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martedì 9 febbraio 2016

Sherlock - L'abominevole sposa

Regia: Douglas MacKinnon
Origine: UK
Anno: 2016
Durata: 90'








La trama (con parole mie): abbiamo conosciuto lo Sherlock della realtà e dei tempi attuali, le sue indagini accanto al fido Watson, la rivalità mortale con Moriarty, il complesso rapporto con il fratello Mycroft, le sue cadute ed i suoi successi.
Ora facciamo un passo indietro, e proviamo ad immaginare (?) come sarebbero andate le cose se tutto fosse stato ambientato ai tempi di Arthur Conan Doyle, nel cuore della Londra vittoriana, con i nostri due impareggiabili detectives alle prese con un caso inquietante che pare scomodare addirittura fantasmi e morti pronti a tornare alla vita, quello che sembra essere accaduto a Moriarty sul finire della terza stagione dedicata alle gesta di Holmes.
Ma è tutto vero, o una fantasia?
O forse entrambe le cose?










Il fatto che Sherlock sia, senza ombra di dubbio, una delle sorprese e scoperte da piccolo schermo più importanti e notevoli di questo inizio duemilasedici del Saloon è ormai indubbio, con buona pace del Cannibale e di chiunque avesse potuto pensare che un prodotto così british potesse in qualche modo fare breccia nel cuore del sottoscritto, da sempre assolutamente dalla parte degli USA.
Del resto, sono sempre stato un fan dell'opera di Arthur Conan Doyle e di molte delle trasposizioni cinematografiche del suo personaggio più importante, Sherlock Holmes, dunque una serie che ne riproponesse adeguatamente le gesta, da queste parti, avrebbe avuto più possibilità di sfondare di un prodotto action troppo scarso rispetto agli standard eighties del sottoscritto: ed eccoci, dunque, a Sherlock.
Una serie non solo in crescendo, ma divenuta con il passare degli anni e degli episodi sempre più perfetta, culminata di recente con una sorta di episodio speciale pronto a "sedare" i fan più hardcore in attesa di una quarta stagione che ancora non si sa esattamente quando debutterà: L'abominevole sposa, divertissement d'altissima classe giocato sul filo sottile tra passato e presente, classicismo e modernità, rispetto ed innovazione, raccordo che conduce i fan a quelli che saranno i nuovi episodi con protagonisti gli ottimi Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, è l'ennesima dimostrazione della scommessa vinta dagli autori, nonchè una vera a propria perla di tecnica, ritmo, fotografia ed ironia tipicamente inglese.
Come se non bastasse, al consueto cocktail fornito dalla serie, questa volta si aggiungono elementi come la rappresentazione "in costume" dei protagonisti - e variazioni fisiche annesse -, un'atmosfera horror gotica che passa da La vera storia di Jack lo squartatore a Piramide di paura, la gestione della nemesi per eccellenza di Holmes, Moriarty, un approccio che mescola ironia - dagli scambi al Diogenes Club al bromance Sherlock/Watson - e riflessione sociale - il ruolo della donna e la sua riscossa rispetto alla lunga tradizione di violenze fisiche e psicologiche subite dall'uomo - ed una tecnica che pare migliorare anno dopo anno.
Se, dunque, questa Abominevole sposa è la premessa per l'attesissima quarta stagione, allora tutti noi fan vecchi e nuovi della serie possiamo dormire sonni tranquilli: la squadra di Sherlock è coesa e tosta come non mai, pronta a stupire ed in grado senza dubbio alcuno di farlo, grazie ad un mix sempre più interessante di intelligenza, arguzia, sagacia e, perchè no, stronzaggine che renderà il cocktail servito decisamente da ricordare.
L'introduzione prepotente e definitiva - per quanto già sfiorata in passato - della dipendenza di Holmes dalle droghe e dell'utilizzo delle stesse da parte del detective per poter affrontare prima ancora che il mondo se stesso regala poi ulteriori sfumature rispetto al prodotto finito, che riesce nella non facile impresa di assumere le connotazioni non solo di una sorta di secondo "pilot" ma anche di un vero e proprio lungometraggio, perfetto per catturare i vecchi quanto i nuovi fan.
Per quanto mi riguarda, non comincerò certo ora a dubitare delle capacità, dell'ego e delle intuizioni di uno degli antieroi più convincenti nei quali mi sia imbattuto nel corso delle ultime stagioni: abominevoli spose o biechi sposi, passato o futuro, apertura mentale o dipendenze chiuse, io sarò accanto a Sherlock neanche fossi l'ultimo degli Watson.
Che tanto ultimi, poi, non sono.
Perchè l'elementare non è necessariamente qualcosa di troppo semplice per essere buono.





MrFord





"I wanna kiss the bride yeah!
I wanna kiss the bride yeah!
Long before she met him
she was mine, mine, mine
don't say I do
say bye, bye, bye
and let me kiss the bride yeah!"

Elton John - "Kiss the bride" - 







sabato 6 febbraio 2016

Sherlock - Stagione 3

Produzione: BBC
Origine:
UK, USA
Anno: 2013
Episodi:
3






La trama (con parole mie): dopo aver inscenato la propria morte ed essere sparito dalle scene per due anni, Sherlock torna alla ribalta sorprendendo compagni ed avversari, correndo in aiuto del fratello Mycroft e tornando accanto all'amico e compagno d'avventura John Watson, in procinto di sposarsi con la fidanzata Mary.
Proprio il matrimonio del suo partner d'azione sarà il palcoscenico perfetto per le capacità dell'investigatore più intuitivo e pieno di risorse del Regno Unito, pronto ad affrontare una minaccia che potrebbe addirittura tenergli testa, rivelazioni improvvise, un possibile esilio, rischi continui di morte e, soprattutto, l'apparente ritorno sulle scene di una nemesi che credeva definitivamente passata a miglior vita.







Devo ammettere di essere rimasto a bocca aperta.
Quando, non troppo tempo fa, con Julez approcciammo la prima stagione dell'osannatissimo Sherlock targato BBC interpretato - alla grandissima - da Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, rimasi almeno in parte deluso, per quanto la qualità del prodotto risultasse indubbiamente alta: "solo" più che discrete, quelle prime tre puntate, per farmi pensare di essere di fronte ad una proposta che vanta critiche concesse solo ai grandi nomi del piccolo schermo e paragoni illustri.
Già al secondo giro di giostra, però, con la marcia ingranata ed i meccanismi oliati, le cose erano cambiate ed abbiamo finito per trovarci di fronte non solo ad un titolo in netta progressione, ma anche ad una grande opera ispirata dai romanzi del mitico Arthur Conan Doyle resa attualissima ed avvincente: con la terza e qui presente stagione, la svolta - e la consacrazione - definitivi.
Sherlock passa, grazie ad episodi come Il segno dei tre, definitivamente di categoria, confermandosi un titolo di qualità altissima a livello tecnico, teso ed oscuro così come ironico e divertente, equilibrato perfettamente dai suoi due protagonisti ed arricchito non solo da comprimari d'eccezione, ma avversari e minacce sfaccettati ed affascinanti: percorrendo a memoria gli ultimi anni di piccolo schermo, oltre a faticare a trovare prodotti in grado di mantenere alto il proprio livello qualitativo, trovo quasi impossibile individuarne anche solo un paio - Breaking bad, nello specifico, e Spartacus - che nel corso della loro storia hanno vissuto un crescendo che li ha portati da partenze discrete o buone ad epiloghi esaltanti.
In particolare, dopo il rodaggio scanzonato e quasi da commedia nera del primo episodio, con il già citato Il segno dei tre l'asticella della qualità ha una vera e propria impennata, ed approfittando del matrimonio tra John Watson e la fidanzata Mary gli autori confezionano un episodio perfetto per scrittura e realizzazione, che mescola il giallo classico all'azione, corre avanti e indietro nel tempo di narrazione e non solo decostruisce la vicenda attraverso le indagini di Sherlock, ma come in un gioco di scatole cinesi incastra più sottotrame per poi risolverle come se fossero una soltanto: come se non bastasse, con l'ultimo episodio della stagione assistiamo ad un nuovo confronto tra Sherlock ed un rivale apparentemente senza punti deboli - quantomeno a livello mentale - ed al ritorno - attesissimo - di un altro grande personaggio che è parte integrante della mitologia legata al buon Holmes.
In tutto questo resta il tempo per osservare più da vicino l'idea - magnifica - avuta dagli autori per rendere anche visivamente il "palazzo mentale" di Sherlock, analizzare - da un punto di vista completamente diverso - la dipendenza del grande investigatore dalle droghe e mostrare lo stesso anche da un'angolazione decisamente più umana di quanto non si sia abituati quando si ha a che fare con la sua arguzia, spesso pronta a sconfinare in (giustificata) supponenza.
Sherlock, dunque, si presenta come una delle serie crime più innovative ed interessanti dell'attuale panorama televisivo, ed uno dei racconti più intensi, divertenti e profondi di amicizia: per questo, per la sagacia di Holmes ed il coraggio pane e salame di Watson, per i lati nascosti di Mary e le follie di Moriarty, qui in casa Ford attenderemo trepidanti anche la stagione numero quattro.





MrFord





"Three's my lucky number
and fortune comes in threes
but I wish I knew that number
that even little children seem to see
oh, I'm missing everything I knew
it's just so hard to be a child
oh, i'm missing all the things i knew
yet whinge i knew nothing at all
I whinge i knew nothing at all."
Massive Attack - "Three"-  






sabato 16 gennaio 2016

Sherlock - Stagione 1

Produzione: BBC
Origine: USA, UK
Anno: 2010
Episodi:
3






La trama (con parole mie): nella Londra del ventunesimo secolo si incontrano quasi casualmente il veterano con problemi di adattamento al ritorno alla vita civile John Watson ed il detective Sherlock Holmes, inviso alla maggior parte dei poliziotti accanto ai quali lavora dando supporto a Scotland Yard. Tra i due, pur se in modo inconsueto, scatta una scintilla, e da una semplice condivisione di appartamento ha inizio una collaborazione legata al mestiere di detectives destinata a fruttare successo sul campo e agli occhi dei media.
L'incredibile intelligenza di Holmes e l'istinto di Watson, però, non avranno previsto che, oltre ai casi "di tutti i giorni", alle loro spalle tramerà un nemico ben più pericoloso dei comuni assassini che quotidianamente, volenti o nolenti, si trovano ad affrontare, e che prima o poi verrà il momento del faccia a faccia con quest'ultimo.












Il personaggio di Sherlock Holmes, per quanto assolutamente lontano dal sottoscritto sotto ogni punto di vista - razionale, preciso, geniale, poco incline alla socializzazione - ha sempre esercitato un notevole fascino in ogni sua incarnazione quando finivo per incrociarne il cammino, dalla prima lettura alle medie de Il mastino dei Baskerville alle reiterate visioni del cult dell'infanzia Piramide di paura, al quale si aggiunse, nel corso dei miei anni da radical cinefilo, anche La vita segreta di Sherlock Holmes firmato da Wilder - una delle chicche più nascoste della carriera del Maestro, tra le altre cose -: eppure, nonostante queste premesse e nonostante avessi ricevuto in regalo il bluray di questa prima stagione dedicata al rilancio in chiave moderna del personaggio firmata dalla BBC, ho finito per rimandarne la visione per anni, forse spinto dal mio spirito assolutamente più americano che inglese.
Approfittando delle recenti a quasi inaspettate, considerato il lavoro, vacanze post-natalizie, con Julez abbiamo invece dato fondo ad una parte del tempo guadagnato per buttare finalmente nel lettore il famigerato disco, scoprendo la validità di un prodotto che, seppur da ridimensionare rispetto all'esagerata valutazione su IMDB - dove lo troviamo posizionato poco dietro il Capolavoro Breaking bad, nientemeno -, si è rivelato efficace, ben interpretato e diretto e molto piacevole da seguire - Fordino permettendo, che ormai in pieno sviluppo a livello di espressione orale, è diventato una specie di fiume in piena di domande, escamazioni, interventi e chi più ne ha, più ne metta -: del resto, con al timone veterani del calibro di Paul McGuigan - che ricordo molto piacevolmente per il suo Gangster N°1 ormai di quasi vent'anni fa - e protagonisti come Benedict Cumberbatch - perfetto nel ruolo di Holmes - e Martin Freeman - che continuo a trovare davvero un capace interprete, in grado di dare spessore ai suoi personaggi nonostante una fisicità certamente limitante -, pare quasi fin troppo semplice mettere a segno un colpo che possa permettere di conquistare pubblico e critica, eppure non è stato da sottovalutare nessuno degli aspetti tecnici del prodotto, curato dalla sceneggiatura alla fotografia.
Certo, resto dubbioso rispetto a stagioni così brevi - tre episodi sono effettivamente pochini per gestire soprattutto le sottotrame, da Moriarty al fratello di Holmes - così come, paradossalmente, ad episodi di fatto lunghi quanto film veri e propri - la media è quella dell'ora e mezza di visione, decisamente importante, per un prodotto televisivo -, ma nel complesso l'esperimento può dirsi perfettamente riuscito, in bilico tra classico stile british ed un'impronta ironica e grottesca in pieno stile Guy Ritchie, pronto a non annoiare e mantenere alta la tensione anche tra un'annata e l'altra - si veda il finale aperto di questa season one, ad esempio -.
La collocazione attuale, inoltre, pare giovare non poco ai personaggi di Holmes e Watson, che paiono sguazzare alla grande anche in un mondo che vede internet e la comunicazione globale farla da padroni, sfruttando anzi la rete stessa come appoggio per il lavoro di detectives: accanto a questo, la classica rappresentazione dello Sherlock difficilmente sopportabile da parte della quasi totalità delle persone comuni e del Watson sfruttato come un interprete che collega il mondo del suo geniale compare a quello dei comuni mortali rendono al meglio senza aver perso nulla del fascino originale, mostrandosi anzi molto rispettose del lavoro che rese noto - ed amato - Conan Doyle.
Un inizio, dunque, che promette più che bene, e che dissipa ogni dubbio rispetto alla volontà di continuare a seguire le gesta dell'investigatore più famoso della Letteratura - e ormai, non solo -.
E questa era una cosa per nulla "elementare".




MrFord





"And what have you got at the end of the day?
what have you got to take away?
a bottle of whisky and a new set of lies
blinds on the windows and a pain behind the eyes."

Dire Straits - "Private investigations" - 





venerdì 5 dicembre 2014

Broadchurch - Stagione 1

Produzione: ITV
Origine: UK
Anno:
2013
Episodi: 8





La trama (con parole mie): nella piccola cittadina costiera britannica di Broadchurch il detective capo Alex Hardy, fresco di nomina ed ancora segnato da un caso che lo vide protagonista tempo prima, assiste al ritrovamento del cadavere di Danny Latimer, undici anni, strangolato e dunque abbandonato sulla spiaggia. Esclusa l'ipotesi del suicidio l'investigatore, supportato dalla collega nata e cresciuta nel paese Ellie Miller, si getta sulle tracce lasciate dall'assassino del ragazzo, che pare potrebbe risultare perfino qualcuno che lo stesso conosceva o frequentava.
L'evento, oltre a scatenare una serie di conflitti e timori in seno alla comunità, scoperchia come un vaso di Pandora i segreti di alcuni abitanti del luogo, dal prete all'edicolante e responsabile delle attività dei ragazzi legati alla storica associazione dei Giovani Marinai passando per la stampa e la famiglia stessa di Danny: dove si nasconde la verità?
Chi ha ucciso il figlio minore dei Latimer?
E fino a che punto Hardy e Miller saranno disposti a spingersi anche oltre le loro divergenze per consegnare il colpevole alla Giustizia?








L'animo umano è uno degli abissi più profondi che si possa sperare o temere di affrontare, figlio di turbamenti, cambiamenti, sentimenti così forti da lasciare senza parole: probabilmente è per questo che, da che ricordi, le storie in grado di esplorare soprattutto le sue parti più remote, nascoste e terrificanti dello stesso hanno sempre finito per affascinarmi.
Fiction o realtà, i racconti di Poe e le cronache di Blunotte, il "lato oscuro" rappresenta senza dubbio una tentazione irresistibile, che si tratti di visioni, letture o esplorazioni emotive: dunque il genere crime trova la sua collocazione ideale, qui al Saloon, sostenuto anche dalla passione nutrita da Julez per il genere. All'inizio di questo duemilaquattordici, True detective giunse a sconvolgere i nostri occhi di spettatori grazie ad una delle vicende più torbide e da brividi del passato recente - e forse non solo -, lasciando il segno per quello che sarà il modo di approcciare questo tipo di prodotti da qui in avanti: non avrei mai pensato che, neppure qualche mese dopo, avrei scoperto una sorta di suo fratellino minore giunto dal cuore dell'Inghilterra di campagna, in grado di superare per intensità anche l'ottima trilogia del Red Riding, Broadchurch.
Orchestrato attorno all'omicidio del giovanissimo Daniel Latimer, questo piccolo, intenso viaggio sulle coste anglosassoni, lontane per approccio ed indole alle grandi città come Londra, riporta l'orologio indietro mostrando quanto poco, in secoli di Storia, sia cambiato davvero l'Uomo, schiavo di desideri, impulsi e passioni difficilmente controllabili, quanto più che altro anestetizzate da una vita passata all'interno di una società e di una comunità ad una prima e superficiale occhiata tranquille e ben indirizzate: così, dai due detectives a capo delle indagini, lo spigoloso e poco empatico Hardy e la fin troppo empatica Miller, fino ad arrivare ai singoli abitanti di Broadchurch, più o meno colpevoli di qualcosa, custodi di segreti piccoli e grandi - perchè tutti ne abbiamo, e spesso le grandi tragedie finiscono per portarli a galla -, assistiamo ad un viaggio all'interno dell'animo umano iniziato con il peggiore degli sconvolgimenti che possano cambiare la vita di una famiglia, la morte di un figlio.
Da padre, sinceramente non riesco neppure ad immaginare cosa potrebbe significare seppellire il proprio bambino, ancor più se cosciente del fatto che qualcuno - e chissà, qualcuno che forse frequentava anche casa vostra - possa averlo deliberatamente ucciso, travolto dall'istinto o spinto da un impulso che di umano pare avere davvero poco, e ancor più dover affrontare il peso del giudizio nel momento in cui i dubbi a proposito dell'omicidio stesso possano finire per investire noi e la famiglia che si cerca sempre di proteggere.
Ma penso anche che, genitori o no, risulti davvero arduo accettare che possano esistere cose così terribili ed apparentemente impossibili da gestire ed affrontare: la perdita di un figlio - famiglia o comunità che sia - equivale alla perdita dell'innocenza, ai segreti svelati, a tutto il marcio che lottiamo per nascondere vomitato dalle viscere della terra che pensiamo possa essere la nostra casa, il nostro rifugio: come per i Latimer, come per il vecchio Jack, tornato ad affrontare fantasmi troppo pesanti per una vita già segnata - forse il suo è il personaggio più profondo dell'intera produzione -, come per il prete, i giornalisti, il medium, e tutti i protagonisti di una storia che raccoglie l'eredità di pietre miliari come Twin Peaks e racconta il dolore, la rabbia, lo stupore, il tentativo di tornare ad emergere e respirare: perchè un altro grande pregio di Broadchurch - che, in questo, ricorda davvero molto la già citata True Detective - è quello di scrivere la parola fine ad un'indagine ed una storia che fin dal principio parevano necessitare proprio della loro risoluzione, amara o di riscatto che fosse.
E se da un lato ci sono genitori che perdono - ed in qualche modo, riguadagnano - un figlio, dall'altra troviamo figli che finiscono per perdere un genitore attraverso un processo anche peggiore, e che come per i Latimer finirà per segnare le loro esistenze per sempre.
Niente è limpido, dunque. Neanche la vittoria.
Perchè scoprire il colpevole non riporterà Danny a casa.
Non renderà quella scogliera maledetta di nuovo incontaminata.
Non restituirà ai sospettati creduti colpevoli quello che hanno perduto.
Ma se non altro, sarà liberatorio.
E permetterà di accarezzare il sogno di poter ricominciare.
Ad essere vivi, genitori, figli, uomini.
E a lasciare i segreti custoditi in un lato oscuro tornato ai suoi recessi.



MrFord



"I've only heard a voice
I've only seen your song
It keeps me awake
It keeps me floating."
Smog - "Floating" - 




domenica 9 marzo 2014

The mentalist - Stagione 4

Produzione: CBS
Origine: USA
Anno: 2011/2012
Episodi: 24




La trama (con parole mie): dopo aver ucciso la sua nemesi John il rosso, Patrick Jane deve affrontare un processo per omicidio volontario. I suoi colleghi del CBI, sconvolti dall'accaduto, indagano sull'uomo che Jane ha freddato soltanto per scoprire che si tratta effettivamente di uno psicopatico, ma non dell'assassino della moglie e della figlia di Jane, ancora a piede libero.
Tornato in libertà e al lavoro, il mentalista dovrà dunque ricominciare la sua caccia continuando, parallelamente, a dare una grossa mano a Lisbon, Van Pelt - ancora alle prese con gli strascichi della rivelazione sul suo ex fidanzato -, Cho - per la prima volta coinvolto in una storia d'amore - e Rigsby - in procinto di diventare padre - nella soluzione dei casi di omicidio che il nucleo investigativo affronta in tutta la California.






In casa Ford, cosa ormai risaputa, i serial televisivi che toccano indagini su omicidi, morti ammazzati e quant'altro sono da sempre un guilty pleasure cui difficilmente si rinuncia: The mentalist, in quest'ambito, ha sempre rappresentato un piacevole riempitivo in grado di far passare agli occupanti del Saloon momenti di totale intrattenimento da accompagnare a pranzi e cene fin dalla prima stagione e grazie al suo incontenibile protagonista - adorato da Julez per motivi principalmente femminili - Patrick Jane, interpretato da Simon Baker, uno dei volti da simpatico bastardo più interessanti del piccolo schermo.
Dopo una prima stagione di rodaggio ed una seconda in netto miglioramento, si era giunti in chiusura della terza con un climax notevole, in grado di portare il protagonista di questo titolo di fronte alla sua nemesi preannunciando, di fatto, per questo quarto giro di boa un cambio repentino della direzione dell'intero prodotto: ricordo quanto apprezzai la scelta del creatore Bruno Heller di cercare di mescolare completamente le carte in tavola per dare nuova linfa al suo prodotto, domandandomi come avrebbero gestito il cambio di direzione.
Purtroppo per tutti noi spettatori smaliziati, il suddetto cambio di direzione non è avvenuto, o perlomeno non nel modo e con la qualità che auspicavo: un vero peccato, perchè quella che poteva essere l'annata della definitiva consacrazione di The mentalist si è rivelata, al contrario, una season di assoluta transizione all'interno della quale sono stati riproposti i temi principali dell'inizio della serie salvata in corner da un'ottima gestione dei comprimari - lo spazio dedicato alle parentesi sulle vite private della squadra di colleghi di Jane - e da un paio di episodi decisamente interessanti - in particolare, quello del serial killer di ragazzine impossibile da incastrare in termini di prove contro il quale Jane scatena volutamente il "redivivo" John il rosso -.
Inutile sottolineare il fatto che mi aspettassi decisamente di più, da questo quarto passaggio di Jane sugli schermi fordiani, ma a Bruno Heller - che fino ad ora aveva fatto davvero un grande lavoro sulla sua creatura - e a Simon Baker posso perdonare perfino questo mezzo passo falso, sperando che con il finale di stagione e la rinnovata rivalità tra Jane e John il rosso si possa sperare nel tanto agognato cambio di marcia che attendevo al varco dalla chiusura della season three.
Ammetto anche che, forse per solidarietà verso i bastardi dal cuore tenero come Jane - che, forse, rispetto ai miei standard, è fin troppo tenero -, in condizioni normali avrei probabilmente affibbiato le bottigliate della delusione ad un'annata sottotono come questa, ma voglio avere fiducia in un prodotto assolutamente mainstream eppure sempre divertente, piacevole da vedere e ben realizzato: spero dunque che la squadra del CBI non mi deluda anche con il suo quinto anno di avventure e che si aprano sempre più spiragli sulle personalità dei suoi elementi - in particolare sono molto curioso di scoprire come si evolverà il lato più aggressivo di Van Pelt venuto a galla nel corso di questa stagione, così come la condizione di padre di Rigsby, mentre per il mio favorito Cho direi che basta la silenziosa presenza -, ovviamente accanto ad una costruzione di nuovo serrata e più vicina al thriller che all'intrattenimento della continua sfida tra Jane e John, tra i rivali più accesi del piccolo - e forse non solo - schermo.



MrFord



"Losing him was blue like I'd never known
missing him was dark grey all alone
forgetting him was like trying to know somebody you never met
but loving him was red
loving him was red."

Taylor Swift - "Red" - 





domenica 19 agosto 2012

Freddo a luglio

Autore: Joe R. Lansdale
Origine: Usa
Anno: 1989
Editore: Fanucci




La trama (con parole mie): Richard Dane, un corniciaio di LaBorde, Texas, comunissimo trentacinquenne con moglie e figlio, una vita di routine e tranquillità, vede l'ingranaggio dell'esistenza spezzarsi quando, nel pieno di una torrida notte di luglio, per legittima difesa toglie la vita ad un ladro introdottosi nella sua abitazione. Il morto, identificato dalla polizia come Freddy Russell, è il figlio di un pericoloso rapinatore appena uscito di galera dopo vent'anni, Ben.
Quest'ultimo ha tutte le intenzioni di vendicare la morte di Freddy, tanto da arrivare a minacciare Richard e la sua famiglia andando ben oltre quello che la polizia locale e lo stesso Dane possono immaginare.
Ma non tutto è come sembra, e quando il polverone si alzerà i due si ritroveranno dalla stessa parte della barricata in una ricerca che li vedrà incrociare il cammino del detective privato Jim Bob per giungere alla verità su Freddy.
Una verità scomoda, terribile e pericolosa.




Nella vita capita di avere - o costuire - rifugi che ci possano garantire sempre e comunque un porto ove attraccare quando le acque sono troppo agitate, o il cielo troppo scuro: un piatto, una bevanda, un luogo, un profumo, un film, un libro o un disco. O i loro autori.
Sicuramente, tra i miei rifugi letterari trova spazio Joe Lansdale, romanziere ed esperto di arti marziali, uomo gentile e alla mano - ogni volta che ne scrivo per parlare di un suo lavoro, non riesco a non citare quel diciassette ottobre duemiladieci, quando passai una giornata intera come sua "scorta" a chiacchierare a proposito di Hap e Leonard, delle mie ambizioni letterarie, di film e serie tv, degli States e dell'Italia -, autore di una delle saghe su pagina che preferisco in assoluto - quella dei già citati Hap e Leonard - ed emblema di una semplicità che è una garanzia, un pò come il pensiero che le mani di tuo padre saranno sempre abbastanza forti da sollevarti quando sarai con il culo per terra.
Senza ancora aver metabolizzato del tutto lo splendido In fondo alla palude mi sono dunque gettato a capofitto - approfittando della vicinanza stagionale - in Freddo a luglio, una storia scritta nel più classico lansdaliano in grado di sorprendere per profondità dietro l'apparenza da prodotto pulp d'azione dall'ironia marcata e, di fatto, ennesima dimostrazione di quanto lo scrittore texano tenga a trattare il tema del rapporto tra padri - ma anche genitori - e figli.
Il percorso di questo romanzo è decisamente atipico rispetto al classico, semplice e diretto schema del vecchio Joe, tanto da riuscire, nelle tre parti di cui si compone, a fornire tre punti di partenza - e tre toni di narrazione - completamente diversi: nella prima - intitolata "figli" - l'atmosfera è quella del noir alla Chandler misto alla tensione di Cape Fear, con la routine della famiglia Dane sgretolata dall'irruzione del ladro che Richard uccide praticamente per caso ed il sopraggiungere di Ben Russell come una tempesta; nella seconda - "padri" - il tono è quello del pulp scanzonato dei romanzi dedicati a Hap e Leonard, grazie al cambio di prospettiva rispetto all'intruso ucciso dal nostro corniciaio giustiziere che permette l'entrata in campo di Jim Bob, esilarante detective perfetto esempio di tamarro cowboy che i lettori più affezionati di Lansdale ricorderanno in azione accanto al suo duo di eroi più noto - devo proprio citarli un'altra volta? - in Bad Chili e, se la memoria non m'inganna, in Rumble tumble; la terza - ovviamente "padri e figli" - trova un nuovo ribaltamento di fronte nella scoperta della vera identità - e soprattutto nella vera natura - di Freddy Russell, scintilla che accende in Ben, Richard e Jim Bob un incontrollabile desiderio di Giustizia innescando, di fatto, il crescendo totalmente action del finale.
Ed è qui, pallottole che fischiano e battute da macho a parte, che trova sfogo la potenza della riflessione dietro un romanzo apparentemente semplice come questo: Ben Russell, vent'anni passati in galera perchè spinto da una volontà giovanile ad avere sempre di più e divorato da un vuoto nell'anima che pareva risucchiare ogni aspetto positivo della sua vita, a fronte delle colpe del figlio che ha sognato di incontrare per tutto il tempo passato dietro le sbarre, lo stesso che credeva perduto per mano di Richard Dane - avvenimento che innescò la sua immediata sete di vendetta - e che sempre grazie alle intuizioni di Dane e Jim Bob pareva tornato alla vita e scopre essere un rifiuto umano della peggior specie, un violentatore ed un assassino in grado di smerciare snuff movies con lui tra i protagonisti nel corso della realizzazione dei quali vengono uccise giovanissime clandestine messicane. Forse neppure maggiorenni.
Ben Russell sa che vorrà sempre bene a suo figlio.
Ma sa anche di non avere altra scelta.
Una scelta terribile, quella che arriva a fargli pronunciare una frase devastante: "Freddy, sono papà. Sono venuto per ucciderti".
Quanto profondo può essere il legame tra un padre e un figlio?
Fino a che punto si è in grado di arrivare, per amore di uno o dell'altro?
E nell'abbraccio tra Ben e Richard, nati come nemici e finiti come sangue del proprio sangue, c'è tutto il rimpianto di chi avrebbe voluto essere un padre migliore per un figlio migliore e di chi desidera essere il padre migliore per il figlio migliore.
E scopriamo che Ben, neanche ci trovassimo nel pieno di un romanzo di redenzione di Edward Bunker, con tutte le sue colpe ed i suoi difetti, riesce a rendere a fondo il concetto di padre nel senso più pieno del termine.
E mentre Richard assapora l'adrenalina di un conflitto a fuoco che pare aver inghiottito la meravigliosa routine della sua vita da sogno, è proprio Ben che gli ricorda di stare lontano dalle ombre.
Le stesse che ti succhiano l'anima una goccia alla volta.
Le stesse che gli sono costate vent'anni, un figlio, una vita.
Le stesse che rendono freddo anche il cuore dell'estate.
Stai lontano dalle ombre, Richard.
Perchè c'è qualcuno che ti protegge da loro.
Qualcuno che ha deciso di non scappare più, come fece tuo padre anni fa puntandosi in bocca il fucile.
Qualcuno che resta, e come Atlante pare portare il peso del mondo sulle spalle.
Non il suo. Il suo mondo è finito.
Il tuo, Richard.
Il tuo.
E non c'è cosa migliore che quelle grandi mani possano fare.


MrFord


"No shells ripped the evening sky, no cities burning down 
no armies stormed the shores for which we'd die
no dictators were crowned
I awoke from a quite night, I never heard a sound 
marauders raided in the dark and brought death to my hometown, buys
death to my hometown."
Bruce Springsteen - "Death to my hometown" -


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