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giovedì 26 dicembre 2019

Ford Awards 2019: i libri






Per la prima volta dopo due anni di assenza, torna - complice la crescita dei Fordini, che cominciano a sviluppare una certa indipendenza ludica - la classifica dedicata ai romanzi passati dal Saloon nel corso degli ultimi dodici mesi: in realtà non è proprio una classifica, considerato che al contrario dei vecchi tempi dei cinque/sei libri al mese si tratta dei soli che sono passati tra le mie mani nell'ultimo anno, ma è decisamente già qualcosa.
Come se non bastasse, poi, con oggi iniziano ufficialmente i Ford Awards 2019.


MrFord


N°8: SLEEPING BEAUTIES di STEPHEN&OWEN KING

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Apre la classifica quella che, ad essere onesti, è stata una delusione. 
Il maestro del brivido, insieme al figlio Owen, porta su pagina quello che pare il copione fatto e finito di una serie televisiva, che nonostante alcune buone intuizioni si rivela poco sentito e a tratti noiosetto. Ne è dimostrazione il fatto che il tempo di lettura è stato decisamente lungo, occupando quasi quanto quello occorso per i restanti sette titoli. Non proprio il miglior titolo uscito dalla penna del buon, vecchio Steve.


N°7: ARMADA di ERNEST CLINE

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Altra posizione, altra delusione.
L'autore del mitico Player One torna al Saloon con un romanzo che ricalca l'attitudine nerd ed i riferimenti cult del precedente, ma lo fa senza lo stesso cuore, senza il trasporto che rese Player One così speciale: leggerlo è stato un pò come trovarsi di fronte la seconda stagione di una serie passata dall'essere una rivelazione ad un grosso punto di domanda, se non peggio.
Un vero peccato, perchè l'immaginario, le tematiche ed il guizzo non mancano al buon Ernest, che finisce, però, per peccare di quella presunzione da rivalsa tipica dei nerd: e questo è un male.


N°6: IL SORRISO DI JACKRABBIT di JOE LANSDALE

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Pare uno scherzo, ma anche il terzo titolo del novero ha finito per essere una mezza delusione.
Tutti i frequentatori del Saloon sanno bene quanto adori Lansdale e le sue due creature più riuscite, Hap e Leonard: i due improvvisati detectives texani hanno popolato l'Olimpo letterario fordiano negli ultimi dieci anni, accompagnando il loro autore ed invecchiando con lui, ed è fantastico leggerli battibeccare, così come sarebbe fantastico leggere una loro storia assolutamente normale, priva di omicidi, casi misteriosi da risolvere, grane da sciogliere. Eppure pare di essere giunti, e torno ai paragoni con le serie televisive, al momento in cui per l'autore è preferibile chiudere in bellezza piuttosto che trascinarsi stancamente. Hap e Leonard non lo meriterebbero.


N°5: L'ULTIMA AVVENTURA DEL PIRATA LONG JOHN SILVER di BJORN LARSSON

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Finalmente entriamo nel vivo di questa piccola classifica, e per me è un piacere farlo con una chicca nata per soddisfare gli appassionati di uno dei miei romanzi preferiti in assoluto, La vera storia del pirata Long John Silver. Larsson, che pare avesse tagliato alcune parti dal romanzo, torna in pieno fan service con una sorta di racconto lungo che riporta sulla pagina il sempre mitico Barbecue alle prese con una disavventura nel suo eremo in Madagascar.
Per chi non ha letto e amato la storia dalla quale è stato estrapolato sarebbe sicuramente una lettura spiazzante, o quantomeno poco centrata, ma per i vecchi pirati del mio stampo è un modo, senza dubbio, di tornare ad incrociare la rotta di un amico, un antagonista, una versione alternativa di se stessi.


N°4: JOHN BARLEYCORN - MEMORIE ALCOLICHE di JACK LONDON

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Giunto al Saloon come prestito da parte del suocero Ford, che ormai ben conosce le escursioni alcoliche del vecchio cowboy, questo diario di memorie firmato da Jack London, uno degli autori di classici d'avventura più noti e famosi di tutti i tempi, è una riflessione a volte entusiasta e spesso più malinconica e triste del legame tra anime e menti e l'alcool, con tutti i suoi alti ed i suoi bassi, i momenti di entusiasmo sfrenato e quelli di buio totale.
Interessante come, a distanza di quasi un secolo, le dinamiche che coinvolgono chiunque sia in un certo modo legato al bere come atto sociale, intimo o di sfogo siano rimaste indicativamente le stesse, e con quanta razionalità - pur lasciandosi andare a ricordi e sentimenti - London riesca a portarle a galla: non viene suggerito o imposto nulla, quanto più che altro mostrato dall'interno.
Un viaggio di grande profondità condotto da un vero viaggiatore.


N°3: IL CONFINE di DON WINSLOW

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Uno degli autori più celebrati in questi anni al Saloon torna con l'ultimo (?) capitolo di una trilogia che ha fatto la Storia della Letteratura crime e Made in USA, iniziata con Il potere del cane e proseguita con Il cartello, entrambi vincitori del Ford Award. La vicenda di Art Keller, poliziotto della DEA che nel corso della sua carriera ha visto morire ed uccidere nel corso di una delle guerre più lunghe e sanguinose della Storia - quella ai cartelli della droga messicani -, giunge al termine tra le pagine di un romanzo più politico e riflessivo dei due precedenti ma non per questo meno potente o sentito: a prescindere dal genere, le vicende narrate - liberamente ispirate ai fatti reali, dalle evasioni del Chapo alla campagna presidenziale di Trump - tra queste pagine, così come quelle che qui hanno portato i lettori, andrebbero considerate una tappa fondamentale per ogni lettore.


N°2: CASINO TOTALE di JEAN CLAUDE IZZO

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Questo è un voto assolutamente sulla fiducia, dato che, nel momento in cui scrivo queste righe e preparo la classifica, sono giunto indicativamente a metà della lettura di questo romanzo caldo e passionale, una storia di ricordi, amicizie, amori e tradimenti che pulsa tra le vie di una Marsiglia assolata e problematica, legata a doppio filo alla natura di melting pot di una città di porto: Ugo, Manu e Fabio, figli di immigrati e cresciuti pescando, ascoltando vecchi dischi e sognando il grande salto, dopo aver passato la prima parte della loro vita percorrendo strade diverse - uno rimasto a fare il piccolo delinquente, uno a perdersi nell'ombra e per il mondo, l'altro finito a fare il poliziotto - si ritrovano nella loro città portando sulla pagina una storia malinconica, pulsante, traboccante di sensazioni forti e vive, come la pelle sudata quando si fa sesso o le risate di cuore ad una cena al tramonto in riva al mare. E' una storia tosta, che con ogni probabilità non finirà bene, ma fa sentire la vita come un bacio profondo o uno schiaffo in piena faccia. E queste storie sono sempre le mie preferite.


N°1: IL COLTELLO di JO NESBO

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Un altro degli idoli letterari indiscussi del Saloon torna in libreria con la sua creatura più nota e riuscita, il detective Harry Hole, alle prese con una vicenda che lo porterà non solo a sprofondare di nuovo sul fondo di una bottiglia di Jim Beam, ma anche al limite della follia, legata a doppio filo alla morte di uno dei personaggi cardine di tutta la sua storia. Accolto da recensioni tiepide, Il coltello è il perfetto gioco di prestigio del Nolan della pagina scritta Nesbo, che dopo aver disposto i pezzi sulla scacchiera ed aver ingannato e fuorviato il lettore almeno quattro o cinque volte rispetto alla verità sull'omicidio alla base di questo romanzo sfodera uno dei suoi colpi di genio con un paio di passaggi da brividi profondi, che parlano di radici, di amore e di futuro anche quando il futuro ci potrebbe sembrare lontano, oscuro e negato.
Il coltello forse non sarà il romanzo "migliore" della saga di Hole, ma batte talmente forte che senza ombra di dubbio dimostra di esserne il cuore. E che questo autore e questo personaggio hanno ancora tanto da dire, da vivere, da raccontare stupendoci.


MrFord


I PREMI
Miglior autore: Jo Nesbo
Miglior personaggio: Fabio Montale, Casino totale
Miglior antagonista: Svenn Finne, Il coltello
Scena cult: la riflessione di Rakel sulle radici, Il coltello
Premio "brutti, sporchi e cattivi": Long John Silver, L'ultima avventura del pirata Long John Silver
Premio stile: Jack London, John Barleycorn - Memorie alcoliche
Miglior personaggio femminile: Katrine Bratt, Il coltello
Miglior non protagonista: Nico, Il confine
Momento action: il viaggio sulla "Bestia", Il confine
Atmosfera magica: Marsiglia, Casino totale

martedì 22 maggio 2018

Black Sails - Stagione 4 (Starz, Sud Africa/USA, 2017)







E' ormai chiaro a chiunque abbia anche solo di striscio frequentato il Saloon il fascino che i pirati esercitano su questo vecchio cowboy, tanto da essere considerati a tutti gli effetti la mia seconda preferenza assoluta in termini di atmosfera, cornice, ambientazione di una storia: in particolare, i charachters figli della penna di Robert Louis Stevenson come John Silver sono diventati, con il tempo, tra i miei preferiti in assoluto quando si parla di Letteratura.
Certo, i pirati romanzati e resi "romantici" dagli scrittori e dal Cinema in realtà sono sempre stati espressione del peggio della società, criminali e reietti disposti a fare qualsiasi cosa e compiere atti indicibili, eppure al contempo emblema di una rivolta rispetto ad un sistema che, come un destino già scritto, schiaccia tutti quelli che desiderano vivere in modo diverso da quello che lui concepisce, e non prevede alternativa all'adattamento, forzato oppure no che sia.
In questo senso, il mix tra realtà e fiction di Black Sails - che porta sullo schermo personaggi di fantasia come John Silver e Flint accanto a pirati come Anne Bonnie e Rackham, realmente esistiti - mi ha ricordato molto, nel suo crescendo, l'epopea dei gladiatori ribelli di Spartacus, produzione sempre targata Starz: certo, l'epica della rivolta contro il grande impero qui è mitigata dalla naturale inclinazione al crimine, al delitto ed al peccato dei pirati, ma l'idea, in fin dei conti, nasce dalla stessa materia.
I pirati di Nassau raccontati da questa serie, pur coscienti dei loro limiti morali, combattono per un'indipendenza sociale rispetto ad un impero - quello Britannico - che impone regole e dettami in tutto il mondo, ma al quale loro - nonostante la nascita della maggior parte - non sentono di dovere nulla se non le origini: una guerra che non potrà portare che morte e distruzione per chi vi combatte da una parte e dall'altra ma che non scalfirà l'ordine costituito, perchè è quello stesso ordine che non solo ha costruito ed indirizzato il mondo, ma ha anche creato i propri antagonisti, quegli stessi pirati che disprezza e condanna.
Il crescendo di questa quarta e, purtroppo, ultima stagione, amplificato emotivamente dalla guerra esplosa tra Flint e Silver da una parte ed il Governatore Rogers dall'altra, con tradimenti, intrighi, voltafaccia, morti eccellenti e chi più ne ha, più ne metta, ha avuto il grande merito di chiudere al meglio una proposta poco conosciuta eppure potentissima come questa, penalizzata nelle ultime puntate forse proprio dalla decisione di scrivere la parola fine troppo presto al titolo - un'altra stagione ci sarebbe stata tutta, considerata la carne al fuoco - e, dunque, da alcuni passaggi tagliati con l'accetta che costringono lo spettatore ad accelerate brusche in termini di narrazione.
Poco importa, però: la parabola discendente dell'epoca d'oro di questi criminali divenuti loro malgrado eroi romantici e destinata fin dal principio ad una fine raccoglie le storie, vere o inventate, sanguinose o di speranza, di uomini e donne che ebbero, pur vivendo in quello che, in una galassia lontana lontana sarebbe stato ribattezzato "il lato oscuro", il coraggio di affrontare uno status quo che nessuno al mondo, allora, avrebbe avuto il coraggio neppure di osteggiare con il pensiero.
Ad alcuni sarà andata bene, ad altri meno, ci sarà stato chi, graziato dalla morte, ha finito per essere più fortunato di chi è impazzito da vivo, sopravvissuto o istituzionalizzato, e chi, invece, ha cercato di sopravvivere pensando alla propria pelle e ad una felicità lontana da una guerra che non avrebbe portato certo la vittoria.
Una sconfitta onorevole. O un furbo modo per rimanere in mare.
Fingere di aver accettato le regole per sventolare il Jolly Roger appena si è tra le onde con il vento nei capelli.
In fondo, essere pirati significa anche non mollare.
Anche quando, per farlo, occorre vivere sempre con il rischio incombente di un giro di chiglia.



MrFord



giovedì 15 febbraio 2018

Black Sails - Stagione 3 (Starz, Sudafrica/USA, 2016)




E' risaputo quanto i pirati siano stati, testimonianze alla mano, tra gli individui più crudeli e spietati della storia del crimine. Eppure, attraverso Letteratura, Cinema, Musica e via discorrendo, è oggettivo quanto ancora riescano ad esercitare un fascino indiscusso sul pubblico.
Sarà per la carica ribelle, o per l'anelito a vivere senza seguire le regole imposte dalla società bensì affidandosi ad un'autoregolamentazione che prevedeva ad un tempo benefici per tutti e sgarri per nessuno, per la cornice o il ruolo, ma ho sempre trovato le loro imprese ed avventure irresistibili, tanto da considerarli secondi soltanto al West della Grande Frontiera.
Black Sails, proposta Starz ispirata alle opere di Stevenson e a personaggi amatissimi dal sottoscritto come il Capitano Flint e John Silver, lontana dalla meraviglia, per l'appunto, de La vera storia del pirata Long John Silver, ma ugualmente potente, giunge alla terza stagione compiendo il salto che attendevo dal primo episodio: ribellione, tensione, morte, tradimenti, amore e sacrificio fanno da base alla romanzata interpretazione della rivolta dei pirati all'ingombrante presenza del governo inglese, all'idealizzazione del sogno di Avery - avventuriero al quale si attribuisce la paternità della pirateria "da romanzo" - di un luogo in cui uomini e donne senza legge, grazie alla loro forza, sono in grado di gestirsi senza alcun bisogno di un governo, di regole o di imposizioni.
La lotta di Flint, Anne Bonnie, Charles Vane, John Silver e compagni per scrollarsi di dosso un passato che li trasforma in mostri divenendo mostri per il mondo "civile" schiavo delle alleanze e delle giustificazioni politiche solletica il lato del sottoscritto pronto a riconoscere che, se fossi nato in condizioni, luoghi e situazioni diverse, sarei appartenuto senza dubbio alla parte senza legge del mondo: e dall'addio ad uno dei pilastri della serie - una scelta che non condivido, ma lungimirante e splendida in termini di scrittura del personaggio - all'escalation che chiude la stagione e completa la costruzione del personaggio di Long John Silver, partito molto in sordina e divenuto una rappresentazione più che degna di quella che è la sua incredibile controparte letteraria, restano dieci episodi da fiato sospeso, pregni di un'umanità rabbiosa e feroce, guidati da una passione senza controllo, fuoco che alimenta l'immaginario di una figura come quella del pirata, protagonista di vite difficili, crudeli, stentate ed allo stesso tempo rese uniche e senza limiti.
Personalmente, più che chiedermi come verranno sciolti i nodi sospesi nella quarta ed ultima stagione, penso a godermi la magia che il concetto di Libertà a tutti i costi espressa sulla carta da grandi scrittori rispetto ai pirati regala al petto quando si gonfia di aria che non si vede l'ora di buttare fuori dopo aver assaporato, di ribellione alle pochezze contro le quali siamo costretti a batterci nella vita di tutti i giorni e nella società, di denaro che si spenderà subito dopo averlo guadagnato, di donne con le quali si condividerà il letto per conservarne solo un ricordo buono per i sogni nelle serate di solitudine, di ingordigia e passione, che sono i motori del mondo e di tutte le vite che vengono vissute senza ipocrisie e mani ritratte dopo aver scagliato il sasso.
Questo, probabilmente, è il vero fascino del pirata nel senso più romanzesco del termine.
Quasi fosse l'antesignano del punk, il pirata è un vaffanculo allo stato sociale nel senso più statico, bigotto ed impostato - o falsamente impostato, anche peggio - che si possa immaginare.
E in questo senso, non posso che schierarmi dalla parte dei Flint, dei Vane, dei Silver.
E sono ben disposto a fare incetta di peccati per trovarmi in loro compagnia.



MrFord



mercoledì 15 novembre 2017

Black Sails - Stagione 2 (Starz, Sud Africa/USA, 2015)




Il mondo dei pirati è da sempre una calamita per l'attenzione di questo vecchio cowboy, che pone galeoni, rum ed arrembaggi appena dietro le cavalcate nelle grandi pianure: da L'isola del tesoro a La vera storia del pirata Long John Silver, alcuni dei miei romanzi preferiti di sempre sono legati a questo tipo di cornice, ed anche su grande schermo le avventure marinare hanno sempre esercitato un fascino irresistibile.
Quando, anni fa, conobbi grazie al mio fratellino Dembo questa produzione Starz, incentrata proprio sui personaggi di John Silver e del suo capitano, Flint, non seppi resistere, incontrando una prima stagione molto interessante che, forse, venne penalizzata e non poco proprio dalla mia fresca lettura del già citato La vera storia del pirata Long John Silver, che si era rivelata troppo grande per non seppellire al confronto qualsiasi altra vicenda avesse come protagonista il mitico John.
Lasciate dunque calmare le acque, ho finito per tornare al timone e rimettermi sulle tracce di questi personaggi ad un tempo romantici e crudeli, attaccati alla vita e pronti ad aggredire ed aggredirla, e dal primo episodio di questa seconda stagione mi sono ritrovato immerso quanto e decisamente più rispetto alla season d'esordio, finendo travolto da un'escalation che non solo ha portato al racconto nella versione Black sails della perdita della gamba di John Silver - tratto distintivo del pirata nel già citato L'isola del tesoro -, ma anche ad una serie di colpi di scena dalla forza e dalle potenzialità per le due annate successive davvero enormi, in grado di mostrare senza eccessiva spettacolarizzazione le contraddizioni di questi uomini e donne che vissero ai margini e ben oltre della Legge e della Società per come veniva intesa allora - ed ancor di più oggi - ma che tra loro regolamentavano il tutto attraverso regole ancora più precise, per inseguire il miraggio di una società perfetta costruita sull'equilibrio di persone slegate da qualsiasi codice o regola per l'appunto sociale.
Una sconfitta in partenza che mantiene ed esercita un'attrazione difficilmente gestibile da persone inclini al caos come il sottoscritto, che nel modo di approcciare qualsiasi situazione in modo da trovare la soluzione migliore per sopravvivere ed avere il vantaggio migliore in pieno stile Ulisse di John Silver, nella determinazione furiosa di Flint, nella passionalità selvaggia di Charles Vane - il suo discorso di fronte alla gente della Carolina nel corso del processo a lui e Flint mi ha fatto quasi saltare in piedi sul divano -, trova un modo per assaporare la pelle d'oca scuotere fin nell'anima.
Segno, questo, pronto a dimostrare che proprio come Silver, in quel contesto avrei cercato di evitare con tutte le forze un'esistenza rischiosa e spesso grama come quella dei pirati ma mi ci sarei trovato dentro per indole, inclinazioni ed attitudine.
La proposta Starz, dunque, porta sullo schermo tutto lo sporco della vita dei predoni del mare dei tempi, la lotta per la sopravvivenza - anche se renderebbe decisamente meglio, in questo caso, l'inglese struggle -, il rispetto di alcune regole ed al contempo di nessuna, i richiami dell'ignoto, di sogni folli, di sbronze senza ritorno e sesso senza limiti, e lo fa con perizia nella realizzazione, ottime caratterizzazioni da parte dei protagonisti, scrittura molto interessante ed un'atmosfera che non cerca facili conquiste, ma punta i cannoni dritta al bersaglio grosso.
Una volta a bordo con gentaglia di questa risma, fidatevi, sarà davvero difficile pensare a fare vela verso la terraferma.
A meno che loro non vogliano offrirvi un viaggio senza ritorno nelle profondità dei mari.
O dei loro cuori.




MrFord




 

mercoledì 14 giugno 2017

Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar (Joachim Ronning/Espen Sandberg, USA, 2017, 129')




Ho sempre avuto un debole, per i pirati.
Quanto e quasi più che per i cowboys e l'ambientazione Western.
Del resto, adoro il caldo, il mare, l'alcool, le avventure e l'idea "romantica" - in realtà i pirati erano per la maggior parte dei bastardi di prima categoria - di questi avventurieri che, in barba alle regole ed alle leggi, sfidavano apertamente i governi e l'ordine costituito.
Non sono, comunque, un fan hardcore che schifa le produzioni pop legate all'argomento: tanto adoro i Classici come L'ammutinamento del Bounty o personaggi per me fondamentali come John Silver, quanto mi concedo visioni disimpegnate come quelle che ha sempre garantito la Disney con la sua fortunatissima saga dedicata alle avventure di Jack Sparrow, charachter partito dallo status di cult e divenuto una vera e propria prigione per Johnny Depp, ormai divenuto macchietta quanto il personaggio che interpreta tanto da far sorgere più di un dubbio a proposito del fatto che potrebbe non essere Depp che interpreta Sparrow, bensì Depp che porta in scena se stesso.
Considerazioni sulla condotta dell'ex Edward mani di forbice a parte, comunque, dopo una divertentissima partenza ed un ottimo secondo capitolo - quanto mi manca Davey Jones! - la saga ha finito per avvitarsi senza ritegno su se stessa neanche fosse il suo main charachter dopo una sbronza di rum, tenuta a galla soltanto dalla consueta bravura e dalla gigioneria del Barbossa di Geoffrey Rush, che in quest'ultimo capitolo regala anche uno dei momenti più emozionanti della pellicola perfetto - neanche a farlo apposta - per i padri.
Ma non bastano pochi, pochissimi elementi o una cornice sulla carta perfetta per il sottoscritto per salvare un film che è una vera e propria baracconata da parco divertimenti, incapace di aggiungere nulla non solo alla settima arte - intrattenimento compreso - ma anche e soprattutto ad un brand che, forse, considerata anche la chiusura dovrebbero considerare di mandare in pensione: nel corso della visione, dopo il crollo verticale di Julez nel mondo dei sogni in dieci minuti netti, l'unico divertimento inaspettato e di pancia è stato farsi quattro risate a proposito dell'involontariamente comico doppiaggio di Javier Bardem - un altro attore che ormai pare ripetere allo sfinimento sempre lo stesso ruolo - e del suo Salazar, caricaturale almeno quanto lo Sparrow di Depp, protagonista quantomeno di una sequenza interessante, ambientata nel passato e legata alle origini della carriera di Capitano del sempre bevutissimo pirata.
Troppo poco, comunque, per considerare La vendetta di Salazar un nuovo punto di partenza per questa macchina da soldi, tanto da scontentare non solo la critica, ma anche il pubblico, e registrare quello che, fino ad ora, è un flop neppure da poco al botteghino: segno, forse, che anche l'intrattenimento selvaggio debba trovare nuove idee o quantomeno presentarle in maniera coerente ed accattivante, per evitare di avere l'impressione di trovarsi intrappolati in un enorme deja-vù dimenticabile e fondamentalmente inutile, per quanto affascinante possa essere una cornice o un genere.
Si imbarca acqua, dunque non resta che scolarsi l'ultima botte di rum, alzare la testa e guardare con sfrontatezza l'orizzonte, fare un bel tuffo e sperare, in un modo o nell'altro, di raggiungere presto nuovi lidi.




MrFord




giovedì 25 maggio 2017

Thursday's child



Si avvicina l'estate, e tra pirati e squali anche il Cinema apre le porte alle suggestioni della stagione più calda e easy dell'anno.
Riusciranno il clima finalmente torrido e le ambientazioni non sempre favorevoli a far tornare ai livelli di una volta la rivalità tra il vecchio Ford ed il finto giovane Cannibal?
Solo il tempo lo dirà.


"Stai attenta, Ford e Cannibal potrebbero farsi vedere da un momento all'altro!"


Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar

"Mi vuoi dire che anche Ford è passato alle e-mail!? Non ci posso credere!"

Cannibal dice: So che Ford, come un po' tutti i vecchi, ama le storie di pirati. Quel che non ricordo è se sia un fan della saga con Jack Sparrow, o se la considera troppo moderna e magari pure uno sputtanamento per la categoria. Per quanto mi riguarda, dei pirati non me n'è mai fregato un beneamato ca**o e, da buon Peter Pan quale sono, si sono sempre rivelati miei acerrimi nemici. Come le era un tempo il Pirata Ford, che ormai preferisce prendersela con filmetti come Baby Boss piuttosto che con me.
Ford dice: sono da sempre un fan accanito dei pirati, non troppo della saga con protagonista Johnny Depp. Partita discretamente, resa quasi cult con un ottimo secondo film - quello con Davey Jones, il mio favorito totale -, è poi stancamente andata alla deriva.
Onestamente, non nutro grosse aspettative per questo nuovo capitolo, anche se come popcorn movie estivo potrebbe anche starci.


47 metri

"E così Cannibal dovrebbe finire a fare da bastoncino Findus per gli squali."

Cannibal dice: Horrorino con le belle Mandy Moore e Claire Holt che in periodo estivo potrebbe tornare utile. Anche se a me queste avventure marine da Squalo dei poveri fanno paura quasi quanto Mr. Ford, sempre per rimanere in tema di cattivoni dei poveri.
Ford dice: film estivo e squalesco che avevo già visto e recensito l'anno scorso - http://whiterussiancinema.blogspot.it/2016/09/in-deep-johannes-roberts-uk-2016-87.html - e l'avevo considerato una robettina leggera tanto da dimenticarmene completamente e scrivere un primo commento all'uscita dello stesso come se fosse un nuovo titolo. Le aspettative, comunque, non erano neppure troppo diverse dal risultato.

 

2night

"Droga dello stupro, eh!? Usi lo stesso metodo di Cannibal!"

Cannibal dice: Filmetto boy meets girl all'italiana che potrebbe essere una di quelle cannibalate intimiste perfette per far venire il voltastomaco a Ford. Speriamo sia davvero così.
Ford dice: spero davvero si tratti di una stomachevole cannibalata da bottigliare, anche perchè quest'anno ha già visto me e Peppa d'accordo fin troppe volte.


Cuori puri

"Sai che quando tirano le orecchie a Ford per il compleanno arrivano direttamente al successivo?"

Cannibal dice: Altro filmetto adolescenzial-romantico made in Italy, solo che questo mi attira molto meno rispetto a 2night. Così, è una sensazione che ho a pelle. Come quando sento avvicinarsi Ford e sulla pelle mi vengono subito i brividi.
Ford dice: come se non bastasse 2night, anche questo Cuori puri, che, purtroppo di nuovo d'accordo con Cannibal, mi pare perfino meno appetibile dell'indigesto precedente.

 

Ritratto di famiglia con tempesta

"Una recensione sensata di Cannibal? Ma non fatemi ridere!"

Cannibal dice: Giapponesata buona per i cinema d'essai, se esistono ancora, per i festival cinematografici (peccato solo essere a Casale Monferrato e non a Cannes), o per una lagnosa rassegna fordiana accompagnata da sushi. Che io naturalmente non mangio.
Ford dice: fordianata autoriale che potrebbe essere una delle sorprese della settimana, a patto di resistere all'istinto di uscire a massacrarsi di sushi prima di una robusta bevuta nel pieno spirito della bella stagione, che dalle mie parti va poco d'accordo con le visioni impegnate.

 

Alamar

"Chissà se Ford ha già buttato a mare Cannibal?"

Cannibal dice: Messicanata che pure questa sa di film pseudo autoriale da festival di quelli di cui una volta si parlava spesso su White Russian. E ora che manco quel bloggaccio se li fila, mo' chi li guarda più?
Ford dice: seconda fordianata autoriale della setttimana, vale il discorso fatto sulla prima. Anche se, non fosse altro che per dare fastidio a Cannibal, si potrebbero recuperare entrambi.

 

Cloud
Cannibal dice: Commediola canina del 2014 che esce ora, non si sa bene perché e dietro richiesta di chi. So solo che sento già abbaiare gli attori manco si trattasse di un action con Lundgren + Van Damme + Stallone + Ford.
Ford dice: ma per quale motivo fare uscire un film di tre anni fa tre, a meno che non si tratti di una figata action con Sly!?!?

 

Milano in the Cage – The Movie

"Il prossimo sei tu, Cannibal!"

Cannibal dice: Cos'è 'sta roba? Il film su Mister James Ford che tutto il mondo (non) aspettava?
Ford dice: pur essendo milanese, non ho assolutamente idea di cosa sia questa roba. Probabilmente una trappola organizzata da Cannibal per cercare senza successo di far fuori il sottoscritto.

 

venerdì 30 settembre 2016

Storia della pirateria (Philip Gosse, Odoya)




La figura del pirata, per chi ha un background minimo di cultura letteraria e cinematografica, rappresenta senza dubbio una delle più affascinanti che si possano figurare: ribelli e guasconi, sfrontati e folli, i corsari dei mari hanno trovato terreno fertile nell'immaginario popolare che li ha adottati, idealizzati, resi figure quasi romantiche dalle quali prendere ispirazione.
Io stesso, da L'isola del tesoro a quel Capolavoro che è La vera storia del pirata Long John Silver, passando per tutto il bagaglio che la settima arte ha accumulato da L'ammutinamento del Bounty a I Goonies, per arrivare a Black Sails, sono sempre stato affascinato da questi uomini - e donne - pronti a partire all'avventura seguendo il motto "nessuna preda, nessun bottino".
Così, dopo anni di idealizzazioni e la curiosità scaturita dall'epopea dell'ultimo capitolo della saga di Uncharted sulla Playstation 4 - che cita apertamente uno dei pirati più famosi di tutti i tempi, Avery, ed il progetto di alcuni tra i capitani più noti in tutti i mari, Libertalia -, ho pensato che fosse il momento giusto per buttarsi su un paio di saggi che raccontassero la vera storia di un fenomeno vecchio quanto la civiltà e la navigazione, testimone di episodi che hanno dell'incredibile - negli anni di scuola non ho mai scoperto che Giulio Cesare ancora lontano dall'essere il conquistatore che di norma compare sui testi fu rapito e tenuto in ostaggio da pirati greci che circuì e tornò a catturare ed uccidere - e molti altri tragicamente umani ed ancora attuali - dai conflitti a sfondo religioso tra cattolici e musulmani nelle acque del Mediterraneo fino agli scempi commessi da molti capitani soprattutto nell'area centroamericana -, figlio di una linea di pensiero che mi ha fatto tornare in mente il tamarro e strepitoso pezzo di Andrew W. K. "Party hard", che recita "we do what we like and we like what we do", ma anche di idee e regolamentazioni sui vascelli figlie di un comunismo che ancora doveva nascere, esempi che verranno presi in epoche più moderne anche dalle compagnie assicurative per tutelare i lavoratori a rischio in mare e non solo.
Una traversata affascinante e ricca di spunti per qualunque scrittore o regista, che passa dai resoconti delle tensioni tra i pirati moreschi e le grandi monarchie cattoliche agli antichi romani, da Tortuga e l'epoca d'oro della pirateria - quella che parte da Drake e si chiude con i vari Avery, Barbanera, Anne Bonnie e soci, legata all'idea di una sorta di Repubblica dei predoni del mare, la già citata Libertalia -, dal Madagascar alla lotta sella signora Ching in Cina, dalle coste dell'India al Giappone: certo, come tutti i saggi, per quanto scritto e condotto in maniera assolutamente easy dall'autore, si sente la mancanza della scintilla che fa restare incollati alla pagina e desiderosi di scoprire cosa accadrà nella successiva, e la curiosità finisce per essere spesso e volentieri castrata dalla necessità di Gosse di portare sulla pagina più argomentazioni possibili senza approfondire, di fatto, nessuna delle stesse - gente come i già citati Drake ed Avery finisce per essere liquidata in una manciata di pagine -, ma la lettura, quantomeno per gli appassionati ed i curiosi rispetto alla materia trattata, scorrerà liscia come il mare calmo all'alba, alimentando ispirazioni e sogni di quelli che si fanno da bambini, quando, in mancanza di una scintilla che ci porti ad ammirare sempre i buoni a tutti i costi, solletica le parti oscure dei "bad guys".
Ed in tutto questo oceano di romanticismo, resta ricordare che il fenomeno della pirateria, figlio del coraggio, dell'incoscienza, del desiderio e delle passioni, è stato, è e resterà anche legato a doppio filo alla violenza ed alla bestialità dell'essere umano, e che come tutti i difetti che ci portiamo dietro e dentro, pur archiviato o quasi in epoca moderna, continuerà ad esercitare un fascino clamoroso nonostante, di fatto, sia l'espressione di qualcosa che non potrà mai essere considerato come positivo.
E forse è proprio questo, il "problema".




MrFord




 

domenica 17 maggio 2015

Black Sails - Stagione 1

 Produzione: Starz
Origine: USA, Sudafrica
Anno: 2014
Episodi: 8



La trama (con parole mie): a Nassau, nel cuore dei Caraibi, si trova uno dei crocevia più importanti legati al mondo dei pirati ed alle navi dedite agli arrembaggi ed alle razzie in tutti i mari, coordinato dalla giovane Eleanor Guthrie. Quando il capitano Flint recupera, insieme al sopravvissuto ed opportunista John Silver, la mappa che potrebbe condurlo alla rotta della leggendaria nave Urca, portatrice d'oro, le trame attorno al centro nevralgico del mondo piratesco si infittiscono: insieme ai Guthrie ed alla ciurma del capitano Vane, infatti, elementi di spicco del mondo criminale e di quello ufficiale delle marine britannica e spagnola si contenderanno il dominio non solo della zona caraibica, ma degli oceani.







Quando il mio fratellino Dembo è giunto dalle parti di casa Ford portando in dono l'intera prima stagione di Black Sails, firmata in parte da Neil Marshall ed ambientata in una cornice che ha sempre esercitato un fascino unico sul sottoscritto, pensavo avrei assistito ad uno dei miracoli del piccolo schermo più clamorosi dell'anno.
In fondo, dai tempi di Monkey Island l'ambientazione piratesca e caraibica è sempre stata una delle mie favorite insieme a quella western - come questa, wild and dirty -, e l'idea di un prodotto violento e tosto che mi ricordasse l'ottimo e sottovalutato Master and Commander - che solcherà i mari da queste parti domani, per continuare su questa rotta - mi stuzzicava non poco: il risultato finale, però, a prima stagione archiviata, è stato almeno in parte al di sotto delle pur alte aspettative, complici un cast privo del carisma che mi sarei aspettato - da John Silver alla ciurma di Charles Vane - e la mancanza di quella scintilla in grado, nel caso di alcune serie, di mettere addosso la quasi esigenza di correre a vedere l'episodio successivo appena terminato quello che si sta guardando.
Nulla da dire sul comparto tecnico o la ricostruzione d'epoca, la violenza o il sesso - che, comunque, potrebbero essere spinti ancora di oltre -, ed al prodotto in generale: semplicemente, almeno per il momento, a Black Sails è mancato quel "barbarico YAWP" in grado di far compiere al prodotto di Michael Bay il salto di qualità in grado di farlo diventare una serie irrinunciabile dall'hype che cresce stagione dopo stagione.
Le potenzialità restano, e sono convinto che, se aggredito con un piglio più deciso in fase di scrittura, già con la seconda stagione charachters come Eleanor Guthrie e Charles Vane - che ricorderanno, completamente diverso nell'approccio e nello stile, i fan di Shameless - potrebbero spiccare il volo di fatto portando ad un altro livello l'intera produzione: a salvarsi dal mezzo scivolone, invece, è l'ottimo Flint di Toby Stephens, protagonista disequilibrato e completamente schiavo delle sue passioni e decisioni, in grado di slanci da grande leader e follie da psicopatico senza se e senza ma.
A proposito di Flint, considerata la chiusura di stagione e la speranza di rivedere il dato per morto Bones, le premesse della costruzione di una storyline da brividi ci sono tutte, anche considerando l'etica profondamente criminale e piratesca dell'uomo a fronte di un passato ed una formazione decisamente istituzionali e molto "british".
Del resto, in un'epoca ed al centro di una società parallela al mondo "comune" come quelle mostrate da Black Sails solo i più duri ed i sopravvissuti, probabilmente, finivano per avere qualche possibilità di farcela, quasi la Legge della giungla fosse stata trasportata in mare, regolata da parole d'onore spesso e volentieri tradite da violenza e menzogne via via sempre più grandi, condite da botte, sangue e sesso.
Nonostante questo, e la differenza rispetto allo stile di vita continentale dei tempi, l'approccio dei pirati e degli esploratori del mare è senza dubbio e profondamente umano: inseguire una chimera, una nave, un tesoro o chissà quale scoperta rappresenta, in un certo senso, quello che Moby Dick è per Achab, o Godot per Beckett.
O un qualsiasi sogno per uno qualsiasi di noi.
Come prodotto molto umano, dunque, i margini di miglioramento ed i difetti sono decisamente marcati, ma ho fiducia che, con il sudore e la fatica, questa rotta porterà in futuro a qualcosa di più grande di quanto non si sia visto fino ad ora.




MrFord




"When the going gets tough
and the stomachg acids flow
the cold wind of conformity
is nipping at your nose
when some trendy new atrocity
has brought you to your knees
come with us we'll sail the
seas of cheese."
Primus - "Seas of cheese" -



sabato 16 maggio 2015

L'isola del tesoro

Autore: Robert Louis Stevenson
Origine: UK
Anno: 1883
Editore: Feltrinelli





La trama (con parole mie): Jim Hawkins, giovane figlio del gestore di una locanda nei pressi di Bristol, si ritrova affascinato ed intimorito dall'ultimo ospite dell'Ammiraglio Benbow - questo il nome del locale di proprietà della sua famiglia -, il navigatore e pirata Billy Bones.
L'uomo, scontroso e solitario, è in realtà in fuga dai vecchi compagni perchè in possesso della mappa che condurrebbe al tesoro del leggendario Capitano Flint, uno dei predoni dei mari più terrificanti di sempre: quando, dopo alcune settimane, Bones viene raggiunto e minacciato dai suoi, per Jim inizierà un'avventura che lo porterà lontano dalle coste inglesi dopo aver seppellito il padre e lasciata la madre alla ricerca del famigerato tesoro dall'altra parte del mondo, facendo esperienza come mozzo e crescendo come uomo nel momento in cui l'ambiguo Long John Silver, cuoco di bordo della spedizione, si rivelerà essere l'unico che, ai tempi d'oro, teneva testa a Flint, nonchè il più determinato ad impadronirsi del tesoro stesso.








Di recente, grazie al vero e proprio colpo di fulmine che è stato imbattermi nel personaggio di Long John Silver, il mio amore - mai sopito - per le avventure marinaresche ed i charachters legati profondamente alla vita è rifiorito neanche fosse la primavera del secolo, spingendomi a recuperare il Classico responsabile ed ispiratore del già indirettamente citato La vera storia del pirata Long John Silver: L'isola del tesoro.
Evitato a causa delle imposizioni ai tempi delle superiori e mai più recuperato - al contrario di altre pietre miliari del genere come La linea d'ombra o Tifone -, il lavoro di Stevenson è uno dei più grandi romanzi - e non solo d'avventura o di genere - che mi sia capitato di leggere dai tempi del Capolavoro La figlia del capitano, un classico che si presta a letture ed interpretazioni da angolazioni anche diametralmente opposte tra loro, un magistrale esempio di tensione narrativa costante ed uno spirito che è stato modello per innumerevoli romanzi e film di formazione dall'epoca in cui fu pubblicato agli anni ottanta dei Goonies.
Tutto questo, senza neppure considerare Long John Silver.
Il pirata portato sulla pagina da Stevenson, privo di una gamba eppure agile come la più veloce delle scimmie, amichevole e pieno di attenzioni eppure crudele e selvaggio, gioviale e cortese ed in grado, con la sola voce, di mettere a tecere anche gli uomini più temibili che il mare possa offrire, è uno degli esempi più clamorosi di antagonista - o protagonista? - perfetto, delineato alla perfezione e mostrato con uguale passione dai suoi momenti di trionfo a quelli di sconfitta.
In fondo, è così che va, quando di affrontano il mare, e la vita: "a volte sei tu che mangi l'orso, e a volte è l'orso che mangia te", si sarebbe recitato in un film fondamentale per il sottoscritto più di un secolo dopo la stesura dell'incredibile avventura del giovane Jim Hawkins.
Ed è proprio questo che accade, nel corso dell'epopea volta al ritrovamento del tesoro del leggendario Capitano Flint, terrore dei mari in grado di essere messo all'angolo dal solo Silver, suo quartiermastro ed in qualche modo confidente: si assiste ad un continuo ribaltamento di fronti, ad eventi tanto clamorosi ed eccezionali quanto umani e semplici nello svolgimento, alla rappresentazione unica in parole di sapori, odori, sensazioni, ed alla capacità di uno scrittore di trasportare letteralmente i suoi lettori ove desidera, o dove è necessario che siano.
Dalle brume della provincia di Bristol ai paesaggi tropicali dell'Isola del tesoro, passando per le rappresentazioni dell'Hispaniola e del fortino sulla spiaggia dell'isola stessa, il dono più grande della prosa di questo Capolavoro è il potere di trasmettere il brivido dell'avventura, il sapore di una terra che si scopre per la prima volta, dell'ignoto, della sfida: L'isola del tesoro è paragonabile alla prima sbucciatura, o al morso ed alla scoperta del sapore del cocco, o del mango, o del rhum la notte della vostra prima sbronza.
Fortunatamente per Jim Hawkins, a dispetto delle apparenze, al suo fianco e come sua nemesi il ragazzo avrà il privilegio di confrontarsi con Long John Silver, che con le sue luci ed ombre, probabilmente, rappresenta l'esempio migliore di quello che potrebbe essere un Uomo per un giovane pronto ad affacciarsi sull'oceano della vita: perchè nel corso della nostra esistenza, nessuno di noi è esente da colpe o errori, risulta impermeabile ai sentimenti, alle sensazioni e all'istinto, alla voglia di confrontarsi con l'ignoto e, perchè no, anche con il proprio lato oscuro.
Ma a prescindere da quanto di me stesso possa mettere in questa interpretazione di Long John Silver e de L'isola del tesoro, questo romanzo andrebbe recuperato semplicemente per il suo spirito romantico e votato all'esplorazione, alla vita, al desiderio di muovere sempre un passo oltre, anche quando quello stesso passo apparirà avventato e lontano da ogni logica.
Un barbarico YAWP della Letteratura ingenuo e volenteroso come Jim, passionale ed oscuro come John Silver.
Quasi come se il Bambino e l'Uomo si incontrassero davvero, uno di fronte all'altro, per una volta nella vita.
Come un viaggio nel tempo.
Come il viaggio.
Quello che ognuno di noi compie.
A prescindere dal tesoro destinato ad essere ritrovato.




MrFord




"Mondo di uomini,
fatto di uomini
pronti a rincorrere il vento.
Partono deboli,
tornano uomini;
erano mille e son cento.
Mondo di uomini,
fatto di uomini soli.
Dimmi la bianca balena stasera dov'è;
nella tempesta infinita non c'è.
Mondo di uomini
fatto di uomini soli."
Enrico Ruggeri - "Bianca balena" - 





venerdì 15 maggio 2015

La vera storia del pirata Long John Silver

Autore: Bjorn Larsson
Origine:
Svezia
Anno:
1995
Edizione: Iperborea





La trama (con parole mie): il pirata John Silver, detto Long, detto Barbecue, tra i protagonisti de L'isola del tesoro, raccontato attraverso la "sua" penna per quelle che sono state le gesta dell'intera esistenza di uno dei fuorilegge del mare più noti della Letteratura, dalla giovinezza ed i primi incarichi sulle coste britanniche alla schiavitù, dal cervello affilato come un rasoio alle battaglie più cruente, dai viaggi per mare accanto al feroce capitano Flint alla famigerata Isola del tesoro, fino alla vecchiaia passata a ricordare i tempi che furono, e celebrare l'inno alla vita che ha caratterizzato l'intera sua esistenza.
Crimini contro l'umanità ed un'umanità fin troppo pronunciata per una delle epopee più ribollenti e vitali raccontate su pagina, dalle Indie ai Caraibi, passando per il Madagascar e l'Africa, in bilico tra Storia e Fiction.








Chiunque mi abbia conosciuto una volta alle spalle la sbornia adolescenziale legata al mantra "meglio bruciare subito che spegnersi lentamente" sa bene che, quando si parla di esperienza e di esistenza, mi mostro più deciso che mai: non ho alcuna intenzione di morire prima dei centotre anni - almeno - e da qui dovranno venire a strapparmi mentre mi aggrapperò con le unghie e con i denti a qualsiasi cosa avrò davanti in quel momento.
Ho sempre amato vivere, più di ogni altra cosa e da prima ancora di saperlo.
E quanto incontro opere come La vera storia del pirata Long John Silver, non posso che tributare omaggio e rendermi conto di quanto nel profondo siano in grado di toccarmi.
Era dai tempi di Barry Lyndon, infatti, che non provavo una tale empatia per un personaggio di fiction.
Questo perchè, a prescindere dall'ambientazione piratesca - che comunque mi si conface -, dai crimini, dai luoghi geografici e qualunque cosa ci si possa mettere di mezzo - non ultimo il fatto che, senza ombra di dubbio, John Silver sia l'incredibile, straripante parto della fantasia di Robert Louis Stevenson riportato alla grandezza da Bjorn Larsson, autore di un romanzo che andrebbe assegnato nelle scuole come fratello di sangue del suo Classico predecessore, di cui parlerò domani - ho sentito questo romanzo d'avventura ed il suo spirito sotto la pelle, quanto e più che se l'avessi scritto, e ancora oltre, vissuto per essere raccontato su pagina.
In fondo, a prescindere dagli aneddoti e dalle cronache delle vicissitudini di quello che, forse, è il miglior pirata letterario di sempre, dalla gamba amputata e l'origine del soprannome Barbecue ai guanti indossati per evitare di essere riconosciuto come marinaio, la questione è che ho sentito Long John Silver così vicino da essere felice di leggere le "sue" righe come se fossi stato io a metterle su pagina, come se fosse quella la mia vita.
Ed è proprio la vita, il cardine dell'intesa che, fin dai primi capitoli, ha reso questa lettura la più straordinaria degli ultimi anni, a dispetto di Nesbo, Lansdale, McCarthy, Winslow e tutti gli autori che ho più amato: se dovessi pensare a qualcosa in grado di toccarmi allo stesso modo, dovrei tornare indietro al Capolavoro Il potere del cane, o a Meridiano di sangue, e non renderei ad ogni modo l'idea.
Questo è inequivocabilmente il mio romanzo.
John Silver, con la sua strenua volontà di rimanere in vita, sempre e comunque, e vivere il più possibile, è il ritratto dell'umanità che io stesso apprezzo di più, e cerco di applicare alla mia esistenza un giorno dopo l'altro: dagli uomini di saldi principi agli approfittatori, passando per tutti quelli che, purtroppo per loro, non si rendono neppure conto della fortuna occorsa capitando da queste parti per avere l'occasione di intraprendere un viaggio straordinario come quello che tutti noi abbiamo la possibilità di intraprendere, nessuno ha il potere di godersi ogni giorno come gli individui della risma di questo viaggiatore perenne.
John Silver è passione, energia, voglia incontrollata di non arrendersi neppure di fronte all'evidenza o alla sconfitta: una voce ed un approccio da inferi ed un sorriso sardonico ed irresistibile pronti ad essere sfoggiati all'occorrenza, una resistenza senza pari, la voglia di compiere sempre un passo oltre, come se ogni giorno fosse una preda da azzannare alla gola, e sfruttare dal primo all'ultimo secondo.
Ed io adoro John Silver.
Io sono John Silver, se non fosse che, se non all'occorrenza o all'ordine di qualche capitano, lui cerchi sempre di evitare l'alcool, e rimanere lucido abbastanza per cavarsi da qualsiasi impiccio.
Come lui, trovo che considerare la vita un peso sia un peccato mortale, così come annoiarsi o ritrovarsi imprigionati dal non fare nulla.
Sono un ingordo, un peccatore, uno che non ne ha mai abbastanza.
E John Silver è l'emblema di tutto questo.
John Silver che preferisce un cappio al collo ma le spalle libere, sempre.
Che non si farà mai eleggere capitano, perchè l'unica persona che potrà e dovrà avere il potere di destituirlo deve essere John Silver stesso, e non un consiglio, o un gruppo di possibili avversari assetati di potere e ricchezze, o anche di amici e compagni.
John Silver che, come il sottoscritto, si attaccherebbe alla vita con le unghie e con i denti, vendendo cara la pelle come spero un giorno di fare di fronte a me stesso, a chi amo e a chiunque possa o non possa esserci dall'altra parte.
Quello che è certo, è che vorrei davvero trovarmi in quello che molti sperano possa essere il paradiso per prendermi gioco di chi pensava che non ci sarei mai arrivato, e di esserci arrivato con tutta la fatica che quelli come questo vecchio cowboy ed il più vecchio e scaltro Long John possono aver compiuto in questo senso.
E salutare i beati con una risata beffarda, perchè si troverebbero tra le mani una bomba pronta ad esplodere, il catalizzatore degli istinti più bassi e non dichiarati di ognuno di loro.
Quando ho chiuso questo libro ho pensato immediatamente a quanto avrei assaporato ogni parola del post e della recensione, quanto sentita sarebbe stata, quanto incredibilmente importante avrei dichiarato fosse stato questo viaggio: eppure mi rendo conto che non ci sono possibilità di trasmettere quello che La vera storia del pirata Long John Silver mi ha regalato.
Perchè questo straordinario romanzo si può soltanto vivere sulla pelle.
E condividere e godere a fondo soltanto se, nello spirito, si nutre una sorta di comunione d'intenti con il vecchio Barbecue: che, a ben guardare, è la più semplice del mondo.
Vivere.
Sempre e comunque.
A qualsiasi prezzo.
Tranne la libertà.
Tranne l'essere se stessi.
Tranne godere della vita stessa.
Essere i capitani della propria anima, come diceva qualcuno.
E non c'è essere al mondo che possa esserlo della mia, se non me stesso.
Come di quella di Long John Silver.
E per questo, alzando il calice, propongo un urrà.
Anzi due.
Uno per lui, ed uno per me.




MrFord




"Long John Silver, ring in his ear,
he's the hero, make that clear.
Does the same thing his father did,
sailing around the Caribbean,
robbing kings with his talking parrot,
this time I think he's on the high side."
Jefferson Airplane - "Long John Silver" - 




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