venerdì 31 gennaio 2014

Last vegas

Regia: John Turteltaub
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 105'




La trama (con parole mie): Billy, Paddy, Archie e Sam sono quattro amici inseparabili rimasti in contatto nel corso di tutta la vita, dall'infanzia per le strade di New York all'età adulta che li ha portati su strade completamente differenti.
Sulla soglia dei settanta, Billy decide una volta per tutte di convolare a nozze con una ragazza che ha meno della metà dei suoi anni, e decide di invitare il resto del gruppo per un addio al celibato che sancisca anche per lui la fine dell'epoca da single, come era stato per gli altri, meta Las Vegas, che sarà anche il luogo delle nozze: peccato che Paddy, vedovo della donna che lo stesso Billy ha amato in gioventù, serbi ancora rancore all'amico colpevole di non aver presenziato al funerale della stessa.
Il viaggio nella città del peccato servirà a sciogliere i nodi da troppo tempo al pettine ed indirizzare i quattro amici verso una nuova fase delle loro vite.






Il Saloon, come ormai è noto, è un luogo in cui i vecchi leoni e l'amarcord dei tempi andati possono e potranno trovare sempre un rifugio accogliente, traboccante alcool e buone intenzioni.
Allo stesso modo, chiunque può tranquillamente dichiarare quanto sia grande il mio amore per operazioni come quelle del brand dedicato agli Expendables o a cose come il recente Il grande match o il sorprendente Stand up guys, celebrazioni dell'old school e dei suoi eroi: della stessa corrente di pensiero ed azione fa parte Last Vegas, ultima fatica del ben poco interessante John Turteltaub pronta a portare lo spirito di Una notte da leoni in prossimità dei settanta, spostando in avanti le lancette dell'orologio e lasciando tutti noi ben sperare in una vecchiaia ricca di divertimento e soddisfazioni.
Dunque, almeno sulla carta, si potrebbe parlare addirittura di un titolo che da queste parti dovrebbe avere vita facile, e conquistare favori senza neppure troppi sforzi: eppure, a costo di essere fin troppo onesto e passare per quel pusillanime del mio rivale finto giovane Cannibal Kid, Last Vegas non mi ha convinto affatto.
Certo, mi sono divertito ed ho passato un'ora e quarantacinque di tranquillità assoluta, gustandomi un paio di White russian prima di andare a dormire tranquillo dopo aver riso di fronte a battute, soluzioni e situazioni che il genere old versus young riesce a generare, ma la sensazione di fondo che ha pervaso la visione è stata simile a quella che, di norma, mi illustrano i detrattori dei vari Sly e soci quando mostro il mio entusiasmo rispetto ai loro ritorni on screen: c'era davvero bisogno dell'ennesima pellicola a tema revival, legata peraltro ad un fenomeno già inflazionato nelle ultime stagioni come quello dell'addio al celibato?
Onestamente no, nonostante non si stia parlando, per l'appunto, di una visione sgradevole o poco riuscita, di un cast che, seppur continuando senza sforzo a proporre praticamente le stesse maschere, funziona in grande scioltezza - anche se, onestamente, la differenza tra il Liberace di Behind the candelabra e questo Billy di Michael Douglas fa quasi male al cuore - e di un film che scorre piacevolmente senza risultare noioso o suscitare incazzature.
Il problema vero di Last Vegas è che, principalmente, finisce per essere una visione molto prevedibile, talmente tanto da oscurare perfino l'ironia che questi vecchi ragazzacci hanno finito per riscoprire ed utilizzare come arma vincente nella loro terza età cinematografica: non escludo che questo effetto possa essere legato anche ad una sceneggiatura e ad una regia che non rendono giustizia all'idea di base, finendo per mettere a proprio agio lo spettatore giusto nel momento della visione senza garantire l'impressione che possa rimanere a fondo anche con il passare non tanto dei giorni, quanto delle ore.
Certo, non parliamo di un titolo da ambizioni autoriali, eppure su questo bancone le aspettative in merito erano certamente più alte, sicuramente in grado di superare l'alcool e la notte che sono intercorse tra la visione e questo post senza costringermi a girare intorno al punto perchè, di fatto, privo di argomentida trattare che non fossero gli exploit - seppur divertenti - delle schermaglie Douglas/De Niro, delle imprese al tavolo da gioco di Morgan Freeman o di quelle da seduttore di Kevin Kline.
Il dubbio, infatti, è che quella dei già citati Expendables stia diventando una moda pericolosa, e che questi altri presunti "stand up guys", al contario di quanto lasci presagire il nome, finiscano per adempiere ai loro obblighi ben seduti in poltrona, senza scomodare uno sforzo che conceda il rischio di trovarsi di fronte ad una festa davvero memorabile.
Che sia l'ultima, oppure no.



MrFord



"Stand upright and be strong,
may you stay forever young,
forever young, forever young,
may you stay forever young."
Eddie Vedder - "Forever young" - 



giovedì 30 gennaio 2014

Thursday's child


La trama (con parole mie): ancora sconvolti dall'hangover della sbronza colossale di settima arte che è stata The wolf of Wall Street, la premiata (???) ditta Ford&Cannibal si confronta in una nuova puntata della loro ormai leggendaria (???) rubrica dedicata alle uscite settimanali.
Anche a questo giro avremo modo di gustarci qualche chicca come l'ultimo lavoro di Scorsese, o saremo di fronte ad un weekend che sarebbe meglio dedicare ai recuperi?
Alle schermaglie dei due rivali più rivali (???) della blogosfera l'ardua sentenza.

   
Katniss Kid e Sylvester Fordone fingono di ignorarsi per mascherare le recenti affinità cinematografiche.
 
Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée


Il consiglio di Cannibal: viva il Cannibal Buyers Club, abbasso il Dallas Forders Club!
Un film che affronta le tematiche di AIDS e omosessualità negli anni ’80 in odore da Oscar?
Potrebbe sembrare una ruffianata. Lo sarà per davvero?
Potete farvene un’idea andando ad ammirare le prove recitative di Matthew McConaughey e Jared Leto su grande schermo. Altrimenti lo scoprirete a breve su Pensieri Cannibali, con una recensione che si preannuncia già da non perdere.
E quella di WhiteRussian?
Boh, sì, no, forse, chissà, magari si può dare un’occhiata pure a quella…
Il consiglio di Ford: un redneck ed un efebo uniti per la stessa causa? Non è la storia di Ford e Cannibal, ma quella di Dallas Buyers Club!
Film interessante, questo Dallas Buyers Club in odore di Oscar, almeno per quanto riguarda le interpretazioni.
McConaughey e Leto strepitosi, anche se dal film, forse, ci si poteva aspettare qualcosa in più. Un pò come dalla rivalità sempre più spenta tra il sottoscritto e Peppa Kid.
Comunque, a brevissimo la recensione fordiana che chiarirà del tutto la questione sicuramente meglio di quella cannibalesca!

"Caro Peppa, ora che non siamo più troppo rivali, dovrai addirittura fare un giro in macchina con me!"
 I segreti di Osage County di John Wells


Il consiglio di Cannibal: il vero segreto di Ford? In realtà adora i teen movies!
Altro film in odore da Oscar per le sue protagoniste Meryl Streep e Julia Roberts, altro film in odore di ruffianata. Sarà davvero così pure in questo caso oppure, come American Hustle ci ha ricordato di recente, le apprenze ingannano?
Io dico di provare a dargli una possibilità. E a Ford in particolare dico di prestare attenzione, visto che la sceneggiatura è firmata da Tracy Letts ed è tratta da una sua stessa opera teatrale. Chi è Tracy Letts? Quello di Killer Joe, il film fordiano del 2012. Quindi, caro James Ford, occhio a non bollarlo prematuramente come una visione per sole desperate housewives…
Il consiglio di Ford: i segreti di Casale Monferrato
Secondo film della settimana e secondo titolo spinto principalmente nella corsa agli Oscar dalle interpretazioni - questa volta femminili -: ancora manca all'appello, qui al Saloon, ma spero presto di poter avere modo di capire se si tratti della tipica sòla da coniglioni o di un film potenzialmente interessante e dunque per definizione fordiano.
Spero in ogni caso che possa creare una spaccatura insanabile tra le opinioni mia e di quel ciarlatano del Kid, che ormai potrebbe essere definito la Meryl Streep della blogosfera.

"Quindi io dovrei essere la Peppa Kid di Hollywood!? Ma non fatemi ridere!"
Hercules – La leggenda ha inizio di Renny Harlin


Il consiglio di Cannibal: e per me può anche avere fine
Ecco la puttanata fordianata della settimana, e forse del millennio!
Tra 300 e Spartacus, una pellicoletta avventurosa che il trailer annuncia realizzata “dai produttori de I mercenari - The Expendables”, come se fosse una cosa di cui vantarsi. Ma stiamo scherzando?
In più, il protagonista è Kellan Lutz, quello che nella saga di Twilight fa passare Robert Pattinson e Taylor Lautner come dei maestri di recitazione.
Se guardo questo film, mi sa che muoro.
Il consiglio di Ford: la leggenda è già finita.
In attesa del vero film dedicato al mitologico Ercole, ovvero quello che vedrà protagonista The Rock, ignoro felicemente quella che promette di essere una delle più grandi porcate dell'anno insieme al nuovo film firmato da Lars Von Trier.
Kellan Lutz protagonista, trailer ridicolo, aspettative sotto zero.
Mi pare quasi di essere tornato ai bei tempi in cui aprivo Pensieri cannibali e sapevo che avrei trovato opinioni completamente diverse dalle mie.

"Eppure io quel Robert Pattinson non me lo sono ancora levato dalla testa!"

Il segnato di Christopher B. Landon


Il consiglio di Cannibal: l’ho segnato tra i film da NON vedere
Segnato?
Chi ha segnato?
La Rubentus? Il Milan no dai, non ci credo che abbia segnato.
Ah, Il segnato è un film?
Ed è annunciato come lo spinoff latino-americano di Paranormal Activity?
Ma che è, uno scherzo di cattivo gusto come il Milan tornato alla vittoria?
Il consiglio di Ford: questo film è segnato. Dalle bottigliate.
Ancora ebbri della sbornia da Scorsese della scorsa settimana, probabilmente finiremo per accettare di buon grado la distribuzione di un'altra potenziale schifezza atomica che potrebbe addirittura ambire ad un bel posto al sole nella decina dedicata al peggio di fine anno.
In realtà, probabilmente concedere una visione a questo film potrebbe risultare perfino più dannoso che ascoltare i consigli calcistici, cinematografici e in ambito femminile del Cannibale. Anzi, i consigli del Cannibale e basta.

"Tieni, questo ti proteggerà da quei brutti ceffi di Ford e Cannibal!"
Belle & Sebastien di Nicholas Vanier


Il consiglio di Cannibal: molto meglio Ford & Cannibalien
Per me i Belle and Sebastian sono un gruppo fondamentale della scena indie-pop scozzese, e basta. Del resto, del cartone o del libro che sia, non me n’è mai fregato niente. Questa nuova versione si preannuncia poi come la classica pellicola fatta apposta per far piangere i cuori teneri. Ford, è il tuo film, io nel frattempo me ne vado a caccia. A caccia di Tom Hanks da abbattere uahahah!
Il consiglio di Ford: va bene il revival, ma qui pare il ritorno dei morti viventi!
Ricordo con grande affetto il cartone animato dedicato a Belle e Sebastien, che ai tempi delle scuole elementari finivo per incrociare spesso e volentieri appena tornato a casa, più o meno dopo l'ora di pranzo.
Non riesco ancora a vedere, neppure sforzandomi, quali potrebbero essere i vantaggi - o il bisogno - di rispolverare questo vecchio titolo attraverso un film che si preannuncia come una cocente delusione: che poi è un po’ la stessa cosa che accade quando mi ritrovo a contattare Peppa Kid per una nuova collaborazione, e mi chiedo sempre per quale diavolo di motivo continui a sopportarlo.

"Tranquillo, Ford. Ci penso io a riportarti a valle, parola di Cannibal."
La gente che sta bene di Francesco Patierno

 Il consiglio di Cannibal: la gente che sta male va a vadere questo film
Claudio Bisio, Diego Abatantuono e la nevrastenica Margherita Buy tutti insieme nella solita commedia che vorrebbe parlare in maniera brillante e tagliente dell’Italia in crisi di oggi?
Portatemi i sali che ho un mancamento!

Okay gente, mi sono ripreso. Dove mi trovo?
Sto scrivendo una rubrica insieme a MrFord?
Portatemi di nuovo i sali che ho un altro mancamento!
Il consiglio di Ford: la gente che sta bene andrà a vedere - o rivedere - The wolf of Wall Street. Altro che questa roba.
Non poteva passare una settimana senza che il Cinema italiano proponesse la sua ennesima commedia "alternativa" che di alternativo ha soltanto di essere, fortunatamente, l'unica del weekend. Inutile dire che da queste parti finirà dritta dove le conviene con tanto di bottigliate accademiche.
Roba da star male anche più di quando, quotidianamente, mi rendo conto di stare collaborando con Katniss Kid da anni.

"Facciamoci un sigaro alla faccia di Ford e Cannibal: tanto quelli non stanno bene di sicuro!"

The prestige

Regia: Christopher Nolan
Origine: UK
Anno: 2006
Durata: 130'





La trama (con parole mie): Robert Angier e Alfred Borden sono due illusionisti di belle speranze che sognano una carriera nel mondo dello spettacolo della Londra vittoriana, entrambi mossi da ambizione e talento. Quando un incidente di scena provoca la morte della moglie di Angier la loro rivalità, fino a quel momento latente, esplode in una serie di vendette e rivalse personali che rischiano di costare la carriera e la vita ad entrambi.
Angier, votato allo spettacolo ma meno dotato, e Borden, schivo e caotico nella vita privata così come sul palco eppure strepitoso illusionista, portano dunque in scena una vera e propria guerra che costringerà entrambi a sacrificare tutto quello che possano avere mai amato a costo di avere la meglio sul rivale di sempre.
Ma l'illusione avrà mai fine? E cosa rimarrà quando il sipario sarà calato per l'ultima volta?






Questo post partecipa (almeno questo è quello che credete voi) alle celebrazioni per il Christian Bale Day.


Inizialmente, pensando a questo post, avevo architettato uno di quei trucchi di magia in uno stile che si avvicinerebbe più a quello del mio rivale Cannibale.
Uno di quelli con tanto di promessa, svolta e prestigio, con tanto di voto e recensioni fasulle che rivelassero la verità soltanto alla fine.
Poi è capitato di rimettere mano al dvd di quello che è, in assoluto ed indiscutibilmente, il mio film preferito tra quelli firmati da Christopher Nolan, e decidere che non sarebbe bastato.
In fondo, tra noi due, quello che davvero ci sa fare con il pubblico è lui: una grande intelligenza - e scaltrezza - giornalistica, un piglio multitasking ed il tempo di seguire quelle che sono le tendenze, le mode, gli avvenimenti.
Io sono più simile ad un artigiano, o un operaio, della blogosfera. Mi arrangio con quello che ho.
In qualche modo, lui è l'Angier, ed io il Borden.
Potrebbe suonare ambizioso, o troppo supponente, ma in modi completamente diversi e con casse di risonanza e bacini d'utenza di dimensioni decisamente differenti, si potrebbe pensare che io e lui rappresentiamo i blogger cinematografici "singoli" di maggior riferimento nella blogosfera.
E cosa c'entra, tutto questo, con The prestige ed il Christian Bale Day?
A parte il fatto che il suddetto Bale sia uno degli attori attuali di riferimento per entrambi, nessuno.
Forse.
Perchè forse parliamo della promessa, del modo che avrei di distrarre il lettore da quella che è la realtà di questo post.
Sempre che ce ne sia una.
In fondo, parliamo di illusione.
Guarda attentamente, suggerisce Borden in più di un'occasione.
Ma è davvero questo, quello che vuole il pubblico?
Il pubblico vuole essere ingannato, come lo spettatore una volta entrato in sala.
Ed in questo senso, The prestige è la quintessenza del Cinema come forma di intrattenimento, illusione, magia, sorpresa: ai tempi in cui uscì, lo andai a vedere due volte nel giro di pochi giorni.
La prima con una ragazza che frequentavo ai tempi, una che sapevo sarebbe entrata ed uscita dalla mia vita come molte in quel periodo.
La seconda con Julez. Che allora era la mia amica, la persona cui pensavo nel momento in cui sentivo il bisogno di condividere con qualcuno la scoperta di una qualche meraviglia.
Anche se non lo sapevo, quella sarebbe stata una delle svolte della mia esistenza.
Perchè The prestige è stato indiscutibilmente uno dei più grandi amori cinematografici recenti del sottoscritto: negli ultimi dieci anni, pochi film sono riusciti a colpirmi più di questo intricato thriller vittoriano che incrocia vendetta, amore, morte, passione, dedizione, famiglia, sogni ed ambizioni.
Sceneggiatura, atmosfera, voglia e capacità di sorprendere anche ad una seconda, o terza, o quarta visione, fotografia, decostruzione temporale, incastri ed interpretazioni in grado di funzionare come perfetti meccanismi di un orologio infallibile.
Tutto porta ad una meraviglia incarnata da un climax conclusivo da urlo.
Il numero decisivo di uno spettacolo di magia di quelli impossibili da dimenticare.
Ed eccoci arrivati: il finale.
Il prestigio.
Ricordate American Hustle - e sempre di Bale parliamo -?
E' stato la prova generale per questo.
E questa volta il post fordiano è stato tutto scritto per mano e courtesy of Cannibal Kid.
Osservate attentamente.
Abracadabra.



Cannibal Kid


"Do you think I sacrificed real life
for all the fame of flashing lights?
do you think I sacrifice a real life
for all the fame of flashing lights?"
Kanye West - "Pinocchio Story" - 



mercoledì 29 gennaio 2014

I sogni segreti di Walter Mitty

Regia: Ben Stiller
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 114'





La trama (con parole mie): Walter Mitty è un timido archivista fotografico da sedici anni impiegato presso la rivista Life, prossima ad un'acquisizione che ne comporterà la chiusura. Quando Sean O'Connell, un fotografo da prima linea, gli invia il suo più recente reportage indicando uno scatto in particolare come il migliore della sua carriera nonchè quello adatto per l'ultima copertina, Walter è costretto a smettere i panni del sognatore ad occhi aperti per vivere l'avventura che lo condurrà da una parte all'altra del mondo proprio alla ricerca di O'Connell in modo da risolvere il mistero di quello stesso scatto, che pare misteriosamente scomparso.
L'evoluzione di Walter e le scelte che sarà costretto a compiere per ritrovare la foto mancante saranno un incentivo ad uscire dal guscio per l'uomo, cresciuto immaginando sempre e comunque un mondo in cui lui stesso è il primo ad essere più "straordinario".






L'ultima fatica di Ben Stiller come regista, erroneamente definita dalla distribuzione come la risposta del nuovo millennio a Forrest Gump - analogia che ho trovato quantomeno ridicola -, ai tempi della sua uscita in sala aveva seminato più di un dubbio nella mente del sottoscritto, considerati i rischi che titoli anche solo sulla carta "buonisti" comportano: rischi che, almeno nei primi venti minuti di I sogni segreti di Walter Mitty hanno finito per addensarsi lasciando presagire una tempesta di bottigliate da record, paradossalmente divenuta una giornata di sole quasi estivo con l'evolversi della vicenda e del protagonista stesso, cui presta volto alla perfezione un Ben Stiller - nella doppia veste di regista ed attore, come era già capitato con i suoi Zoolander e Tropic Thunder - decisamente in parte - nonostante non sia affatto un suo fan, almeno dal punto di vista interpretativo -, pronto a divenire sequenza dopo sequenza uno straordinario eroe ordinario e a farsi carico dell'incredibile voglia di vivere - a prescindere dalle avventure in cui ci si imbarca - che questo film trasmette.
La figura dolceamara di Mitty, da Space oddity al lancio dall'elicottero - splendido il tuffo nell'Atlantico, un vero gioiellino di comicità al limite dell'assurdo -, dall'incapacità di relazionarsi alzando la testa - divertente la gag sulla barba di Silente - alla sua conquista del mondo - soprattutto interiore -, finisce dunque per conquistare anche lo spettatore pronto a dare a lui ed alle sue avventure una sonora lezione: con un respiro che ricorda quello dei grandi Classici e sfruttando scenari letteralmente mozzafiato - l'Islanda e l'Hymalaya, eruzioni vulcaniche e lotte con gli squali -, Stiller trascina in un percorso iniziatico che tocca temi importanti quali il rapporto tra padre e figlio ed il senso della vita e del lavoro, sfruttando interpreti d'eccezione per parti marginali - Shirley McLaine e Sean Penn, entrambi perfetti per i loro charachters - e confezionando un piccolo gioiello cui si perdona anche più di un'ingenuità dal punto di vista dello script, che concede effettivamente troppo sul piano della realtà effettiva ma che trova il suo significato ed il suo valore proprio nell'oltrepassare i suoi confini.
Senza dubbio il furbo Ben sfrutta in più di un'occasione gli appigli che i sentimenti offrono in occasioni cinematografiche come questa, eppure l'operazione non ha il sapore posticcio dei blockbuster hollywoodiani o della grana grossa tipica dei titoli da centro commerciale, si fa strada lottando ed osando proprio come il suo protagonista e, dai bellissimi titoli di testa al confronto sul tetto del mondo Stiller/Penn - "A volte non scatto, perchè sento il bisogno di vivere il momento senza pensare all'obiettivo", sussurra il secondo di fronte ad uno spettacolo forse irripetibile che la Natura offre a lui ed al suo vecchio amico - il risultato è un'emozione sincera, quasi come se l'indole di Mitty fosse presente in ognuno di noi.
Di fatto, è in questo modo che spesso ci troviamo ad affrontare la quotidianità, e la vita intera: sognare o cogliere l'attimo, sedere in un angolo fino a dimenticare noi stessi o vivere la nostra comune esistenza rendendola, proprio assaporandola a fondo, davvero unica e, per l'appunto, straordinaria.
Del resto, siamo tutti come Major Tom, pronto a sfidare lo spazio profondo come noi affrontiamo ogni nuovo giorno da passare su questa Terra: ed indiscutibilmente è sempre meglio vivere il più possibile che sognare soltanto, per quanto grandi possano essere quegli stessi sogni.


MrFord


"For here
I'm I sitting in a tin can
far above the world
planet Earth is blue
and there's nothing I can do."

David Bowie - "Space oddity" - 




martedì 28 gennaio 2014

The wolf of Wall Street

Regia: Martin Scorsese
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 180'




La trama (con parole mie): Jordan Belfort è un ambizioso broker figlio di due comunissimi contabili che sul finire degli anni ottanta desidera emergere e diventare schifosamente ricco. Quando il lunedì nero delle borse che sconvolse l'autunno del 1987 lo mette all'angolo, Belfort scopre un nuovo canale per arrivare in cima alla catena alimentare: sfruttando le azioni legate a società di profilo decisamente più basso di quelle che era abituato a trattare ma con una commissione pari al cinquanta per cento della vendita diviene in breve tempo un vero e proprio fenomeno della finanza statunitense, liberando ego, lussuria, dipendenza da alcool e droghe e soprattutto dall'adrenalina che da essere i numeri uno, i vincenti, i ricchi bastardi che possono permettersi quello che vogliono quando vogliono.
Peccato che, con il progressivo aumentare dei capitali, l'FBI cominci ad interessarsi alle sue operazioni non proprio pulite, e così come era sorto, l'impero di Belfort inizia inesorabilmente quanto velocemente a sgretolarsi.






Spesso e volentieri, nel corso di questi quasi quattro anni di vita del Saloon, ho fatto riferimento ad un'antica frase, "homo homini lupus", quando si è trattato di parlare di pellicole che mostrassero il lato predatorio e spietato dell'Uomo, che sarà pure animale sociale ma resta altrettanto inesorabilmente il più pericoloso bastardo che la Natura abbia scatenato su questa Terra.
Decisamente meno spesso - e di norma in riferimento a Classici o pietre miliari - ho pensato di assegnare ad un titolo uscito in sala il massimo della valutazione fordiana: non ci sono riusciti neppure i migliori, i vincitori dei Ford Awards di questi anni, le sbronze più importanti che a questo bancone si poteva sperare di prendere.
Il problema, con The wolf of Wall Street, è che non si parla di una sbronza, ma di uno stramaledetto baccanale da coma etilico senza ritorno: Martin Scorsese, appoggiandosi alle spalle di un Di Caprio superlativo - vi invito ad una visione in lingua originale, da urlo in tutto e per tutto - ed un cast assolutamente ed indiscutibilmente perfetto, centra un homerun con tutte le basi occupate, consegnando al pubblico il suo lavoro più grande, dirompente, semplicemente migliore dai tempi di Quei bravi ragazzi e Casinò.
Il vecchio Marty, ispirandosi alle vicende del predatore finanziario Jordan Belfort, sradica dalla sedia di prepotenza, sbattendo in faccia all'audience tutta quintalate di sesso, volgarità, eccessi, droghe e tutto quello che è possibile concepire nel momento in cui si è così schifosamente e clamorosamente ricchi da poter decidere il proprio bello e cattivo tempo sbattendosene felicemente del resto del mondo: in questo senso il Belfort di Di Caprio, una sorta di versione sotto cocaina dell'Abagnale Jr. di Prova a prendermi, riesce ad inorridire, conquistare, lasciare sconvolti e dunque di nuovo ammirati, tanto da arrivare quasi all'empatia con questo animale da giungla - perchè è di giungla che parliamo, quando si tratta della nostra società, dalle scimmie ai suoni gutturali - che dovrebbe essere al contrario quanto di più lontano esiste da noi poveri stronzi che, come l'agente Denham, la sera torniamo a casa dal lavoro in metropolitana, e non al volante di una Ferrari bianca con superfiga in dotazione pronta a succhiarcelo senza fare domande.
Dunque per quale motivo arriviamo addirittura ad emozionarci nel momento in cui Belfort dovrebbe pronunciare il suo discorso d'addio di fronte a tutti i broker pronti a lavorare ai suoi ordini, nella pancia della balena che lui stesso ha creato, la Moby Dick che ha imparato, semplicemente vendendo una penna, ad usare i suoi Achab invece che a combatterli?
E perchè sul finale l'impressione che si sente insieme ad un brivido sulla pelle è quella che il Lupo sia sprecato di fronte ad un gregge di pecore che di quella penna non sa neppure che farsene?
Perchè, signori miei, Jordan Belfort incarna i più bassi istinti che l'Uomo in quanto predatore nutre ed alimenta nel profondo dell'anima: i miei come i vostri, senza distinzioni.
E non credete alle pecore incapaci di vendere una penna o a chi dice che non guarda una donna che non sia la sua, o non fantastica di quanto sarebbe godurioso avere talmente tanti soldi da non sapere che farsene, perchè sono bugiardi anche più dello stesso Belfort.
E non voltate mai le spalle al lupo, perchè un predatore sarà sempre e comunque guidato dal suo appetito, che cresce progressivamente fino a diventare inesauribile quante più prede riesce a mettere sotto i denti.
Credete però ai movimenti di macchina strepitosi di Scorsese, al montaggio furioso di Thelma Shoonmaker, a Leonardo Di Caprio e a The wolf of Wall Street: che non è un film sulla finanza, sul crimine, sul sesso selvaggio o sugli eccessi, ma sull'anima nera dell'Uomo.
Di qualsiasi Uomo.
Da Belfort a Denham.
Fino all'ultimo di noi.
Homo homini lupus.
E se si ha abbastanza coraggio di guardare l'abisso negli occhi, tutti possono essere lupi.
Da Belfort a Denham, per l'appunto.
Senza dimenticare Di Caprio e Scorsese.
Ma The wolf of Wall Street non è neppure un film sui lupi. Non soltanto.
E a dire il vero, non è neppure un film.
E' un fottuto, grandioso, Capolavoro.
Il coma etilico e la scopata della vita.
E' come se la settima arte tutta si mettesse in ginocchio e ve lo succhiasse per tre ore filate senza neanche prendere fiato.
Ditemi voi cosa si può chiedere di più esaltante al Cinema.



MrFord



"Release the wolves
carnage has no rules
comparison, competition
we'll bury one and all."
Machine Head - "Wolves" - 




lunedì 27 gennaio 2014

Nebraska

Regia: Alexander Payne
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
115'




La trama (con parole mie): Woody Grant è un vecchio ex meccanico alcolizzato, sposato da una vita con l'arcigna e tenace Kate e padre di Ross, conduttore di un telegiornale regionale, sposato ed economicamente ben messo, e David, da poco tornato single, commesso di un negozio di elettronica.
Quando l'anziano riceve una lettera che gli promette un milione di dollari a patto che i suoi numeri siano estratti una volta presentatosi di persona a Lincoln, Nebraska, decide che non ci sarà nulla al mondo in grado di impedirgli di ritirare il suo premio: fuggito più volte di casa intenzionato a percorrere i più di mille chilometri che separano Billings, nel Montana, sua città, e la stessa Lincoln a piedi non avendo più il benestare per la guida, Woody insisterà a tal punto che David deciderà di passare qualche giorno con suo padre accompagnandolo fino a ritirare la "vincita", ovviamente fasulla.
Sarà un viaggio intenso e ricco di avvenimenti, che aprirà uno squarcio sul passato della famiglia Grant e sul rapporto tra Woody e suo figlio, di fatto mancato nel resto delle loro vite.






"Non posso dire di essere dispiaciuto per le cose che ho fatto, ma comunque io e lei abbiamo avuto i nostri bei momenti": canta più o meno così Springsteen in Nebraska, uno dei dischi più struggenti ed intensi del Boss stesso.
Alexander Payne, regista dei più che discreti - e dal sottoscritto amati - Sideways e Paradiso amaro tornato sul grande schermo con un'altra epopea in grado di mescolare famiglia, vita vissuta ed il concetto di viaggio come palestra per il cuore ed i rapporti umani, non solo deve aver ascoltato a fondo quel grande disco, ma aver sentito sulla pelle il concetto, più che la descrizione fisica o la posizione geografica del Nebraska: parliamo della provincia americana profonda, quella delle città che paiono uscite dal West e dalla Frontiera, con una main street circondata da fattorie e campi che sanno, per dirla come Clint, di nulla ed addio.
La provincia di cult movies come L'ultimo spettacolo, dal quale pare avere ereditato anche il meraviglioso bianco e nero che incornicia non soltanto un ritratto sentito, divertente e maliconico di una famiglia, ma anche una squadra di attori in forma smagliante capitanata dagli strepitosi June Quibb e Bruce Dern - quest'ultimo premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile ed in lizza per l'Oscar -, che prestano corpo ed anima rispettivamente a Kate e Woody Grant, insieme da una vita, pronti a combattere il mondo così come a lottare l'uno contro l'altra.
Le loro schermaglie, come i vuoti di coscienza dell'uomo - alla prima inquadratura, con il vecchio Grant ubriaco sul ciglio della strada fermato da un poliziotto, ho pensato subito che ci sarebbero state ottime probabilità di trovarmi nello stesso stato dopo gli ottanta - e la carica dirompente della donna - la sequenza al cimitero di Hawtorne è da antologia - sono riusciti a portare a galla nella mia memoria l'approccio che il già citato Maestro Eastwood tenne con uno dei suoi Capolavori, Gran Torino, altro film monumentale sulla vecchiaia e sui rapporti da costruire - o ricostruire - tra genitori e figli: il viaggio di David - in quella fase della vita in cui non è ancora troppo tardi per trovare la propria strada ma non è più così presto per far conto soltanto sui sogni - e Woody è una meravigliosa fotografia proprio di quegli stessi rapporti, che eventi assolutamente comuni di colpo divenuti straordinari trasformano in profondamente reali, presenti, vissuti e parlati dopo anni, decenni, vite intere di silenzio.
E dalla divertentissima e grottesca ricerca della dentiera sui binari o i botta e risposta sulla birra - "Papà, non avevi smesso? Stai bevendo una birra", e di contro "E allora? La birra non è mica alcool!" - all'agghiacciante riunione della famiglia Grant o al faccia a faccia con l'ex amico Ed Pegram - un redivivo Stacy Keach - nel pub - da brividi il gioco di sguardi, i silenzi pesanti come macigni -, due uomini finiscono per ritrovare loro stessi nell'altro, scoprendo di non avere mai smesso di vivere o imparare, e di avere di fatto vinto un premio ben più importante di una fasulla lotteria da pubblicità ingannevole.
Nebraska è un film sulle piccole cose, gesti che noi stessi facciamo giorno dopo giorno senza, magari, renderci conto della loro stessa importanza: dai "fanculo" a "quella era proprio una troia" di Kate al bacio a Woody poco prima di lasciare l'ospedale - un passaggio di una tenerezza quasi straziante, che ben descrive il sacrificio che è presente in ogni storia più o meno d'amore che duri una vita intera -, dal compressore rubato e restituito - divertentissimo momento in grado di riportare alla memoria del sottoscritto il portafoglio recuperato dal motociclista in Sideways o il Cinema dei Coen in generale - al ritorno da Lincoln dell'ormai consolidata squadra composta da David e Woody, che di fronte alle iniziative del figlio affinchè tutto non sia servito proprio a nulla non pare affatto "appannato" come potrebbe sembrare.
E la carrellata sulla via di casa per le strade di Hawtorne, con tanto di cappellino e furgone nuovo, è un gioiellino di sentimento che esalta la componente umana di un film "straight" - per usare un paragone con un altro Capolavoro che Nebraska ricorda, Una storia vera di Lynch - come un solido bourbon da Saloon, di quelli che si bevono "tra uomini" senza dimenticare che non si sarebbe tali, senza delle grandi donne alle quali tornare.
Chiunque si sia fatto - o si faccia - il culo quotidianamente per lavorare, costruire una famiglia e soprattutto mantenerla tale, crescere dei figli e sopravvivere ad amici e nemici, così come all'amore, o semplicemente sognare un furgone nuovo o di "lasciare qualcosa" a chi viene dopo, entrerà in questo film come nella casa in cui è cresciuto: e dovrà ricacciare indietro le lacrime, farsi un bicchiere e riderci sopra.
In fondo, in Nebraska ci siamo andati tutti, almeno una volta.
Per tornare segnati, ma senza dubbio più forti di prima.



MrFord



"I can't say that I'm sorry 
for the things that we done
at least for a little while 
sir me and her we had us some fun."
Bruce Springsteen - "Nebraska" - 



domenica 26 gennaio 2014

Storia di uomini invisibili

La trama (con parole mie): molti di noi bloggers, cinematografici e non, siamo mossi, nel momento in cui ci mettiamo alla tastiera, dalla voglia e dalla necessità di comunicare, sperando che un giorno o l'altro, e in una forma o l'altra, questo continuo digitare possa diventare la nostra professione.
Non è da meno, in questo senso, Giacomo Festi, autore di Recensioni ribelli lanciatosi da poco sul mercato editoriale con questo Storia di uomini invisibili, una storia di demoni interiori e solitudine che ha come protagonista un giovane che, una volta persa la strada che credeva propria, dovrà lottare soprattutto con se stesso per riscoprire la sua identità prima che scompaia.




E' consuetudine buona e direi anche giusta, tra occupanti della Blogosfera e viaggiatori di Frontiera, darsi una mano l'un l'altro quando si tratta di spingere progetti che potrebbero in qualche modo essere importanti per il nostro futuro: approfitto dunque di un momento di pausa dal Cinema per pubblicizzare il lavoro di recente dato "alle stampe" da Giacomo Festi, Storia di uomini invisibili, un viaggio nella psiche e nelle profondità umane - con un'importante fetta costituita dal complesso rapporto tra padre e figlio - più vicino al racconto lungo che non al romanzo, a metà tra la fantasia e la critica sociale, che potrete ritrovare con tutti i dettagli per l'acquisto a questo indirizzo.
Le idee sono interessanti, così come i temi trattati e la contaminazione di generi, dal surreale all'estremamente vero disagio che spesso e volentieri si può avvertire per le strade, sui mezzi pubblici, sul luogo di lavoro, a volte perfino tra le mura della propria casa: gli angoli da smussare non sono pochi, e la strada di Giacomo verso la piena maturità artistica ed autoriale è ancora lunga, ma del resto essere giovani serve anche a farsi le ossa, e scrivere e scrivere ancora è una palestra necessaria per poter formare i muscoli creativi del futuro.
Dunque, proprio per sostenere il cammino del nostro Jean Jacques - per come lo conosciamo da queste parti - fate un salto virtuale ad acquistare la sua opera d'esordio e lasciatevi trascinare dalla vicenda di Tommaso Bernini, trentenne trascinato in un buco così nero da perdere tutto quello che pensava di avere ritrovandosi a dover ricostruire un'esistenza intera a partire dallo zero assoluto: l'essere "invisibile".
In un noto cult movie si recita una frase altrettanto cult: "Ci sono cose che voi umani non potete neanche immaginare".
Ma ci si può sempre provare.



MrFord



"I'm the invisible man I'm the invisible man
incredible how you can see right through me
I'm the invisible man I'm the invisible man
it's criminal how I can see right through you."
Queen - "The invisible man" -



Un corso corsaro per i miti degli anni settanta


La trama (con parole mie): non troppo tempo fa, avevo con grande piacere sponsorizzato un'interessante iniziativa organizzata da Corsi Corsari a proposito di una serie di lezioni sul Cinema degli anni ottanta tenutesi presso La Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano, dando la possibilità ai lettori di White Russian di usufruire del 10% di sconto sul costo dell'intero corso.
Vista l'accoglienza ricevuta dall'operazione, da febbraio il tutto si ripeterà, solo con protagonista il Cinema degli anni settanta: tenetevi forte, dunque, e preparatevi ad un viaggio nel tempo accanto ai miti della settima arte di quel ribollente periodo.




Essendo il sottoscritto un fiero prodotto, seppur per il rotto della cuffia, degli anni settanta, la notizia di un nuovo corso tenuto dal docente Massimo Zanichelli presso La Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano che ruota proprio attorno al Cinema di quell'indimenticabile decennio è stata accolta con numerosi brindisi qui al Saloon: da Arancia meccanica a Nashville, passando per Apocalypse now, Ultimo tango a Parigi, Taxi driver e numerosi altri Capolavori, avrete l'occasione di assaporare le atmosfere che portò alla settima arte la New Hollywood ed immergervi nelle esperienze di un periodo prepotente e tra i più interessanti della Storia recente della settima arte.
Come per il corso dedicato agli anni ottanta il costo per la partecipazione sarà di € 95, ma per gli accaniti bevitori dediti al bancone del Saloon avranno comunque diritto ad un ulteriore 10% di sconto: dunque allacciate le cinture e preparatevi ad affrontare un viaggio da cardiopalma in cinque tappe - il 4, 11, 18, 25 febbraio e il 4 marzo -, ben consci del fatto che, una volta terminato, la vostra vita di spettatori non sarà più la stessa.


Per prenotazioni: Tel. 0270108702, 329-9581101 / email: info@corsicorsari.it
Ulteriori informazioni le potete trovare sul sito di Corsi Corsari.

MrFord



sabato 25 gennaio 2014

Byzantium

 Regia: Neil Jordan
Origine: UK, USA, Irlanda
Anno: 2012
Durata: 118'




La trama (con parole mie): Eleanor e Clara sono due vampiri, esseri immortali che vivono lottando per mantenere il loro segreto muovendosi di città in città. Giunte sulla costa a seguito della fuga di Clara da un misterioso individuo che pare conoscere la loro vera identità, le due donne giungeranno ad un confronto con il loro passato, i ricordi, la Natura di predatrici ed il futuro. La strada per giungere allo stesso, però, pare essere lastricata di sangue e dolore.
Quale sarà il legame che le due cercano così attentamente di celare? Quali segreti vengono custoditi dai succhiasangue e dalla misteriosa Fratellanza che pare governarli? Come reagiranno i mortali venuti a scoprire risvolti di questo universo che mai nessuno prima aveva potuto condividere con il mondo da vivo?
Dietro le mura dell'albergo in rovina chiamato Byzantium si celano tutte le risposte.






Stando a quello che si dice quando si parla di mitologia vampirica, il Tempo finisce per passare per tutti, tranne per i figli di Caino.
Correva l'ormai lontano novantaquattro quando Neil Jordan firmò Intervista col vampiro, supercult dell'epoca che lo portò alla ribalta della cronaca, titolo ancora oggi in grado di ammaliare come gli esseri immortali di cui narra le gesta: sono passati quasi vent'anni, ed effettivamente, nonostante il 3D, gli effetti, le evoluzioni tecnologiche e le stagioni che scorrono i cari, vecchi fratelli di Dracula sono ancora sulla cresta dell'onda, spinti da opere discutibili - vedasi la saga di Twilight - come dal fascino che, immutato, continua a legarli all'immaginario collettivo dal Classico al profondo Pop.
Quello che, però, è cambiato, è il risultato: Byzantium, versione al femminile di quello che fu il già citato Intervista col vampiro, malgrado l'ottima cornice, il fascino delle sue protagoniste - quello algido e distaccato di Saoirse Ronan e quello dirompente e caldo di Gemma Arterton - ed alcune idee di base interessanti, non risulta altro se non una sbiaditissima copia dell'originale, una versione inutilmente melò, poco coinvolgente e decisamente lontana dal romanticismo del suo predecessore intenta a dibattersi nel corso di tutta la sua durata alla ricerca di un'identità mai davvero trovata.
Perchè Neil Jordan, per quanto si sforzi, non riuscirà mai ad essere "femminista" quanto Kathryn Bigelow riesce ad essere "maschilista", Eleanor e Clara mancano del carisma di Lestat e Louis, l'innesto del character di Frank - interpretato dalla pseudo rivelazione Caleb Landry Jones - non raggiunge neppure lontanamente le vette cui aveva abituato il pubblico la Claudia di Kirsten Dunst, e Byzantium non arriva mai al cuore dello spettatore, quanto più all'occhio, ormai abituato a sempre più sperimentazioni per così dire artistiche.
Ma non voglio che la mia visione di Byzantium passi come una sorta di obbligatorio e forzato confronto con quella di Intervista col vampiro.
Onestamente, al momento della sua uscita, l'emozione di potermi confrontare con un nuovo capitolo del rapporto tra Jordan ed i succhiasangue finì per alzare notevolmente l'asticella delle aspettative per questo film: e forse è stato proprio questo, a condannarlo alle bottigliate destinate alle grandi delusioni, alle incompiute che, da potenziali visioni destinate a perdurare nella memoria, finiscono per essere riempitivi forzati per serate senza nulla di meglio da guardare, seconde scelte da panchina della settima arte.
Per quanto, dunque, la tecnica sia assolutamente presente all'appello - la fuga iniziale di Clara è impreziosita da carrelli laterali da brividi - e gli ingredienti per il successo ci siano tutti, il risultato finale risulta assolutamente insipido, se non a tratti addirittura involontariamente ridicolo - terribili i flashback, così come la fantomatica Fratellanza "noi siamo uomini, al bando le donne" che dovrebbe dare spessore al significato "morale" del film -: un inutile sfoggio di padronanza del mezzo cui non solo manca l'anima - concetto quasi vampiresco, del resto - ma anche il ritmo necessario per imporsi sull'attenzione e l'emozione dell'audience.
Meglio, dunque, tornare al passato e sperare che, prima o poi, in questo nuovo millennio così privo di soddisfazioni, anche i vampiri possano trovare davvero il posto che spetta loro di diritto nell'immaginario della settima arte.


MrFord


"In the temple of love you hide together
believing pain and fear outside
but someone near you rides the weather
and the tears he cried will rain on walls
as wide as lovers eyes."
Sisters of mercy - "Temple of love" -


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