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lunedì 13 maggio 2019

White Russian's Bulletin



Settimana fiacca, qui al Saloon, rimbalzata tra Game of thrones, le semifinali - spettacolari - di Champions League e il Salone del Libro di Torino, dove Julez ha avuto la fantastica prima esperienza da autrice. Del resto, a dispetto degli anni d'oro della blogosfera, quando pur di schiaffarmi il mio film o due al giorno perdevo il sonno, per ora preferisco vivere il più possibile e, al massimo, crollare sul divano la sera senza preoccuparmi troppo. In fondo, essere perfetti e sempre incrollabili alla lunga stufa. E forse neppure alla lunga. I Gallagher sottoscriverebbero.


MrFord



SHAMELESS - STAGIONE 9 (Showtime, USA, 2018)

Shameless Poster

I Gallagher sono sempre stati di casa, al Saloon.
Forse perchè, pur in modo meno "estremo", anche i Ford non sono propriamente un esempio di famiglia da comunione, Mulino bianco e cose del genere, forse perchè il disequilibrio ed il caos che ognuno - anche i più perfettini - porta dentro determina anche il fascino che irradia, forse perchè nelle storie di Frank, Fiona, Lip e via discorrendo si cerca sempre di vivere a fondo e il più possibile, abbiamo sempre finito le loro stagioni con un pò di groppo in gola.
Certo, nell'ultimo paio d'anni le cose procedevano stancamente, e io stesso cominciavo ad auspicarmi una fine gloriosa della serie prima che le cose potessero cominciare a crollare inesorabilmente: con questa stagione nove, invece, pur se non ai livelli delle prime sei, i Gallagher tornano a respirare e dare segni, per l'appunto, di rinnovata vitalità.
Dalla discesa di Fiona a Lip difensore dei deboli, passando per il sempre "scarafaggesco" Frank, nessuno pare davvero mollare, e anzi, la sensazione ora è che i Gallagher abbiano ancora qualche cartuccia da sparare, qualche sbronza da prendere, qualche rovinosa caduta sulla loro strada fosse anche soltanto per rialzarsi in barba al Destino.
E con il faccia a faccia tra Fiona e Frank, l'emozionante addio di quella che è stata la colonna portante dei Gallagher per anni e anni, l'arrivo di un figlio per Lip, il nuovo ruolo di Debbie e l'assetto rivoluzionato dell'intera famiglia, forse c'è davvero da pensare che la chiusura di salvataggio che mi auspicavo lo scorso anno sia più lontana del previsto: in fondo, non sorprendere non sarebbe stato da Gallagher.


venerdì 5 maggio 2017

Shameless - Stagione 7 (Showtime, USA, 2016)





Per quanto io sia un disadattato, casinista e scombinato, anche nei miei periodi peggiori e più wild ho sempre avuto un forte, enorme desiderio di Famiglia: un pò come se Hank Moody combattesse a parole la filosofia da focolare, preghiere e cazzotti di Dom Toretto.
E se penso al piccolo schermo, così come a quello che mi porto dentro, fatta eccezione per lo straordinario finale di Six Feet Under, non ho mai trovato nulla che si avvicini al mio pensiero di Famiglia come Shameless.
Sarà che il motto "siamo tutti Gallagher" è stato mio e del Saloon fin dalla prima stagione di questa straordinaria serie, o che tra sconfitte, vittorie sudate, risate scomposte, lacrime amare, salite e ricadute mi sono sentito affine a quasi tutti i membri di questo caotico focolare domestico: certo, Fiona mi appare sempre più distante per ambizione, Debbie per limitazioni culturali, Liam per età, ma d'altro canto trovo Carl alla ricerca di un ordine per se stesso, Ian di una maturazione emotiva e sentimentale che non dimentica il percorso compiuto fino al punto in cui si trova - stupendo il viaggio ed il momento del distacco da Mickey Milkovich, forse uno dei personaggi secondari più riusciti della produzione - e soprattutto Lip alle prese con i propri demoni, non tanto figli dell'alcool ma dell'essere per talento il predestinato della famiglia, ma non per questo necessariamente costretto ad avere successo.
Ed in mezzo a tutto questo comprensibile marasma, Frank.
Il maledetto Frank.
Un charachter che sono riuscito, nel corso di questi sette anni, ad odiare profondamente perchè lontano anni luce dal concetto di padre che applico e che cerco di essere, eppure umano e vitale come mi dipingo ogni giorno quando dico di voler restare da queste parti il più a lungo possibile e godendo il più possibile, considerato che si tratta, a quanto penso, dell'unica possibilità che ho ed avrò di farlo.
Il maledetto Frank che, come tempo fa sul lago ghiacciato con Carl in piena sfida a dio, rompe i suoi argini al funerale dell'amata Monica, e rivela il suo lato umano, sentimentale e profondo come forse mai prima.
Il maledetto Frank, uno degli esempi di egoismo puro più fulgidi che piccolo e grande schermo abbiano prodotto, che si rivela capace di amare.
Una cosa che, per quanto la società cerchi di imporre, sottolineare e consigliare, pochi sono davvero in grado di fare.
E viene quasi il dubbio che, bravura incredibile di William Macy a parte, sia proprio questo il senso.
Per poter amare davvero, profondamente, incondizionatamente, occorre poter conoscere così bene questo sentimento complesso e devastante, meraviglioso e potente, a partire da se stessi.
Non voglio giustificare Frank, neanche per idea.
E neanche per un istante.
Ma è assolutamente vero che, se tutti i Gallagher sono Gallagher, irresistibili, tenaci, determinati, pronti a rialzarsi a fronte di ogni sconfitta, lo sono anche per Frank e Monica.
La trappola della Famiglia.
Il peggio che potrai trovare, lo troverai indiscutibilmente lì.
Ma troverai anche indiscutibilmente il meglio.




MrFord




 

sabato 5 novembre 2016

Shameless - Stagione 6





Se fossi un tipo tecnologico, di quelli sempre aggiornati sui trend e i social e cazzi vari, penso che qui al Saloon campeggerebbe perennemente l'hashtag "Io sono un Gallagher": fin dai tempi della prima stagione i membri di questa scombinata, caotica famiglia dei sobborghi di Chicago sono entrati nel cuore dei Ford tutti - anche il Fordino, ormai, vuole "vedere Frank" - e, come pochi altri protagonisti di serial televisivi, hanno saputo mantenere alta la qualità delle loro disavventure senza per questo perdere in fascino.
Ed anche questa volta, pur se con qualche peripezia in più ed una seconda metà della stagione decisamente superiore alla prima, non si sono smentiti.
Dal sempre detestabile, apparentemente invulnerabile ed assurdo capofamiglia Frank - che riesce a rendersi il meno sopportabile dei charachters ed un guru spirituale quasi paterno, pur se assolutamente distorto e cattivo - fino alla sempre più fragile Fiona - che stagione dopo stagione mostra il fianco ad una sorta di stanchezza di fondo legata al fatto di essere stata il fulcro della famiglia per anni -, passando per il rilancio per Ian - che, da gregario, aveva passato le ultime annate in ombra - e la caduta der il mio favorito Lip - che come genio della famiglia finisce per cominciare a patire le aspettative che, volontariamente o no, tutti, compreso se stesso, hanno rispetto al suo futuro -, dal tentativo di emancipazione di Debbie alla fantastica caratterizzazione di Carl, forse il vero e proprio mattatore di questa sesta annata dei Gallagher.
Certo, in fase di scrittura per la prima volta non tutto funziona al cento per cento - si veda il personaggio di Shawn e la sua fine -, eppure la carica emotiva e di pancia che hanno i Gallagher resta senza rivali per chiunque abbia o abbia avuto una famiglia numerosa e caotica, o anche soltanto caotica pronta a specchiarsi nei casini, nei tracolli e nell'incrollabile voglia di non mollare e continuare a rialzarsi dei nostri eroici esponenti della Chicago proletaria e povera.
Perchè il bello dei Gallagher - e di tutto quello che rappresentano - risiede proprio nel carattere, nel desiderio di riscatto, di lotta, di continuare a vivere da uomini e donne della strada e del popolo nonostante le bastonate che giorno dopo giorno sono - e siamo - destinati a prendere: il bello dei Gallagher è vedere Carl passare dal riformatorio e lo smercio di armi alla volontà di diventare un poliziotto, Ian combattere affinchè il suo bipolarismo non venga preso come una scusa per compatirlo o compatirsi, Lip dibattersi affinchè gli venga riconosciuta una fragilità di fondo che, per una persona intelligente come lui, pare non essere concepita.
E lo stesso Frank, nella sua "invincibilità", calza a pennello con questo spirito.
Dunque, come ogni anno, come ogni giorno, come ogni stagione ed episodio finisco a soffrire e farmi il culo con ognuno dei Gallagher, da quelli che sento più affini a quelli che, al contrario, prenderei a pugni in faccia: perchè in fondo con la Famiglia è sempre così, e anche quando c'è qualcuno che con te c'entra poco e niente, o proprio non digerisci, o vorresti prendere a calci nei denti, quando c'è bisogno, nella buona o nella cattiva sorte, finirai per trovarti sempre lì.
Al sangue non si può mentire.
Buono o cattivo che sia.




MrFord




 

lunedì 7 marzo 2016

Room

Regia: Lenny Abrahamson
Origine: Irlanda, Canada
Anno: 2015
Durata: 118'






La trama (con parole mie): Joy è una ragazza tenuta prigioniera da un uomo in una stanza dai tempi in cui, diciassettenne, fu rapita dallo stesso. Da poco suo figlio Jack, nato dagli abusi del suo stesso rapitore, ha compiuto cinque anni, e dopo essere stato cresciuto da lei protetto dall'esterno, diviene l'unica speranza della giovane madre di tentare la fuga: il ribaltamento dei concetti trasmessi a Jack diverrà, dunque, la chiave del piano di Joy per riuscire a liberarsi da quella stanza che è stata il loro unico universo per un tempo che le è parso infinito e che ha costituito tutta la crescita e l'apprendimento del piccolo.
Quando, proprio grazie alla prontezza ed al coraggio del bimbo, l'impresa riuscirà, la difficoltà starà tornare a vivere una vita normale all'esterno, con Joy costretta a ricostruire la sua identità e risanare ferite soprattutto interiori e Jack alla scoperta di un mondo che fino a pochi mesi prima conosceva solo come non reale e legato alla televisione.








E' difficile, dannatamente difficile, mettersi alla tastiera nel momento in cui si ha ben chiaro che i sentimenti che ribollono nel petto non troveranno mai un riscontro abbastanza potente nelle parole, nel loro flusso e nelle combinazioni, nelle frasi e nei concetti: dunque, considererò il post dedicato a Room, forse non il mio favorito nella corsa all'Oscar per il miglior film di questo duemilasedici, ma senza dubbio quello che ho visceralmente amato di più, come una specie di tentativo.
Il ventotto maggio duemilaquattordici è stato senza dubbio uno dei giorni più difficili della mia vita: quel mattino, quando scoprimmo con Julez che avevamo perso quella che ancora consideriamo come la nostra prima bambina, mi sentii strappare qualcosa dentro, nel profondo.
Quando passammo a prendere il Fordino, rimasto dalla nonna, e ci venne incontro sorridendo come se niente fosse accaduto - in effetti, per lui è stato così -, senza saperlo, ci salvò da uno sconforto che forse ci avrebbe impedito di raccogliere le forze e trovarci qui, ora, in attesa di un altro figlio.
Ed è curioso il fatto che, per quanto ci si sbatta e preoccupi per proteggere i propri figli tutta la vita, siano più loro a salvarci, anche senza rendersene conto.
Questo, almeno dal mio punto di vista, è stato il merito più grande di questo piccolo, potente film: mostrare, senza se e senza ma, la forza e la bellezza disarmante della condizione di bambini, che purtroppo resta un ricordo sfocato per tutti noi e che abbiamo speranza di rivedere soltanto specchiandoci negli occhi di quelli che cresciamo, meravigliandoci ogni giorno della loro profondità.
Una profondità raccontata come raramente accade da Lenny Abrahamson, che si affida, più che a Brie Larson - comunque molto brava - allo straordinario Jacob Tremblay e ad una macchina da presa portata ad altezza bambino neanche fossimo tornati ai bei tempi dello straordinario E. T.: purtroppo, in questo caso la vicenda narrata è molto più drammatica e dolente - l'idea di un rapimento che porti una madre ad escludere a tutti gli effetti il proprio figlio dal mondo e a giocarsi tutte le speranze proprio affidandosi ad una separazione da lui non è certo cosa da poco -, eppure il tocco è leggero e quasi magico, pronto a regalare sequenze che sono pura poesia - lo sguardo di Jack rivolto al cielo ed alla scoperta del mondo proprio nel tesissimo momento della fuga dal cassone del pick up del suo padre biologico nonchè carceriere - o una stretta al cuore - la decisione di tagliarsi i capelli per dare forza alla madre è uno dei momenti più commoventi degli ultimi mesi di visioni -, e conduce lo spettatore attraverso la storia di una rinascita emotiva portata sullo schermo con genuina passione, spostando l'attenzione dal thriller e dal disagio della prima parte - una sorta di incrocio tra Prisoners e The Babadook - e la ricostruzione della seconda, più simile ad un lavoro in stile Sundance di quelli ben riusciti, finendo per risultare come uno dei titoli genitoriali più intensi delle ultime stagioni, e seppur non dirompente nell'effetto, in grado di trovare uno spazio nel cuore di ogni spettatore.
Non era facile raccontare, sfruttando inoltre una vicenda assolutamente drammatica senza scadere nella retorica spicciola ma agendo, al contrario, per sottrazione - sono tratteggiate benissimo le figure del padre di Joy e del nuovo compagno della madre, esempi di reazioni agli antipodi rispetto al dramma vissuto dalla ragazza e da suo figlio -, ed ancor di più farlo mantenendo la naturalezza e la freschezza di una scrittura giocata anch'essa ad altezza bambino, dai dubbi ed il disorientamento iniziali rispetto al cambio di direzione della madre al toccante ritorno nella stanza dell'epilogo, con quell'addio che pare un punto di partenza nuovo per due vite che, di fatto, hanno bisogno di ricominciare e di credere che il mondo possa essere un posto migliore così come di respirare quell'aria e quella meraviglia riflessa negli occhi di Jack steso di schiena su quel cassone, la vita appesa ad un filo, l'ultima chance in gioco, eppure la gioia di scoprire che l'azzurro del cielo è sopra di lui, ed esiste.
E' reale.
Come l'amore di sua madre. Ed il suo.





MrFord





"Oh the mother and child reunion
is only a motion away
oh the mother and child reunion
is only a moment away."
Paul Simon - "Mother and child reunion" - 






sabato 13 dicembre 2014

Shameless - Stagione 4

Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2014Episodi: 12





La trama (con parole mie): per i Gallagher la quotidianità è come sempre dura. Mentre Frank, ritrovato dopo essere sparito per l'ennesima volta, lotta per la vita una volta appreso che il suo fegato sta cedendo e finisce per andare alla ricerca della sua figlia maggiore, ai tempi neppure riconosciuta, Fiona si trova tra le mani il lavoro della vita ed una situazione mai così agiata: peccato che il richiamo della perdizione sia dietro l'angolo, e le conseguenze che verranno saranno disastrose.
Nel frattempo Lip si trova ad affrontare il lato più duro del dorato mondo del college, Ian una nuova piega della sua vita, Carl e Debbie l'imminente adolescenza ed il piccolo Liam gli ostacoli che essere un Gallagher comporta affrontare.
Così, mentre Kevin e Veronica si apprestano a diventare genitori, davanti al focolare della famiglia più strampalata del South Side di Chicago si affrontano cadute rovinose e nuovi tentativi di risalita: chi, alla fine della lotta, resterà in piedi? 
E soprattutto, ancora vivo?









Tornare dai Gallagher è un pò come tornare a casa.
Stagione dopo stagione, caduta dopo caduta, risalita dopo risalita, Shameless ha rappresentato, di fatto, in questi ultimi anni la vera erede della tradizione "di famiglia" che soltanto Six feet under era riuscita a tradurre con una sensibilità ed un approccio unici negli anni della sua programmazione.
E senza dubbio, al momento, le serie legata alle vicissitudini della più disfunzionale tra le famiglie del grande e piccolo schermo rappresenta uno dei titoli favoriti di casa Ford, in grado di proseguire nella sua corsa senza un cedimento, continuando a regalare emozioni così intense da far quasi pensare di essere lì, parte di un gioco e di una sopravvivenza che la gente normale ben conosce, e sulla propria pelle.
Nel corso di questa quarta stagione, caratterizzata principalmente dal crollo di Fiona - fin dal principio la vera e propria colonna della famiglia -, dalla lotta per rimanere vivo di Frank e dagli sforzi di Lip per prendere le redini della casa in assenza della sorella maggiore e di alzare la testa e tirarsi fuori dalla realtà del South Side - spinto probabilmente dal fatto che sarà l'unico tra i Gallagher a potercela fare - grazie al college, in casa Ford siamo riusciti ancora una volta ad emozionarci, lottare, commuoverci e stringere i denti come solo i Gallagher sanno fare, ed ancora una volta sentirci Gallagher a nostra volta.
Non è facile, raccontare la Famiglia come concetto, con tutte le sfumature, il meglio ed il peggio: eppure, quando ci si riesce, non c'è niente di così coinvolgente e noto a qualunque tipo di pubblico, dallo spettatore occasionale all'appassionato. In fondo, la Famiglia traduce, a partire dal nostro sangue, il concetto di Amore in realtà, e con esso riesce nell'impresa di creare un legame così forte da resistere anche di fronte al peggio che, in quanto esseri umani, siamo in grado di mostrare e portare nel mondo.
In questo senso, la quarta stagione di questo sempre sorprendente titolo riesce a mostrare qualcosa che non ci saremmo aspettati, ma che inevitabilmente ci si trova ad affrontare: il crollo di Fiona, da sempre l'unica certezza di questo curioso focolare, di fatto mette alla prova i componenti della famiglia così come l'audience rispetto all'idea di concedere una seconda possibilità proprio alla persona che più ha finito per sputare sangue affinchè le cose andassero per il meglio, e che proprio per questo, forse, si ritrova giudicata più severamente dei suoi scellerati genitori.
Accanto a questo, la progressiva ascesa di Lip, il più talentuoso dei Gallagher, il più intelligente ed adattabile, non per nulla buttato nel mondo - e nella realtà alla bambagia del college - in modo che possa lasciarsi alle spalle quello che i suoi fratelli e sorelle conosceranno come unica scelta esistente e possibile: la sua lotta per la sopravvivenza nel campus, decisamente diversa eppure umanamente simile a quella che ha intrapreso per le strade nel corso della vita ed un finale da grande film indie con una sequenza da brividi nel confronto con Mandy nella tavola calda segnano una svolta che, inevitabilmente, aspetta e rispetta le sue potenzialità.
E poi, Frank.
Ho sempre odiato Frank Gallagher.
Ed ho sempre considerato il suo come uno dei charachters più insopportabili e disgustosi mai apparsi sullo schermo. Uno di quelli che non ti augureresti mai di incontrare, figuriamoci averlo come genitore.
Eppure, nel corso di questa season four, ho assistito perfino ad una rivincita di questo egoista di professione, alcolizzato, drug addict e bastardo fino al midollo: ho visto Frank ormai in fin di vita ammonire i genitori dei figli dei compagni di scuola bulleggiati da Carl, affermando quanto certe esperienze possano formare il carattere, e che mentre quei bambini spaventati un giorno diventeranno medici, scienziati o capitani d'industria, il suo ragazzo potrà al massimo raccogliere i rifiuti con una tuta arancione, sempre che non finisca in carcere prima.
Ed ho visto Frank lottare con tutte le forze, anche quelle che non aveva, per restare vivo, e proprio accanto a Carl gridare in faccia a Dio che proprio lui, uno scarafaggio fatto e finito, era ancora lì.
Vivo, per l'appunto.
Ho visto Frank mostrare in un atto di ribellione quasi supremo, di fronte alla splendida immagine del lago Michigan completamente ghiacciato, che è un inno alla resistenza a tutto campo, la volontà di tutti i sopravvissuti di questo pianeta, di tutte le famiglie che cagano sangue per arrivare a fine mese, e trovano rifugio in qualche vizio di troppo per far fronte agli stronzi che comandano il mondo.
Un pò come il Grande Capo in persona.
Ho visto Frank lottare come non mai.
Come Mickie per Ian.
Che con quel "la sua famiglia" completa una metamorfosi costata lacrime e sudore.
E per la quale dovrà continuare a lottare ogni giorno.
E noi siamo tutti con lui.
Tutti con i Gallagher.
Vivi. Sempre.



MrFord




"Well I got a bad liver and broken heart, yeah,
I drunk me a river since you tore me apart
and I don't have a drinking problem, 'cept when I can't get a drink
and I wish you'd a-known her, we were quite a pair."
Tom Waits - "Bad liver and a broken heart" - 





domenica 5 ottobre 2014

Shameless - Stagione 3

Produzione: Showtime
Origine:
USA
Anno: 2013
Episodi: 12





La trama (con parole mie): i Gallagher capitanati dalla sempre indomita Fiona continuano a fare fronte alle loro battaglie quotidiane, dai botta e risposta con lo scomodo padre alcolizzato Frank al percorso verso il diploma - il primo della famiglia - del genio in erba Lip, preso in mezzo ad una lotta tra ragazze che non esclude alcun colpo basso, dalla crescita di Carl, Debbie e Liam ai dilemmi d'amore e di "guerra" di Ian, senza contare nell'equazione i dubbi di Jimmy a proposito del suo rapporto con la stessa Fiona ed i suoi trascorsi con un boss della droga brasiliano, i tormenti di Sheila e la ricerca di un bambino di Veronica e Kevin.
Riuscirà la famiglia più scombinata e borderline del piccolo schermo a fare fronte ad un'altra estate ed un altro inizio inverno senza perdere troppi pezzi, rialzandosi dopo ogni colpo subito, e sollevando sempre i pugni all'indirizzo di un mondo che la vorrebbe comunque ai margini?








Fin dal loro esordio sugli schermi del Saloon, i Gallagher sono sempre stati una forza con la quale i Ford si sono confrontati con enorme piacere e partecipazione: proletari, tosti, scombinati, pronti a cadere ed altrettanto pronti ad alzarsi, traboccanti di difetti ma altrettanto di passioni e voglia di combattere, sempre e comunque, dai migliori di loro ai peggiori.
Era dunque ovvio che, dopo una prima stagione ottima ed una seconda quantomeno allo stesso livello, da queste parti ci si aspettasse l'ennesima conferma delle potenzialità di Fiona e soci: ed è un piacere poter affermare che, anche con l'annata numero tre, la qualità del prodotto e l'intensità dei suoi protagonisti non solo non sia calata, ma dia continua dimostrazione di evoluzione.
Come se non bastassero, poi, le prese di posizione - in positivo - di Fiona, Lip - di gran lunga il nostro favorito -, Veronica e Kevin - sempre spassosissimi -, Ian - forse il charachter più sensibile e positivo della serie, in qualche modo -, Debbie e tutti gli altri componenti grandi e piccoli della famiglia, nel corso di questa nuova season perfino l'agghiacciante ed approfittatore Frank riesce a ritagliarsi un paio di momenti da antieroe positivo - e quasi non ci credevo perfino dopo averli visti sullo schermo, giusto per dare un'idea del tipo che è il patriarca dei Gallagher -, come se per l'intero e decisamente curioso focolare fosse in arrivo una tempesta portatrice di cambiamenti profondi e sorprendenti, anche se non sempre dalle premesse positive - la decisione sul finale di stagione di Ian, ad esempio -: lo spirito che guida la mano di questa serie, ed il suo vero motore, resta dunque la capacità di raccontare le gesta dei protagonisti con lo stesso affetto e la stessa capacità di rivedere le proprie posizioni e sentimenti che di norma è possibile trovare all'interno della famiglia, la realtà più confusionaria, caotica, passionale e travolgente che ci capiterà mai di vivere, in positivo o in negativo, da quella all'interno della quale ci troviamo a vivere per Destino a quella che, non senza fatica, scegliamo di costruirci giorno dopo giorno.
E il bello dei Gallagher è proprio questo: per una Fiona che fa da madre con dedizione oltre misura ai suoi fratelli c'è una ragazza poco più che ventenne pronta ad essere egoista con il proprio fidanzato, per un Lip dalla grande intelligenza e dal futuro lontano dalle periferie degradate di Chicago un ragazzino ancora incasinato quando entra in gioco una fanciulla che apre le gambe e dalla spiccata propensione al crimine, per un Ian generoso e sensibile, orgoglioso della sua omosessualità, un fin troppo orgoglioso aspirante soldato partito "per un amore finito male", per una Debbie che pare percorrere i passi della sorella maggiore sostituendo il carattere alla gentilezza una bambina cresciuta troppo in fretta che non esita a mentire e colpire per proteggere la propria casa, per un Carl legato profondamente allo scellerato padre un piccolo psicopatico in erba.
Noi tutti siamo così, in fondo.
Noi tutti siamo un pò Gallagher.
O almeno, chi non è cresciuto nella bambagia ed ha avuto sempre tutto con uno sconto che si avvicinava ad ottenere i desideri gratis.
Vedasi Jimmy. E quanto è difficile percorrere la strada dalla ricchezza alla povertà, e non viceversa.
Ad ogni modo, sono felice che loro ci siano.
Perchè, seppur esasperati dalla finzione scenica o dal background - in fondo, di famiglie come questa ce ne saranno eccome, e non solo in America -, nuclei di questo tipo non sono poi tanto diversi da quelli in cui ognuno di noi è cresciuto: perchè ognuno avrà lottato, amato, detestato a fondo e voluto il meglio possibile per le persone più vicine, dai genitori ai fratelli e sorelle, dai parenti acquisiti a quelli che, se non fossero stati tali, avrebbero fatto comunque parte della nostra vita in quanto irrinunciabili per la nostra crescita ed esperienza.
Dunque, senza alcuna "vergogna", mi dichiaro fiero di essere anch'io un Gallagher.
Tranne, forse, quando si tratta di Frank.
Ma non se si parla di alzarsi in piedi una volta ancora dopo l'ennesima batosta.
Anche se significa portarsi dietro a spalla Frank stesso.



MrFord



"He went into the room where his sister lived, and...
Then he paid a visit to his brother, and then he
he walked on down the hall, 
and he came to a door...and he looked inside
father, yes son, I want to kill you
mother... I want to... Fuck you."
The Doors - "The end" - 




venerdì 9 maggio 2014

The Lincoln Lawyer

Regia: Brad Furman
Origine: USA
Anno: 2011
Durata:
118'





La trama (con parole mie): Mick Haller, uno squalo delle aule di tribunale specializzato nella difesa di criminali, è contattato dai rappresentanti di una ricca famiglia che si trova a dover fare i conti con le accuse che pendono sul capo del suo più giovane esponente, Louis Roulet, arrestato per aggressione, stupro e tentato omicidio di una ragazza e professatosi fermamente innocente.
Quando Mick si mette all'opera in modo da smontare le accuse rivolte al suo nuovo cliente, però, torbidi segreti vengono a galla innescando in lui una sorta di crisi di coscienza che lo porta a dubitare della condotta tenuta nello svolgimento della professione fino a quel momento: quando Roulet e la sua famiglia finiscono per diventare una minaccia per lo stesso Haller, l'avvocato dovrà dare fondo a tutta la sua abilità per uscire vincitore dalle battaglie dentro e fuori dall'aula, sperando di poter preservare la sua vita e quella di chi ama.








Non c'è che dire: se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che Matthew McConaughey sarebbe stata la principale ragione dietro il recupero di un film avrei riservato al suddetto qualcuno le bottigliate delle grandi occasioni, o quantomeno una sonora risata di scherno.
L'ex bamboccione da commedia romantica, invece, alle spalle i suoi anni da pupazzo da film di cassetta, ha saputo reinventarsi regalando agli appassionati della settima arte interpretazioni ottime legate a pellicole decisamente importanti, da Killer Joe a Dallas buyers club, senza negarsi apparizioni di lusso in serie televisive - True detective - o in titoli "minori" di qualità decisamente superiore alla media come questo The Lincoln Lawyer: tratto da un romanzo di Michael Connelly - autore, tra le altre cose, anche di Debito di sangue, che tutti i fan del grande Eastwood ben ricorderanno - e diretto con mestiere dall'artigiano semisconosciuto Brad Furman, questo lavoro ben rappresenta l'abilità tutta americana di portare sullo schermo prodotti di alto livello anche quando, di fatto, non si parla di blockbuster dalla distribuzione enorme o proposte altamente autoriali - esattamente il contrario di quello che accade qui in Italia, tanto per girare il coltello nella piaga -.
Cast ricco, variegato e di grande spessore - McConaughey, per l'appunto, ma anche Marisa Tomei, William Macy, Bryan Cranston, Ryan Philippe, John Leguizamo e Michael Pena, giusto per citare i più importanti e noti -, un ritmo che tiene benissimo nel corso delle quasi due ore di visione ed un piglio che ricorda i legal thriller in gran voga negli anni novanta come L'uomo della pioggia o Erin Brockovich, pur virando maggiormente dalle parti del thriller piuttosto che quelle legati alla denuncia sociale.
Nonostante, comunque, il crescendo tipico del prodotto crime - in un certo senso, parliamo di una versione di serie a di quella schifezza colossale di Un ragionevole dubbio -, la profondità del messaggio è decisamente visibile, ed è legata ad una riflessione sul concetto di Giustizia e sulla sua applicazione, spesso e volentieri, almeno negli States, influenzata dall'abilità degli avvocati di ribaltare sentenze o previsioni della vigilia in aula più che basata su principi in grado di garantire a tutti un trattamento equo e ponderato, sempre e comunque.
Senza dubbio, come tutti i film di redenzione legati ad un antieroe, l'evoluzione della vicenda non potrà non risultare almeno in parte telefonata, eppure il tutto viene giustificato con una logica che funziona, e ad una prima parte di piena costruzione con un McConaughey scatenato nel ruolo dello squalo da aula di tribunale ne corrisponde una seconda da fiato sospeso, forse meno riuscita ma comunque più che piacevole da seguire, ed in grado, qui al Saloon, di tenere sveglia Julez fino alla fine - impresa non da poco, come ben sapranno gli avventori storici abituati a questo bancone -: il confronto tra l'avvocato difensore e la sua nemesi - che corrisponde di fatto al suo assistito - tiene bene e funziona, gli argomenti più profondi finiscono per non togliere spazio alla trama e non risultare verbosi e pesanti, i personaggi vengono delineati con la giusta attenzione ed il finale non risulta consolatorio come spesso e volentieri accade quando si incontrano titoli di questo tipo.
The Lincoln Lawyer è il tipico film old school, solido e godibilissimo, di quelli che quando si incontrano in tv si finisce per seguire sempre e comunque, anche quando li si conosce a memoria, perchè si sa bene che non tradiranno le attese: e di titoli di questo piglio c'è bisogno come l'aria, nonostante non siano certo destinati a lasciare chissà quale traccia con il loro passaggio, principalmente perchè finiscono per essere i veri e propri polmoni della passione per il Cinema che ci portiamo dentro, ossigenando occhi, cuore e testa preparando il terreno per quelli che finiamo per definire cult o Capolavori.
I film come questo, di fatto, sono i centrocampisti della settima arte.
Ce la mettono tutta, allargano le spalle, guadagnano la pagnotta e, chissà, magari finisce anche che vincano qualcosa di grosso.
Un pò come quel McConaughey sul quale, qualche anno fa, non avrei puntato un soldo bucato.



MrFord



"Add to the memory you keep
remember when you fall asleep
hold to the love that you know
you don't have to give up to let go."
Deadmau5 - "I remember" - 



sabato 25 maggio 2013

Shameless - Stagione 1

Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2011
Episodi: 12




La trama (con parole mie): la famiglia Gallagher, costruita e mandata allo sbaraglio dal disoccupato alcolizzato ed approfittatore Frank, vive nella periferia degradata di Chicago e cerca di tirare fuori il meglio giorno dopo giorno per evitare di seguire le orme dello stesso Frank e della sua ex moglie, fuggita abbandonando i figli a se stessi.
A tenere in piedi la baracca è la Gallagher maggiore, Fiona, poco più che ventenne eppure impegnata a fare da madre ai suoi fratelli e sorelle Lip, Ian, Debbie, Carl e Liam: quando nella sua vita irrompe Steve, i sentimenti normalmente a prova di storia d'amore della ragazza cominciano a mostrare il fianco, e per la prima volta si troverà a dover far coesistere le responsabilità di donna di casa e quelle di innamorata.
A darle una mano gli inseparabili amici e vicini di casa Kevin e Veronica, pronti ad appoggiare i giovani Gallagher ad ogni guaio combinato da Frank finito per ripercuotersi su di loro.




Da parecchio tempo lungo la Frontiera, ormai, sentivo parlare di Shameless, nella sua versione d'ispirazione anglosassone ed in questa trasposizione statunitense, eppure - senza sapere esattamente per quale motivo - un suo passaggio sugli schermi del Saloon ancora mancava all'appello: di recente, complice la visione dell'ennesima e spettacolare stagione di Californication, la scoperta del legame - ben oltre la produzione che le accomuna - e dell'affinità tra le due serie ha convinto il sottoscritto al recupero, rivelatosi tra i più interessanti che la tv abbia riservato agli occupanti di casa Ford negli ultimi mesi.
I Gallagher, scombinata famiglia disfunzionale alla ricerca di un equilibrio destinato a non arrivare mai per le strade della periferia degradata di Chicago, sono entrati fin dal primo episodio nel cuore di questo vecchio cowboy e di Julez, che addirittura è riuscita ad entusiasmarsi discretamente per una serie "realistica" e lontana dai suoi standard usuali, legati a fantasy, fantascienza e simili: dal grottesco Frank, essere umano di bassissima qualità morale dedito ad alcool e truffe - terrificante il pensiero di un genitore di questo stampo nella realtà, divertente nella maggior parte delle situazioni da gustarsi sullo schermo - interpretato da un ottimo William Macy alla giovane ma cazzutissima Fiona, che si ritrova a fare da capofamiglia andando ben oltre quelle che dovrebbero essere le preoccupazioni di una ragazza poco più che ventenne, si passa attraverso Lip - genio in erba, sensibile e forte, legato ai suoi fratelli e sorelle quanto Fiona ma dalle potenzialità decisamente più alte, nonchè preferito quasi assoluto del Saloon -, Ian - il suo rapporto con Lip è una delle cose migliori della serie, e ha risvegliato nel sottoscritto il ricordo del segno lasciato dalle visioni di Six feet under e Lawless per quanto riguarda l'analisi del legame tra fratelli -, Debbie - ragazzina degna dei fasti di Little Miss Sunshine, apparentemente ingenua ma incredibilmente preparata nell'affrontare il caos che regna nella sua famiglia -, Carl - il devastatore di casa, incontenibile e dirompente, eppure ancora legatissimo ai suoi scellerati genitori - e Liam - il più piccolo, ancora poco sfruttato, ma sono fiducioso per il futuro -, senza contare amici, congiunti e comprimari in grado di bucare lo schermo e catturare l'attenzione pur se non presenti quanto i Gallagher stessi - ovviamente Steve, destinato ad avere un ruolo da protagonista nel cuore e nella vita di Fiona, il giovane agente Tony, un buono come non se ne fanno più e proprio per questo relegato al ruolo di eterno secondo, Kevin e Veronica, già miei idoli, vicini affiatatissimi, amici sinceri, coppia esplosiva in tutti i sensi, Sheila e Karen Jackson, pronte ad "adottare" i Gallagher di diverse generazioni, o i degenerati Milkovich, versione estrema degli stessi Gallagher -.
Oltre al variegato ed azzeccatissimo cast of charachters, un'altra grande qualità di Shameless è la capacità di empatizzare con il pubblico, raccontando una storia in grado di spaziare tra la commedia ed il dramma senza mai dimenticare il valore del quotidiano - fondamentale per il sottoscritto, strenuo sostenitore, al contrario della mia consorte, del "realismo" - e quello della Famiglia, quel curioso nucleo nel quale veniamo proiettati volenti o nolenti e prima palestra per i nostri rapporti umani, nonchè formazione fondamentale per il carattere e la capacità di rapportarsi con l'esterno quanto e più delle esperienze vissute una volta liberi di vivere la nostra vita.
In questo senso, i fratelli Gallagher sono perfetti nel farsi portatori del grande mistero che resta il legame di sangue, l'unico in grado di scatenare rivalità e rancori profondi ed un amore incondizionato e totalizzante, di quelli che nessuno potrà spiegare, e solo chi lo vive sulla pelle potrà condividere anche solo attraverso uno sguardo con i propri fratelli o sorelle.
Una proposta di pancia e cuore, dunque, proprio come quelle che da queste parti trovano il terreno più fertile, la passione profonda ed il desiderio di assaporarle dal primo all'ultimo minuto, come è giusto sia la vita, anche quando è dura ed occorre combattere con le unghie e con i denti - anche con chi vorresti amare - come è per i Gallagher tutti.
O quasi.


MrFord


"Think of all the luck you got
know that it's not for naught
you were beaming once before
but it's not like that anymore."
The High Strung - "The luck you got" -

martedì 26 febbraio 2013

The sessions

Regia: Ben Lewin
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 95'



La trama (con parole mie): Mark O'Brien, giornalista e scrittore trentottenne colpito dalla polio a sei anni e costretto a vivere con l'ausilio di un polmone d'acciaio, decide di provare per la prima volta l'esperienza del sesso, vissuto fino a quel momento come una punizione ed una colpa a causa della sua profonda fede religiosa, che passa anche attraverso i colloqui con il confessore Padre Brendan.
Per poter affrontare al meglio questa esperienza, Mark si rivolge ad una terapista professionista, Cheryl, che dovrà educarlo come fosse un bambino alla consapevolezza del proprio corpo prima di aiutarlo a scoprire le gioie del sesso: tra i due, sessione dopo sessione, nascerà un legame più profondo di quanto entrambi potessero credere, e che lascerà un segno indelebile nelle loro esistenze.





Diverse volte, ormai, è capitato che parlando di film che affrontano argomenti delicati come la disabilità tornassero a galla i miei ricordi dell'anno - o quasi - del servizio civile, prestato all'inizio del nuovo millennio e ancora oggi l'esperienza lavorativa più intensa e costruttiva che abbia avuto: ricordo che quell'ormai lontano trenta novembre del duemila mi trovai spiazzato all'idea di dover affrontare quotidianamente la gestione di ragazzi più o meno della mia età alle prese con la realtà della disabilità fisica, e che l'ultimo servizio di quel giorno, che consistette nell'andare a prendere al suo pensionato Gloria e portarla a lezione fu assolutamente sconvolgente.
Questa ragazza studiava psicologia, aveva un paio d'anni meno di me, lunghi capelli ricci, occhiali che oggi si definirebbero da hipster ed un sorriso splendido: operata per un tumore al cervello, aveva perso la capacità di camminare correttamente, ed ormai priva del senso dell'equilibrio pareva più una sorta di caricatura del tipico sbronzo del sabato sera, perennemente basculante.
Il tragitto non era lungo, ma ricordo che ebbi paura di perdermela per strada e farla cadere praticamente ad ogni passo: lei mi incoraggiò, e per passare il tempo chiacchierammo di musica, in particolare dei R.E.M., la sua band preferita.
Poi c'era Panzer, uno studente di filosofia che era anche l'unico tra gli assistiti che notavo non avere un trattamento riservato e buonista agli esami e con i voti, o che aveva amici - e amiche - in facoltà proprio perchè risultava intelligente, ironico ed interessante, e non perchè facesse in qualche modo figo e alternativo avere un compagno disabile. Panzer - che ad ogni suo passaggio sfracellava i coglioni a tutti noi obiettori imponendo interminabili giri di colloqui con professori o alla ricerca di testi sconosciuti ai più - aveva perso la vista a undici anni a causa di una malattia genetica.
Ricordo che una volta mi disse, rispetto a sua sorella maggiore che per la stessa malattia si era ritrovata cieca quando di anni ne aveva diciotto: "A me dispiace per lei, perchè considerata l'età che aveva quando è successo non è riuscita ad accettare la cosa con la mia stessa serenità".
Pazzesco, ho pensato. Questo ha due coglioni grossi come quelli di tutti gli Expendables insieme.
Ed eccoci a quello che ho pensato rispetto a The sessions: a questo film mancano quei coglioni.
Perchè se John Hawkes è fenomenale, l'ironia gestita alla grande e la materia trattata con delicatezza ed intelligenza, l'evoluzione dello script sobria e non esageratamente ruffiana - considerato il soggetto -, al termine della visione ho avuto una sensazione di un vuoto che non avevo percepito con Quasi amici e neppure con il da me piuttosto criticato Lo scafandro e la farfalla, tantomeno con un cult totale come E Johnny prese il fucile - ma in questo caso non si parla esplicitamente di disabilità - o con il meraviglioso Million dollar baby: un peccato, da un lato, perchè il personaggio di Mark O'Brien - ispirato al suo corrispettivo reale - è davvero interessante sia per l'approccio quasi alleniano al sesso e basta ed al gentil sesso, e dall'altro perchè l'idea di mostrarlo come se il trauma della malattia l'avesse in qualche modo imprigionato ai tempi del suo essere ancora sano - e dunque bambino - potevano fornire spunti meno patinati e più coraggiosi almeno nella loro rappresentazione.
Certo, da un lato un merito del lavoro di Ben Lewin è stato proprio quello di non esagerare nell'essere paraculo - ed in questi casi una certa percentuale di ruffianeria è da mettere in conto - e di riuscire comunque ad emozionare il pubblico, ma avendo avuto un precedente neppure troppo lontano come quello del già citato lavoro di Toledano e Nakache il risultato risulta comunque edulcorato, quasi ad una sonata da camera si opponesse un brano soul proprio come nella celebre sequenza con protagonista lo straripante Driss nella pellicola francese clamorosamente esclusa dagli Oscar.
Se nel complesso ho avvertito, dunque, una mancanza di attributi per un film che, pur se basato sulla poesia e sul sussurrato, pareva avere un profondo terrore di alzare un pò la voce - ed i toni -, considero riuscitissime tutte le parti dedicate ai comprimari, in particolare l'assistente di Mark, Vera, descritta in punta di piedi eppure a mani basse il charachter più sfaccettato ed interessante dell'intera pellicola.
Meglio rispetto alle aspettative che potevo avere in merito - si prevedevano bottigliate selvagge, così sulla carta - ma decisamente troppo poco per farmi ricredere come è già capitato più di una volta dall'inizio dell'anno.


MrFord


"Now, I'm gonna love you
till the heavens stop the rain
I'm gonna love you
till the stars fall from the sky for you and I." 
The Doors - "Touch me" -


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