venerdì 30 settembre 2016

Storia della pirateria (Philip Gosse, Odoya)




La figura del pirata, per chi ha un background minimo di cultura letteraria e cinematografica, rappresenta senza dubbio una delle più affascinanti che si possano figurare: ribelli e guasconi, sfrontati e folli, i corsari dei mari hanno trovato terreno fertile nell'immaginario popolare che li ha adottati, idealizzati, resi figure quasi romantiche dalle quali prendere ispirazione.
Io stesso, da L'isola del tesoro a quel Capolavoro che è La vera storia del pirata Long John Silver, passando per tutto il bagaglio che la settima arte ha accumulato da L'ammutinamento del Bounty a I Goonies, per arrivare a Black Sails, sono sempre stato affascinato da questi uomini - e donne - pronti a partire all'avventura seguendo il motto "nessuna preda, nessun bottino".
Così, dopo anni di idealizzazioni e la curiosità scaturita dall'epopea dell'ultimo capitolo della saga di Uncharted sulla Playstation 4 - che cita apertamente uno dei pirati più famosi di tutti i tempi, Avery, ed il progetto di alcuni tra i capitani più noti in tutti i mari, Libertalia -, ho pensato che fosse il momento giusto per buttarsi su un paio di saggi che raccontassero la vera storia di un fenomeno vecchio quanto la civiltà e la navigazione, testimone di episodi che hanno dell'incredibile - negli anni di scuola non ho mai scoperto che Giulio Cesare ancora lontano dall'essere il conquistatore che di norma compare sui testi fu rapito e tenuto in ostaggio da pirati greci che circuì e tornò a catturare ed uccidere - e molti altri tragicamente umani ed ancora attuali - dai conflitti a sfondo religioso tra cattolici e musulmani nelle acque del Mediterraneo fino agli scempi commessi da molti capitani soprattutto nell'area centroamericana -, figlio di una linea di pensiero che mi ha fatto tornare in mente il tamarro e strepitoso pezzo di Andrew W. K. "Party hard", che recita "we do what we like and we like what we do", ma anche di idee e regolamentazioni sui vascelli figlie di un comunismo che ancora doveva nascere, esempi che verranno presi in epoche più moderne anche dalle compagnie assicurative per tutelare i lavoratori a rischio in mare e non solo.
Una traversata affascinante e ricca di spunti per qualunque scrittore o regista, che passa dai resoconti delle tensioni tra i pirati moreschi e le grandi monarchie cattoliche agli antichi romani, da Tortuga e l'epoca d'oro della pirateria - quella che parte da Drake e si chiude con i vari Avery, Barbanera, Anne Bonnie e soci, legata all'idea di una sorta di Repubblica dei predoni del mare, la già citata Libertalia -, dal Madagascar alla lotta sella signora Ching in Cina, dalle coste dell'India al Giappone: certo, come tutti i saggi, per quanto scritto e condotto in maniera assolutamente easy dall'autore, si sente la mancanza della scintilla che fa restare incollati alla pagina e desiderosi di scoprire cosa accadrà nella successiva, e la curiosità finisce per essere spesso e volentieri castrata dalla necessità di Gosse di portare sulla pagina più argomentazioni possibili senza approfondire, di fatto, nessuna delle stesse - gente come i già citati Drake ed Avery finisce per essere liquidata in una manciata di pagine -, ma la lettura, quantomeno per gli appassionati ed i curiosi rispetto alla materia trattata, scorrerà liscia come il mare calmo all'alba, alimentando ispirazioni e sogni di quelli che si fanno da bambini, quando, in mancanza di una scintilla che ci porti ad ammirare sempre i buoni a tutti i costi, solletica le parti oscure dei "bad guys".
Ed in tutto questo oceano di romanticismo, resta ricordare che il fenomeno della pirateria, figlio del coraggio, dell'incoscienza, del desiderio e delle passioni, è stato, è e resterà anche legato a doppio filo alla violenza ed alla bestialità dell'essere umano, e che come tutti i difetti che ci portiamo dietro e dentro, pur archiviato o quasi in epoca moderna, continuerà ad esercitare un fascino clamoroso nonostante, di fatto, sia l'espressione di qualcosa che non potrà mai essere considerato come positivo.
E forse è proprio questo, il "problema".




MrFord




 

giovedì 29 settembre 2016

Thursday's child



Prosegue la cavalcata verso l'ultimo periodo della stagione cinematografica, quella che almeno sulla carta dovrebbe tirare fuori gli ultimi colpi in vista della carrellata di classifiche di fine anno: i titoli in uscita in questo fine settimana potrebbero riservare in questo senso potenziali sorprese positive, dunque non resta che sperare nel meglio.
Per quanto riguarda il mio socio e co-conduttore di rubrica, Cannibal Kid, invece, le speranze sono già state abbandonate da tempo.


"Forza, forza! Dobbiamo fuggire il prima possibile dall'ennesima recensione radical di Cannibal!"

Café Society

"Ma sul serio vuoi uscire con Cannibal? Quello è più pusillanime di me!"

Cannibal dice: Woody Allen in genere alterna un film buono a uno cattivo e, considerando che l'ultimo Irrational Man nonostante l'ottimo cast a me aveva fatto abbastanza pena manco l'avesse consigliato l'Irrational Ford, da questo mi aspetto grandi cose. E, considerando l'aria retrò vagamente da Midnight in Paris che si respira, le premesse sembrano buone. Anche perché un café con Blake Lively io me lo berrei volentieri. E io in genere non bevo caffè.
Ford dice: più o meno da vent'anni a questa parte, la puntuale uscita autunnale di Woody Allen è una scommessa. Ci si può trovare di fronte cose pregevoli come Match Point o Midnight in Paris o atrocità come Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni o Vicky, Christina, Barcelona. Tant'è che l'ultimo Irrational Man - e non parlo del biopic su Marco Goi - da queste parti non è neppure passato.
Questo Cafè Society mi attrae molto poco, ma potrebbe rivelarsi una sorpresa.
Quella che non è il mio antagonista, radical sempre e comunque.



Ben-Hur

"Lo sapevo che esaltare un film incensato su Pensieri Cannibali avrebbe avuto delle conseguenze!"
Cannibal dice: Il remake di cui nessuno sentiva la necessità. Penso manco Ford che quando usciva l'originale era ancora un pischelletto. O forse era un pischelletto ai tempi proprio di Ben-Hur?
Ford dice: ho sempre adorato i classiconi come Ben Hur, e purtroppo penso che remake di questo genere non possano fare altro che danneggiarne il ricordo, o peggio, passare come "originali" al pubblico più giovane e poco cosciente. E non parlo di Cannibal: nonostante quello che continua a ripetere, lui giovane non è più neanche per sbaglio.



Nick Cave – One More Time with Feeling

"Il mio ultimo disco è piaciuto a Cannibal? Alzo le mani e mi ritiro dal mondo della Musica."

Cannibal dice: Nick Cave non mi ha mai fatto impazzire. Troppo deprimente, troppo fordiano. L'ultimo disco che ha da poco realizzato con i suoi Bad Seeds è però davvero notevole e il documentario sulla sua luttuosa realizzazione, a cui fino a poco tempo fa non avrei nemmeno pensato di avvicinarmi, ora mi attira non poco. Dimostrazione di quanto i pensieri cannibali siano in costante evoluzione e mutamento, mentre i pensieri annebbiati dall'alcol (e dalla vecchiaia) di White Russian restano sempre immutabili.
Ford dice: ho sempre trovato notevole Nick Cave, nonostante il suo approccio funereo al rock lo renda un tantino indigesto per un tamarro sguaiato come il sottoscritto.
Questo documentario, come tutta la sua opera, potrebbe essere molto interessante: dunque, nonostante non si tratterà di un'epidemia di buonumore, penso lo recupererò. Distribuzione permettendo.



Indivisibili

"Sorellina, siamo unite quasi quanto Ford e Cannibal!"

Cannibal dice: Film inserito tra i 7 potenziali candidati italiani agli Oscar, a spese di lavori più quotati come La pazza gioia o Veloce come il vento, potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa. Le protagoniste poi sono due gemelle siamesi che sono proprio come me e Ford: indivisibili.
Ford dice: nonostante non si tratti di una rivisitazione del rapporto simbiotico tra questo vecchio cowboy ed il finto giovane Cannibal Creed, e si tratti di un film italiano, questo Indivisibili potrebbe addirittura risultare interessante. Speriamo di non rimanere troppo delusi.



Al posto tuo

"Non vuoi proprio capirlo: io con quei due blogger da quattro soldi non ci parlo!"

Cannibal dice: Ford sarà già pronto a bollare questo film come una schifezza assoluta. Io che per fortuna non sono al posto di Ford dico invece che potrebbe essere una commedia più gradevole e divertente di tante scemate americanate come Una spia e mezzo. Anche perché il regista è quello del caruccissimo Poli opposti, che a sorpresa mi era piaciuto, quindi un'occhiata pure a questo ci potrebbe stare.
Ford dice: non ho bisogno di bollare questo film. Lo salto a piè pari, e felicemente. E corro a rivedermi Una spia e mezzo.



Liberami

"Ti prego, dio, non farmi mai più incrociare il cammino di un film consigliato da Cannibal."

Cannibal dice: Altro lavoro italiano che non promette male. Un documentario sull'esorcismo premiato all'ultimo Festival di Venezia come miglior film della sezione Orizzonti. In più mi offre lo spunto per un grido disperato: liberatemi da Ford, vi prego!
Ford dice: se non fosse un film italiano, sarei molto più curioso di questo documentario sugli esorcismi. Tuttavia, lo guarderò nella speranza di carpire qualche segreto per esorcizzare la blogosfera dalla presenza di Cannibal Kid.



Le ultime cose

"Me l'avevano detto, che a guardare film consigliati da Peppa Kid si faceva una brutta fine."

Cannibal dice: Dopo tre pellicole italiane promettenti, ecco un lavoro neo neorealista che sembra buono giusto per il più radical e noioso dei Ford. Io passo.
Ford dice: ho diverse cose in arretrato da recuperare, in termini di visioni. Per il momento Le ultime cose non è tra quelle.



The Assassin

"Cannibal Kid? E' più pusillanime del mio sacco d'allenamento!"
Cannibal dice: Film di cappa e spada che pare visivamente molto affascinante, ma che a livello di storia potrebbe interessarmi all'incirca quanto un incontro di wrestling con Ford che combatte contro Hulk Hogan e The Rock. Un sogno erotico per lui, un incubo per me.
Ford dice: il wuxia è un genere che ho sempre amato. Se, inoltre, consideriamo che dietro la macchina da presa c'è Hou Hsiao Hsien, allora siamo a cavallo. Potrebbe diventare il mio film della settimana, se non del mese.



Se permetti non parlarmi di bambini

"Taci, o giuro che ti propino una maratona con i film preferiti di Marco Goi!"

Cannibal dice: Romcom argentino-spagnola che non sembra niente di eccezionale, però il titolo per me è intrigante. Mentre al super pluri papà Ford potrebbe suonare spaventoso!
Ford dice: considerata la mole di impegni accumulata con i Fordini, e quanto, a volte, io e Julez finiamo stremati le giornate, direi che per il momento questo film lo eviterò con cura.
Preferisco mettere la felicità a letto con loro, e godermi qualche tamarrata che non mi faccia pensare troppo a quanto il mio corpo chieda un paio di settimane di ferie in qualche isola sperduta dei Caraibi, solo con la signora Ford.




Abel – Il figlio del vento

"Sono contento di aver sperimentato il metodo di caccia di Ford: è senza dubbio all'avanguardia."

Cannibal dice: Film con bambini + animali = il male assoluto. Manca solo Ford...
Ford dice: filmaccio con un Jean Reno ormai privo di ogni vergogna che pare la versione ancora più brutta di Belle e Sebastian. Non lo farei vedere neppure a Cannibal. Che è tutto dire.


mercoledì 28 settembre 2016

Trafficanti (Todd Phillips, USA, 2016, 114')



Nel corso degli anni novanta, era di gran moda rinverdire i fasti - se così si possono definire - dell'epoca d'oro degli eighties almeno per quanto riguarda il crimine, considerati gli anni "da bere" - per usare un termine da milanese - di Pablo Escobar e soci: ricordo benissimo il periodo in cui mi specchiai nel passaggio di mio fratello nella carrellata dei vari Padrino, Quei bravi ragazzi, Scarface, Blow e via discorrendo.
Anzi, più volte ho pensato che il cultissimo di Brian DePalma aveva, di fatto, rovinato una generazione finendo per mandare in pappa il cervello di chi non era riuscito a cogliere il ritratto profondamente drammatico del buon Tony Montana, alimentando i sogni di gloria di tamarri in delirio d'onnipotenza in stile Fabrizio Corona - giusto per dirne uno che di danni pare averne fatti più che altro a se stesso -.
Todd Phillips, regista della divertentissima - eccetto l'ultimo capitolo - trilogia di Una notte da leoni, torna sugli schermi con un prodotto che pare rispecchiare proprio lo spirito di quell'epoca, aggiungendo al cocktail una spruzzata di Lord of war che non fa mai male, titolo firmato da Andrew Niccol bersagliato dai critici alternativi e benpensanti da sempre una piccola chicca qui al Saloon, e lo fa con un certo piglio ed un discreto risultato, per quanto tutto, in qualche modo, suoni comunque fuori tempo massimo e già sentito: Miles Teller e Jonah Hill ripropongono una formula più che valida vista in tutti i titoli appena citati - Julez, nel corso della visione, ha avuto reminiscenze addirittura del fantastico Wolf of Wall Street, uno dei film più grandiosi degli ultimi anni, mentre io sono stato più incline a rimembrare Pain&Gain - che coinvolge e funziona perchè basata su avvenimenti realmente accaduti, anche se senza dubbio risulterà più affascinante ai giovani ancora privi di un background come quello di chi è cresciuto a cavallo tra gli ottanta e i novanta.
Certo, il trailer italiano è come al solito fuorviante ed ingiustificato, considerato che quello che è, a tutti gli effetti, un film in qualche modo profondamente drammatico viene mascherato da commedia cazzara proprio in stile Una notte da leoni, e questo non aiuterà nella visione il pubblico occasionale o chiunque approcci questo Trafficanti - adattamento pessimo, una volta ancora - con un certo spirito, eppure a mio parere una visione, nonostante la sensazione di deja-vu, risulta quasi d'obbligo, e finisce addirittura per stimolare riflessioni non da poco sul ruolo della società, dell'economia, della guerra e di tutte quelle cose che pare stiano dietro alle regole del mondo.
Una "falsa stronzata", dunque, che pur non essendo certo memorabile o destinata alla Storia del Cinema finisce per risultare godibile ed interessante, pronta a raccontare una vicenda figlia delle influenze di una generazione o due di pellicole che, anche solo erroneamente, caldeggiavano una carriera nel mondo del crimine - o ai suoi margini - come alternativa al riscatto sociale: una seduzione cui è stato, è e sempre sarà facile cedere ma che, a conti fatti, non porta nulla di buono a chi la vive come un sogno americano che si rivela, più che altro, un'illusione.




MrFord




martedì 27 settembre 2016

Man in the dark (Fede Alvarez, USA, 2016, 88')



Quando si tratta di film horror, oltre che con i piedi di piombo, ormai approccio sempre con un filo di tristezza nel cuore: ricordo bene le grandi stagioni vissute a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, quando tra Nightmare e Twin Peaks finivo a passare gran serate a cagarmi sotto di brutto dalla paura.
Con il tempo, la vecchiaia, l'esperienza ed una scarsità d'inventiva e di idee degli autori del genere, le cose si sono complicate parecchio, tanto da restringere ad una manciata di titoli i prodotti che, negli ultimi dieci anni, hanno finito per farmi davvero saltare sulla sedia - The Descent, Eden Lake, Lidris cuadrade di tre e Lake Mungo -, mentre tutto il resto passava senza restare nella memoria per più di qualche ora.
Fede Alvarez, che qualche anno fa mi stupì in positivo - pur non strabiliando - con il remake di un supercult del sottoscritto come La casa, con questo Man in the dark - accolto benissimo oltreoceano - tornava in sala con tutti i migliori propositi del caso, alimentando le speranze del sottoscritto di trovare almeno un riferimento "giovane" in grado di dare nuova linfa al Cinema "di paura": il risultato è una via di mezzo convincente solo in parte, senza dubbio girata con perizia e discretamente tesa ma troppo derivativa e poco cattiva per poter sperare di avviare la macchina del tempo e far viaggiare un residuato del mio calibro fino ai bei tempi degli spaventi e delle mani portate davanti agli occhi dal terrore.
Basterebbe tornare con la memoria a La casa nera di Wes Craven per ridimensionare - e non di poco - l'entusiasmo forse eccessivo per il comunque discreto lavoro di Alvarez, che confeziona un survival quantomeno anomalo per i tempi che corrono cedendo solo nella parte finale all'ombra della produzione e della distribuzione su larga scala che, probabilmente, vedono con un occhio migliore epiloghi che siano almeno in parte "consolatori", mentre sarebbe calzato come un guanto al main charachter - e non parlo dei tre ragazzi - una chiusura spietata e cattiva.
Ad ogni modo, Man in the dark riesce a riempire i vuoti lasciati dagli horrorini in salsa teen del nuovo millennio passati da queste parti di recente, e seppur non all'altezza delle aspettative a regalare un intrattenimento solido al servizio di un minutaggio perfetto per questo tipo di pellicole, una buona dose di thrilling ed un incedere senza pause, impreziosito da un paio di ottime trovate e da un "mostro" interessante, anche se a mio parere non sfruttato in tutte le sue potenzialità e poco approfondito.
Mi sarebbe piaciuto, considerate le premesse, scrivere ed emozionarmi molto di più rispetto a questo titolo, ma se da un lato la delusione è stata indiscutibile, dall'altro occorre ammettere che, pur risultando decisamente all'acqua di rose, un horror realizzato da qualcuno che crede negli stessi "valori di genere" del sottoscritto risulti comunque più incisivo di qualsiasi goffo tentativo figlio indiscutibile del Nuovo Millennio.
E questo è senza dubbio già qualcosa.




MrFord




 

lunedì 26 settembre 2016

The legend of Tarzan (David Yates, USA/UK/Canada, 2016, 110')









Uno dei piaceri di essere tornato a scrivere quotidianamente è dato dal fatto di essermi liberato ancor più di prima della zavorra di recensore "duro e puro", di critico cinematografico o aspirante tale e soprattutto di radical che mi attanagliava parecchi anni fa: il vecchio non ancora vecchio cowboy di allora avrebbe non solo ripudiato un'uscita in sala come The legend of Tarzan, ma anche sparato a zero su una pellicola assolutamente sacrificata sull'altare dei blockbuster, dallo spiccato gusto anni novanta ed incentrata principalmente, almeno per quanto riguarda la promozione della stessa, sugli addominali scolpiti di Skarsgard, figlio d'arte reduce dalla cavalcata finita in modo decisamente poco trionfale di True Blood.
Fortunatamente, quell'epoca è decisamente tramontata, e mi trovo con onestà ad ammettere di essermi goduto questo reboot - se così si può chiamare, considerato che si tratta di una rilettura - firmato dal David Yates degli ultimi, spenti Harry Potter dal primo all'ultimo minuto neanche fosse una versione riuscita - in termini di qualità ed intrattenimento - di un floppone targato nineties dal quale ai tempi della prima adolescenza aspettavo grandi cose come Spiriti nelle tenebre, di gran lunga tra i titoli "di cassetta" più goduriosi dell'estate appena trascorsa: certo, non posso dire se tra qualche tempo - o al momento della pubblicazione di questo post, che avverrà più o meno ad un mese dalla visione e dalla stesura di questo post, se non di più - non l'avrò completamente rimosso, o se avrà mai un posto nella vasta collezione di dvd e bluray del Saloon, ma senza dubbio lo assocerò per sempre non alla figura senza dubbio mitica di Tarzan - comunque reso discretamente dal fu Erik Northman e già citato Skarsgard - o dall'ormai scontatissimo Waltz - che, comunque, regala la battuta migliore del film con quel "Questo è l'urlo di Tarzan? Me lo aspettavo diverso!" - ma al Fordino, che alle prime avvisaglie di crescita comincia a manifestare interesse per i film dall'inizio alla fine, abbandonando - come in questo caso - addirittura i suoi adorati animali per sedersi sul divano accanto a me e partecipare con emozioni crescenti alla visione.
Guardare il mio piccolo grande uomo stringersi a me per la tensione nel corso del duello tra Tarzan ed il suo fratello scimmia divenuto rivale o saltare in preda all'euforia nel momento della rivincita che la popolazione - umana ed animale - della foresta nera africana sui tentativi dell'uomo occidentale e "civilizzato" di derubare le sue risorse togliendo la vita ai suoi figli rende questo film - a prescindere da quello che è l'effettivo ed oggettivo suo valore artistico - una delle esperienze da spettatore e da uomo più belle che ricordi, e non solo mi fa quasi sperare in un ipotetico sequel, ma anche di aver trasmesso già da ora, una visione dopo l'altra, la stessa passione del sottoscritto per la magia del grande schermo anche a mio figlio, alimentando il desiderio di poter condividere questo tipo di momenti con lui anche in futuro, e chissà, forse un giorno anche uno spazio come questo.
Dunque sì, il Tarzan di David Yates non inventa nulla di nuovo, si appoggia agli effetti ed agli stratagemmi - dagli addominali tarzaneschi a Margot Robbie - come ad una ciambella di salvataggio, sfrutta l'enfasi dell'epica di grana grossa, spoglia l'eredità di un personaggio cult di tutto quello che potrebbe essere anche vagamente autoriale, ma anche fosse una vuota, inutile, campata in aria operazione di marketing, è riuscita in ogni caso a regalare una parentesi di magia ad un bimbo dalle energie e curiosità inesauribili e dalla passione sfrenata per gli animali.
E, spero davvero, anche per il Cinema.
Per me, va più che bene così.





MrFord





domenica 25 settembre 2016

Il sale della Terra (Wim Wenders&Juliano Ribeiro Salgado, Francia/Brasile/Italia, 2014, 110')




La fotografia, fin dai tempi dei miei primi viaggi da solo o in compagnia che segnarono il distacco dalle classiche vacanze con i genitori, ha sempre esercitato un fascino notevole, sul sottoscritto: la scoperta, poi, negli anni, di veri e propri artisti dell'obiettivo come Robert Capa - ancora oggi, forse, il mio preferito in assoluto, per quanto relativamente poco possa conoscere di questo mondo - aprì le porte a visioni di scatti talmente potenti da rendere un'immagine non solo una riproduzione, o un'opera, quanto più che altro una sorta di metafora del tempo che, di colpo e per quell'istante, pare smettere di scorrere o schiacciare il pedale dell'acceleratore puntando dritto all'infinito.
Sebastiao Salgado, da molti considerato forse il miglior fotografo di sempre, nel corso della sua incredibile carriera ha compiuto un vero e proprio viaggio attraverso l'Uomo e la Natura, un viaggio così importante e clamoroso da aver attirato l'attenzione non solo del pubblico e della critica, ma anche, in questo caso, di un regista importante ed affermato come Wim Wenders, legato al fotografo brasiliano da ammirazione ed amicizia da decenni, pronto ad accompagnare l'audience in questo film realizzato anche grazie all'apporto del primogenito di Salgado, che proprio con Wenders ha scritto e co-diretto il progetto, che illustra la vita e le opere del padre di quest'ultimo dai primi tentativi con una macchina fotografica ai progetti legati alla rivitalizzazione del pianeta a partire dai terreni che furono di proprietà della famiglia, nel cuore del Brasile rurale.
Con ogni probabilità, per un aspirante fotografo un titolo come Il sale della Terra potrebbe rappresentare un riferimento almeno quanto l'opera di questo incredibile artista, che più che essere ridotto semplicemente ad un uomo dietro un obiettivo, finisce per apparire come un avventuriero, un umanista, un innovatore, un profondo amante del nostro pianeta e delle sue meraviglie, anche quando le stesse finiscono per essere oscurate dalla malvagità umana: i suoi reportage legati ai viaggi in Africa, tra il Rwanda e la Somalia, o quelli nell'ex-Jugoslavia devastata dalla guerra, sono qualcosa di così potente da mettere i brividi e far pensare a quanto possa essere costato all'autore di quelle fotografie che paiono ferite a cuore aperto essere presente a testimoniare quello che stava accadendo: nel corso di quest'epopea delineata da Wenders nel modo più semplice possibile, ovvero sfruttando le immagini catturate da Salgado nel corso della sua carriera, corredate da estratti di video delle sue spedizioni ed i primi piani del fotografo pronto a raccontare a favore di macchina la sua incredibile vita.
In particolare, a prescindere dall'indubbia magia che trasuda dagli scatti del vecchio Sebastiao, la cosa più incredibile di questo film, di questo percorso, è la capacità di trasmettere una passione senza confini per la vita ed il nostro mondo da parte di quest'uomo, che ha viaggiato dal polo alle foreste inesplorate, sfiorato la guerra ed assistito a massacri e morti davanti ai suoi occhi, e passando dall'Inferno dell'Uomo è riuscito a trovare la forza per rinascere attraverso una sempre più intensa comunione con la Natura, vera e propria protagonista della seconda metà della sua carriera.
Ascoltare Salgado spiegare il brivido di poter fotografare una tartaruga delle Galapagos che poteva essere già adulta quando Darwin studiò quei luoghi, o quasi commuoversi pensando che un piccolo albero di qualche mese piantato per risanare i terreni in cui è cresciuto potrebbe arrivare a raggiungere i quattrocento anni è qualcosa in grado di superare i confini del Cinema e dell'Arte, ed aprire al contrario le porte alla vita.
Del resto, anche una fotografia, in qualche modo, sfida il Tempo e l'Eternità.
E' un istante che tende all'infinito, anche quando le creature da una parte e dall'altra dell'obiettivo hanno finito per diventare parte di questo miracolo che troppo spesso diamo per scontato: come spesso mi è capitato di scrivere, io sono un ateo miscredente, ma se devo credere a qualcosa, credo nella passione e nella vita che Salgado trasmette con la sua macchina tra le mani o, semplicemente, quando è seduto ed ascolta il respiro del pianeta.
Perchè il bello di essere così piccoli, a volte, è rendersi conto della grandezza che abbiamo di fronte.




MrFord




 

sabato 24 settembre 2016

Wolf Creek - La miniserie (Stan, Australia, 2016)




Chi frequenta il Saloon abitualmente ben conosce il rapporto tra il sottoscritto e l'Australia, terra che ospitò i Ford nel corso del loro viaggio di nozze e che da sempre, per le sue componenti wild, di natura incontaminata e nuove possibilità, ha un posto speciale in questo vecchio cuore.
Ai tempi della visione del primo Wolf Creek il continente "down under" era ancora un sogno da viaggiatore da coronare eppure, grazie anche ad una robusta dose di tensione e violenza e a panorami mozzafiato, divenne immediatamente un piccolo cult anche grazie al diabolico Mick interpretato da John Jarrat, una versione psicopatica e sanguinaria del mitico Mr. Crocodile Dundee.
Quando, anni dopo, in sala approdò il sequel, arricchito con una svolta da humour nero non da poco, potei constatare con piacere che Greg McLean non si era fatto abbagliare dal successo, ed era riuscito a trovare una nuova formula per la sua creatura senza per questo mancare il bersaglio o snaturare la stessa: con questa miniserie, ed un ritorno ad atmosfere più cupe e da thriller, i fan del terribile Mick avranno pane per i loro denti e la conferma che il franchise funziona, pur se, come fu anche per i due lungometraggi, non senza difetti disseminati qui e là come buche in una strada perduta nel bush dell'outback.
A prescindere, comunque, da questi stessi difetti - un utilizzo del Tempo non proprio perfetto, e certe coincidenze forse un pò forzate -, le sei puntate di Wolf Creek scorrono che è una meraviglia, facendo luce sull'infanzia e le origini del nostro serial killer ed introducendo un'antagonista per lo stesso finalmente all'altezza, la giovane Eve, atleta americana scampata al massacro della sua famiglia e decisa a vendicarsi dell'uomo che l'ha privata di tutto quello che aveva: a fare da spalla a quest'ultima, i fan di Spartacus ritroveranno con gioia - anche se i capelli corti ed un pò di imbolsimento non gli hanno certo fatto bene - il Dustin Clare che diede volto all'indimenticabile Gannicus, uno dei favoriti del sottoscritto della serie dedicata al trace che sfidò Roma.
Per il resto, tra polvere e casi umani da far impallidire anche il peggiore dei rednecks, la vicenda di Eve e di Mick prosegue con una violenza forse più edulcorata rispetto alle pellicole ma ugualmente efficace, personaggi di contorno scombinati tanto da far pensare siano usciti dritti dritti da Un tranquillo weekend di paura - siano essi positivi o negativi, dalla camionista maori alla banda di rapinatori - ed una Natura che pare ben più di una comparsa, considerato che, negli spazi sconfinati dell'outback australiano, basta anche soltanto un infortunio casuale più grave del previsto per rischiare la vita.
Senza dubbio non si tratta di un prodotto indimenticabile o capace di convincere i non avvezzi al genere, ma per chi ha almeno un minimo di confidenza con squartamenti, morti ammazzati e thrilling, i sei episodi scorreranno come il sangue da una ferita aperta con bisogno di sutura, e l'epopea di Mick e la sua rivalità con la giovane e determinata statunitense incorniciata dall'immensità dell'entroterra australiano avranno il sapore del più fresco e stordente dei cocktail al termine di un pomeriggio assolato di fine estate.




MrFord





 

venerdì 23 settembre 2016

Pelè - Birth of a legend (Jeff&Michael Zimbalist, USA, 2016, 107')



Come dimostrano le lunghe serie di post dedicate a Mondiali ed Europei, qui al Saloon il calcio è sempre stato ben accolto, in barba agli haters ed ai fighetti che, in occasione delle manifestazioni suddette, finiscono a fingere di tifare per squadre estere salvo poi, eccezionalmente, tornare indietro in caso di vittoria o con una punta di superiorità affermare che a loro "il calcio non interessa": una delle figure più mitiche che il pallone abbia regalato ai suoi tifosi - forse la più mitica, insieme a quella di Diego Maradona - è senza alcun dubbio quella di Pelè, per molti il giocatore più forte della storia di questo sport.
A cavallo tra il Mondiale carioca e l'Olimpiade di Rio, una pellicola da grande distribuzione dedicata alla celebrazione della sua ascesa, partita dalle favelas e culminata con la finale del Campionato del mondo del cinquantotto vinto a sorpresa contro la favoritissima Svezia padrona di casa ed allora praticamente uno schiacciasassi, pareva un'idea pressoche perfetta, considerato il ruolo di ambasciatore sportivo occupato da O Rey negli anni: peccato che, nonostante il fascino indubbio che questo sport riesce ad esercitare sul sottoscritto, la rivalità tra Pelè e Altafini, la presenza di Vincent D'Onofrio ed il ruolo che la ginza - stile legato alle tradizioni di origine africana dei primi schiavi portati in America ai tempi del colonialismo ed alla nascita della capoeira che rese famosi fuoriclasse come Pelè o Garrincha - ebbe nella rivincita sportiva ed umana di quel Brasile, il film risulti talmente romanzato, patinato, scritto e realizzato ad uso e consumo della commercializzazione più bieca da quasi infastidire anche in momenti piacevoli come l'omaggio a Pelè in persona, che compare brevemente nel corso della scorribanda dei giocatori della nazionale verdeoro dentro e fuori l'albergo che la ospita prima della finale insperata contro la già citata Svezia.
Siamo dunque lontani da esempi di perfetto Cinema calcistico come Il maledetto United o Fuga per la vittoria - che, peraltro, vedeva proprio Pelè tra i protagonisti -, e più vicini ad una versione meno avvincente e ben riuscita di pellicole dedicate alla rivincita degli outsiders come The Millionaire, che probabilmente il pubblico occasionale o non amante del calcio non potrà cogliere in tutte le sue sfumature e quello invece innamorato della settima arte troverà scontato o retorico - la morte del piccolo amico di Pelè in gioventù -: l'atmosfera è quella della visione da tv in una serata in cui non si è trovato nient'altro da vedere di più interessante, e benchè si finisca comunque per farsi coinvolgere dalla ginza dei giocatori carioca ansiosi di dimostrare il loro valore ed il loro retaggio al mondo ed ai detrattori, tutto risulta per essere davvero troppo poco per poter considerare non tanto come memorabile Pelè - Birth of a legend, ma anche soltanto meritevole di una menzione che possa rimanere impressa nella memoria a fine stagione.
Se, dunque, O Rey è stato un fuoriclasse assoluto ed uno dei giocatori simbolo di quello che è lo sport più seguito al mondo, il film che ne celebra gli esordi e l'ascesa dal Santos alla Nazionale non è neppure paragonabile all'ultimo dei panchinari.




MrFord
 
 
 
 
 

giovedì 22 settembre 2016

Thursday's child


Terminata ufficialmente l'estate, si torna alla normalità rispetto alle uscite in sala, con tante proposte, alcune possibili sorprese e le consuete ciofeche, spesso e volentieri made in Italy o made in Cannibalandia: perchè se c'è una cosa che, purtroppo, in questa rubrica non cambia, è i co-conduttore, il come sempre fastidioso Peppa Kid.



Effetto riscontrato nelle vittime da visione di film promosso come Capolavoro su Pensieri Cannibali.




Bridget Jones's Baby

"Pronto? Cannibal!? Di nuovo tu!? Ti ho detto che io esco solo con Ford!"
Cannibal dice: Pellicola ispirata alla recente gravidanza della Signora Ford, che sta per avere una figlia, ma non sa se il padre sia il Signor Ford oppure... Rocco Siffredi.
Quanto a questa libera rivisitazione con Bridget Jones futura madre di un babé che potrebbe essere di Colin Firth oppure del Dottor Stranamore, penso proprio che me la gusterò. Di recente mi sono rivisto il primo film della saga, Il diario di Bridget Jones, e per la prima volta anche il sequel, Che pasticcio, Bridget Jones, che avevo snobbato ai tempi dell'uscita e devo dire che, se a livello cinematografico non sono niente di che, il personaggio di Bridget Jones è davvero idolesco!
Ford dice: non ho mai fatto i salti di gioia all'idea del personaggio di Bridget Jones, ho vaghissimi ricordi della visione del primo film e la certezza di aver snobbato il secondo. Questo terzo capitolo, fuori tempo massimo e dal trailer assolutamente imbarazzante, sarà felicemente accantonato e lasciato alla vera casalinga disperata della blogosfera, Bridget Kid.



Blair Witch

Una veduta dall'esterno di casa Ford.

Cannibal dice: Altro sequel, che in questo caso mi spaventa molto più di quello di Bridget Jones. E, anche se è un horror, non lo dico in senso positivo. The Blair Witch Project, quello originale, aveva avuto una campagna di marketing geniale ed è stato di sicuro uno dei film più imitati nella storia del cinema recente. E anche in questo caso non lo dico in senso positivo.
Mister James Ford...
anche questo è un nome che non pronuncio in senso positivo. :)
Ford dice: ricordo la visione del tanto pubblicizzato Blair Witch Project in sala, con il rischio sbocco da sparatutto in prima persona e poco altro. Sinceramente, la mia voglia di affrontare questo sequel è la stessa che avrei di passare una vacanza da solo con la strega di Casale Monferrato, Marco Goi.



I magnifici sette

"Hey, ma dov'è Ford!? Non ci sono magnifici che tengano, senza di lui!"
Cannibal dice: E dopo due sequel, ecco un remake. Certo che questa settimana le uscite sono proprio all'insegna dell'innovazione e dell'originalità! Considerando poi che si tratta di un western, il genere prediletto da Ford e quello più detestato da me, mi sa che di magnifico almeno per quanto mi riguarda qui ci sarà davvero poco...
Ford dice: normalmente l'idea del remake di un cult come I magnifici sette - a sua volta remake de I sette samurai di Kurosawa, uno dei più grandi Capolavori del Cinema di tutti i tempi - mi farebbe accapponare la pelle più di Cannibal che affronta un western o un incontro di wrestling, ma il cast ed il trailer mi hanno parecchio esaltato, e spero si riveli, quantomeno, la tamarrata di Frontiera dell'anno.



Frantz

"Nessuno ha preparato un White Russian!? E' sconvolgente!"
Cannibal dice: Nuovo lavoro di François Ozon, regista non sempre autore di capolavori, ma sempre di film interessanti. In più è stato ben accolto all'ultimo Festival di Venezia, dove la protagonista femminile Paula Beer si è portata a casa il premio Mastroianni come attrice rivelazione dell'edizione. Una visione quindi ci sta tutta, alla faccia di chi odia il cinema francese come Monsieur Ford.
Ford dice: Ozon è uno dei pochi registi francesi ad essere riuscito nell'impresa di coinvolgermi ad ogni visione di un suo lavoro, più o meno riuscito che fosse. Dunque, nonostante l'apparenza radical, questo Frantz potrebbe addirittura rappresentare la sorpresa della settimana per il Saloon, come sempre più elastico e pronto a guardare a trecentosessanta gradi il Cinema rispetto al talebano Pensieri Cannibali.



Elvis & Nixon

L'unica stretta di mano documentata tra l'imbrattacarte di Casale, Cannibal Kid, e la rockstar della Bassa Padana, Mr. James Ford.

Cannibal dice: Il confronto tra due figure chiave della storia recente. Cannibal & Ford?
Nah, solo Elvis & Nixon.
Ford dice: se hanno fatto un film su Elvis e Nixon, mi pare doveroso si realizzi al più presto almeno una saga sulla rivalità tra Cannibal e Ford.




La teoria svedese dell'amore

"Noi ti invochiamo, Ford, per giungere in nostro aiuto contro l'influenza nefasta di Cannibal."
Cannibal dice: Documentario diretto dal regista di Videocracy sulla società svedese che potrebbe rivelarsi clamorosamente interessante. Così come clamorosamente per una volta sono io a essere incuriosito da un docu-film e non docu-Ford.
Ford dice: Videocracy è stato un esperimento sicuramente interessante, e da appassionato di documentari e simili non posso che sponsorizzare una visione di questo titolo, nonostante credo che recuperarlo possa essere più difficile che convincere Cannibal ad accettare un faccia a faccia con il sottoscritto.



Prima di lunedì

"Forse così crederanno si tratti di Zoolander 3, invece dell'ennesima porcata italiana."
Cannibal dice: Ma quanti film fa Vincenzo Salemme? Forse più di Nicolas Cage e Jackie Chan...
E quanti film con Vincenzo Salemme io mi guardo bene dal guardare?
Quasi quanti i filmacci con Nicolas Cage e Jackie Chan che invece Ford non si perde per niente al mondo.
Ford dice: sono fiero di dichiarare di non aver mai visto un film di Vincenzo Salemme. E altrettanto fiero di non avere intenzione di iniziare ora.
Allo stesso tempo, sono fierissimo di essere il nemico giurato del nemico giurato del Cinema, Cannibal Kid.



La vita possibile

"Margherita, non ti deprimere troppo: un appuntamento con Cannibal Kid non sarà poi così terribile."
Cannibal dice: Ecco un'altra prezzemolina del cinema italiano: Margherita Buy. Certo, meglio lei di Salemme, però questo film non finisce comunque in cima alla lista delle mie prossime visioni. Così come non ci finisce qualunque film consigliato, o anche solo non disprezzato, da Ford, uahahah!
Ford dice: già negli ultimi anni il rapporto del sottoscritto con il Cinema italiano è stato quasi peggiore che quello con Cannibal, figuriamoci poi se parliamo di una pellicola pseudo di nicchia con Margherita Buy. Passo con gran piacere.



Caffè

"Te lo prometto: non dovrai mai più vedere un film consigliato da Cannibal."

Cannibal dice: Film ambientato tra Italia, Belgio e Cina con tre storie che forse sono unite dal tema del caffè, o forse solo dal caso. In ogni caso a me non me ne frega niente, visto che io il caffè non lo bevo, così come non mi bevo manco le stronzate che spara a ripetizione James Ford.
Ford dice: purtroppo occorre che io ammetta di non bere il caffè al pari di Cannibal Kid. Allo stesso modo, ammetto che salterò senza problemi la visione e continuerò a non bermi le stronzate che spara a ripetizione quel finto giovane che mi ritrovo come antagonista.



Spira mirabilis

Effetti collaterali da visione di Capolavoro cannibalesco.
Cannibal dice: Docu-film italiano presentato tra gli applausi al Festival di Venezia che pare sia molto concettuale e incomprensibile. Roba che al confronto un nuovo lavoro di Terrence Malick è una passeggiata. Solo per questo glielo farei sorbire a Ford 24 ore su 24 come punizione per avere avuto la malaugurata idea di creare il blog White Russian.
Ford dice: questo mi sa proprio di prodotto radical da brodo di giuggiole per supposti critici che se ne intendono di Cinema. Non vedo l'ora di metterci le mani per massacrarlo come si deve. Un po' come per Cannibal.



The Rolling Stones – Havana Moon in Cuba

"Ed ecco l'ospite d'onore della serata: lo Stones della blogosfera, l'alma de Cuba, Mr. Ford!"

Cannibal dice: Dopo il docu-film sui Beatles, ecco che Mick Jagger e soci rispondono prontamente con la versione per il cinema dello storico concerto evento tenuto a Cuba. Per me però i film-concerto non hanno senso di esistere, visto che tra vedere uno show su schermo e viverlo dal vivo passa la stessa differenza che tra leggere di un film su White Russian e vederlo in prima persona. Oppure leggerne su Pensieri Cannibali.
Ford dice: gli Stones, non nuovi ad esperimenti legati a film-concerto come il discreto Shine a light, propongono il concerto evento a Cuba come un nuovo appuntamento cinematografico della loro strepitosa carriera. Preferisco i documentari veri e propri ai film-concerto, ma amando molto Jagger e soci penso che, dovesse capitarmi, non mancherò all'appuntamento.
Mentre manco volentieri all'appello ogni volta che Cannibal spara qualcuno dei suoi giudizi che spero sempre siano segnati da un uso eccessivo di Havana Club, l'alma de Cuba, tanto sono assurdi.



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