"Prima di sorprendere gli altri, devi essere in grado di sorprendere te stesso."
Con questo consiglio Eric Cantona - per chi non lo conoscesse, uno dei calciatori simbolo degli anni novanta, nonchè ritratto pressochè perfetto dell'accezione di genio e sregolatezza - esorta Eric Bishop il postino, uomo di mezza età alla deriva, due figliastri sulle spalle, un grande amore perso per paura, a riprendere in mano la vita.
Come i componenti della squadra di Riff Raff, Ken Loach tiene subito a far notare al suo pubblico che questi uomini così comuni sono nelle loro esistenze eccezionali, e mai e poi mai saranno quella "spazzatura" cui faceva riferimento il gioco di parole di quel suo vecchio lavoro.
E fa bene a farlo. Perchè è proprio così che stanno le cose.
E tutti noi che amiamo il Ken Loach "pane e salame" e non quello della retorica a grana grossa - ma come hanno fatto a premiare con la Palma d'oro quella boiata di Il vento che accarezza l'erba!?!? - non possiamo che associarci appieno e festeggiare come per un goal appena messo dentro.
Certo, Il mio amico Eric non è un film perfetto: l'eccezionale performance di Cantona è fin troppo funzionale alla trama, e nonostante regali le scene migliori della pellicola - la marsigliese con la tromba e il ballo - ne sottolinea anche i limiti.
Eppure, nell'invasione della villa del malvivente che perseguita il figliastro di Eric, con una folla di postini tifosi armati di ogni sorta di mazze e tutti mascherati - alla "ex presidenti" - da Cantona c'è il colpo di genio di un Maestro, e tutto l'amore che il buon vecchio Ken prova e trasmette per la gente comune.
Non sono cose che si trovano tutti i giorni come le pellicole come questa, che anche di fronte alla tristezza e ai lati spiacevoli della vita di chi può solo sognare quella ribalta di gloria - che sia calcistica o di qualsiasi altro genere - che non avrà mai, sa gioire di quello che rende davvero speciale un'esistenza: quelle cose che passano davanti agli occhi, ma che, a volte, hanno bisogno di sbatterci dritte in faccia per poter essere davvero notate.
E nelle immagini delle azioni sul campo dell'Eric calciatore, e nella sua scelta del momento più bello della carriera, c'è una poesia che fa amare il calcio e la vita.
Perchè non è un goal, la cima più alta. Ma un passaggio.
Quello che stupisce gli altri, e soprattutto te stesso.
Che mette sui piedi di un compagno che conosci a fondo la palla che tu avresti sognato una vita di buttare dentro.
Sensazioni uniche.
E a proposito: da avversario "sul campo", ma da amante del pallone, non posso che complimentarmi con i miei "cugini" nerazzurri.
Questa volta niente scuse.
Ve la siete proprio meritata.
"Marchons! Marchons!
Qu'un sang impur
abreuve nos sillons!"
MrFord
ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare
RispondiEliminae rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai!
eheh, anche qui non sono d'accordo, il vento a me è piaciuto molto, sarà che sono giovine...
RispondiEliminaQuando racconta del passaggio a Irwin (se non ricordo male) e poi vengono mostrate le immagini sembra che tutto sia accaduto per essere raccontato in quel film..momento perfetto e da brividi....
complimenti a JuleZ per Guccini...
Thank Ivan!
RispondiEliminaIvan: non so se è perchè sei giovine, o se ti ha toccato di più, sarà che a me è sembrato troppo didascalico e retorico. Meglio il Loach dei "brutti, sporchi e cattivi", o un bel Guccini che fa sempre bene, come dice anche Julez!
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