Parlare bene di Herzog, per il sottoscritto, è come sfondare una porta aperta.
Il piuttosto folle - Kinsky era Kinsky, passi, ma non mi pare certo normale neppure lui - Werner da sempre rappresenta uno dei miei personali registi europei moderni di riferimento, capace di spaziare in generi anche opposti senza perdere l'identità dei suoi temi ricorrenti - la capacità dell'uomo di sprofondare nell'orrore alla Kurtz, il rapporto con una Natura che è più grande, bella e crudele di quanto noi potremo mai essere - riuscendo ad adattarli alle singole storie raccontate.
Certo, anche lui ha commesso le sue proverbiali cappelle - Grido di pietra docet -, ma cose grandiose come Aguirre o Kaspar Hauser non si possono dimenticare facilmente; inoltre, soprattutto negli ultimi anni, la svolta documentaristica pare aver portato nuova linfa al processo creativo dietro i suoi lavori, consegnando al pubblico vere e proprie magie come Il diamante bianco e Grizzly man, assolutamente definitivi.
Echi da un regno oscuro, montato assemblando materiale di repertorio e riprese a seguito del giornalista Goldsmith a cavallo del 1990, rappresenta, in qualche modo, l'embrione di quella che sarà la ricerca di Herzog nei suoi documentari più completi, non ultimo lo straordinario Kinsky: il mio nemico più caro.
Incentrato sulla figura assolutamente grottesca e terribile dell'imperatore Bokassa, due volte a capo dell'allora Africa Centrale, ex colonia francese comprendende regioni di numerosi stati che ancora oggi versano in situazioni simili - Liberia su tutti -, parte e si chiude come solo i miracoli visionari di Herzog sanno essere, poesie agghiaccianti espresse dall'inevitabile e già citata crudeltà della Natura.
L'invasione dei granchi che introduce il documentario e lo scimpanzè con la sigaretta che lo chiude parlano quasi e forse più delle storie, controverse e frammentarie, ma mai, neppure per un momento, false o asservite alla fiction, dedicate a questo dittatore che riesce ad apparire invincibile quanto fragile, legato alla famiglia quanto assolutamente al di fuori di ogni legge morale umana.
E al suo fianco, e attorno, una schiera di figli, mogli, collaboratori, avversari, bambini della strada e uomini dei bassifondi tutti pronti a fornire il proprio pezzo di storia senza per questo apparire turbati dalle morti, dal sangue, dalle pratiche di cannibalismo e dagli eccessi mistici di questo ex soldato decorato dall'esercito francese.
Herzog si tiene fuori, e come di consueto evita accuratamente di dare giudizi di sorta, lasciando che siano le immagini a parlare, e chi le osserva a dare una sua personale interpretazione del tutto.
Per quanto mi riguarda, pensando alla parata che celebrò la sua incoronazione come imperatore - e che mandò in rovina il paese prosciugandone le finanze - con il figlio più piccolo vestito come un generale che sbadiglia nel caos delle celebrazioni mentre due inservienti gli infilano i guanti bianchi è quanto di più incredibile si possa chiedere ad un regista, parlando di partecipazione silenziosa.
Certo, non è certo il punto più alto della produzione di Herzog, e in molti passaggi risulta oscuro almeno quanto la figura del dittatore che ritrae, e rapportato a cose come l'indimenticabile The agronomist di Demme o Una storia americana di Jarecki appare inevitabilmente imperfetto e, a tratti, ostico rispetto ad un pubblico non abituato ad opere "di nicchia", ma resta una visione capace di turbare e far pensare, nonchè far tornare alla mente le parole del grande Jean Dominique quando, riflettendo sul suo tentativo di portare la cultura e l'attualità ai ceti più bassi della popolazione di Haiti, diceva che gente come questa - si chiami Bokassa, Aristide, Franco o come volete pescare dalla Storia, passata e recente, dell'Uomo - è uguale ovunque.
E la possibilità di conoscere i drammi di un altro popolo quando sono simili ai propri permette alla gente di trovare la forza per cercare una soluzione, o almeno sperare in un tentativo.
Herzog, continuando a farne, partendo da Echi da un regno oscuro per arrivare a Grizzly man, è giunto quasi al capolavoro.
E alcuni di questi popoli alla libertà.
So che vi suonerà braveheartiano, ma a volte ci vuole proprio.
"El pueblo unido
jamas serà vencido."
MrFord
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