dire di aver aspettato questo tamarro ed ignorantissimo reboot di Baywatch - storica serie che fu uno dei simboli delle generazioni che vissero gli anni novanta - quanto ogni anno, già dal pieno dell'inverno, aspetto l'estate per godermi il sole, il caldo, le canottiere, la luce fino a tardi e via discorrendo: del resto, quando mai sarebbe ricapitata una pellicola con lo stesso sapore di cose come Nonno scatenato o lo Starsky e Hutch con Stiller e Wilson di una decina d'anni fa con Dwayne "The Rock" Johnson come protagonista, spalleggiato da ragazze con tutti gli argomenti al loro posto come Alexandra Daddario e Kelly Rohrbach?
E devo ammettere che il pubblico e la critica americani e non solo ce l'hanno messa davvero tutta, per cercare di smontare l'hype alle stelle che coltivavo, stroncando il lavoro di Seth Gordon come la peggiore delle merde - e vi assicuro, nel duemiladiciassette ho visto cose decisamente più orribili di questa, artisticamente parlando - e soprattutto consegnando ad attori, produzione e regista un flop piuttosto pesante al botteghino, cosa davvero inspiegabile sempre considerato, al contrario, il successo di schifezze atomiche uscite nel corso degli anni.
Ma andiamo oltre.
Secondo me dietro a pareri così negativi il problema non è dato tanto dalla pellicola, quanto dall'approccio di chi la guarda, una specie di "fenomeno McDonald's" cinematografico: quando vado in un fast food, tendenzialmente lo faccio perchè voglio riempirmi come un porco di schifezze, e non pensare di ritrovarmi di fronte un piatto da ristorante stellato, un pò come quando, nel corso di un allenamento o nel pieno della stagione estiva della mente e del cuore più leggeri, preferisco ascoltarmi Despacito piuttosto che qualche pezzone strappacuore di Tom Waits o chi per lui.
E Baywatch è questo, puro e semplice.
E' il Despacito del Cinema, sopra le righe, sguaiato, tamarro all'inverosimile, ma anche guascone e simpatico, pronto a prendersi per il culo e ad uscire dal seminato sfruttando perfino qualche colpo da metacinema - dal riferimento ad High School Musical indirizzato a Zach Efron ai ralenti, passando per l'apparizione assolutamente geniale di David Hasselhoff, star della serie originale e personaggio cultissimo per almeno due o tre generazioni di spettatori del piccolo schermo -, pronto a soddisfare l'occhio del pubblico sia maschile che femminile, a scorrere senza danno e con leggerezza, a strappare qualche sana risata di pancia - ma non aspettatevi battute "alte" - e chiudere come si conviene ad un popcorn movie da estate piena e desiderio di un cocktail gelato, il rumore delle onde e qualche bella signorina a farvi compagnia.
Sinceramente, non potrei chiedere di più, ad una produzione che fa dell'ignoranza il suo punto forte, il suo vanto, l'arma perfetta per scardinare le difese dello spettatore nel momento in cui i suoi neuroni necessitano di una bella serata da libera uscita: dunque, ben vengano Baywatch, il suo sequel - che, considerati gli incassi, dubito verrà prodotto purtroppo -, le tamarrate, i muscoli tiratissimi del buon Dwayne e di Zac Efron e le tette in perenne movimento della Daddario e della Rohrbach, con il vento nei capelli e l'oceano ad incorniciare il tutto.
Questa è l'estate. E, con buona pace di tutti gli snob, anche questo è a suo modo Cinema.
Nuova settimana in preparazione dell'estate e nuove, attesissime tamarrate da Cinema all'aperto pronte ad esaltare - si spera - il sottoscritto ed irritare - si spera altrettanto - il suo compare di rubrica Cannibal Kid.
Riusciranno i nostri "eroi" almeno per la stagione più calda a tornare rivali come si deve?
"Sai, figliolo? Voglio diventare un padre modello proprio come Ford!"
La mummia
"Ford dev'essere mio: dovrò levare di torno quel Cannibal Kid."
Cannibal dice:Ooh, finalmente hanno fatto un film su Mr. Ford: La mummia, uahahah!
A
provare a sconfiggerlo ci proverà Tom Cruise, attore capace in genere
di mettere d'accordo sia me che il mio mummificato blogger rivale, e che
vale sempre una visione. Anche se qui si muove su territori decisamente
più fordiani che cannibali.
Ford dice:fordianata
totale arricchita dalla presenza del mitico Tom Cruise, che è così
mitico da riuscire di norma a mettere d'accordo perfino me e Cannibal,
anche se negli ultimi mesi non è che sia stato uno sforzo così
clamoroso.
Speriamo, in questo caso, che torni a dividerci.
Quando un padre
"Certo che quel Marco Goi ne scrive, di stronzate!"
Cannibal dice:Il
secondo film della settimana tutto dedicato all'autoproclamatosi papà
migliore del mondo Ford, in questo caso un melodrammone strappalacrime
con Gerard Butler?
Adesso però basta fare film sul mediocre autore di White Russian!
Ford dice:film
che puzza di retorica lontano un miglio, ma che potrebbe, date le
tematiche, diventare la fordianata della settimana, alla facciazza di
Cannibal e di tutti i suoi pregiudizi. Vai Gerardone!
Sognare è vivere
"E' incredibile: Cannibal è riuscito a seguirmi anche qui. Scatterà la denuncia per stalking."
Cannibal dice:Esordio
alla regia di una delle mie attrici preferite, Natalie Portman. Chissà
perché ho però la sensazione che questo suo film possa essere uno di
quei mattoni impegnati e pretenziosi che potrei demolire senza stare
troppo a usare i guanti nei confronti della regista debuttante. D'altra
parte non mi piace usare le maniere gentili, anche verso i miei idoli.
Figuriamoci uno come Ford come lo posso trattare...
Ford dice:film
che non ho alcuna voglia di vedere ma che mi gusterei per il piacere di
demolirlo, considerato che probabilmente si tratterà di uno di quei
presunti Capolavoroni che piacciono solo ai radical come Peppa.
Vedremo se il desiderio di bottigliate supererà quello di autoconservazione.
Sieranevada
"Quello stronzo di Ford è riuscito a tamponarmi anche da fermo. Ritirategli la patente!"
Cannibal dice:Co-produzione
di Romania, Francia e Bosnia-Herzegovina della durata di 3 ore che
sembra parecchio pesantuccia, giusto per usare un eufemismo, e che una
volta avrebbe faticato a trovare spazio persino in un cineforum
organizzato da Ford. Considerando però che si parla delle conseguenze
dell'attentato a Charlie Hebdo, potrebbe rivelarsi più interessante di
quanto appaia...
Ford dice:di
mattonazzi europei di tre ore, al momento, non sento davvero la
necessità. Ben venga la mummia, all'autorialità ripenserò in autunno!
Un appuntamento per la sposa
"Ci siamo vestiti eleganti per il matrimonio tra Ford e Cannibal."
Cannibal dice:Commedia
israeliana dalle pretese impegnate e impegnative? Eh no, dai,
smettiamola con queste proposte da rassegna cinematografica fordiana!
Ford dice:abbiamo
passato una primavera a lesinare un film decente uno, ed ora che viene
la bella stagione e a nessuno frega di stare in sala se non per l'aria
condizionata, piovono proposte potenzialmente interessanti? Assurdità
della distribuzione.
Maria per Roma
"Lo sapevo, che non dovevo guardare l'ultimo di Malick. Lo sapevo."
Cannibal dice:Film di e con Karen Di Porto. Non so chi sia, ma questo film non mi invoglia di certo a scoprirlo.
Ford dice:sarebbe più divertente un bel documentario che racconti un viaggio on the road di Ford e Cannibal diretti a Roma.
Due uomini, quattro donne e una mucca depressa
"Dici che questo look può andare per un incontro di wrestling contro Ford?"
Cannibal dice:Vi sembra sul serio il caso di far uscire un film con un titolo del genere?
E non si può manco dare la colpa a Ford o alla distribuzione italiana, visto che si tratta proprio di una produzione italiana.
Ford dice:e il Cucciolo Eroico, non vogliamo aggiungerlo?
Teen Star Academy
"Riusciremo a diventare i nuovi Benji e Fede?""Non saprei, al massimo possiamo ripiegare sul diventare i nuovi Ford e Cannibal."
Cannibal dice:In una settimana piena di fordianate clamorose, ecco una cannibalata teen assurda?
Purtroppo
no. Pare una versione brutta di una roba brutta come Paso adelante, il
telefilm preferito di Mr. Ford quando era un teen. Se lo è mai stato.
Ford dice:robetta che mi sa di cannibalata teen dei poveri. Roba che neppure sotto tortura. O dopo un trip di Malick.
A volte, da cinefilo, è confortante quanto un massaggio scoprire che le aspettative della vigilia non solo non sono state tradite, ma hanno superato ogni più rosea prospettiva.
Mi dispiace, James Foley.
Cinquanta sfumature di nero ha appena realizzato zero sul grafico Pritchard.
Ricordo quando, nel corso dell'estate duemilatredici dei tre mesi e mezzo a casa in paternità a godermi la bella stagione neanche fossi tornato ai tempi della scuola, durante la vacanza al mare guardammo, con la suocera Ford ed i tre cugini allora all'inizio dell'adolescenza di Julez il primo Sharknado.
E ricordo quanto nella sua infinita, clamorosa bruttezza, celasse uno spirito travolgente ed un'involontaria genialità.
Giunti - stancamente - al quarto capitolo della saga, non ci sono apparizioni di icone del passato, citazioni cinematografiche, trashate che tengano.
E' rimasta solo un'inesorabile tristezza.
Oltre ad un vero tornado di merda cinematografica.
Basterebbe soltanto un'affermazione sempre di Julez giunta dalla zona computer mentre ero sul divano a neppure metà visione - novantacinque minuti che paiono duecento -: "Non mi era mai capitato di vederti giocare al cellulare mentre guardi un film".
Del resto, tra "sabbianado" e soci, le alternative non erano davvero molte altre.
Ricordo bene quando il mio cammino incrociò quello del franchise di xXx.
Ero in Portogallo, nel settembre del duemilatre, alla scoperta di uno dei Paesi che ho più amato nella mia vita da turista, e in un locale vuoto di Coimbra, città universitaria ancora semideserta a causa delle vacanze, con una lista di chupiti di varietà incredibile per le mani, vidi trasmesso sulle tv del posto in inglese sottotitolato in portoghese - per l'appunto - proprio xXx.
Una vera merda, in tutta onestà.
C'è anche da ammettere che, forse, quello fu l'anno più tosto del mio periodo da radical, talmente tosto da farmi rinnegare o dimenticare le gioie che gente come Stallone, Schwarzenegger o Van Damme mi aveva regalato durante l'infanzia, e dunque con ogni probabilità ero addirittura prevenuto.
Fatto sta che, quando qualche anno dopo vidi di striscio il secondo, rimasi orripilato e ringraziai la buona sorte di quella sera a Coimbra, pensando che non ci sarebbe stata altra occasione per affrontare la questione.
E invece, al contrario di ogni previsione, ecco giungere in sala un terzo capitolo che non solo rilancia il charachter di Xander Cage sul mercato, ma strizza l'occhio anche ad un ipotetico quarto episodio della saga - nonostante al botteghino non stia andando niente bene -, arricchendola di personaggi noti agli spettatori del grande - Ice Cube - e piccolo - Ruby Rose, Rory McCann - schermo ed aggiungendo al cocktail grandissimi esperti di Cinema di botte come Donnie Yen e Tony Jaa: il risultato, a conti fatti, è a tutti gli effetti un film di fantascienza a livello di logica ed esecuzione, una tamarrata trash di livelli così alti ed assurdi da non poter risultare antipatica, scomodando paragoni importanti come quello con il primo Sharknado.
Vin Diesel e soci, in barba alla plausibilità ed al fatto di essere potenzialmente fuori tempo massimo - questa è una pellicola che avrebbe fatto furore negli anni ottanta dei Commando e dei Cobra - portano in scena una baracconata talmente assurda da far accendere immediatamente la lampadina del cult, ed accompagnare i Ford tutti, tra giochi, urla, casini da famiglia con due figli e via discorrendo in un normale pomeriggio di follia quotidiana e goduria da sfogo del cervello, quasi lo stesso avesse vinto due settimane pagate in uno dei villaggi più esclusivi della Polinesia in compagnia di almeno tre o quattro donzelle ben disposte - in pieno stile Xander Cage -.
A conti fatti, questo terzo capitolo di xXx è una porcata fatta e finita, una roba di grana così grossa da fare venire un infarto a qualsiasi radical nel raggio di un paio di chilometri, eppure risulta talmente prevedibile, implausibile, eccessivo da essere irresistibilmente divertente e godurioso, di quei film che sono come il pompino della buonanotte, il fast food quando avete il frigo vuoto, il bicchiere dell'oblio al termine di una serata da sbronza totale.
Anzi, dirò di più: nell'anno che vede già l'hype del sottoscritto per Fast 8 toccare livelli astronomici, la sorpresa inaspettata di questo terzo xXx è praticamente un aperitivo per quello che mi aspetta e che non vedo l'ora di godermi.
Questi sono i porno del Cinema.
Senza se e senza ma.
Almeno qui al Saloon.
E come ogni porno che si rispetti, contano la goduria e i pochi pensieri, più che la trama o la credibilità.
Se esistesse un prototipo dell'eroe fordiano, senza dubbio Ash Williams sarebbe tra i candidati più forti a ricoprire il ruolo: casinista, beone, sboccato, reso completamente imbecille dal gentil sesso - per usare termini quantomeno decenti -, apparentemente menefreghista ed in realtà una gran bella persona, o quasi, un cowboy moderno pronto dall'alba al tramonto a far saltare teste di zombies e demoni usciti dall'Inferno, a prescindere da quale Inferno sia.
Alle spalle, dunque, l'esaltante prima stagione, i Ford sono tornati una volta ancora accanto ad Ashy Slashy ed ai suoi due, inseparabili, perfetti Pablo e Jessica - due charachters già mitici, resi alla grande dagli sceneggiatori -, questa volta impegnati in un comeback home del Nostro, che dalla Jacksonville in cui si erano tutti trasferiti a seguito dell'accordo con la mezza demone Ruby fanno ritorno nel cuore del Michigan per raddrizzare i torti demoniaci ed affrontare Baal, ex consorte della stessa Ruby nonchè esponente dell'Inferno di Serie A, pronto a dominare menti e sconvolgere la vita dell'allegra brigata protagonista della serie.
In questo senso viene compiuto un passo oltre rispetto alla già citata ed ottima prima stagione, unendo allo splatter ed all'umorismo nerissimo - da queste parti stiamo ancora ridendo per la sequenza della testa nel culo del cadavere posseduto, una vera chicca - anche momenti inquietanti e tesi - l'episodio nel manicomio "rimesso in attività" da Baal - ed altri di pura azione slasher in memoria dei tre, mitici film dedicati all'altrettanto mitico Ash, con un nuovo ritorno nel cottage che fu teatro dei primi massacri a seguito del ritrovamento del Necronomicon, condendo il tutto con un viaggio nel tempo nel pieno degli anni ottanta che è una goduria almeno quanto una mano riconquistata dopo trent'anni.
La cosa più interessante, comunque, oltre all'inossidabile ed irrispettoso Ash ed alla coppia dei suoi giovani aiutanti, resta il marchio di fabbrica ironico coltivato ai tempi d'oro che culminò con L'armata delle tenebre che ormai pare essere parte anche dell'approccio di qualsiasi demone al nostro mondo, perfino nei momenti più sanguinosi e drammatici: lo stesso Baal, nel suo essere inquietante, regala alcuni passaggi all'interno dei quali pare essere a sua volta posseduto dallo spirito sopra le righe di Ash, diventando a sua volta uno stronzo sboccato incapace di contenere i propri istinti.
Ovviamente, purtroppo per lui, nessuno è professionista in materia quando il vecchio Williams, che dopo una serie spassosissima di omaggi alla saga di Star Wars dovrà prepararsi ad affrontare una terza stagione che promette scintille grazie ai cambiamenti operati a Tempo e personaggi ed alle possibilità offerte dal patto siglato nel corso dell'ultimo episodio: poco importa, comunque.
Considerato quanto forte sono andate queste prime due annate - divorate entrambe a ritmi forsennati, grazie anche al minutaggio in stile Californication degli episodi -, il divertimento garantito, i personaggi più che azzeccati e lo stile - se così si può chiamare - di Ash, non posso dire altro se non che attendo con trepidazione la terza, anche se questo volesse dire turbare la tranquillità guadagnata un colpo di boomstick e di motosega dopo l'altro dal suo main charachter e scatenare su questa palla di fango una nuova pioggia di merda orchestrata dai demoni.
Del resto, non esiste ombrello più grande di quello che può metterci Ash Williams.
Ricordo bene il periodo in cui uscì Independence Day.
Attraversavo l'adolescenza, non c'erano smartphones o internet, affittavo ancora vhs dal mitico Paolo - era da un pò che non lo citavo, mea culpa - e rimanevo colpito grazie alle prime pellicole pronte a stupire con effetti speciali che ai tempi risultavano mitici.
Una di queste fu senza dubbio, per l'appunto, Independence Day: le immagini del trailer con le astronavi aliene che distruggevano i principali monumenti sulla Terra lasciarono a bocca aperta tutti, e condussero ad una visione di gruppo in sala di quelle tipiche del sabato pomeriggio di allora, con giro in centro annesso e patatine che ci attendevano a visione ultimata, sperando magari di conoscere in giro qualche ragazza.
Non sapevo che, qualche anno dopo, la passione per il Cinema sarebbe letteralmente esplosa, e guardavo film principalmente per il piacere di avere a che fare con storie sempre nuove, non avevo pretese o alcuno strumento "tecnico": eppure Independence Day, fatta eccezione per le sequenze già mostrate dal trailer e la scena cult con Will Smith che prende a pugni in faccia l'alieno, non mi convinse granchè.
Intratteneva, certo, ma già allora sapevo non sarebbe certo diventato un mio cult - pur se trash - personale.
Alla notizia, pochi mesi fa, dell'uscita di un sequel, rimasi sconcertato: che bisogno c'era di riesumare gli stessi personaggi nonchè una nuova invasione a vent'anni dalla realizzazione del primo film?
Probabilmente nessuno, se non per il portafoglio di produttori ed autori.
Ed infatti questo Resurgence è stato puntualmente massacrato un pò dappertutto - e premiato anche da un discreto flop al botteghino -, quasi fosse un nuovo sport fare tiro al bersaglio con il lavoro di Emmerich, ormai specializzato in pellicoloni di grana grossa spesso e volentieri catastrofici: io stesso, nel recuperarlo, ho pensato che una bella bocciatura come si deve sarebbe stata praticamente ovvia e goduriosa, ed ho approcciato la visione proprio con questo spirito.
Eppure, lo confesso, proprio non ce la faccio, a voler male ad un film così.
Trash, retorico, già visto, fuori tempo massimo, a tratti involontariamente comico, a tratti volontariamente, Resurgence mi è parso solo un innocuo giocattolone senza alcuna pretesa, in grado di essere visto in qualsiasi condizione - la visione è trascorsa mentre intagliavamo le zucche per Halloween con il Fordino - e che è scivolato via in gran scioltezza, talmente sopra le righe da solleticare perfino la voglia nel sottoscritto e in Julez, anche considerato il finale aperto, di affrontare con un discreto hype - sempre in termini di schifezzone cosmiche - anche un eventuale terzo capitolo.
Dunque, tra un Hemsworth spaccone ed un vecchio Presidente che passa dallo status di quasi barbone reso pazzo dal ricordo degli alieni a perfetta versione sessantenne di un Top Gun, non sono mancate le care, vecchie risate pane e salame in casa Ford, pronte a far scattare un moto d'affetto per un film che è certo una porcheria grande e grossa ma che risulta proprio per il suo essere sincera in quello che è migliore di tanti altri blockbuster privi di anima usciti nel corso delle ultime stagioni: per quanto inutile, questo Resurgence rispolvera quantomeno lo spirito degli anni ottanta e di parte dei novanta, quando smartphones e internet non esistevano e si andava in sala pensando e sperando di assistere ad uno spettacolo da bocca spalancata.
Certo, in questo caso si deve mettere in conto che non sarà per gli effetti o la meraviglia, quanto più per il livello di trash, ma è comunque già qualcosa.
E poi, ammettetelo: anche il più radical dei radical, sotto sotto, avrà sognato almeno una volta nella vita di fare il culo quadro ad un alieno venuto per fare il bello ed il cattivo tempo sulla Terra.
Non sarà a pugni in faccia come fece Will Smith, ma è comunque già qualcosa, specie se si tratta di un "topo da laboratorio" vecchio e gay pronto a sfoderare il suo lato cazzuto all'uccisione del compagno - forse il passaggio più bello e socialmente significativo della pellicola -.
I tempi cambiano, ma certe cose regalano sempre un brivido.
Anche quando sono legate a filmacci di infima serie.
Non troppo tempo fa, quando ho scoperto che
l'improbabile coppia Uli Edel - regista del cult generazionale
Christiane F. - e Nicholas Cage si era unita per generare
un'apparentemente agghiacciante e trash ghost story halloweeniana
distribuita in Italia proprio in vista della festività autunnale,
ammetto di aver esultato, pur se solo dentro di me.
L'idea di potermi
confrontare con un involontario equivalente di uno Sharknado versione
tutta zucche e fantasmi esaltava non poco, e le prime recensioni
agghiacciate avevano lasciato sperare per il meglio: peccato che,
pronti via con la visione, non solo ho finito per scoprire che, almeno
per tutta la prima metà, a parte la ricostruzione da studio e gli
effetti speciali da discount il prodotto non risultava poi così male,
quantomeno rispetto alla media delle produzioni horror scarse degli
ultimi anni, ma che i suoi punti a (s)favore più grandi risiedevano nella
totale mancanza di originalità della trama e nelle corse dello
stesso Cage, che probabilmente appesantito dal casco che porta in testa
per ricordarsi di quando ancora aveva i capelli riesce a mostrare una
mobilità che pare un ibrido del Dolph Lundgren di Battle of the damned e del Liam
Neeson di Taken, non proprio due Usain Bolt per velocità ed eleganza.
La
visione, in questo senso, è risultata talmente standard e tranquilla
che, se non fosse stato per un paio di jump scare che hanno fatto
saltare Julez sul divano mi sarei fatto travolgere dalla stanchezza di
una giornata con entrambi i Fordini a casa - essendo un sabato diviso
tra piscina, pranzo dalla nonna e pomeriggio di giochi le cui fondamenta
si sono basate su una sveglia alle sei e mezza del Fordino che non ha
più voluto saperne di tornare a letto - e avrei liberato una bella e
vigorosa pennica pre-nanna.
Fortunatamente per me e le mie
aspettative l'ultimo terzo della pellicola - come spesso accade con le
proposte del genere, del resto - è risultato davvero brutto, pur se
lontano dalle vette che speravo il buon Nicola Gabbia mi aiutasse ad
esplorare una volta ancora grazie a quella sua espressione spiritata da
cocaina secca ed il tono sempre un paio di livelli oltre quello di
guardia del sopra le righe: a conti fatti, comunque, Pay the ghost altro
non risulta se non l'ennesima ghost - per l'appunto - story senza
infamia e senza lode in cui lo spirito cattivo reso tale da un "hybris"
per nulla morta e sepolta se la prende come di consueto con i bambini
rendendoli ad un tempo vittime e strumenti inquietanti della sua
vendetta fino a quando lo stesso spirito non finisce per incrociare il
cammino di una famiglia in cui il padre, la madre o se ha sfortuna
entrambi finiscono per essere spaccaculi di professione o pronti a
scoprirsi tali, e finiscono per suonargliele e cantargliele di santa
ragione.
Una quasi delusione, dunque, che sfata il possibile mito
di una proposta "di paura" resa mitica dal buon Cage e dal suo
parrucchino selvaggio alle prese con uno spirito maligno e trasforma il
tutto in una visione assonnata e tranquilla come se si trattasse di un
horror qualsiasi: fortunatamente, se ripenso a quei geniali, incredibili
momenti in cui il protagonista corre disperato alla ricerca del figlio
scomparso - va detto, la sequenza della sparizione del bimbo è riuscita
addirittura a ricordarmi quella della ben più drammatica The Missing - con la
mobilità di un trattore con le gomme sgonfie, tutto sembra d'improvviso
migliore.
E non c'è fantasma che possa risultare più agghiacciante.
La trama (con parole mie): Anthony Scott, il leggendario ragazzo dal kimono d'oro, si è trasferito in Sud Dakota con la famiglia lasciando gli amici ed i compagni di college, nonchè la sua divisa da battaglia come testimone per chi, in futuro, potrà raccoglierne l'eredità.
Quando, avendo campo libero, Joe Carson ed i suoi sgherri torneranno a terrorizzare il campus arrivando ad appropriarsi del kimono, l'arrivo del giovane Larry Jones cambierà gli equilibri: mosso principalmente dal coraggio, il nuovo studente finirà per accettare, provocato, le sfide di Carson e dei suoi, e trovato un maestro nel ristoratore Masura, quattro volte campione del mondo di arti marziali, per raccogliere il testimone di Anthony sfidando Joe con in palio proprio il kimono d'oro simbolo del percorso che fece il giovane Scott prima di lui.
Lo ammetto: quando, di recente, il mio buddy Steve si è presentato in occasione di Wrestlemania con in regalo i dvd dei primi tre film della saga de Il ragazzo dal kimono d'oro, non ero neppure sicuro di aver visto, ai tempi, questo terzo capitolo.
Soltanto dopo aver dato un'occhiata al menù di partenza del disco ho finito per ricordare, come una sorta di trashissima madeleine, di aver registrato e più volte affrontato con mio fratello ai tempi questo film, ovviamente con lo spirito dell'epoca, ben diverso da quello che, oggi, mi ha permesso di fare ben più di quattro risate affettuose rispetto ad una produzione ancora più televisiva e pessima delle precedenti, che vede non solo attori cambiati, ma anche nomi dei personaggi - il Dick del capitolo precedente pronto a diventare Joe Carson, come sarà fino al sesto ed ultimo film del "franchise" -, testimonianza di quanto, all'epoca, certe cose contassero davvero fin troppo poco - ricorderò per sempre l'adattamento italiano di Voglia di vincere, che nel doppiaggio prevedeva che il protagonista originale Scott diventasse Marty a seguito del successo di Ritorno al futuro, una cosa davvero agghiacciante -.
Ad ogni modo, la parentesi che ho vissuto nel recupero delle tre pellicole - perchè non credo di avere il coraggio di proseguire, considerato che le restanti tre finirono snobbate anche allora - è stata ludica e clamorosamente divertente anche quando si è trattato di prendere in giro l'abbigliamento, la faciloneria, le situazioni campate in aria in termini di script e chi più ne ha, più ne metta: in fondo, questo tipo di proposte di grana grossissima hanno fatto la fortuna e la spensieratezza della mia infanzia, e probabilmente gettato i semi per quello che sarebbe divenuto, decenni dopo, il pane e salame che tanto difendo e sostengo.
A difesa, per l'appunto, di questo numero tre, occorre ammettere che il nuovo protagonista Larry Jones appare quantomeno più simpatico di Anthony Scott/Rossi Stuart, sarà perchè effettivamente preso di mira dopo essere intervenuto in difesa dell'outsider Greg, per il suo background proletario o per il nuovo maestro Masura, decisamente più simile all'ispiratore del genere Miyagi del precedente Kimura, finto asceta davvero poco credibile soprattutto nella versione mostrata nel secondo capitolo.
Per il resto, trama e svolgimento sono quanto di più scontato potrebbe essere ritrovato in questo tipo di proposte: presentazione dell'eroe, presentazione dei suoi avversari, momento di difficoltà, addestramento con il maestro e vittoria finale, solo in una qualità da far pensare ai thriller del sabato sera di Italia Uno come ad una cosa davvero, davvero figa.
Rispetto ai primi due capitoli diminuisce la componente drammatica dei combattimenti - meno violenza e sangue, più richiami ai classici tornei di arti marziali di matrice "olimpica", Colpo del drago escluso, che ancora adesso mi chiedo, essendo un segreto di Kimura, come fosse inserito nel corso intensivo di Masura per diventare degli assi del karate nel giro di due settimane scarse -, mentre resta l'atmosfera universitaria ed in stile College - per richiamare un altro cult trash del periodo - del film precedente: probabilmente, ragionando a mente fredda, si potrebbe addirittura pensare di porre questo capitolo alle spalle del primo, ma in fondo, poco importa.
Si è trattato di un'operazione nostalgia che ho vissuto con grande piacere pur conscio dei suoi enormi, clamorosi e terrificanti limiti, lasciando che mi bastasse l'effetto quasi da droga del mitico kimono d'oro, o del Colpo del drago.
In fondo, non si smette mai di essere bambini.
Ed è bello, a volte, non dimenticarsene.
MrFord
"Now I’m banging on your door
just like four up on the floor
this is happening too soon
why are we battling the moon?
You are my golden, you are my golden, you are my golden."
La trama (con parole mie): tornato negli Stati Uniti forte degli insegnamenti di Kimura, Anthony Scott si prepara ad iniziare l'università nello stesso campus che, vent'anni prima, vide laurearsi suo padre, in Florida.
Festeggiato il compleanno con i nonni e ricevuta in regalo una macchina nuova, Anthony finisce per trovarsi nei guai già sulla strada della sua nuova città, quando a seguito di un diverbio da automobilista finisce per essere buttato fuori strada dalla banda dei Tigers, un gruppo di studenti appassionati di arti marziali che terrorizza il campus capeggiata dal bieco Dick: stretta amicizia con l'outsider Luke, Anthony si troverà a doversi battere prima con lo stesso Dick, e dunque con il fondatore dei Tigers, Mark Sanders, disposto a tutto pur di affermare il dominio del gruppo che creò dieci anni prima.
Il recupero della prima trilogia dedicata alla saga de Il ragazzo dal kimono d'oro è stata un vero e proprio tuffo nel passato, considerato che da oltre vent'anni - facciamo anche venticinque - non mettevo più gli occhi su quella che, a tutti gli effetti, è stata la versione italiana finto americana dei poveri di Karate Kid sul finire degli anni ottanta, e che alcuni personaggi, situazioni e passaggi si sono ripresentati come immagini tornate a galla dopo una sorta di oblio mescolando tenerezza ed amarcord.
Quello che, però, è certo, è che affetto e ricordi a parte il secondo capitolo del brand risulta davvero terribile, sia in termini cinematografici - ma questo già si sapeva - che di scrittura, tanto da ricordare al sottoscritto schifezzone terribili come il secondo Voglia di vincere figlio dello stesso periodo: come se non bastasse, il già non troppo simpatico Anthony Scott finisce per diventare a questo giro praticamente insopportabile, tanto da muovere il sottoscritto a simpatizzare per i pezzentissimi Tigers - versione di serie b del mitico Cobra Kai -, provocati in partenza rispetto all'incidente che da inizio alla rivalità e dunque, di fatto, sfruttati come il classico punching ball da buoni di qualsiasi film di grana grossa dei tempi: e se l'esempio dei "cattivi" bastonati da un "buono" spocchioso e sottilmente prepotente non basta, quello della spalla di quest'ultimo, Luke, che praticamente si mette una scopa in culo e ramazza la stanza per il ragazzo dal kimono d'oro ha del clamoroso.
Ma in fondo poco importa: sono banalità che rispetto all'atmosfera fanno quasi sorridere, e prendere bonariamente per il culo una produzione al limite del ridicolo per la quale, però, non si può che provare affetto, se non altro perchè grazie alle sue immagini si finisce per tornare ai tempi della prima media, quando tutto era più semplice, non c'erano troppi grigi ma quasi esclusivamente bianchi e neri e la via per la soluzione di qualsiasi problema era assolutamente lineare.
Poi, certo, per chi non l'avesse vissuto sulla pelle allora un film come questo risulta agghiacciante sotto tutti i punti di vista, dalla colonna sonora platealmente plagiata - come era stato, del resto, anche per quella del capitolo precedente - all'improbabile ritorno del maestro Kimura, con tanto di cambio di attore e passaggio di quest'ultimo da eremita a scommettitore, senza contare il fantascientifico utilizzo del Tempo che mostra nel giro di qualche giorno Anthony inviare una lettera al suo vecchio mentore nella foresta delle Filippine ed essere raggiunto dallo stesso in un paio di giorni, o il finale aperto con tanto di strizzata d'occhio ad un terzo capitolo che, lo vedremo, non avrà comunque Kim Rossi Stuart ed Anthony Scott come protagonisti.
Dettagli, comunque, per un tuffo nel passato remoto di questo vecchio cowboy e degli albori del suo essere tamarro e di pancia: certamente allora sognavo di essere un charachter in stile Anthony, pronto a raddrizzare torti e sorprendere soprattutto chi non lo riteneva in grado di compiere grandi imprese, mentre ora il personaggio principale mi pare irritante almeno quanto i suoi avversari, e non mi dispiacerebbe vedere tutti rimessi in riga da un Kimura in stile Gunny, ma alla fine è giusto così.
Le ragazzate sono sacrosante e a loro modo belle proprio perchè sono ragazzate.
Con o senza un kimono d'oro.
MrFord
"Go-Go-Golden Boys
you’ve got your war toys
looking straight on
and with your eyes of blue
I will remember you
one for me, one for you."
La trama (con parole mie): Anthony Scott, adolescente americano cresciuto a Boston, giunge nelle Filippine per incontrare il padre, giornalista d'assalto finito "confinato" in Oriente a causa delle sue inchieste scomode, in modo da recuperare il rapporto con lo stesso, più difficile dopo la separazione di quest'ultimo dalla madre. Entrato in conflitto con un giovane delinquente del luogo, Quino, Anthony si complica la permanenza sfidando apertamente lo stesso, addestrato tempo prima da un leggendario maestro di arti marziali, Kimura, che proprio a seguito della condotta di Quino ha deciso di lasciare l'insegnamento e la civiltà per vivere come un eremita nella foresta.
Ferito gravemente dopo uno scontro con Quino, Anthony viene ritrovato e salvato proprio da Kimura, che deciderà di addestrarlo in modo da renderlo in grado di sconfiggere il suo vecchio allievo: tornato a fronteggiare il rivale, Anthony avrà dalla sua l'esperienza del maestro ed il letale "Colpo del drago".
Ricordo benissimo i tempi in cui, tra la fine delle elementari e l'inizio delle medie, attraversai la fase arti marziali della mia vita di spettatore, dalle prime, mitiche visioni dei cult con Bruce Lee alle pietre miliari come Kickboxer o Senza esclusione di colpi con Van Damme fino a quello che considero come uno dei passaggi fondamentali dalla mia infanzia con la saga di Karate Kid.
Proprio a seguito del successo di quest'ultimo, qui in Italia si pensò immediatamente a cavalcare l'onda come negli anni settanta fu per il Western, l'Horror ed in parte per quello che, poi, fu rivalutato come Poliziottesco, sfornando, con tanto di nomi anglofonizzati e girato in inglese, una versione nostrana e dei poveri proprio del lavoro di John Avildsen, con protagonista un giovanissimo Kim Rossi Stuart che, nei panni del classico teenager americano cresciuto nella bambagia, finisce per provare sulla pelle la dura vita di un paese in cui sopravvivere non è così semplice, prendersi i suoi schiaffoni ed ovviamente sfoderare un comeback con tanto di improbabile addestramento con un leggendario maestro in tempi da fantascienza - almeno il buon vecchio Daniel-San qualche mese di dai la cera togli la cera se l'è schiaffato, mente qui in una settimana scarsa si impara a meditare, "essere uomini" e sfoderare il famigerato Colpo del drago, che se non ricordo male ai tempi fu un must al parco tra me e i miei amici -.
Curioso, invece, come non avessi mai più pensato di tirare fuori dal cilindro dei ricordi questa pellicola - per quanto ne avessi ancora benissimo a mente i passaggi principali -, se non che il mio collega, amico e compare Steve detto Tango, in onore della serata dedicata all'ultima Wrestlemania ha deciso di omaggiarmi dei dvd dei primi - e di qualità "più alta" - tre capitoli di un brand che ai tempi proseguì addirittura fino al sesto lungometraggio: a quel punto non potevo più esimermi, tornando sulle tracce di Anthony Scott e del kimono d'oro, probabilmente insieme alla canotta di Jack Burton ed alla fascia del già citato Karate Kid uno degli oggetti di culto della mia prima adolescenza - e non solo di allora, tengo a sottolineare -.
Il ritorno alle immagini ed alle atmosfere dei tempi, così come a passaggi che ricordavo come se li avessi visti ieri - il brutale pestaggio di Anthony o il combattimento finale -, con i colpi di alluce di Quino ed il trionfale finale "cieco" prima del Colpo del drago mi ha divertito non poco nonostante l'ingenuità della proposta, figlia di un'epoca nel corso della quale bastava davvero poco - e non in senso necessariamente negativo - per intrattenere un pubblico che forse era più naif, ma che mostrava desiderio e voglia di essere, per l'appunto, intrattenuto.
In un certo senso, rivedere Il ragazzo dal kimono d'oro è stato come ritrovare a casa dei genitori la vecchia console con i primi videogiochi che ai tempi ci sembravano spettacolari e difficilissimi e che, ora, abituati alla Playstation 4 ed a prodotti sempre più simili a film finiscono per apparire elementari e semplicissimi.
Dal canto mio, quando capita di andare a trovare i vecchi Ford in montagna, non sento mai troppo dispiacere ad accendere e far girare qualche vecchia cartuccia sul Sega Mega Drive.
Più o meno è la stessa sensazione che ho provato vedendo Kim Rossi Stuart che indossa il mitico kimono d'oro.
MrFord
"His rise was irresistible (yeah) - he grew into the part
his explanation simply that he suffered for his art
no base considerations of some glittering reward
the prize was knowing that his work was noticed and adored."
La trama (con parole mie): Mike Banning, uomo di punta del servizio di sicurezza del Presidente degli Stati Uniti Benjamin Asher, medita il ritiro in vista della nascita di suo figlio, quando la morte del Primo Ministro inglese lo costringe ad un'ultima missione legata alla sicurezza del suo capo nel corso del viaggio a Londra per i funerali del "collega".
Appena prima che inizino le esequie ufficiali, però, un attacco su larga scala spazza via i Capi di Stato del mondo occidentale uno dopo l'altro grazie ad un'operazione di alto livello d'infiltrazione e dispiego di mezzi e risorse coordinata dal mercante d'armi Aamir Barkawi, che due anni prima ha visto morire a causa di un'offensiva guidata da un drone la figlia nel corso del suo matrimonio: un'offensiva decisa dal G8 a seguito dei legami dello stesso Barkawi con i terroristi più pericolosi del mondo che aveva lui come bersaglio.
Banning ed Asher, soli ed allo sbaraglio, dovranno fare fronte alla minaccia degli uomini di Barkawi e cercare di portare a casa la pelle, magari sovvertendo i piani della loro nemesi nel mentre.
Non smetterò mai, ma proprio mai, di adorare le tamarrate.
Pellicole a neuroni zero in grado di risollevare il morale ed esaltare neanche si potesse tornare bambini e godersi l'ultimo videogioco uscito o simulare il proprio film o cartone animato preferito al parco con gli amici, ovviamente da protagonisti.
Qualche anno fa, quando uscì in sala Olympus has fallen, rimasi a metà tra lo sconvolto ed il divertito, a fronte di una delle porcate più grosse di grana grossa a stelle e strisce ed anche, c'è da ammetterlo, di una delle più divertenti: Gerardone Butler, prendendo a modello 24 - ed è un bene - ed il franchise di Taken - ed è un male - aveva portato sullo schermo un nuovo eroe tutto ammeregano in grado di rinverdire i fasti della mia epoca favorita - gli anni ottanta, per chi non lo sapesse - senza per questo apparire troppo serio o preso da se stesso - "Di cosa sei fatto?" "Bourbon e cattive scelte", impagabile -.
Con il secondo capitolo, accolto anche dal sottoscritto con più di un interrogativo, devo ammettere che l'operazione non solo è stata replicata, ma ha finito quasi per essere più comprensibile nella portata della prima, sarà anche per il passaggio, al timone di regia, dal decisamente più "alto" Antoine Fuqua a Babak Najafi, che è noto principalmente per aver diretto qualche episodio di Banshee, giusto per rimanere in territori decisamente tamarri.
Partito con una seriosità forse eccessiva, questo secondo capitolo di Attacco al potere si evolve - fortunatamente - come un classico action movie in cui l'eroe spaccaculi non solo spacca i culi e compie la sua missione alimentando il sacro fuoco del patriottismo, ma regala nel farlo chicche a profusione, da quel "Vaffanculo io!? Vaffanculo tu!" che avrebbe potuto pronunciare uno qualsiasi dei beniamini eighties alla risposta al Presidente: "E se non torni?" "Se non torno, lei è fottuto".
Da brividi.
Considerata la wannabe visione a stelle e strisce di Desconocido, Attacco al potere 2 - o London has fallen, decisamente più adeguato - è stata una vera e propria manna dal cielo con tutti i suoi limiti, in barba ai radical, ai pregiudizi rispetto a questo tipo di pellicola - che, devo ammetterlo, nel mio periodo più integralista di spettatore avrei più che detestato - ed all'ostilità aperta di molti appassionati di fronte ad un genere che non deve chiedere altro se non botte, esplosioni, situazioni inverosimili e buoni che rompono il culo ai cattivi come se non ci fosse un domani.
Viviamo in un mondo che non nasconde certo pericoli, distrutto dal Potere - "Quest'auto è a prova di proiettile, non di politico!" - e dai giochi legati allo stesso che vedono cadere vittime pescate sempre e soltanto dalla gente comune - da una parte e dall'altra della barricata -, destinata al ruolo di "danno collaterale" senza neppure che le sia chiesto che pensa in proposito, dunque sognare o anche solo immaginare che, a prescindere da tutto, possa esistere un eroe pronto a togliere a tutti le castagne dal fuoco e vincere non solo è confortante, ma anche e soprattutto piacevole quando si vuole staccare la spina e non considerare che debba necessariamente avere la meglio la paura, o ancora peggio, il pregiudizio silenzioso e non ammesso, che è anche peggiore.
Personalmente, io voglio pensare di poter viaggiare dove voglio senza dare credito alla politica del terrore spinta dai governi e da chi - apparentemente - è in guerra con gli stessi, voglio godermela facendo il tifo per il Gerardone e pensare che, per la mia famiglia, farei assolutamente altrettanto.
A prescindere da dove sia nato, dal mio credo politico o religioso, e dalla mia indole.
Oppure non voglio pensarci troppo.
E semplicemente, godermi Attacco al potere 2.
Meno dannoso e più divertente.
MrFord
"London calling to the imitation zone
forget it, brother, you can go it alone
London calling to the zombies of death
quit holding out, and draw another breath
London calling, and I don't wanna shout
but while we were talking, I saw you nodding out
London calling, see we ain't got no high
except for that one with the yellowy eyes."