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lunedì 19 giugno 2017

Nerve (Henry Joost/Ariel Schulman, USA, 2016, 96')




Dovevo saperlo, nonostante gli ultimi mesi siano stati funestati da una sorta di non belligeranza costruita da insospettabili posizioni di accordo rispetto a numerosi titoli usciti nel corso di questo duemiladiciassette, che la cannibalata sarebbe tornata a funestare qualche mia serata di visioni: perchè, a conti fatti, Nerve è praticamente il film perfetto del mio rivale ai suoi tempi d'oro.
Implausibilità, attori cagnacci che pensano di essere bravi ma sono cool, atmosfera da supergiovani, tematiche d'attualità - forse la cosa migliore della pellicola, pur se molto di moda in quest'ultimo periodo, la sensibilizzazione sui rischi cui ci si espone in rete ed in questo mondo "social" - ed uno stile videoclipparo che vorrebbe strizzare l'occhio a certe cose considerate rivoluzionarie negli anni novanta ma risulta oggettivamente a metà tra il pretenzioso e l'inutile.
In un periodo di magra totale come questa primavera cinematograficamente - per non parlare della blogosfera - spentissima, speravo sinceramente qualcosa in più da un thriller che promette ma non mantiene, come canterebbe l'Ambra targata nineties, tanto per rimanere in tema - internet a parte -, e che si è rivelato una visione parzialmente molto meh e parzialmente molto soporifera - un paio di penniche me le sono fatte, lo ammetto - nonostante alcuni passaggi impressionanti considerato il mio rapporto con le altezze ed un piglio che dovrebbe tenere incollati alla poltrona dall'inizio alla fine.
Anche il cast, giovane e in rampa di lancio tra grande e piccolo schermo, non brilla particolarmente se non per gli evidenti limiti del piccolo Franco e di Emma Roberts, catapultati in un flipper che gestiscono come se stessero recitando per il peggiore dei film da Italia Uno del pomeriggio nel weekend: una produzione, dunque, pronta a finire nel dimenticatoio come molti dei titoli passati su questi schermi nel corso delle ultime settimane, segno che, passata la "tormenta" degli Oscar, sul fronte delle uscite in sala e delle nuove proposte si sia latitato davvero parecchio.
L'unica ragione per la quale affrontare comunque un'esperienza da spettatori certo non esaltante resta l'importanza dell'argomento di fondo, che probabilmente per le generazioni future avrà un ruolo sempre più pesante ed invasivo: l'influenza dei like, della rete e di alcune dinamiche distorte da una realtà che non è realtà potrebbero - e possono, casi ce ne sono a mazzi - diventare uno dei pericoli maggiori per i giovani del futuro.
O per i futuri giovani.
Un vecchio cowboy come me, invece, malgrado le intenzioni, continuerà a considerare robetta da ragazzini titoli come questo.




MrFord




 

venerdì 21 aprile 2017

Beata ignoranza (Massimiliano Bruno, Italia, 2017, 102')




I lettori più assidui di questo blog ben sanno quanto, soprattutto nel corso delle ultime stagioni, sia stato decisamente diffidente rispetto alle produzioni nostrane, complici annate pessime, scelte esclusivamente banali o troppo commerciali, e via discorrendo.
Come con quasi tutto quello che so che potrebbe piacermi, però, anche con il Cinema difficilmente non sperimento o faccio tentativi - alla peggio, possono andare male e tanti saluti -, dunque spinto da una serata di relax, un bel White Russian formato Ford e la curiosità di rivedere Marco Giallini dopo le buone prove di Rocco Schiavone e Perfetti sconosciuti, qui al Saloon è giunto Beata ignoranza, commedia decisamente popolare che tocca temi molto vicini al sottoscritto: la Famiglia, la paternità, l'insegnamento - se solo non fossi stato così stronzo da mollare l'università, mi sarebbe piaciuto diventare un professore di liceo - e l'importanza che, nel bene e nel male, hanno avuto internet e la cultura "social" rispetto al mondo.
In questo senso penso immediatamente alla mia generazione, nata con il walkman e le cassette riavvolte con la Bic, quando per invitare fuori una ragazza dovevi chiamarla sul fisso, a casa, e sperare non ti rispondesse il padre per non impappinarti, e nessuno sapeva dove fossi quando uscivi fino a quando rientravi: oggi tutte queste difficoltà non sono neppure immaginabili, e sulla mia pelle ho provato quanto sia diventato più semplice, negli anni, tra sms ed internet, per esempio rimorchiare.
Poi, certo, ho uno smartphone, un blog, Instagram, qualche giochino, uso il navigatore o cerco qualche recensione o dritta, ma difficilmente mi sentirei perso senza la tecnologia, per quanto ci si sia tutti abituati - altra cosa per la quale ricordo fatiche incredibili, lo sfruttamento del porno: ai tempi te li scordavi Pornhub o Youporn, era una battaglia fatta di registrazioni di film "da bollino rosso" ad orari improponibili -: da questo punto di vista Beata ignoranza centra il bersaglio con leggerezza e profondità ad un tempo, unendo elementi da commedia di grana grossa ad un messaggio di fondo per nulla scontato, con spazio a sentimenti non lacrimevoli ma sicuramente toccanti, soprattutto per un genitore.
E dunque, mentre con Julez ci si stuzzicava paragonandoci ai due protagonisti - io che uso il telefono solo nel momento in cui mi serve, e per lunghe ore della giornata giace in tasca o in un cassetto, e lei che ormai lo sfrutta con la velocità di una pistolera del vecchio West -, si è trovato spazio per risate grasse e sincere, simpatia per i personaggi, riflessioni su quanto sia importante non tanto l'assenza o la presenza di qualcosa, ma l'utilizzo che se ne fa ed un pò di vecchio e sano sentimentalismo che, quando viene presentato pane e salame, funziona sempre: una promozione su (quasi) tutta la linea, dunque.
Una cosa che non mi sarei mai aspettato da un prodotto nato per la grande distribuzione che, sulla carta o qualche anno fa nel mio periodo radical, avrei considerato meno di zero: e invece non solo Beata ignoranza si becca un giro gratis qui al Saloon, ma anche un consiglio a recuperarlo a chi non l'avesse visto da parte di questo vecchio cowboy sicuramente più avvezzo alle grandi frontiere a stelle e strisce che non alla periferia romana da Come te nessuno mai versione professori invece che studenti.
E anche in questo senso, ci si trova di fronte ad una lezione importante: genitori o professori, o semplicemente adulti, non si smette mai di imparare.
Che, forse, è la cosa più bella di questo nuovo mondo "social" in movimento.




MrFord




 

sabato 18 febbraio 2017

American Horror Story - Roanoke (FX, USA, 2016)




Il mio personale rapporto con il brand di American Horror Story, creatura camaleontica di Murphy e Falchuk, è stato quantomeno travagliato: la tanto incensata prima stagione, infatti, ai tempi da queste parti non andò oltre le bottigliate; con la seconda, ambientata quasi interamente in un manicomio ed a cavallo tra diversi decenni, rimasi molto, molto sorpreso in positivo; dalla terza in poi fu un lento declino, che mi portò a lasciare il titolo alle visioni da sessioni di ferro da stiro di Julez senza che mi mancasse neppure lontanamente.
Con il duemilasedici e l'ottima prova dell'antologico American Crime Story - sempre creato dal duo - a risvegliare il mio interesse per AHS sono giunte molte recensioni positive di questa sesta annata, Roanoke, che a quanto pare rinverdiva i fasti delle prime due - ed ho sperato fortemente nella seconda, ovviamente -: in questo periodo da casalingo, dunque, accanto ai recuperi delle molte serie televisive passate su questi schermi nell'ultimo periodo, è giunto anche questo.
Il risultato è stato decisamente positivo per quella che, proprio con la già citata Asylum, è senza ombra di dubbio la miglior stagione della serie, costruita sfruttando più livelli di narrazione, metacinema, stili e mezzi di ripresa, e generi: partita come un incrocio tra il thriller e la ghost story e divenuta un vero e proprio incubo mortale per i protagonisti simile ad un survival, a metà del cammino chiude un arco narrativo per aprirne un altro trasformando il tutto in un grottesco ritratto dei reality e della società "social" attuale fino a diventare una delirante mattanza conclusa con un finale quasi lirico, e con il sacrificio dell'unico charachter superstite alle due "spedizioni" a Roanoake.
Quello che, come sempre, è interessante notare quando gli horror hanno spunti interessanti, è quanto, in realtà, a prescindere dagli incubi, dalle Macellaie e dalle streghe dei boschi, l'Uomo finisca sempre per risultare la minaccia più grande e pericolosa, che si tratti di squilibri mentali - i rednecks vicini di Matt e Shelby, Agnes -, vuoti interiori - Lee - oppure avidità di potere e successo - Ryan -: se, infatti, le creature venute dall'altro mondo, sanguinarie per imposizione, condizione e status, si muovono come se seguissero una macabra routine, gli esseri umani spinti dalle loro emozioni, dall'istinto e dal terrore o dalla furia del momento finiscono per risultare ben più pericolosi ed inquietanti pur non mostrando un aspetto particolarmente agghiacciante - sinceramente, i Chang o Testa di maiale non fanno venire i brividi quanto alcuni dei passaggi che coinvolgono e vedono protagoniste quelle che dovrebbero essere solamente le vittime sacrificali -.
Il viaggio a Roanoke, in bilico tra antiche maledizioni, violenza, sospetto, gelosie, rancori e follia, è stato senza dubbio, pur non risultando certo spaventoso quanto il Twin Peaks dei tempi d'oro, una delle sorprese più interessanti dell'ultimo periodo, segno che, inventiva ed originalità a parte, quando Murphy e Falchuk si concentrano sull'animo umano più che sulla volontà di stupire a tutti i costi, riescono ad essere convincenti e decisamente inquietanti, così come macabri e divertenti ad un tempo - il personaggio di Cricket è una chicca, in questo senso -: non voglio cantare vittoria troppo presto, ma direi che, se le premesse e le idee sono queste, il viaggio di American Horror Story può tranquillamente continuare tornando a trovare uno spazio importante anche qui al Saloon.



MrFord



 

martedì 14 febbraio 2017

Black mirror - Stagione 3 (Netflix, USA/UK, 2016)




Fin dalla sua prima apparizione sugli schermi del Saloon - ma, e credo di poterlo affermare con sicurezza, non solo - Black Mirror si è imposta come serie di riferimento nell'ambito della fantascienza distopica e proposta di qualità decisamente alta a prescindere dal suo genere: ripescata - sia ringraziata Netflix - dopo due ottime stagioni ed un bellissimo special natalizio, la creatura nata nel Regno Unito ha attraversato la blogosfera con una terza annata che ha raccolto quasi esclusivamente commenti entusiastici, che mi sento di sottoscrivere in pieno.
Considerato che ogni episodio è, fondalmentalmente, un lavoro con una sua identità ed esistenza, passo in carrellata i sei che hanno costituito questo ennesimo, ottimo esperimento a partire da Nosedive, grande apertura con Bryce Dallas Howard protagonista di una parabola legata a doppio filo alla necessità sempre più invasiva di esprimersi e cercare conferma attraverso i social media, profetica ed inquietante soprattutto per chi, come la nostra generazione, ha visto nascere e crescere esponenzialmente proprio il fenomeno del "vorrei ma non posto".
Senza dubbio, principalmente per la profondità del tema, uno dei migliori episodi della stagione.
Playtest, secondo episodio tra i più massacrati in rete, è stato invece per quanto mi riguarda un ottimo esperimento ed un gran bel "gioco", per l'appunto, sia in termini di atmosfera che, una volta ancora, di riflessione sociale: dai videogames in prima persona al gioco online, passando attraverso visori e realtà virtuale, una situazione come quella affrontata dal protagonista della storia non mi pare troppo irrealizzabile o lontana, e come per il primo episodio, alcune grandi invenzioni della nostra società vengono analizzate dal lato più scomodo e tagliente.
Con Shut up and dance l'atmosfera vira verso territori più simili al thriller, portando in campo un gruppo di personaggi in corsa contro il tempo a causa di un ricatto e disposti, affinchè lo stesso decada, ad obbedire più o meno ciecamente agli ordini loro impartiti: una storia violenta ed urbana orchestrata con un ritmo serrato da James Watkins, che forse regala al pubblico il twist meno prevedibile dell'intera stagione e, contemporaneamente, il finale più terribile.
Ma, in tutta onestà, una volta scoperto quantomeno il segreto del protagonista, ho finito per non essere neppure troppo triste.
San Junipero, episodio numero quattro, è stato forse il più incensato dai recensori, e senza dubbio rappresenta quello dal fascino più forte soprattutto per chi, come il sottoscritto, ha vissuto sulla pelle, almeno in parte, gli anni ottanta ed ora guarda al Cinema ed alla Musica di quell'epoca come ad una sorta di macchina del tempo in grado di vincere ogni malinconia o sensazione di ineluttabilità del trascorrere dello stesso: proprio in questo senso si gioca la riflessione più importante delle due protagoniste e del pubblico, ed il valore di San Junipero stesso.
Curioso come nel corso della visione io dichiarassi a Julez di essere assolutamente favorevole all'idea di passare l'eternità in un posto come quello mentre, con il passare dei giorni dalla visione, l'idea di farlo senza le persone che amo al mio fianco risulti decisamente meno interessante.
Anche a fronte di una possibile rinascita.
Ad ogni modo, grandi, grandi spunti.
Men against fire, riflessione antimilitarista ed intelligente sull'utilizzo della guerra - e soprattutto, delle motivazioni non tanto di chi la ordina, quanto di chi la combatte in prima linea -, è risultato interessante ma, forse, privo del carattere degli altri episodi, tanto da essere considerato dal sottoscritto il più debole della stagione, per quanto di debolezza si possa parlare, quando la qualità complessiva dell'opera è così alta.
A chiudere - almeno per ora - la carrellata Hated in the nation, forse meno attuale di Nosedive o emotivamente coinvolgente di San Junipero eppure, per questo vecchio cowboy, senza ombra di dubbio l'episodio più riuscito: elementi di sci-fi, politica del controllo, tensione alle stelle pur senza violenza eccessiva o azione serrata, un'altra riflessione importante legata all'utilizzo della rete ed agli "haters" che la popolano, la dimostrazione di quanto, a volte, un mezzo grandioso, innovativo ed assolutamente "libero" come internet possa generare istinti anche peggiori di quelli di cui abbiamo tristemente dimostrazione ogni giorno in ogni parte del mondo.
Una chiusura con il botto di una stagione con il botto di una serie che è un botto.
Inutile dire che attendiamo già con ansia il giro di giostra numero quattro.




 MrFord




sabato 10 settembre 2016

Friend request - La morte ha il tuo profilo (Simon Verhoeven, Germania, 2016, 92')


Con l'estate, è regola non scritta del Cinema che si dia spazio, in sala, ad horror più o meno convincenti - spesso meno, ad essere onesti - di ogni genere: slasher, ghost stories o demoni che siano.
Questo Friend Request, diretto da Simon Verhoeven - che, nonostante il cognome, non è figlio d'arte del mitico Paul -, è giunto al Saloon senza troppi entusiasmi da parte del sottoscritto, spinto alla visione principalmente da Julez, come intrattenimento da neuroni in vacanza eccezionalmente da pomeriggio - di norma riserviamo gli horror per la sera, complici l'atmosfera e la nanna dei Fordini -, e devo ammettere che, almeno nella prima parte, ha finito quasi per sorprendere in positivo.
Niente di nuovo sotto il sole, sia chiaro, dai passaggi tipicamente horror all'evoluzione dello script, ma l'idea legata al concetto di "unfriend" figlio dell'epoca dei social che stiamo vivendo ed il crescendo del personaggio di Marina - che ancora una volta, in questa stagione, rievoca il concetto di strega, che pare stia vivendo una sorta di seconda giovinezza in sala, considerato anche il recente VVitch - portano a casa la pagnotta almeno fino a quando non si entra nel vivo dell'azione e del confronto tra la protagonista e la sua spaventosa nemesi rivelando tutte le pecche della scrittura alle spalle della pellicola: a quel punto, infatti, la stessa inanella una serie di epic fails da record, che culmina con uno dei finali più inutili e poco interessanti che il Cinema "di paura" abbia riservato ai suoi fan negli ultimi anni, pronto a far precipitare la valutazione complessiva - che comunque non sarebbe stata certo alta - ben al di sotto del livello della decenza.
Probabilmente, se si fosse curato meglio l'aspetto "social" della vicenda senza preoccuparsi di cominciare a mostrare troppo dei poteri "satanici" di Marina, e non si fosse optato per una scrittura del passato di quest'ultima già letta e riletta decine - e centinaia - di volte, l'intero progetto avrebbe potuto quantomeno ambire ad essere considerato anche dai veterani del genere un film vagamente interessante tra quelli giudicati come mainstream: per il resto, nulla di particolare da segnalare rispetto al cast - che risulterà comunque noto agli appassionati del piccolo schermo -, agli effetti o al fatto che, a poche ore - e neppure giorni - dalla visione il film finisca dritto dritto nel dimenticatoio dell'inutilità.
Resta da ammettere, però, che i jump scare risultano ben congeniati, tanto da essere felicemente accolti da un veterano di questo tipo di pellicole come il sottoscritto, ormai praticamente incapace di cagarsi davvero sotto guardando un horror: sono forse questi la nota più lieta della realizzazione, lontana non solo dalle vette di cult dello stesso genere, ma anche dalla linea di demarcazione tra Cinema da considerarsi tale e quell'altra roba, che allontaniamo senza neppure renderci conto alla mattina, appena svegli.
Senza essere certi che si sia trattato di un incubo che si rispetti.




MrFord
 
 
 
 
 

lunedì 14 marzo 2016

Perfetti sconosciuti

Regia: Paolo Genovese
Origine: Italia
Anno: 2016
Durata: 97'







La trama (con parole mie): un gruppo di amici che fin dall'adolescenza continuano a vivere quasi in simbiosi le proprie vite si riunisce per una cena di quelle da serata in relax per aggiornarsi sulle diverse quotidianità, e spinti da una sorta di curiosità o di voglia di uscire dal seminato, decidono per tutta la durata dell'appuntamento di condividere ogni informazione, chiamata, messaggio o mail giunta sui loro telefoni.
La scelta di rendere pubblico tutto anche solo per qualche ora darà inizio, ovviamente, ad un valzer di equivoci, momenti divertenti, scambi di persone e rivelazioni drammatiche che potrebbero mettere in gioco non solo le relazioni delle coppie presenti, ma anche quella che lega l'intero gruppo.
Quali saranno, dunque, le decisioni che muoveranno i singoli?
Bugie e silenzi in grado di proteggere l'ordine costituito o rivelazioni devastanti?







Quanti di noi, in assoluta sincerità e certezza, possono affermare, soprattutto di fronte alle persone più care, di non avere segreti, di alcuna natura?
A prescindere dal fatto di vivere in un contesto sociale che ormai prevede network, collegamenti, mail, chiamate, smartphones e via discorrendo, quanti possono davvero guardare in faccia qualcuno che non sia l'immagine riflessa la mattina nello specchio ed affermare che chi si ha di fronte conosce tutto, ma proprio tutto, di noi?
Spesso si dice che la verità rende liberi, e si canta che fa male, e mi sento di poter affermare che entrambe le cose sono spesso e volentieri assolutamente vere.
Eppure, c'è qualcosa che lascia il dubbio, almeno in me: sarà che nel corso della mia vita ho tradito, rubato, mi sono mosso alle spalle delle persone almeno quanto in faccia, sarà che la timidezza della gioventù finiva per farmi sentire in imbarazzo, nel rivelare una verità scomoda, sarà che il senso di colpa in cui cresciamo in quanto società cattolica mina la nostra formazione fin dalla tenera età, sarà che probabilmente c'è chi ha un senso etico più alto di altri, e via discorrendo, ma ho sempre trovato clamorosamente rischiosa anche la verità a tutti i costi, in una misura uguale, se non addirittura peggiore, della bugia a tutti i costi.
Perfetti sconosciuti, esperimento quasi teatrale che a tutti gli effetti pare la versione italiana - e più riuscita, per quanto mi riguarda - del Carnage polanskiano, porta lo spettatore - o ancora meglio, gli spettatori, se parliamo di coppie o gruppi - a confrontarsi e riflettere sul tema della reciproca conoscenza dalle risate alle lacrime, toccando non solo tematiche classiche legate a questo tipo di situazioni - come il tradimento - ma anche la convivenza con gli altri, l'approccio alla vita, la capacità di superare, affrontare di petto o arginare problemi che, se gestiti in modo diverso, potrebbero far prendere una direzione anche opposta non solo ad un rapporto, ma anche e soprattutto alle esistenze di chi lavora per costuirlo giorno dopo giorno, che si parli di marito e moglie, fidanzati, o "semplicemente" amici.
Perchè non è semplice, per l'appunto, costruire un rapporto: certo, ci sono i primi periodi di "innamoramento", il sesso per le coppie e le uscite da risate dall'inizio alla fine per le amicizie, la voglia di scoprire l'altra persona, e di farsi scoprire da lei, ma esistono anche la fatica del quotidiano, la normalità che si cela, come è giusto che sia, dietro ognuno di noi, e che, paradossalmente, ci rende speciali almeno quanto i difetti prima ancora dei pregi e dei "misteri".
Ed è proprio nella normalità che si rifugiano le soluzioni di comodo, le piccole bugie a fin di bene, quel quieto vivere che rischia di insidiarsi come una tentazione sotto la pelle, pronta ad uscire fuori non appena si presenta un'occasione.
Ma non c'è soltanto questo, nella normalità: esiste anche la verità detta senza filtri, perchè se l'altro ci può capire allora è più facile dire tutto, ma proprio tutto, anche a costo di apparire brutali.
Tanto brutali da scatenare risentimenti, silenzi pesanti, rabbia, vendetta.
Dunque, cosa scegliereste e cosa scegliete tutti i giorni di fare, rispetto ai rapporti più importanti della vostra vita?
Quando decidete di mentire - a fin di bene, o a fin di male -, e quando, al contrario, puntate alla verità nuda e cruda?
Chiedetevi questo, allo specchio, una volta terminata la visione di Perfetti sconosciuti - mi sono risparmiato di parlare specificamente del film, per evitare ogni spoiler o falsa traccia, un pò come il trailer che lo fa apparire come una sorta di innocua commedia, quando non lo è neppure lontanamente -: cosa è meglio per me? E cosa per chi mi sta accanto?
Personalmente, preferirei non sapere quali sono le vostre risposte.





MrFord





"Vorrei poterti credere 
sarebbe molto più facile 
rincontrarci nei pensieri 
distesi come se fossimo 
sospesi ancora nell'attimo in cui poteva succedere 
e poi cos'è successo 
aspettami oppure dimenticami 
ci rivediamo presto 
fra almeno altri cinque anni 
e come sempre sei la descrizione di un attimo per me."
Tiromancino - "La descrizione di un attimo" - 





domenica 3 agosto 2014

Last minute twists - La serie

La trama (con parole mie): chi frequenta il Saloon fin dai suoi esordi sa bene quanto il sottoscritto tenga a regalare, quando possibile, spazio ad iniziative e volti nuovi nel panorama cinematografico. Esperimenti che possano uscire dagli schemi e dalla grande distribuzione, e che, chissà, possano essere la palestra per i registi di culto di domani.
E' il caso di Last Minute Twists, la prima serie "social" pronta a coinvolgere cineasti provenienti da tutto il mondo in una raccolta di episodi accomunati dalla brevissima durata e dai colpi di scena improvvisi.







Nel corso della mia vita sono stato sempre molto vicino alla scena cosiddetta underground - o di nicchia, o semplicemente, quella al di fuori delle dinamiche dei grandi giri di denaro e distribuzione -, anche se nel mio caso si è trattato di Letteratura o Fumetto, e non di Cinema.
Dunque comprendo bene la necessità e la voglia di mettersi in gioco dei giovani autori, a prescindere dalla provenienza, dalla formazione o dalle velleità artistiche.
Dunque ho colto al volo l'occasione di parlare dell'interessante iniziativa legata a Last Minute Twists, pronta a dire la sua non solo nell'ambito web e a regalare possibilità e premi a potenziali nuovi volti del Cinema, ma anche a sfruttare al meglio i vantaggi offerti dal web e dai social media.
Ecco dunque, in esclusiva qui al Saloon per un giro di bevute ed un pò di sana pubblicità, il comunicato stampa del progetto.


MrFord
  

"Partirà il 16 Ottobre la prima serie web “social made”, cioè nata dalla collaborazione di registi di tutto il mondo. La prima stagione sarà composta da otto episodi, ognuno diretto da un regista diverso. Diversi saranno anche i generi trattati, le ambientazioni e i personaggi. Unica costante tra gli episodi, che usciranno settimanalmente, sarà la durata di circa un minuto e la presenza di un colpo di scena finale.


Il progetto Last Minute Twists (LMT) prevede anche un concorso a premi. I registi avranno la possibilità non solo di confrontarsi con colleghi di tutto il mondo, ma anche di vincere prodotti utili per la loro professione. I primi 7 registi ad entrare nella serie riceveranno infatti uno dei 7 premi offerti dagli sponsor e potranno aggiudicarsi un ulteriore premio in denaro di 350 dollari, messo a disposizione dallo staff di LMT.


È già online il sito web della serie, dal quale è possibile scaricare il regolamento del concorso e vedere in streaming l’episodio pilota, girato dallo staff di Last Minute Twists e ovviamente non in gara.



Sito web ufficiale: www.luciolepri.it/lmt




Come Funziona

Chiunque voglia partecipare al progetto, può inviare il proprio cortometraggio alla redazione di LMT, rispettando quanto stabilito dal regolamento e utilizzando il form online presente sul sito ufficiale.

I primi 7 registi ammessi prenderanno parte alla serie e al relativo concorso.

Directors Awards: pubblicato l’ultimo episodio della prima stagione, i 7 registi ammessi voteranno il proprio episodio preferito. Secondo l’ordine imposto dalla risultante classifica, i registi stessi sceglieranno uno alla volta il proprio premio, tra i 7 premi messi a disposizione dagli sponsor.

Social Award: assegnati i Directors Awards, per una settimana, chiunque possegga un account Facebook potrà votare il proprio episodio preferito. Il regista dell'episodio più votato si aggiudicherà il premio in denaro di 350 $.

Nel caso in cui più di sette cortometraggi risultassero idonei alla partecipazione il team di LMT organizzerà una seconda stagione della serie web.



Lo staff di Last Minute Twists

Nata da un’idea del regista Lucio Lepri, autore nel 2006 della prima web series italiana, la serie Last minute twists è curata dallo staff di www.luciolepri.it, un gruppo composto da appassionati di cinema e seriali e da professionisti del settore cinematografico."




LAST MINUTE TWISTS è anche su:















Conversazione aperta. 5 messaggi. Tutti i messaggi letti.

Visualizzazione di Last minute twists - Comunicato stampa.doc.
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