venerdì 17 aprile 2015

The normal heart

Regia: Ryan Murphy
Origine: USA
Anno: 2014
Durata:
132'





La trama (con parole mie): siamo nei primi anni ottanta quando la comunità gay di New York comincia a rendersi conto dell'avvenuta esplosione di una nuova, pericolosa e terribile epidemia che pare continuare a crescere ed essere legata all'attività sessuale. Ned Weeks, attivista e scrittore, decide di iniziare a sensibilizzare non solo le masse ed il governo, ma anche chi, come lui, è omosessuale, lottando senza quartiere in modo che questo morbo possa essere immediatamente isolato e studiato.
Accanto agli amici di una vita guidati dal deciso Bruce Miles e dalla dottoressa Emma Brookner, Weeks prosegue per anni la sua guerra incurante delle scarse doti di diplomatico che mostra, delle amicizie che si incrinano e dei rischi - politici e non - che si assume.
Sostenuto anche dall'amore del compagno Felix, Ned si troverà a superare ogni confine arrivando perfino ad attirare su di lui le antipatie della comunità di cui fa parte, senza per questo rinunciare affinchè il mondo conosca tutti i rischi legati alla diffusione dell'HIV.








Il mio rapporto con Ryan Murphy è sempre stato piuttosto altalenante: il produttore di Nip/Tuck, Glee ed American Horror Story, infatti, è stato in grado, in questi anni, di regalare al sottoscritto ottime soddisfazioni così come di guadagnarsi le bottigliate delle grandi occasioni, ed ogni volta che approccio una sua creatura parto sempre con la guardia alta, per evitare di trovarmi a gestire delusioni troppo cocenti.
Non è il caso di The normal heart, forse la cosa migliore mai portata sullo schermo dall'autore nativo di Indianapolis, un'opera sentita e toccante legata a doppio filo a quelli che sono stati gli anni della realizzazione, da parte del mondo - e non solo di chi era ed è omosessuale - dell'esistenza dell'AIDS, che imperversò selvaggiamente proprio a partire dai primi scampoli di eighties e finì per spazzare via un'intera generazione, o quantomeno segnarla nel profondo.
Sfruttando un cast in ottima forma e costituito da grossi nomi - da Marc Ruffalo e Taylor Kitsch ad una serie di volti noti del piccolo schermo, Matt Bomer e Jim Parsons in primis -, Murphy porta in scena la vera e propria lotta che alcuni esponenti della comunità gay di New York intrapresero affinchè scattasse l'allerta per una malattia che ancora non si conosceva affatto, e che spesso finì per essere sottovalutata o messa in secondo piano rispetto ad una scopata clandestina o che non si era prevista: in questo senso, i personaggi di Ned Weeks e Bruce Miles risultano tra i più interessanti che il piccolo e grande schermo abbiano mai regalato al pubblico riguardo queste tematiche.
Il primo, donchisciottesco e poco diplomatico, talmente deciso a portare a vanti la sua lotta da rendersi nemiche anche le persone al suo fianco, ed il secondo, apparentemente più deciso e forte eppure sempre pronto a mediare, a cercare una soluzione in grado di accordare le parti in causa senza danneggiare eccessivamente l'una o l'altra; il primo dedito ad una storia lunga e molto intensa, il secondo legato a diversi partners, tutti amati e tutti ugualmente destinati a scomparire sotto il suo peso - e quello della malattia -; il primo senza mezze misure, tutto per i sogni in grande e la lotta senza quartiere, il secondo pronto a trovare sempre l'accordo migliore, pur essendo un soldato di professione.
Difficile, nel corso della visione, non trovare momenti in cui prendere le parti di uno o dell'altro, così come non rimanere toccati dalla realtà di voluta disinformazione che probabilmente costò la vita a migliaia di uomini in quel periodo, ed allo stesso tempo non notare le critiche neppure troppo velate mosse alla stessa comunità gay dall'opera, come pronta a riconoscere, almeno in alcuni frangenti, la scarsa combattività dei suoi membri nel perorare una causa che toccava da vicino tutti loro - e non solo, ovviamente -.
L'unica pecca che rende The normal heart "solo" un buon prodotto e non un cult totale è data dal fatto di essere giunto a seguito di pellicole come Philadelphia o Behind the candelabra, decisamente su un altro livello sia dal punto di vista tecnico che emotivo: resta comunque un lavoro più che pregevole, socialmente molto impegnato e coinvolgente, che ricorda più Milk o Dallas Buyers Club che non i classici citati poco sopra.
Restano, comunque, le importanti riflessioni legate alla necessità di lottare per i propri diritti, il proprio riconoscimento, la propria identità - che sia sessuale, razziale o qualunque altro fattore vogliate considerare in merito -, ed una passione grande come quella di Ned, protagonista non sempre piacevole e senza dubbio scomodo, charachter in grado di irritare profondamente eppure assolutamente perfetto come compagno di lotta.
Credo, infatti, che sia sempre grazie a personalità di questo calibro che la Storia prenda direzioni nuove, e che cambiamenti importanti - soprattutto in termini sociali - vengano applicati alle nostre società: senza i Ned Weeks pronti a stringere i denti ed andare avanti anche in barba ai compagni pronti ad abbandonarli, probabilmente ora saremmo ancora qui a chiederci per quale ragione un misterioso morbo finisca per essere così presente e distruggere dall'interno le nostre comunità.
Un morbo che non ha avuto e non ha distinzioni legate a gusti sessuali, razza o credo.
E che, paradossalmente e tristemente, risulta essere molto più democratico di molti dei politici che cercarono di tenerlo sotto silenzio.




MrFord




"Give me time
to realize my crime
let me love and steal
I have danced
inside your eyes
how can I be real
do you really want to hurt me
do you really want to make me cry."
Culture Club - "Do you really want to hurt me?" -




14 commenti:

  1. Sul finale mi sono inevitabilmente un po' commosso.
    Io, però, l'ho trovato molto più "caloroso" e diretto di un Dallas Buyers Club, che mi è piaciuto sì, ma era leggermente distaccato. Qui, tra un'urlata e l'altra, con attori in preda a grandi exploit, si è arrivati al punto con più forza. Ruffalo mostruoso - mi sorprende la capacità di fare filmoni e filmacci, senza mai perdere un briciolo di credibilità - e una bella rivelazione Matt Bomer, che di solito è penalizzato forse dal fatto di sembrare il marito di Barbie vivente. Parson, al contrario, non mi ha convinto proprio. Ma io detesto lui e Big Bang Theory :-D

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    1. Ruffalo ottimo, senza dubbio, eppure il film ha qualcosa "di troppo", nonostante sia riuscito ed importante.
      Comunque anche a me Big Bang Theory non piace! :)

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  2. avevo letto alcune cose sulla convincente prova di Matt Bomer, cercherò di trovare il tempo per vederlo quanto prima.

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    1. Una visione ci sta tutta.
      Il film vale, anche se non parliamo di un supercult.

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  3. Film (tv) che prende comunque al cuore, ma io tutte quelle grida, quegli urli (soprattutto di Ruffalo) ho faticato a sopportarli.
    Troppi monologhi, insomma, che potevano essere anche tagliati: la storia, il dramma, colpiscono lo stesso.

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    1. Concordo. Forse poteva essere un pò più snello.
      Ma comunque è un prodotto valido.

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    2. Forse questo problema è dato "problema" da un adattamento fin troppo fedele alla versione teatrale, però, sinceramente, mi è piaciuto molto.

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    3. E' piaciuto molto anche a me.
      Mi dispiace solo per il fatto che poteva essere molto di più.

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  4. Un male democratico, incentivato dall'ignoranza, dalla paura e dall'indifferenza. Forse oggi non conteremmo tutti quei morti...
    Il film a me piacque molto, un grande Ruffalo, così come il resto del cast. ;-)

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    1. Rispetto a Behind the candelabra o Philadelphia perde clamorosamente il confronto, ma la denuncia che fa è di cuore, così come il risultato.
      E quindi va bene.

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  5. Hai deciso di prenderti una pausa dalle tue solite agghiaccianti porcherie action finto macho per vedere finalmente un buon film, ben recitato e persino con dei dialoghi?
    Ford, ti senti bene, o sei malato anche tu? :)

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    1. Ahahah beh, io i buoni film li guardo tutti, tamarri e non.
      Sei tu che ti limiti! :)

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  6. Bel film, una storia che fa sicuramente riflettere e interpretazione magistrale di Bomer in particolare, che io manco sapevo sapesse recitare.
    Per quanto riguarda la tematica, la mia visione preferita resta "Angels in America", ma ho apprezzato anche gli altri film che hai citato.

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    1. Concordo: Angels in America è forse la migliore proposta del genere di sempre. Bellissimo davvero.

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