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sabato 5 marzo 2016

Black Mirror - White Christmas

Regia: Carl Tibbets
Origine: UK
Anno: 2014
Durata:
73'







La trama (con parole mie): Matt e Potter, chiusi da cinque anni in un avamposto perduto assediato da neve e gelo, si confrontano per la prima volta in occasione di un improvvisato pranzo di Natale che li vede parlare delle loro vite e di quello che li ha portati ad essere dove si trovano, lontani dal mondo e dalla civiltà.
Il primo a dare libero sfogo ai ricordi è Matt, tra i due quello più disposto a parlare fosse anche soltanto per occupare il tempo, e pronto a rivelare il suo ruolo di manipolatore mentale rispetto alla sorprendente nuova tecnologia dei cookies: stimolato dal racconto del compagno di sventura, anche Potter comincia ad aprirsi e a ricordare cosa lo ha condotto dove si trova, legato a doppio filo con il destino della sua ex compagna.
Ma le apparenze sono davvero quelle che i due mantengono?
O un segreto progressivamente svelato porterà ad una rivelazione ulteriore ed inquietante?











Nonostante qui al Saloon si è e resterà sempre decisamente più vicini agli USA che al buon, vecchio Regno Unito, occorre sottilineare quante siano state, in tempi recenti, le produzioni di culto made in UK pronte a stupire il mondo: dalle prime due strepitose stagioni di Misfits a This is England, fino alle due osannatissime - perfino troppo, occorre ammettere - annate di Black Mirror ed all'ormai mitico per il Saloon Sherlock, non sono mancate proposte ricche di stimoli e qualità per lo spettatore.
Spinti dalla recente visione proprio dello special L'abominevole sposa che dovrebbe fare da raccordo per la futura quarta stagione dell'appena citato Sherlock e dal fatto di essere ancora tecnicamente in inverno, gli occupanti del Saloon hanno finalmente chiuso il cerchio - per il momento - anche con Black Mirror, in attesa che una nuova stagione torni a fare capolino in televisione, affrontando, di fatto, quello che, fino ad ora, è forse il miglior episodio mai prodotto per il brand dedicato a visioni distopiche e sci-fi rese comunque per tematiche e scelte profondamente vicine alla nostra realtà.
Presi letteralmente per mano - o per la mente, a seconda dei punti di vista - da un Jon Hamm in stato di grazia - addirittura più bravo che nel suo ruolo principe, quello cucitogli addosso con il Don Draper di Mad Men -, partiamo da un avamposto sperduto e quasi sepolto sotto la neve per affrontare un gioco a scatole cinesi che ci conduce al confronto delle vite dei due protagonisti, pronti a rivelare dettagli del loro passato precedente ai cinque anni passati nella solitudine di quel rifugio ed in questo modo a scavare anche dentro loro stessi, sensi di colpa e colpe effettive comprese.
Ed in bilico tra la sci-fi classica legata all'utilizzo dei cookies - inquietante ed affascinante ad un tempo, si veda il destino della "copia" di Greta -, la crime story - la vicenda di Potter rivelata nella parte finale - ed alcune situazioni inquietanti come la possibilità di "bloccare" qualcuno anche nella vita reale così come ora accade su internet - agghiacciante, ad esempio, il fatto che un blocco operato da un coniuge a livello giuridico preveda anche l'impossibilità di interagire con i propri figli -, assistiamo ad un vero e proprio viaggio nel tempo e nell'anima dei due main charachters, così convincente da risultare quasi più un lungometraggio che non quello che dovrebbe essere lo special di traino per l'attesissima terza stagione di una serie.
A metà strada tra l'ottimo Predestination ed uno stile che ricorda quello di Christopher Nolan, il lavoro firmato da Carl Tibbets funziona dal primo all'ultimo minuto, facendoci dimenticare, di fatto, di trovarci di fronte ad una proposta da piccolo schermo e stuzzicando l'interesse dell'audience dal primo all'ultimo minuto ribaltando spesso e volentieri il punto di vista e la percezione della vicenda e dei personaggi, sia nel caso di Matt e del racconto della sua vita, che dei cookies, che di Potter, che raccoglie il testimone del suo più ciarliero e spigliato compagno di sventura spingendo, di fatto, sull'aspetto emotivo più profondo anche del pubblico nella seconda parte del racconto.
A prescindere, comunque, da ambientazione e tecnologie fantascientifiche mostrate, Black Mirror si conferma un brand pronto a sfruttare la cornice sci-fi solo per analizzare nel profondo le luci e soprattutto le ombre dell'animo umano, e dall'uscita di Matt allo scorrere del tempo di un Natale che parrà infinito per Potter, White Christmas ne è l'ennesima, riuscita dimostrazione.






MrFord





"I'm dreaming of a white Christmas
just like the ones I used to know
where the tree tops glisten
and children listen
to hear sleigh bells in the snow."
Michael Bublè -"White Christmas" - 





martedì 9 febbraio 2016

Sherlock - L'abominevole sposa

Regia: Douglas MacKinnon
Origine: UK
Anno: 2016
Durata: 90'








La trama (con parole mie): abbiamo conosciuto lo Sherlock della realtà e dei tempi attuali, le sue indagini accanto al fido Watson, la rivalità mortale con Moriarty, il complesso rapporto con il fratello Mycroft, le sue cadute ed i suoi successi.
Ora facciamo un passo indietro, e proviamo ad immaginare (?) come sarebbero andate le cose se tutto fosse stato ambientato ai tempi di Arthur Conan Doyle, nel cuore della Londra vittoriana, con i nostri due impareggiabili detectives alle prese con un caso inquietante che pare scomodare addirittura fantasmi e morti pronti a tornare alla vita, quello che sembra essere accaduto a Moriarty sul finire della terza stagione dedicata alle gesta di Holmes.
Ma è tutto vero, o una fantasia?
O forse entrambe le cose?










Il fatto che Sherlock sia, senza ombra di dubbio, una delle sorprese e scoperte da piccolo schermo più importanti e notevoli di questo inizio duemilasedici del Saloon è ormai indubbio, con buona pace del Cannibale e di chiunque avesse potuto pensare che un prodotto così british potesse in qualche modo fare breccia nel cuore del sottoscritto, da sempre assolutamente dalla parte degli USA.
Del resto, sono sempre stato un fan dell'opera di Arthur Conan Doyle e di molte delle trasposizioni cinematografiche del suo personaggio più importante, Sherlock Holmes, dunque una serie che ne riproponesse adeguatamente le gesta, da queste parti, avrebbe avuto più possibilità di sfondare di un prodotto action troppo scarso rispetto agli standard eighties del sottoscritto: ed eccoci, dunque, a Sherlock.
Una serie non solo in crescendo, ma divenuta con il passare degli anni e degli episodi sempre più perfetta, culminata di recente con una sorta di episodio speciale pronto a "sedare" i fan più hardcore in attesa di una quarta stagione che ancora non si sa esattamente quando debutterà: L'abominevole sposa, divertissement d'altissima classe giocato sul filo sottile tra passato e presente, classicismo e modernità, rispetto ed innovazione, raccordo che conduce i fan a quelli che saranno i nuovi episodi con protagonisti gli ottimi Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, è l'ennesima dimostrazione della scommessa vinta dagli autori, nonchè una vera a propria perla di tecnica, ritmo, fotografia ed ironia tipicamente inglese.
Come se non bastasse, al consueto cocktail fornito dalla serie, questa volta si aggiungono elementi come la rappresentazione "in costume" dei protagonisti - e variazioni fisiche annesse -, un'atmosfera horror gotica che passa da La vera storia di Jack lo squartatore a Piramide di paura, la gestione della nemesi per eccellenza di Holmes, Moriarty, un approccio che mescola ironia - dagli scambi al Diogenes Club al bromance Sherlock/Watson - e riflessione sociale - il ruolo della donna e la sua riscossa rispetto alla lunga tradizione di violenze fisiche e psicologiche subite dall'uomo - ed una tecnica che pare migliorare anno dopo anno.
Se, dunque, questa Abominevole sposa è la premessa per l'attesissima quarta stagione, allora tutti noi fan vecchi e nuovi della serie possiamo dormire sonni tranquilli: la squadra di Sherlock è coesa e tosta come non mai, pronta a stupire ed in grado senza dubbio alcuno di farlo, grazie ad un mix sempre più interessante di intelligenza, arguzia, sagacia e, perchè no, stronzaggine che renderà il cocktail servito decisamente da ricordare.
L'introduzione prepotente e definitiva - per quanto già sfiorata in passato - della dipendenza di Holmes dalle droghe e dell'utilizzo delle stesse da parte del detective per poter affrontare prima ancora che il mondo se stesso regala poi ulteriori sfumature rispetto al prodotto finito, che riesce nella non facile impresa di assumere le connotazioni non solo di una sorta di secondo "pilot" ma anche di un vero e proprio lungometraggio, perfetto per catturare i vecchi quanto i nuovi fan.
Per quanto mi riguarda, non comincerò certo ora a dubitare delle capacità, dell'ego e delle intuizioni di uno degli antieroi più convincenti nei quali mi sia imbattuto nel corso delle ultime stagioni: abominevoli spose o biechi sposi, passato o futuro, apertura mentale o dipendenze chiuse, io sarò accanto a Sherlock neanche fossi l'ultimo degli Watson.
Che tanto ultimi, poi, non sono.
Perchè l'elementare non è necessariamente qualcosa di troppo semplice per essere buono.





MrFord





"I wanna kiss the bride yeah!
I wanna kiss the bride yeah!
Long before she met him
she was mine, mine, mine
don't say I do
say bye, bye, bye
and let me kiss the bride yeah!"

Elton John - "Kiss the bride" - 







sabato 16 gennaio 2016

Sherlock - Stagione 1

Produzione: BBC
Origine: USA, UK
Anno: 2010
Episodi:
3






La trama (con parole mie): nella Londra del ventunesimo secolo si incontrano quasi casualmente il veterano con problemi di adattamento al ritorno alla vita civile John Watson ed il detective Sherlock Holmes, inviso alla maggior parte dei poliziotti accanto ai quali lavora dando supporto a Scotland Yard. Tra i due, pur se in modo inconsueto, scatta una scintilla, e da una semplice condivisione di appartamento ha inizio una collaborazione legata al mestiere di detectives destinata a fruttare successo sul campo e agli occhi dei media.
L'incredibile intelligenza di Holmes e l'istinto di Watson, però, non avranno previsto che, oltre ai casi "di tutti i giorni", alle loro spalle tramerà un nemico ben più pericoloso dei comuni assassini che quotidianamente, volenti o nolenti, si trovano ad affrontare, e che prima o poi verrà il momento del faccia a faccia con quest'ultimo.












Il personaggio di Sherlock Holmes, per quanto assolutamente lontano dal sottoscritto sotto ogni punto di vista - razionale, preciso, geniale, poco incline alla socializzazione - ha sempre esercitato un notevole fascino in ogni sua incarnazione quando finivo per incrociarne il cammino, dalla prima lettura alle medie de Il mastino dei Baskerville alle reiterate visioni del cult dell'infanzia Piramide di paura, al quale si aggiunse, nel corso dei miei anni da radical cinefilo, anche La vita segreta di Sherlock Holmes firmato da Wilder - una delle chicche più nascoste della carriera del Maestro, tra le altre cose -: eppure, nonostante queste premesse e nonostante avessi ricevuto in regalo il bluray di questa prima stagione dedicata al rilancio in chiave moderna del personaggio firmata dalla BBC, ho finito per rimandarne la visione per anni, forse spinto dal mio spirito assolutamente più americano che inglese.
Approfittando delle recenti a quasi inaspettate, considerato il lavoro, vacanze post-natalizie, con Julez abbiamo invece dato fondo ad una parte del tempo guadagnato per buttare finalmente nel lettore il famigerato disco, scoprendo la validità di un prodotto che, seppur da ridimensionare rispetto all'esagerata valutazione su IMDB - dove lo troviamo posizionato poco dietro il Capolavoro Breaking bad, nientemeno -, si è rivelato efficace, ben interpretato e diretto e molto piacevole da seguire - Fordino permettendo, che ormai in pieno sviluppo a livello di espressione orale, è diventato una specie di fiume in piena di domande, escamazioni, interventi e chi più ne ha, più ne metta -: del resto, con al timone veterani del calibro di Paul McGuigan - che ricordo molto piacevolmente per il suo Gangster N°1 ormai di quasi vent'anni fa - e protagonisti come Benedict Cumberbatch - perfetto nel ruolo di Holmes - e Martin Freeman - che continuo a trovare davvero un capace interprete, in grado di dare spessore ai suoi personaggi nonostante una fisicità certamente limitante -, pare quasi fin troppo semplice mettere a segno un colpo che possa permettere di conquistare pubblico e critica, eppure non è stato da sottovalutare nessuno degli aspetti tecnici del prodotto, curato dalla sceneggiatura alla fotografia.
Certo, resto dubbioso rispetto a stagioni così brevi - tre episodi sono effettivamente pochini per gestire soprattutto le sottotrame, da Moriarty al fratello di Holmes - così come, paradossalmente, ad episodi di fatto lunghi quanto film veri e propri - la media è quella dell'ora e mezza di visione, decisamente importante, per un prodotto televisivo -, ma nel complesso l'esperimento può dirsi perfettamente riuscito, in bilico tra classico stile british ed un'impronta ironica e grottesca in pieno stile Guy Ritchie, pronto a non annoiare e mantenere alta la tensione anche tra un'annata e l'altra - si veda il finale aperto di questa season one, ad esempio -.
La collocazione attuale, inoltre, pare giovare non poco ai personaggi di Holmes e Watson, che paiono sguazzare alla grande anche in un mondo che vede internet e la comunicazione globale farla da padroni, sfruttando anzi la rete stessa come appoggio per il lavoro di detectives: accanto a questo, la classica rappresentazione dello Sherlock difficilmente sopportabile da parte della quasi totalità delle persone comuni e del Watson sfruttato come un interprete che collega il mondo del suo geniale compare a quello dei comuni mortali rendono al meglio senza aver perso nulla del fascino originale, mostrandosi anzi molto rispettose del lavoro che rese noto - ed amato - Conan Doyle.
Un inizio, dunque, che promette più che bene, e che dissipa ogni dubbio rispetto alla volontà di continuare a seguire le gesta dell'investigatore più famoso della Letteratura - e ormai, non solo -.
E questa era una cosa per nulla "elementare".




MrFord





"And what have you got at the end of the day?
what have you got to take away?
a bottle of whisky and a new set of lies
blinds on the windows and a pain behind the eyes."

Dire Straits - "Private investigations" - 





domenica 27 settembre 2015

Black Mirror - Stagioni 1 e 2

Produzione: Channel 4
Origine:
UK
Anno: 2011, 2013
Episodi:
3+3





La trama (con parole mie): dal futuro del lavoro e delle illusioni da grande - e grandissimo - schermo ai ricordi manipolati, dalla politica distorta alla solitudine ed al superamento del dolore, un'esplorazione del presente in divenire dell'Uomo e dei sentimenti passata attraverso la distopia. Quali confini nasconde il nostro animo? Fino a che punto siamo disposti a spingerci per rispondere ad un ricatto, assaporare il successo, tornare a toccare o sfiorare per la prima volta la persona amata? 
Spogliati del Tempo e dei contesti, uomini e donne assolutamente normali tentano di scoprire la loro risposta di fronte ad un banco di prova enorme: quello della vita.
Troveranno quello che cercano, o il loro ulteriore futuro sarà anche peggiore di quello che si prospetta per noi? Quale immagine si mostrerà a chi deciderà di specchiarsi nell'immagine dei lati più oscuri dell'anima?








Negli ultimi dieci anni l'universo delle serie televisive ha conosciuto, senza dubbio, il suo periodo migliore di sempre, dall'esplosione del fenomeno Lost al fiorire di proposte pronte a garantire una qualità degna del grande schermo e a "rubare" allo stesso molti protagonisti.
Ma non è stato soltanto il colosso statunitense a produrre titoli degni di nota, e da Misfits - almeno per quanto riguarda le prime due stagioni - a Broadchurch, il Regno Unito si è rivelato una garanzia di qualità pronta a stupire un pubblico magari più ristretto ma non per questo poco esigente: da tempo, qui nella blogosfera e non, sentivo parlare di Black Mirror, miniserie progettata per esplorare un futuro più o meno prossimo che aveva riscosso pareri a volte entusiastici con la sua analisi della distopia e dello sci-fi.
Rispetto a Dead set - creatura uscita dalla stessa penna - il passo avanti è sicuramente notevole, e l'esperimento è senza dubbio interessante, anche se, a conti fatti, ho trovato le due stagioni meno strepitose di quanto le aspettative non prevedessero, forse patendo una struttura ad episodi che non garantisce sempre lo stesso livello di soddisfazione ed un approccio clamorosamente freddo, che ha finito in alcuni casi per sconfinare quasi nella noia.
Non che questo significhi una bocciatura per il lavoro di Charlie Brooker, che risulta assolutamente valido ed in grado di analizzare la nostra società attraverso la lente dei singoli racconti, ambientati in un mondo ipotetico e futuro ma clamorosamente vicini alla realtà che viviamo quotidianamente: una sorta di cocktail discretamente alcolico di Her e Se mi lasci ti cancello, senza dimenticare una spruzzata di incubo sociale in pieno stile Minority report.
In questo senso, dei tre episodi della prima stagione ho finito per preferire il secondo, Fifteen million merits, ambientato in una società orwelliana dominata da un reality show che ben fotografa la febbre da notorietà e da sogni venduti a caro prezzo ai "comuni mortali" dai gestori del potere.
Gli altri due, il più che critico rispetto a politica e social networks The National Anthem e The entire history of you, interessanti soprattutto per le osservazioni sulla società, mi sono parsi invece solo discreti, incapaci di raggiungere il livello del già citato Fifteen million merits.
L'annata numero due, invece, ha rappresentato senza dubbio un salto in avanti sia per quanto riguarda l'approccio - meno distaccato e più coinvolgente per il pubblico - che per il valore complessivo delle storie narrate: nella prima assistiamo al confronto tra una giovane donna innamorata e rimasta incinta ed il simulacro artificiale comandato da un computer del suo compagno, morto improvvisamente in un incidente stradale, forse il più lirico ed intenso tra tutti gli episodi; con White bear si cambia registro aumentando in un certo senso la potenza, mentre con il conclusivo The Waldo Moment forse finiamo per trovarci di fronte al punto più alto della serie: una riflessione spietata e decisamente inquietante sui poteri della politica e della comunicazione, ormai dominanti nel nostro mondo e divenuti superiori a quelli più naturali che regolano i bisogni istintivi della vita stessa.
La vicenda di Jamie, comico assunto per impersonare l'irriverente pupazzo Waldo finito per divenire prigioniero prima dello stesso e dunque del Sistema risulta assolutamente esemplare della condizione in cui noi stessi viviamo, spesso e volentieri e non sempre consapevoli pupazzi nelle mani di un mondo - e di un'organizzazione - più grande di noi pronto a vendere prodotti il più possibile applicabili alla società ormai globalizzata.
In un certo senso, finiamo per essere tutti Waldo.
E per votare pupazzi che ricordano da vicino l'immagine distorta di un black mirror da incubo.




MrFord




"Shot by a security camera
you can't watch your own image
and also look yourself in the eye
black mirror, black mirror, black mirror."
The Arcade Fire - "Black mirror" - 




venerdì 17 ottobre 2014

Submarine

Regia: Richard Ayoade
Origine: UK, USA
Anno: 2010
Durata: 97'




La trama (con parole mie): il quindicenne Oliver Tate vive in un mondo per lui piuttosto difficile, messo all'angolo da una società scolastica lontana dalla sua timidezza ed alle corde dal rapporto con e tra i suoi genitori, pronti a rimbalzare tra lavori che non li soddisfano ed un destino di legami forse riciclati.
Quando ha inizio la storia sentimentale con la coetanea Jordana Bevan per Oliver cambiano le prospettive, dal sesso al confronto con il mondo.
La crisi del matrimonio dei genitori e la malattia della madre della nuova fidanzata porteranno il ragazzo a confrontarsi con il dramma filtrato attraverso lo specchio deformante dell'adolescenza: riuscirà Oliver ad uscire dal guscio e limitare i danni? O dovrà rassegnarsi alla chiusura nel sottomarino che da sempre immagina essere il riparo ideale per i suoi sentimenti?








L'adolescenza è davvero una gran brutta bestia.
Forse la peggiore con la quale ci troviamo a duellare nel corso della nostra esistenza, messe da parte le vere grandi tragedie e concentrandoci solo ed esclusivamente sulla quotidianità.
Oliver Tate è l'esempio perfetto dei "drammi" che la maggior parte di noi si trova a vivere nel tumultuoso - almeno per il cuore - periodo appena citato, dall'eccessiva timidezza all'eccessiva stima di se stessi, dalla percezione distorta del mondo alla tendenza a complicare il più possibile anche la semplicità: Richard Ayoade costruisce alla perfezione sul suo protagonista proprio la sensazione di disagio perenne che avvolge il tipico adolescente "sensibile" nel periodo più delicato della sua crescita, quello che, in un qualche modo, lo definirà per come sarà una volta divenuto adulto, strizzando l'occhio al Cinema indie che conta - da Wes Anderson a This is England - riuscendo, almeno all'apparenza, a far entrare in profonda empatia i personaggi principali con il pubblico malgrado la loro quasi totale ed incredibile antipatia.
Se dovessimo guardare Submarine da un punto di vista sociologico, dunque, si potrebbe quasi pensare di trovarsi di fronte ad un film impeccabile sia dal punto di vista della capacità di portare sullo schermo le sfumature più o meno piacevoli dei suoi protagonisti, sia rispetto alla cornice che permette al regista di raccontare Oliver in tutte le sue sfaccettature - memorabile, ad esempio, il personaggio interpretato da Paddy Considine, cartina tornasole del rapporto tra i genitori Tate -, sia rispetto allo stile, per certi versi un pò troppo alternativo - i finti filmini di Oliver a proposito del suo rapporto con Jordana - ma comunque incisivo nel complesso.
Eppure un film non è soltato estetica, messa in scena, programmazione razionale e studiata a tavolino di quello che potrebbe colpire il pubblico: ed è proprio in questo senso che Submarine difetta.
Nel corso di tutta la visione, infatti, niente di quello passato sullo schermo - e con niente intendo anche i passaggi pronti a ricordare al sottoscritto momenti della sua stessa adolescenza - è riuscito a smuovere un coinvolgimento emotivo in grado di azionare la macchina del tempo come fu per lo splendido Noi siamo infinito, o anche soltanto alzare il gomito per il colpetto che, in amicizia, può voler significare molte cose senza che ci sia il bisogno effettivo di esprimerle a parole o per immagini.
Ayoade, sfruttando le performance decisamente ottime di tutti i suoi attori - dal già citato Considine ai giovani Roberts e Paige, senza dimenticare i veterani Sally Hawkins e Noah Taylor, in grado perfino di ricordarmi l'ottimo Il calamaro e la balena - ed una messa in scena stilosa al punto giusto, confeziona un compito da alunno modello al quale, però, manca il carattere che solo l'imperfezione e l'istinto sanno regalare, il guizzo da numero dieci che trasforma, parafrasando i Fab Four, un semplice submarine in uno strabiliante yellow.
Soltanto in un passaggio, infatti, sulle note del responsabile della colonna sonora e cantante degli Arctic Monkeys Alex Turner, è possibile notare un trasporto che possa indurre a pensare che all'uomo dietro la macchina da presa - e da scrivere - importi qualcosa del cuore della sua opera, ma è poca cosa rispetto a novanta minuti che avrebbero potuto rappresentare un vero e proprio cult per gli amanti del genere e non solo. 
In un certo senso, concedersi la visione di Submarine è un pò come dare appuntamento ad un teenager: non avrai mai la garanzia che si possa trattare dell'illuminazione di un innamoramento o dell'illusione di una cotta per qualcuno cui, in realtà, non frega niente di te.
E, pescando dal bacino sempre utile dell'action, potrei interpretare questo dubbio con una citazione intramontabile: sono troppo vecchio per queste stronzate.



MrFord



"If I don't explain what you ought to know
you can tell me all about it
on, the next Bardot
I'm sinking in the quicksand
of my thought
and I ain't got the power anymore."
David Bowie - "Quicksand" - 



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