Il mio personale rapporto con il brand di American Horror Story, creatura camaleontica di Murphy e Falchuk, è stato quantomeno travagliato: la tanto incensata prima stagione, infatti, ai tempi da queste parti non andò oltre le bottigliate; con la seconda, ambientata quasi interamente in un manicomio ed a cavallo tra diversi decenni, rimasi molto, molto sorpreso in positivo; dalla terza in poi fu un lento declino, che mi portò a lasciare il titolo alle visioni da sessioni di ferro da stiro di Julez senza che mi mancasse neppure lontanamente.
Con il duemilasedici e l'ottima prova dell'antologico American Crime Story - sempre creato dal duo - a risvegliare il mio interesse per AHS sono giunte molte recensioni positive di questa sesta annata, Roanoke, che a quanto pare rinverdiva i fasti delle prime due - ed ho sperato fortemente nella seconda, ovviamente -: in questo periodo da casalingo, dunque, accanto ai recuperi delle molte serie televisive passate su questi schermi nell'ultimo periodo, è giunto anche questo.
Il risultato è stato decisamente positivo per quella che, proprio con la già citata Asylum, è senza ombra di dubbio la miglior stagione della serie, costruita sfruttando più livelli di narrazione, metacinema, stili e mezzi di ripresa, e generi: partita come un incrocio tra il thriller e la ghost story e divenuta un vero e proprio incubo mortale per i protagonisti simile ad un survival, a metà del cammino chiude un arco narrativo per aprirne un altro trasformando il tutto in un grottesco ritratto dei reality e della società "social" attuale fino a diventare una delirante mattanza conclusa con un finale quasi lirico, e con il sacrificio dell'unico charachter superstite alle due "spedizioni" a Roanoake.
Quello che, come sempre, è interessante notare quando gli horror hanno spunti interessanti, è quanto, in realtà, a prescindere dagli incubi, dalle Macellaie e dalle streghe dei boschi, l'Uomo finisca sempre per risultare la minaccia più grande e pericolosa, che si tratti di squilibri mentali - i rednecks vicini di Matt e Shelby, Agnes -, vuoti interiori - Lee - oppure avidità di potere e successo - Ryan -: se, infatti, le creature venute dall'altro mondo, sanguinarie per imposizione, condizione e status, si muovono come se seguissero una macabra routine, gli esseri umani spinti dalle loro emozioni, dall'istinto e dal terrore o dalla furia del momento finiscono per risultare ben più pericolosi ed inquietanti pur non mostrando un aspetto particolarmente agghiacciante - sinceramente, i Chang o Testa di maiale non fanno venire i brividi quanto alcuni dei passaggi che coinvolgono e vedono protagoniste quelle che dovrebbero essere solamente le vittime sacrificali -.
Il viaggio a Roanoke, in bilico tra antiche maledizioni, violenza, sospetto, gelosie, rancori e follia, è stato senza dubbio, pur non risultando certo spaventoso quanto il Twin Peaks dei tempi d'oro, una delle sorprese più interessanti dell'ultimo periodo, segno che, inventiva ed originalità a parte, quando Murphy e Falchuk si concentrano sull'animo umano più che sulla volontà di stupire a tutti i costi, riescono ad essere convincenti e decisamente inquietanti, così come macabri e divertenti ad un tempo - il personaggio di Cricket è una chicca, in questo senso -: non voglio cantare vittoria troppo presto, ma direi che, se le premesse e le idee sono queste, il viaggio di American Horror Story può tranquillamente continuare tornando a trovare uno spazio importante anche qui al Saloon.
MrFord