mercoledì 23 novembre 2011

L'ospite inatteso

Regia: Thomas McCarthy
Origine: Usa
Anno: 2007
Durata: 104'



La trama (con parole mie): Walter è un tranquillo professore che da vent'anni ripete le stesse lezioni in un università del Connecticut, limitandosi ad apporre la firma su saggi che non ha neppure scritto, sognando di imparare a suonare il pianoforte in memoria della defunta moglie.
Quando, dovendo presenziare ad un seminario, si troverà a tornare nel suo vecchio appartamento di New York, Walter farà uno degli incontri più importanti della sua vita: Tarek e Zainab, due giovani immigrati non in regola, infatti, sono stati ingannati da un intermediario che ha concesso loro in affitto proprio l'alloggio da anni inutilizzato del professore.
I tre, ed in particolare Walter e Tarek, coltivano da subito un legame d'amicizia unico con le radici affondate nell'incontro tra la musica classica tanto amata dal primo ed i ritmi afro del secondo: quando, per una casualità, il giovane verrà arrestato e la minaccia dell'espulsione dagli States si farà incombente, Walter cercherà in tutti i modi di aiutare il ragazzo.



Devo ammetterlo: mi sento in colpa per avere lasciato da parte Thomas McCarthy per così tanto tempo.
Fortunatamente, l'approdo sugli schermi di casa Ford di Win win ha riportato in auge questo talentuoso volto del panorama alternativo statunitense, ed ha immediatamente indotto a recuperare la pellicola "di mezzo" della sua filmografia persa nel corso degli ultimi anni, quest'ottimo The visitor che, in una certa misura, rappresenta la prova più matura dell'autore del New Jersey, alle prese con una produzione decisamente più importante rispetto al suo esordio dietro la macchina da presa - The station agent, già citato a proposito della sua ultima fatica, giusto ieri - ed una tematica certo non facile, quella dell'immigrazione.
Sfruttando il misurato Richard Jenkins nel ruolo di Walter, infatti, McCarthy racconta con la sua ormai caratteristica onestà di scrittura una storia "sottovoce" legata a doppio filo alla scoperta dell'altro, di se stessi e alla paura serpeggiante dilagata negli States - e non solo - dopo l'undici settembre, tradotta in una denuncia che non grida allo scandalo o cerca lo sconvolgimento dello spettatore, ma sottolinea quanto, a volte, i piccoli drammi possano essere terribili quanto i grandi, da una parte e dall'altra di una frontiera.
Il tutto mantenendo una leggerezza quasi da commedia legata a doppio filo alla rinascita di Walter, che attraverso il passaggio dal pianoforte allo djembe e dalla musica classica a Fela Kuti riscopre se stesso neanche fosse il Lester di American beauty, tornando a vivere per la prima volta dopo un letargo volontario e noioso durato fin troppi anni, se non addirittura da tutta la vita: la scelta di percorrere questa sorta di rivoluzione interiore attraverso i piccoli dettagli - il cambio della montatura degli occhiali, le pause pranzo al parco, le prime jam sessions con i musicisti di strada - è profondamente stimolata da Tarek e da sua madre, personaggio fondamentale nell'economia della pellicola - decisamente più di Zainab - che permette al protagonista di compiere un ulteriore passo in avanti e al film di cambiare marcia, spostando l'attenzione dello spettatore su una sorta di misurato dramma romantico in grado di fare da contrappeso alle vicende del giovane musicista in custodia presso l'immigrazione e sulla via di essere perduto nelle labirintiche pieghe della burocrazia e dell'indifferenza al confine con la quieta violenza degli ingranaggi della stessa.
Ancora una volta rispetto ad un lavoro di McCarthy, non lasciate che un'apparenza retorica possa influenzarne la visione: lasciatevi conquistare dal ritmo lento eppure deciso e da una vicenda che trailer e distribuzione potranno anche aver mascherato da commedia alternativa leggera ma che, in realtà, cela una realtà assolutamente credibile e per nulla buonista o consolatoria, che nel corso di tutta la durata conserva il suo pregio più grande proprio nel saper trasmettere un messaggio e sentimenti forti senza mai avere bisogno di alzare i toni e la voce, ma che avanza sottopelle come l'incedere dei tre tempi delle percussioni.
Un pò come tutto il Cinema di questo ancora troppo poco conosciuto regista: storie come potrebbero essere le nostre, di quelle che, a fronte di una realtà sempre più caotica - quella che vede le luci e i colori di Broadway illuminare sogni e aspettative sempre e solo "in grande" -, resistono con le unghie e con i denti, il cuore e la musica, i sentimenti ed i ricordi: e nell'immagine di Walter finalmente deciso a suonare lo djembe in metropolitana, proprio alla fermata di Broadway - perchè si dice che lì si facciano i soldi, a detta di Tarek - c'è tutta la magia di una vita "normale" che pare aver trovato il suo palcoscenico migliore.

MrFord

"You dey go your way, the jeje way
somebody come bring original trouble
you no talk, you no act
you say you be gentleman
you go suffer
you go tire
you go quench
me I no be gentleman like that."
Fela Kuti - "Gentleman" -

14 commenti:

  1. Ecco, lo devo recuperare, ce l'ho da tanto tempo ma ancora non l'ho visto, mi devo dare una mossa XD

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  2. Bello, mi è piaciuto molto. Grande Jenkins nei panni del professore. Temi fondamentali!
    Poi la musica sempre un potere enorme... qualcuno disse:
    "non vado a tempo
    lo so da tempo
    non è una novità
    io me ne fotto
    cucco di brutto
    grazie al mio pim pum pam"

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  3. se te cominci a parlare di ritmo lento, io preparo già il cuscino per dormire :)

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  4. anche a me spaventa un po' il ritmo lento. Però mi sembra un'ottima segnalazione

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  5. Arwen, anche io ho aspettato un sacco, ma devo dire che la visione mi ha molto coinvolto.

    Vincent, grande la citazione di Elio.
    Detto questo, d'accordissimo con te riguardo al film.

    Cannibale, il problema è che tu non hai proprio il senso del ritmo! ;)

    Gae, dagli una possibilità: la merita tutta.

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  6. Richard Jenkins mi piace tanto, ha una faccia particolare che rimane in mente a lungo e ricordo che vidi questo film perché era lui il protagonista! L'ho trovato molto piacevole, lento come dici tu ma non noioso.

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  7. A suo tempo ne ho sentito parlare davvero bene. Lasciai perdere proprio per il ritmo presumibilmente lento. Adesso, che sto sorprendentemente riscoprendo il fascino della lentezza nei film potrei dargli una seconda possibilità, anche perchè apprezzo Jenkins. Certo che la lista dei film da recuperare sta diventando davvero molto lunga...

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  8. Margherita, anche io apprezzo molto Jenkins, in linea perfetta con un film "sottovoce", eppure insolitamente potente.

    Newmoon, se hai cominciato ad apprezzare il fascino della lentezza, questo devi recuperarlo al volo. Così come The station agent, l'opera prima di McCarthy.

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  9. Di McCarthy non ho mai visto nulla. Avevo già sentito parlar bene di The Station Agent ma non pensavo fosse suo. Ora mi sa che mi hai convinto. :D

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  10. Ottimista, secondo me i suoi film meritano tutti e tre.
    Recuperali, sono curioso di sapere che ne pensi!

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  11. ahahha anche io dopo aver visto Win Win ho recuperato questo film e trovo che McCarthy (bellissimo cognome, visto che ricorda il mitico Cormac) sia un regista 'delicato'!!

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  12. Mitico Cormac, e mitico anche Tom!
    Io ho apprezzato molto tutte e tre le sue opere! :)

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  13. Ottima recensione James, che condivido parola per parola.
    Strano come abbiamo visto quasi in contemporanea un film abbastanza "datato" come questo. A me l'ha portato in usato un cliente altrimenti non ne avevo mai sentito parlare.
    Un saluto.

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    1. Dae, muchas gracias!
      Io avevo visto il primo lavoro di McCarthy, The station agent, che mi era piaciuto molto, e quando è uscito Win win - che mi ha colpito allo stesso modo - ho recuperato questo, che mi ero colpevolmente perso.
      Davvero un ottimo recupero. ;)

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