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domenica 21 settembre 2014

Red riding trilogy: in the year of our Lord 1983

Regia: Julian Jarrold
Origine: UK
Anno:
2009
Durata: 102'




La trama (con parole mie): Maurice Jobson, ufficiale nella polizia dello Yorkshire e testimone delle luci e delle ombre dei casi legati allo Squartatore e alla scomparsa di una serie di bambine, riannoda i fili delle vicende che, dai primi anni settanta, hanno di fatto segnato il dipartimento cui appartiene, la società e la sua stessa esistenza. Dal giovane giornalista Eddie Dunford a BJ, da John Dawson al prete Laws, tutti i segreti delle vicende più sanguinose di un decennio paiono venire a galla insieme alla coscienza dello stesso Jobson, costretto a fare fronte anche ai fantasmi portati a galla da anni di soprusi e trattamenti al di sopra della Legge offerti da lui stesso ed i suoi compagni.
Archiviato il caso dello Squartatore e scongiurato - almeno in apparenza - lo scandalo del loro dipartimento, come reagiranno i fautori di tutti i gesti compiuti anche da Maurice nel corso degli anni? E chi è davvero il rapitore delle bambine? E quali, dei piccoli di una generazione precedente, riusciranno a salvarsi davvero?






L'affresco della trilogia di Red riding, iniziato con grande perizia ma in qualche modo in sordina ed esploso - sempre senza alzare troppo la voce - con il secondo film si chiude con le stesse tinte fosche con le quali si era aperto e attraverso quello che è il suo capitolo più articolato ed ambizioso, in bilico tra presente e passato di narrazione e pronto a fare luce su tutte le vicende raccontate nell'episodio dedicato al settantaquattro così come in quello ambientato nell'ottanta.
Ripescando attori e situazioni già mostrate raccontandole da un punto di vista ed un angolazione differenti, quest'ultimo passaggio tira le fila dei sospesi maggiori rimasti dopo la cattura dello Squartatore dello Yorkshire mostrata sul finire dell'episodio precedente: la questione della corruzione all'interno della polizia locale e quella legata all'assassino delle bambine, passata quasi in secondo piano rispetto alla più clamorosa e rumorosa indagine con oggetto il già citato Squartatore ma non per questo meno inquietante, anzi.
L'atmosfera pesante che aleggiava sulla vicenda di Hunter lascia, anche se soltanto in parte, trasparire un barlume di fiducia nel futuro e nella possibilità di sopravvivere principalmente grazie all'indagine condotta - pur se con riluttanza - dall'avvocato richiamato per risolvere nel modo più giusto possibile la questione del rapitore ed assassino di bambine, alla crisi di coscienza di Maurice, detective implicato in quasi tutti i giochi sporchi del dipartimento e alla lotta per la sopravvivenza di BJ - il Robert Sheehan che rese grandi le prime due stagioni di Misfits, già visto come personaggio secondario negli altri due episodi -, emblema di quei figli dello Yorkshire che, chissà, forse un giorno riusciranno a sopravvivere alla tempesta che, per disgrazia storica, sociale o geografica, si è abbattuta sulle loro teste - e torna vivissimo il confronto soprattutto con il meraviglioso finale del già citato This is England, che potrebbe definirsi speculare rispetto a quello che si affronta qui -.
Accanto a Sheehan restano impressi nella memoria dello spettatore il predatorio Sean Bean - ma il suo charachter si era già affrontato a fondo nel corso del primo dei tre film - ed il mellifluo prete di Peter Mullan, attore e regista notevole - come Paddy Considine che prestò volto ad Hunter - coraggioso nell'affrontare una delle parti più oscure e sgradevoli della sua carriera, di quelle pronte a fare impallidire anche le peggiori "metà oscure" del Cinema dedicato a serial killers e maniaci di vario genere.
A differenza dei due capitoli precedenti, inoltre, a dare man forte a quel quasi impercettibile lumicino di speranza di cui ho già scritto contribuisce un crescendo finale dalla tensione serrata tipico della scuola thriller americana, più che inglese, diverso sotto molti punti di vista dall'atmosfera rarefatta e solo suggerita dei due capitoli precedenti - anche nei loro momenti di massima tensione -: una chiusura diversa ma perfetta per una delle operazioni più importanti e meglio riuscite della televisione anglosassone recente, che non ha nulla di che invidiare alla qualità del grande schermo e che potrebbe senza troppa fatica competere con molte delle proposte distribuite nelle sale.
Impietoso il confronto con la situazione italiana, che fatta eccezione per pochi e clamorosi esperimenti come Romanzo criminale e Gomorra ancora pare lontana dalla maturità necessaria per produrre opere come questa, in grado di soddisfare l'occhio clinico degli appassionati e, seppur con una richiesta di impegno maggiore rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare da una serata da divano, tenere inchiodati al proprio posto anche gli spettatori occasionali.
In fondo, la Red riding trilogy affronta il lato oscuro dell'Uomo, lo stesso che, attraverso telegiornali e siti di news ci troviamo ad incontrare ogni giorno della nostra vita, e che in qualche modo sappiamo esistere anche quando guardiamo dentro noi stessi: l'importante è cercare sempre di distogliere lo sguardo prima che l'abisso lo ricambi.



MrFord



"Dream on, dream on
there's nothing wrong
if you dream on, dream on
of being a swan
but I know you're thinking..."
Elisa - "Swan" - 



sabato 20 settembre 2014

Red riding trilogy: in the year of our Lord 1980

Regia: James Marsh
Origine: UK
Anno:
2009
Durata: 93'




La trama (con parole mie): Peter Hunter, un detective di stanza a Manchester, viene chiamato nel West Yorkshire in modo da supportare le indagini fino a quel momento infruttuose legate alla ricerca del famigerato Squartatore, che dalla seconda metà degli anni settanta ha messo in ginocchio l'intero corpo di polizia facendosi beffe dello stesso.
In realtà, l'incarico ufficioso di Hunter è quello di scoprire quali potrebbero essere le mele marce del dipartimento, divorato da tempo e dall'interno dalla corruzione.
L'uomo, in crisi con la moglie e legato ad una collega, dovrà guardarsi le spalle rispetto alla caccia serrata allo Squartatore ma, ancora di più, alle indagini interne: i colleghi locali, infatti, paiono decisi a fare fronte comune contro di lui affinchè i loro panni sporchi restino tali.
E saranno disposti a celarli con ogni mezzo.







Sul finire dello scorso anno, una serie di recensioni a dir poco entusiastiche mi spinsero a premere sull'acceleratore per il recupero di una delle trilogie più celebrate del piccolo schermo, realizzata nel Regno Unito e legata ad alcuni fatti che insanguinarono lo Yorkshire tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta: quando, però, affrontai la visione del primo capitolo, per quanto interessante e ben realizzato, mi trovai almeno parzialmente deluso rispetto quelle che erano le aspettative della vigilia, che probabilmente speravano di incontrare quello che, non troppo tempo dopo, sarebbe diventato True detective.
Dunque il progetto Red Riding finì nel cassetto di casa Ford, rimanendo a prendere polvere fino ad una serata in solitaria di fine estate, che divenne un'occasione per scoprire se la fama che aveva preceduto quest'opera fosse effettivamente meritata o mal riposta: fortunatamente per il sottoscritto, già da questo secondo capitolo l'intero lavoro pare ingranare una marcia in più, alimentando la tensione e l'inquietudine che nella prima parte erano rimaste forse troppo ingabbiate dalla cura decisamente autoriale dell'intero progetto.
La vicenda di Peter Hunter, interpretato dalla vecchia conoscenza del Cinema UK che conta Paddy Considine, e l'indagine che porta lo stesso detective di Manchester ad addentrarsi non solo nel percorso compiuto dallo Squartatore dello Yorkshire ma anche e soprattutto in quelli che sono i giochi di potere e corruzione del dipartimento che lo ospita, è una di quelle storie fosche ed oscure, brumose ed inquietanti come il clima locale o la desolazione di scenari che farebbero felice il T. S. Eliot di Wasteland: il percorso compiuto dall'uomo partendo da una vicenda sepolta neppure troppo bene in un passato recente, il rapporto con la moglie e la collega ed amante, il campo di battaglia di fatto nascosto sul terreno sul quale si trova a doversi battere delineano un affresco potente e disarmante, che non lascia fiato o speranze in uno scioglimento della tensione, neppure di fronte al successo di un'indagine che finisce per avere più ombre che luci.
Interessante come, in un episodio che dovrebbe concentrarsi, di fatto, sui delitti efferati di un serial killer da manuale, un mostro inquietante pronto a confondersi con la folla ed il buon vicinato, i brividi maggiori vengano, al contrario, dagli uomini che dovrebbero essere non solo i designati a catturarlo, ma anche, di fatto, i protettori della comunità: una critica dunque feroce al Sistema e agli uomini incaricati di esercitarne il potere, che ricorda la drammaticità - per quanto affrontata su un campo di gioco completamente differente - di This is England e l'oscurità di cult cinematografici come Se7en e Memories of murder.
Il percorso del detective Hunter - curiosamente, e letteralmente, cacciatore -, passo dopo passo sempre più segnato - l'isolamento dai riluttanti colleghi, l'incendio alla casa, il rapporto con le due donne della sua vita - porta il pubblico ad un crescendo finale ancora più amaro di quello già affrontato con il film precedente, di fatto gettando ombre più che pesanti sulla visione del terzo episodio di questa miniserie e nel cuore di chi, a prescindere dal fatto che la realtà - e l'autorialità cinematografica con lei - prediliga l'essere amara, spera sempre e comunque in una minima parte di speranza da custodire e considerare il vero e proprio baluardo per la sopravvivenza non solo propria, ma dell'intera società.
Se, dunque, la speranza è una vostra speranza, mettete in conto di non trovarne dalle parti di questo Red riding, costellato di miserie umane oscure e profonde che non sfigurerebbero in un romanzo del romanticismo più cupo o in una canzone da carne e sangue di De Andrè, allargate le spalle ed affrontate un viaggio nella parte nascosta dell'Inghilterra di provincia che riuscirà ad essere così duro e cattivo da far sembrare un insuccesso perfino la cattura di un assassino tra i peggiori che possiate immaginare abitare gli incubi della porta accanto.



MrFord



"From the tick tick tick of your time's up
to the yes yes yes of 'I'll sell'
from the fact fact fact of the souless
to the pact pact pact with hell
corruption corruption corruption
rules my soul
corruption corruption corruption
chills my bones
corruption corruption corruption
rules my soul
corruption corruption corruption
chills my bones."
Iggy Pop - "Corruption" - 



domenica 30 dicembre 2012

Ford Awards 2012: i film che non vedrete nelle sale italiane


La trama (con parole mie): come fu lo scorso anno, inauguro le classifiche dedicate ai miei adorati film e a quello che è l'argomento principe del Saloon con i dieci migliori titoli passati su questi schermi nel corso del 2012 che non hanno ancora visto - e molto probabilmente non vedranno mai - una distribuzione qui nella Terra dei cachi. 
Gli argomenti saranno molti, così come i generi esplorati, ma di sicuro si tratta di pellicole che valgono almeno una visione ed una ricerca che vada oltre quella dei titoli presentati nelle sale nostrane.
E' stata, lo ammetto, una selezione molto più dura rispetto a quella dei distribuiti regolarmente, sconvolta proprio nell'ultimo periodo da una visione che è volata dritta dritta sul gradino più alto del podio sbaragliando la comunque più che agguerrita concorrenza.
Quale sarà questo titolo? E quali altri si saranno battuti fino all'ultimo giorno?


N° 10: Coriolanus di Ralph Fiennes

 
Con il vecchio Bill il bardo allo script, difficilmente si sbaglia: Ralph Fiennes, attore di razza che non è nuovo alla materia shakespeariana, porta in scena un dramma bellico potente e di pancia, che costruisce sulle spalle sue e di un sorprendente Gerard Butler.
Gli ingredienti della tragedia ci sono tutti, così come un'ambientazione moderna che riporta alla mente le guerre civili che hanno dilaniato - e dilaniano - molti paesi in ogni angolo del globo: alla fine, quando la polvere si posa, è difficile trovare un vero vincitore.




N° 9: Bellflower di Evan Glodell


Evan Glodell, sorprendente nuovo volto del Cinema indipendente made in USA, regala una perla che unisce le apocalittiche atmosfere della trilogia di Mad Max, la passione per la settima arte e tutta la carica di pulsioni e sentimenti che nasconde l'amore, una delle trappole più pericolose in cui si rischia di cadere almeno una volta nella vita.
Un film non perfetto, eppure ribollente e vitale, come quando al principio della sbronza ci si sente di poter compiere qualsiasi impresa.



N° 8: Cave of forgotten dreams di Werner Herzog


A dire il vero quest'ennesima meraviglia firmata Herzog - che ha conosciuto una vera e propria seconda giovinezza da quando si è dedicato al format del documentario - non è propriamente non uscita nelle nostre sale, ma resta una di quelle proposte destinate a perdersi tra Festival e mercato dell'home video, quindi ho deciso di inserirla ugualmente in questa classifica per renderle il giusto omaggio e lo spazio che merita.
Evoluzione della specie, e del Cinema.



N° 7: Red di Lucky McKee, Trygve Allister Diesen 

 
Per il secondo anno consecutivo il tostissimo Lucky McKee piazza una sua creatura nella top ten dei titoli non distribuiti nella Terra dei cachi, ancora decisamente troppo poco matura per affrontare la forza di questo Cinema da provincia profonda made in USA fatto di speranze infrante e lotta contro il destino.
Una storia struggente che scava dentro lo spettatore provocando sconforto e rabbia, frustrazione e voglia di avere la forza - ma anche l'equilibrio - per cercare, almeno una volta, di non far pendere le bilance del potere in favore di chi ne abusa.

 
N° 6: Rundskop di Michael R. Roskam


Candidato all'Oscar per il miglior film straniero - premio andato allo splendido Una separazione - questo lavoro venuto dal Belgio più cupo e piovoso è uno spaccato in grado di mescolare il realismo dei Dardenne, la freddezza pungente di Haneke e lo struggimento di Audiard.
Una pellicola pazzesca da sudore, lacrime e sangue, che ha il potere di lasciare senza parole lo spettatore, che assiste al viaggio verso l'inevitabile conclusione di un protagonista indimenticabile.


N° 5: Lake Mungo di Joel Anderson


La vera, clamorosa, grande sorpresa horror degli ultimi dodici mesi: recensito benissimo in rete, questo misconosciuto lavoro made in Australia è riuscito a fare provare al sottoscritto la tensione che non bussava alle porte del Saloon dai tempi di Twin Peaks.
Un mockumentary profondo ed inquietante, realizzato con pochissimi mezzi eppure efficace sotto tutti i punti di vista: visto di notte, da soli, crea un'atmosfera unica.


N° 4: Tyrannosaur di Paddy Considine


L'esordio dietro la macchina da presa dell'attore Paddy Considine è un pugno nello stomaco così forte da far rimpiangere i peggiori colpi proibiti menati dalle pellicole più struggenti e senza speranza firmate da Ken Loach.
Un Peter Mullan superlativo porta in scena un protagonista profondamente drammatico, un outsider in lotta contro la vita di quelli che non si dimenticano facilmente: i mostri della quotidianità combattuti con la determinazione di chi è abituato ad allargare le spalle e portare il peso dell'esistenza. Una bomba.


N° 3: Synecdoche, New York di Charlie Kaufman


Con il podio i grossi calibri cominciano a sparare le loro cartucce più clamorose: iniziamo con il dramma portato in scena da Charlie Kaufman, geniale autore in grado di ribaltare l'esistenza come un calzino per poi farci credere che quello stesso calzino, in realtà, non esista.
Grazie ad un Philiph Seymour Hoffman da antologia, il regista prende per mano l'audience conducendola letteralmente attraverso il suo mondo interiore.


N° 2: The raid - Redemption di Gareth Evans


Il film d'azione che tutti i fan del genere - e non solo - sognavano dal profondo degli anni ottanta.
Botte da orbi, sequenze mozzafiato, adrenalina e ritmo vertiginoso senza dimenticare una profondità insolita per un prodotto di questo genere.
Se non ci fosse stato un miracolo in extremis di questo 2012 ormai agli sgoccioli, sarebbe stato il preferito fordiano tra i non distribuiti in Italia a mani basse. Clamoroso.


N° 1: Holy motors di Leos Carax


Proprio quando i giochi per questa classifica parevano fatti, ecco che Leos Carax tira fuori dal cilindro un vero e proprio colpo di genio, uno di quei film che compaiono come per miracolo ogni dieci anni e riescono a strabiliare qualsiasi tipo di pubblico e critica.
Un'opera complessa eppure semplicissima, ipnotica ed assolutamente magica: l'incarnazione del Cinema per come tutti noi lo amiamo, e continueremo a farlo, ritmata da un'interpretazione oltre ogni giudizio del metamorfico Denis Lavant. Una meraviglia.

 
I PREMI

Miglior regia: Leos Carax per Holy motors
Miglior attore: Denis Lavant per Holy motors
Miglior attrice: Samantha Morton per Synecdoche, New York
Scena cult: lo scontro tra i due fratelli dalle parti opposte della barricata e Mad Dog, lo sgherro del boss, The raid - Redemption
Fotografia: Holy motors
Miglior protagonista: Joseph, Tyrannosaur
Premio "lo famo strano": Woodrow e Milly, Bellflower
Premio "ammazza la vecchia (e non solo)": Rama, The raid - Redemption
Migliori effetti: Holy motors
Premio "profezia del futuro": Cave of forgotten dreams

 

lunedì 13 agosto 2012

Tyrannosaur

Regia: Paddy Considine
Origine: UK
Anno: 2011
Durata:
92'




La trama (con parole mie): Joseph, un vedovo figlio della periferia estrema, della violenza e del rancore, dedito ad alcool e scatti d'ira, si rifugia nel negozio della devota Hannah, una donna legata ai principi cristiani che ha un background molto lontano - apparentemente - da quello rabbioso dell'uomo.
I due, nonostante le ferite infertesi reciprocamente ed eredità delle vite che li hanno condotti fino a quell'incontro, troveranno il modo di divenire l'uno la salvezza dell'altra, lottanto soli ma con la consapevolezza di avere qualcuno che, pur in modo singolare, guarderà sempre loro le spalle.
Una storia quasi d'amore atipica e straziante, una rinascita che, più che di seconda occasione, sa di presa di coscienza di tutti i limiti di questo mondo e dell'altro.
Sempre che ci sia.



A volte capita di incrociare il cammino di alcuni film durissimi e "spietati", per usare un paragone eastwoodiano di quelli che saranno sempre benvoluti da queste parti.
Veri e propri pugni in faccia, che paiono giunti appositamente per far sanguinare.
Paddy Considine, figlio della scuola "hard rock" inglese dei Ken Loach e degli Shane Meadows - fu il protagonista dell'ottimo ed altrettanto potente Dead man's shoes - si iscrive a pieno titolo nella categoria con un esordio clamoroso, una storia dalle tinte fosche, drammatica e violenta che riporta alla mente le immagini del miglior - e già citato - Loach, quello del mio favorito My name is Joe.
Proprio con questo titolo Tyrannosaur condivide il protagonista, quel Peter Mullan che con Magdalene vinse qualche anno fa anche un Leone d'oro come regista, letteralmente gigantesco nel portare sulla scena il ringhiante Joseph, un uomo figlio di una vita che non è e non sarà mai abituata a lesinare colpi che lui pare pronto a restituire uno per uno.
A volte anche senza che sia necessario.
Al suo fianco Olivia Colman, interprete praticamente sconosciuta sulle scene internazionali eppure altrettanto brava nel rendere il charachter di Hannah, vittima designata dello stesso mondo cattivo che quelli come Joseph combattono senza guardare in faccia a nessuno.
Hannah non è come lui. Hannah porge l'altra guancia. Hannah che prega per chi la insulta anche se il suo Dio non le ha mai dato la possibilità di avere un figlio. Lei, che più di ogni altra cosa avrebbe desiderato essere madre. Hannah oppressa dai sogni, e da un marito che sfoga su di lei le frustrazioni di un'esistenza che non sarà mai come l'avremo sognata.
Hannah che pare destinata a soffocare in silenzio.
Ed è qui, che entra in scena Joseph.
Un relitto, un combattente, un alcolizzato, un uomo cattivo ed iroso, che non ha nulla a che spartire con la gentilezza e la carità per come Hannah le intenderebbe.
Joseph che colpisce, e ringhia come un cane. Joseph con la bava - e la birra - alla bocca.
Joseph così arrabbiato da allontanarsi da tutto e da tutti, dal suo Bluey all'amico alle soglie della morte.
Joseph, schiacciato dal tirannosauro.
Ma cosa sarà mai, questo predatore dei predatori?
Hannah se lo chiede, perchè vede in Joseph un salvatore.
Il tirannosauro è un ricordo che azzanna alla gola, il rumore dei passi di un amore perduto, e di un senso di colpa che la realtà insiste a cacciare indietro.
Perchè Joseph tratterebbe sua moglie ancora allo stesso modo.
Joseph è un uomo cattivo.
Joseph ringhia, e siede su una poltrona da rigattieri su un cumulo di lamiere abbattute con la testa di un cane in grembo. Un cane che è stato aizzato per troppi anni, come lui. E pare un sanguinario condottiero figlio della strada e della realtà seduto sul trono dal quale sferrerà l'attacco decisivo contro i sogni, e tutte quelle cose che si fermano soltanto in alto, sulle colline, nelle zone benestanti, e a volte non basta neppure quello.
Joseph che protegge e vendica un bambino.
Joseph che compra un vestito buono per il funerale dell'amico, e al pub, nel ricordarlo, pare quasi di stare in famiglia.
Joseph che è una speranza.
La speranza di Hannah.
Forse il tirannosauro non è così terribile come sembra.
E quei bambini asserragliati dentro la macchina in Jurassic Park non sono altro che in fuga da un mondo che pare sempre troppo cattivo, anche per i mastini più agguerriti.
Anche per Joseph.
Forse il tirannosauro è proprio lui.
Pronto a scendere dal suo improvvisato trono, ancora sporco di sangue, per guardare al futuro, nonostante tutto.
E Hannah ne sentirà i passi giungere da oltre quel confine invisibile che la separa dal mondo.
E non avrà paura.
Perchè il predatore più spietato che esista è lì per proteggerla.
Fino alla fine.


MrFord


"If you see him in the subway,
he'll be down
at the end of the car.
watching you move
until he knows
he knows who you are.
when you get off
at your station alone,
he'll know that you are.
know when you see him,
nothing can free him.
step aside, open wide,
it's the loner."
Neil Young - "The loner" -


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