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mercoledì 24 dicembre 2014

Ford Awards 2014: le serie tv

La trama (con parole mie): è il momento di assegnare uno dei Ford Awards più importanti, quello dedicato alle serie tv. Così come per i libri, anche i serial hanno subito, complici gli impegni genitoriali e quelli lavorativi, una brusca frenata nel corso degli ultimi dodici mesi, lasciando ancora fuori dai radar di Casa Ford titoli importanti come Gomorra, Utopia, Black Sails, Vikings e sicuramente altri che non mi vengono in mente, ma che sono da tempo in lista.
Non che siano mancate la conferme o le new entries, fatto sta che compilare la top ten dei migliori dieci serial passati dalle parti del Saloon nel corso dell'anno che volge alla conclusione è stato tutto tranne che facile.
Fatta eccezione, forse, per il numero uno.



N°10: FRINGE


La sorprendente creatura di J. J. Abrams giunge alla conclusione con una quinta stagione poggiata sulle spalle di uno dei personaggi più complessi e sfaccettati che il piccolo schermo abbia regalato al suo pubblico negli ultimi anni: Walter Bishop.
Lo sci-fi classico incontra la passione e la voglia di raccontare il presente ed il rapporto tra padri e figli attraverso il Tempo ed il Futuro, passando dall'azione serrata alla commozione sentita.
Un addio che lascia il segno, per una serie alla quale, nonostante le diffidenze iniziali, da queste parti abbiamo davvero voluto un gran bene.





Gli avventori del Saloon ben sanno quanto il sottoscritto sia decisamente sensibile ai prodotti legati ai concetti di Famiglia e Fratellanza, con tutti i pro ed i contro del caso.
Ray Donovan, iniziato in sordina e decollato grazie ad un granitico Liev Schrieber e ad un magnetico Jon Voight è diventato, episodio dopo episodio, una certezza: ed ho come l'impressione che lo ritroveremo in questa classifica anche l'anno prossimo, saldo come una roccia.




Ho sempre nutrito una passione viscerale, per le storie ad ambientazione carceraria, da Edward Bunker a Oz: convinto da Julez a seguire questo titolo quasi esclusivamente tinto di rosa, ho finito per ammirare, episodio dopo episodio, la freschezza nella scrittura e lo straordinario lavoro di tutto il cast, ennesima dimostrazione della forza che l'altra metà del cielo è in grado di esplodere - in positivo o in negativo - nel mondo.
Dietro le sbarre, oppure no.


N°7: BANSHEE



Se esistesse un prototipo del prodotto fordiano fatto e finito, Banshee sarebbe tra i candidati migliori a ricoprirne il ruolo: botte da orbi, sesso a volontà, sparatorie, anime nere prestate ai "buoni" ed una serie di situazioni così lontane dalla realtà da finire per apparire più vere della stessa.
La fase di scrittura non sarà tra quelle destinate a rimanere negli annali, ma non importa: guardare Banshee è come concedersi una grigliata con tutte le carni che si preferiscono accompagnata da litri e litri di alcool e con una scopata assicurata alla fine.
Cosa si potrebbe chiedere di più?

N°6: JUSTIFIED



Se Banshee è la versione più fantasiosa della fordianità, Justified ne è il lato, al contrario, molto più vicino alla realtà: ispirata ad un racconto del grande Elmore Leonard, interpretata da uno degli idoli trash del sottoscritto, Walton Goggins, e resa imperdibile da un protagonista da grande romanzo southern - il cowboy moderno Raylan Givens -, è giunta quasi per caso da queste parti diventando in brevissimo tempo un vero e proprio cult.






Con ogni probabilità, la rivelazione di questo duemilaquattordici: produzione inglese, cast poco noto, un intrigo ed un omicidio pronti a sconvolgere una piccola cittadina della costa britannica neanche ci trovassimo nel cuore di un poco onirico e decisamente vero Twin Peaks all'europea e due detectives così diversi tra loro da riuscire a trovare un'alchimia quasi perfetta.
Un pò come il crescendo finale di questa piccola perla.



 

I SamCro sono ormai una realtà consolidata, da queste parti, ed una presenza costante delle classifiche di fine anno: curioso come, agli esordi del blog, fui tra i primi a sponsorizzare un titolo ormai giunto alla conclusione e divenuto un cult anche per alcuni insospettabili - vero, Cannibal? -, mentre ora, con due stagioni ancora da vedere, mi ritrovo ad essere clamorosamente in ritardo sulla tabella di marcia.
Ma poco importa, in fondo. Quello che conta è che la creatura di Kurt Sutter resta uno dei cardini del piccolo schermo fordiano. Sempre e comunque.

N°3: SHAMELESS


Non c'è nessuno come i Gallagher, sul piccolo schermo.
E neppure sul grande, mi sa tanto.
E non c'è nessuno che come i Gallagher, che caduta dopo caduta e risalita dopo risalita, faccia sentire parte di una famiglia.
Noi Ford siamo profondamente, completamente, assolutamente dalla loro: imperfetti e scombinati, dipendenti e passionali, travolgenti e caotici.
Gli outsiders passano tutti da qui.
E noi siamo fieri che sia così.




Potrà essere imperfetta, non sempre lineare, dispersiva, eppure Game of thrones è stata una delle realtà più straordinarie che il piccolo schermo abbia regalato negli ultimi anni: e la season four, con i suoi colpi di scena e sequenze memorabili - su tutte, la morte di Joffrey ed il duello tra The Mountain e Red Viper - ha finito per rinverdire i fasti dell'annata d'esordio.
E con charachters come il Tyrion Lannister di Peter Dinklage e la Khaleesi di Emilia Clarke pronti a dare ancora il loro meglio il futuro non potrà che essere roseo. O al massimo tinto di sangue.





La vincitrice annunciata di questa classifica non ha avuto rivali fin dall'inizio dell'anno, quando ha sconvolto la blogosfera e non solo con le sue otto puntate da cardiopalma, un cocktail perfetto de Il silenzio degli innocenti, Se7en e qualsiasi cosa sia stata scritta - e alla grande - a proposito dei serial killers.
Due protagonisti e due attori straordinari per quello che, indubbiamente, è il titolo della stagione.
E forse non solo.




I PREMI

Preferito fordiano: Raylan Givens, Justified
Miglior personaggio: Rust Cohle, True detective
Miglior sigla: Justified
Uomo dell'anno: Matthew McConaughey, True detective
Donna dell'anno: Taylor Schilling, Orange is the new black
Scena cult: il duello tra The Mountain e il Red Viper, Game of thrones
Migliore episodio: Form and void, True detective
Premio ammazzacristiani: The Mountain, Game of thrones e Raylan Givens, Justified
Miglior coppia: Olivia Colman e David Tennant, Broadchurch

Cazzone dell'anno: Lucas Hood, Banshee
Cattivo dell'anno: Boyd Crowder, Justified



MrFord

venerdì 5 dicembre 2014

Broadchurch - Stagione 1

Produzione: ITV
Origine: UK
Anno:
2013
Episodi: 8





La trama (con parole mie): nella piccola cittadina costiera britannica di Broadchurch il detective capo Alex Hardy, fresco di nomina ed ancora segnato da un caso che lo vide protagonista tempo prima, assiste al ritrovamento del cadavere di Danny Latimer, undici anni, strangolato e dunque abbandonato sulla spiaggia. Esclusa l'ipotesi del suicidio l'investigatore, supportato dalla collega nata e cresciuta nel paese Ellie Miller, si getta sulle tracce lasciate dall'assassino del ragazzo, che pare potrebbe risultare perfino qualcuno che lo stesso conosceva o frequentava.
L'evento, oltre a scatenare una serie di conflitti e timori in seno alla comunità, scoperchia come un vaso di Pandora i segreti di alcuni abitanti del luogo, dal prete all'edicolante e responsabile delle attività dei ragazzi legati alla storica associazione dei Giovani Marinai passando per la stampa e la famiglia stessa di Danny: dove si nasconde la verità?
Chi ha ucciso il figlio minore dei Latimer?
E fino a che punto Hardy e Miller saranno disposti a spingersi anche oltre le loro divergenze per consegnare il colpevole alla Giustizia?








L'animo umano è uno degli abissi più profondi che si possa sperare o temere di affrontare, figlio di turbamenti, cambiamenti, sentimenti così forti da lasciare senza parole: probabilmente è per questo che, da che ricordi, le storie in grado di esplorare soprattutto le sue parti più remote, nascoste e terrificanti dello stesso hanno sempre finito per affascinarmi.
Fiction o realtà, i racconti di Poe e le cronache di Blunotte, il "lato oscuro" rappresenta senza dubbio una tentazione irresistibile, che si tratti di visioni, letture o esplorazioni emotive: dunque il genere crime trova la sua collocazione ideale, qui al Saloon, sostenuto anche dalla passione nutrita da Julez per il genere. All'inizio di questo duemilaquattordici, True detective giunse a sconvolgere i nostri occhi di spettatori grazie ad una delle vicende più torbide e da brividi del passato recente - e forse non solo -, lasciando il segno per quello che sarà il modo di approcciare questo tipo di prodotti da qui in avanti: non avrei mai pensato che, neppure qualche mese dopo, avrei scoperto una sorta di suo fratellino minore giunto dal cuore dell'Inghilterra di campagna, in grado di superare per intensità anche l'ottima trilogia del Red Riding, Broadchurch.
Orchestrato attorno all'omicidio del giovanissimo Daniel Latimer, questo piccolo, intenso viaggio sulle coste anglosassoni, lontane per approccio ed indole alle grandi città come Londra, riporta l'orologio indietro mostrando quanto poco, in secoli di Storia, sia cambiato davvero l'Uomo, schiavo di desideri, impulsi e passioni difficilmente controllabili, quanto più che altro anestetizzate da una vita passata all'interno di una società e di una comunità ad una prima e superficiale occhiata tranquille e ben indirizzate: così, dai due detectives a capo delle indagini, lo spigoloso e poco empatico Hardy e la fin troppo empatica Miller, fino ad arrivare ai singoli abitanti di Broadchurch, più o meno colpevoli di qualcosa, custodi di segreti piccoli e grandi - perchè tutti ne abbiamo, e spesso le grandi tragedie finiscono per portarli a galla -, assistiamo ad un viaggio all'interno dell'animo umano iniziato con il peggiore degli sconvolgimenti che possano cambiare la vita di una famiglia, la morte di un figlio.
Da padre, sinceramente non riesco neppure ad immaginare cosa potrebbe significare seppellire il proprio bambino, ancor più se cosciente del fatto che qualcuno - e chissà, qualcuno che forse frequentava anche casa vostra - possa averlo deliberatamente ucciso, travolto dall'istinto o spinto da un impulso che di umano pare avere davvero poco, e ancor più dover affrontare il peso del giudizio nel momento in cui i dubbi a proposito dell'omicidio stesso possano finire per investire noi e la famiglia che si cerca sempre di proteggere.
Ma penso anche che, genitori o no, risulti davvero arduo accettare che possano esistere cose così terribili ed apparentemente impossibili da gestire ed affrontare: la perdita di un figlio - famiglia o comunità che sia - equivale alla perdita dell'innocenza, ai segreti svelati, a tutto il marcio che lottiamo per nascondere vomitato dalle viscere della terra che pensiamo possa essere la nostra casa, il nostro rifugio: come per i Latimer, come per il vecchio Jack, tornato ad affrontare fantasmi troppo pesanti per una vita già segnata - forse il suo è il personaggio più profondo dell'intera produzione -, come per il prete, i giornalisti, il medium, e tutti i protagonisti di una storia che raccoglie l'eredità di pietre miliari come Twin Peaks e racconta il dolore, la rabbia, lo stupore, il tentativo di tornare ad emergere e respirare: perchè un altro grande pregio di Broadchurch - che, in questo, ricorda davvero molto la già citata True Detective - è quello di scrivere la parola fine ad un'indagine ed una storia che fin dal principio parevano necessitare proprio della loro risoluzione, amara o di riscatto che fosse.
E se da un lato ci sono genitori che perdono - ed in qualche modo, riguadagnano - un figlio, dall'altra troviamo figli che finiscono per perdere un genitore attraverso un processo anche peggiore, e che come per i Latimer finirà per segnare le loro esistenze per sempre.
Niente è limpido, dunque. Neanche la vittoria.
Perchè scoprire il colpevole non riporterà Danny a casa.
Non renderà quella scogliera maledetta di nuovo incontaminata.
Non restituirà ai sospettati creduti colpevoli quello che hanno perduto.
Ma se non altro, sarà liberatorio.
E permetterà di accarezzare il sogno di poter ricominciare.
Ad essere vivi, genitori, figli, uomini.
E a lasciare i segreti custoditi in un lato oscuro tornato ai suoi recessi.



MrFord



"I've only heard a voice
I've only seen your song
It keeps me awake
It keeps me floating."
Smog - "Floating" - 




lunedì 13 agosto 2012

Tyrannosaur

Regia: Paddy Considine
Origine: UK
Anno: 2011
Durata:
92'




La trama (con parole mie): Joseph, un vedovo figlio della periferia estrema, della violenza e del rancore, dedito ad alcool e scatti d'ira, si rifugia nel negozio della devota Hannah, una donna legata ai principi cristiani che ha un background molto lontano - apparentemente - da quello rabbioso dell'uomo.
I due, nonostante le ferite infertesi reciprocamente ed eredità delle vite che li hanno condotti fino a quell'incontro, troveranno il modo di divenire l'uno la salvezza dell'altra, lottanto soli ma con la consapevolezza di avere qualcuno che, pur in modo singolare, guarderà sempre loro le spalle.
Una storia quasi d'amore atipica e straziante, una rinascita che, più che di seconda occasione, sa di presa di coscienza di tutti i limiti di questo mondo e dell'altro.
Sempre che ci sia.



A volte capita di incrociare il cammino di alcuni film durissimi e "spietati", per usare un paragone eastwoodiano di quelli che saranno sempre benvoluti da queste parti.
Veri e propri pugni in faccia, che paiono giunti appositamente per far sanguinare.
Paddy Considine, figlio della scuola "hard rock" inglese dei Ken Loach e degli Shane Meadows - fu il protagonista dell'ottimo ed altrettanto potente Dead man's shoes - si iscrive a pieno titolo nella categoria con un esordio clamoroso, una storia dalle tinte fosche, drammatica e violenta che riporta alla mente le immagini del miglior - e già citato - Loach, quello del mio favorito My name is Joe.
Proprio con questo titolo Tyrannosaur condivide il protagonista, quel Peter Mullan che con Magdalene vinse qualche anno fa anche un Leone d'oro come regista, letteralmente gigantesco nel portare sulla scena il ringhiante Joseph, un uomo figlio di una vita che non è e non sarà mai abituata a lesinare colpi che lui pare pronto a restituire uno per uno.
A volte anche senza che sia necessario.
Al suo fianco Olivia Colman, interprete praticamente sconosciuta sulle scene internazionali eppure altrettanto brava nel rendere il charachter di Hannah, vittima designata dello stesso mondo cattivo che quelli come Joseph combattono senza guardare in faccia a nessuno.
Hannah non è come lui. Hannah porge l'altra guancia. Hannah che prega per chi la insulta anche se il suo Dio non le ha mai dato la possibilità di avere un figlio. Lei, che più di ogni altra cosa avrebbe desiderato essere madre. Hannah oppressa dai sogni, e da un marito che sfoga su di lei le frustrazioni di un'esistenza che non sarà mai come l'avremo sognata.
Hannah che pare destinata a soffocare in silenzio.
Ed è qui, che entra in scena Joseph.
Un relitto, un combattente, un alcolizzato, un uomo cattivo ed iroso, che non ha nulla a che spartire con la gentilezza e la carità per come Hannah le intenderebbe.
Joseph che colpisce, e ringhia come un cane. Joseph con la bava - e la birra - alla bocca.
Joseph così arrabbiato da allontanarsi da tutto e da tutti, dal suo Bluey all'amico alle soglie della morte.
Joseph, schiacciato dal tirannosauro.
Ma cosa sarà mai, questo predatore dei predatori?
Hannah se lo chiede, perchè vede in Joseph un salvatore.
Il tirannosauro è un ricordo che azzanna alla gola, il rumore dei passi di un amore perduto, e di un senso di colpa che la realtà insiste a cacciare indietro.
Perchè Joseph tratterebbe sua moglie ancora allo stesso modo.
Joseph è un uomo cattivo.
Joseph ringhia, e siede su una poltrona da rigattieri su un cumulo di lamiere abbattute con la testa di un cane in grembo. Un cane che è stato aizzato per troppi anni, come lui. E pare un sanguinario condottiero figlio della strada e della realtà seduto sul trono dal quale sferrerà l'attacco decisivo contro i sogni, e tutte quelle cose che si fermano soltanto in alto, sulle colline, nelle zone benestanti, e a volte non basta neppure quello.
Joseph che protegge e vendica un bambino.
Joseph che compra un vestito buono per il funerale dell'amico, e al pub, nel ricordarlo, pare quasi di stare in famiglia.
Joseph che è una speranza.
La speranza di Hannah.
Forse il tirannosauro non è così terribile come sembra.
E quei bambini asserragliati dentro la macchina in Jurassic Park non sono altro che in fuga da un mondo che pare sempre troppo cattivo, anche per i mastini più agguerriti.
Anche per Joseph.
Forse il tirannosauro è proprio lui.
Pronto a scendere dal suo improvvisato trono, ancora sporco di sangue, per guardare al futuro, nonostante tutto.
E Hannah ne sentirà i passi giungere da oltre quel confine invisibile che la separa dal mondo.
E non avrà paura.
Perchè il predatore più spietato che esista è lì per proteggerla.
Fino alla fine.


MrFord


"If you see him in the subway,
he'll be down
at the end of the car.
watching you move
until he knows
he knows who you are.
when you get off
at your station alone,
he'll know that you are.
know when you see him,
nothing can free him.
step aside, open wide,
it's the loner."
Neil Young - "The loner" -


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