Sono sempre stato un grande fan della commedia nera, specie quando la stessa si lega ad uno dei mali più antichi del mondo e dell'Uomo: l'esercizio del potere.
Da Bunuel in avanti, sono stati in molti i registi a tentare la non facile strada di descrivere le miserie che colgono le vittime di questa malattia che ha fatto la Storia, con risultati che passano dai Capolavori indimenticabili - come quelli del regista spagnolo - ad altri decisamente meno incisivi.
Morto Stalin se ne fa un altro - adattamento italiano da incubo dell'originale Death of Stalin - racconta lo tsunami politico che travolse l'entourage del dittatore sovietico alla sua morte, e dei giorni della preparazione del funerale e dei passaggi di testimone politici: un esperimento interessante e, seppur forse troppo autoriale, intelligente nel raccontare eventi reali attraverso un velo di critica e humour nerissimo quello che pare uno spaccato perfetto del comportamento dell'animale sociale più pericoloso che sia mai esistito e si possa immaginare.
Un esperimento reso ancora più prezioso da un cast capace e notevole, al quale manca solo la madrelingua per essere credibile in modo totale e coinvolgente - l'accento british in un contesto da Unione sovietica, anche se solo idealmente, suona davvero stonato, per uno spettatore navigato come me - e da un invidiabile equilibrio tra risate e momenti di quasi sbigottimento, in grado di attingere da storie purtroppo vere per raccontare un'epoca ed una situazione sociale davvero oltre il concetto di civiltà - le liste di Stalin non ebbero nulla da invidiare, purtroppo, a quelle di Hitler prima o gente come Pinochet poi - ed approfittare per applicare la stessa ad una delle tentazioni più grandi del genere umano, la possibilità di avere potere su tutto e tutti.
E accanto ad uno Stalin sopra le righe neanche fosse una sorta di antesignano meno limitato dalla consapevolezza dei vari Putin o Trump troviamo un Krushev - che sarà protagonista degli anni della Guerra Fredda - inquietante e malsano, cui Steve Buscemi regala un appeal che pare quello del Burns dei Simpson: certo, il lavoro di Iannucci non è esente da difetti, il ritmo non è quello delle grandi occasioni ed il rischio che il pubblico si possa perdere in un dedalo di nomi, situazioni e riferimenti che in pochi davvero conoscono è molto alto, eppure rientra senza dubbio nel novero di pellicole di nicchia importanti e da non perdere, non fosse altro perchè portatrici di una grande tradizione cinematografica e non solo - quella della satira -.
Non diventerà, con ogni probabilità, il titolo dell'anno o quello che vi ritroverete ad amare di più, non risulterà coinvolgente come una grande produzione hollywoodiana - e subito la mente corre a L'ora più buia, per citare un esempio che tocca tematiche simili - o geniale quanto il più estremo dei lavori del più estremo dei registi, ma forse il bello è proprio questo: Morto Stalin se ne fa un altro racconta tutta la normalità e la banalità del Male che risiede in alcuni contesti e scenari, del quale qualsiasi Uomo è portatore e dal quale sarà sempre tentato.
E poco avrà importato aver visto morire un dittatore.
Alle sue spalle sarà pronto quasi immediatamente quello che lo sostituirà.
Che, a sua volta, sarà manovrato da qualcuno che passerà inosservato, mentre da dietro le quinte si gode lo spettacolo della grande messinscena del mondo.
MrFord