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lunedì 2 aprile 2018

Bleed - Più forte del destino (Ben Younger, USA, 2016, 117')





Da sportivo, e a dir la verità fin da bambino grazie ai racconti da sportivo di mio padre, ho sempre avuto un debole per le imprese che, con il tempo, alcuni atleti hanno consegnato non solo alla loro disciplina, ma anche e soprattutto all'immaginario collettivo, pronte ad ispirare spettatori, ascoltatori, futuri nuovi sportivi ed atleti.
Ho inseguito in quest'ottica Bleed - adattato in maniera pessima nella versione italiana -, biopic dedicata al pazzesco comeback del pugile Vinnie Pazienza, che tra gli anni ottanta e novanta fece parlare di sè per lo straordinario recupero dopo un terribile incidente automobilistico che mise in dubbio non tanto il suo ritorno sul ring, quanto la possibilità che potesse camminare di nuovo, per diverso tempo, sperando di poter incontrare un buon prodotto solido e di pancia che rispettasse la tradizione dei grandi film pugilistici che al Saloon sono divenuti colonne portanti della mia formazione cinematografica, da Toro scatenato a Rocky, passando per Alì: pur non arrivando alle vette raggiunte dai Capolavori del genere, il lavoro di Ben Younger si può dire più che degno di rappresentare la categoria, riuscendo a mantenere un buon equilibrio tra la realtà ed il grande schermo - la vicenda di Pazienza è stata sforbiciata e romanzata ad arte considerato quello che voleva essere raccontato -, potendo contare su un cast decisamente in parte - Hinds e Eckart riescono nell'impresa di rubare la scena a Miles Teller - e sull'emozione che questo genere di imprese inevitabilmente suscita nel pubblico.
La grande prova di volontà e determinazione che portò Pazienza a vincere il suo terribile infortunio attraverso il duro lavoro e la grinta fu - ed è, osservando la pellicola - specchio del carattere indomito di questo pugile - unico nel suo genere anche per aver passato tre categorie di peso nel corso della carriera, una cosa davvero incredibile, considerate le difficoltà che negli sport di combattimento sono legate proprio al peso degli atleti - è un esempio di disciplina e decisione che fanno da contraltare ad un personaggio sopra le righe e controverso, una sorta di antesignano di volti notissimi attuali come Floyd Mayweather o Connor McGregor.
Per quanto riguarda l'approccio si guarda senza alcun dubbio al lavoro svolto su pellicole come The Fighter o, ancora di più, sulla saga di Rocky, e quanto lo stesso abbia fatto rispetto all'immaginario collettivo, nonostante la punta di diamante a livello tecnico per questo Bleed è l'uso del sonoro, montato davvero alla grande e con un approccio quasi "jazzistico", per usare un termine sicuramente noto al protagonista, che salì alla ribalta con Whiplash qualche anno fa.
Bleed, oggettivamente, non farà la storia del suo genere o del Cinema in generale, ma ha il grande merito di fare parte della categoria di pellicole in grado di toccare il cuore dell'audience, di coinvolgere anche chi con il pugilato c'entra poco o nulla, o addirittura - come Julez - se ne tiene assolutamente alla larga: questo perchè, principalmente, le imprese umane non possono che stimolare chi, nel suo piccolo, cerca di vivere il più possibile, e dunque osservare un uomo con il collo spezzato incerto perfino di poter camminare tornare a combattere a livello professionale su un ring nello spazio di pochi mesi è ben più che magico, oserei scrivere ispiratore.
E' il bello di vivere. Il bello dello sport. Il bello delle storie, specie se vere, pur se romanzate.
In fondo, siamo fatti per cadere.
E ancora di più per rialzarci.
E ce la facciamo, quando ce la facciamo, proprio perchè profondamente vivi ed imperfetti.
Come Paz-Man.



MrFord



 

mercoledì 28 settembre 2016

Trafficanti (Todd Phillips, USA, 2016, 114')



Nel corso degli anni novanta, era di gran moda rinverdire i fasti - se così si possono definire - dell'epoca d'oro degli eighties almeno per quanto riguarda il crimine, considerati gli anni "da bere" - per usare un termine da milanese - di Pablo Escobar e soci: ricordo benissimo il periodo in cui mi specchiai nel passaggio di mio fratello nella carrellata dei vari Padrino, Quei bravi ragazzi, Scarface, Blow e via discorrendo.
Anzi, più volte ho pensato che il cultissimo di Brian DePalma aveva, di fatto, rovinato una generazione finendo per mandare in pappa il cervello di chi non era riuscito a cogliere il ritratto profondamente drammatico del buon Tony Montana, alimentando i sogni di gloria di tamarri in delirio d'onnipotenza in stile Fabrizio Corona - giusto per dirne uno che di danni pare averne fatti più che altro a se stesso -.
Todd Phillips, regista della divertentissima - eccetto l'ultimo capitolo - trilogia di Una notte da leoni, torna sugli schermi con un prodotto che pare rispecchiare proprio lo spirito di quell'epoca, aggiungendo al cocktail una spruzzata di Lord of war che non fa mai male, titolo firmato da Andrew Niccol bersagliato dai critici alternativi e benpensanti da sempre una piccola chicca qui al Saloon, e lo fa con un certo piglio ed un discreto risultato, per quanto tutto, in qualche modo, suoni comunque fuori tempo massimo e già sentito: Miles Teller e Jonah Hill ripropongono una formula più che valida vista in tutti i titoli appena citati - Julez, nel corso della visione, ha avuto reminiscenze addirittura del fantastico Wolf of Wall Street, uno dei film più grandiosi degli ultimi anni, mentre io sono stato più incline a rimembrare Pain&Gain - che coinvolge e funziona perchè basata su avvenimenti realmente accaduti, anche se senza dubbio risulterà più affascinante ai giovani ancora privi di un background come quello di chi è cresciuto a cavallo tra gli ottanta e i novanta.
Certo, il trailer italiano è come al solito fuorviante ed ingiustificato, considerato che quello che è, a tutti gli effetti, un film in qualche modo profondamente drammatico viene mascherato da commedia cazzara proprio in stile Una notte da leoni, e questo non aiuterà nella visione il pubblico occasionale o chiunque approcci questo Trafficanti - adattamento pessimo, una volta ancora - con un certo spirito, eppure a mio parere una visione, nonostante la sensazione di deja-vu, risulta quasi d'obbligo, e finisce addirittura per stimolare riflessioni non da poco sul ruolo della società, dell'economia, della guerra e di tutte quelle cose che pare stiano dietro alle regole del mondo.
Una "falsa stronzata", dunque, che pur non essendo certo memorabile o destinata alla Storia del Cinema finisce per risultare godibile ed interessante, pronta a raccontare una vicenda figlia delle influenze di una generazione o due di pellicole che, anche solo erroneamente, caldeggiavano una carriera nel mondo del crimine - o ai suoi margini - come alternativa al riscatto sociale: una seduzione cui è stato, è e sempre sarà facile cedere ma che, a conti fatti, non porta nulla di buono a chi la vive come un sogno americano che si rivela, più che altro, un'illusione.




MrFord




martedì 3 novembre 2015

APPuntamento con l'@more

Regia: Max Nichols
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 86'





La trama (con parole mie): Megan è una giovane appena laureata traumatizzata dalla fine della storia con il suo ex storico, senza un lavoro ed una prospettiva futura, che l'amica e coinquilina Faiza vorrebbe sistemare per poter dividere l'appartamento con il fidanzato. Spinta proprio da Faiza a creare un profilo su un sito di incontri e dedicarsi alla ricerca di qualcuno con cui distrarsi grazie ad un pò di sano sesso occasionale, la ragazza finisce nell'appartamento del quasi coetaneo Alec, che lavora in banca ma, fondamentalmente, si preoccupa principalmente di vivere bene nel resto della sua vita.
Quando, però, la mattina dopo la loro avventura una tormenta di neve li costringe a passare quarantotto ore insieme nell'appartamento del ragazzo, il loro rapporto si evolve, passando dal disinteresse all'ostilità, finendo per trasformarsi in amicizia di letto e, forse, qualcosa in più.










Di norma, quando si tratta di scegliere un titolo disimpegnato per passare una serata a neuroni spenti nella speranza di non addormentarsi dopo una giornata spesa tra allenamenti, lavoro, sessioni di gioco intensivo con il Fordino, le scelte del sottoscritto si restringono all'action tamarro o all'horror: difficilmente, infatti, a meno che Julez non abbia resistito al sonno, le commedie romantiche leggere finiscono in cima alla lista, nonostante negli anni mi abbiano riservato diverse sorprese piacevoli - ricordo, su tutte, l'ottima Crazy, stupid love -.
Di tanto in tanto, però, vuoi per la mancanza di controproposte, vuoi per il minutaggio che rende più probabile una ritirata a letto ad orari umani, anche prodotti come questo APPuntamento con l'@more - agghiacciante l'adattamento italiano dell'originale e molto più interessante Two night stand - finiscono per ritagliarsi il loro spazio al Saloon: come se non bastasse, nonostante il genere, attori simpatici ma non particolarmente brillanti, soluzioni di sceneggiatura poco realistiche ed il voto bassino, ho trovato il lavoro di Max Nichols piuttosto scorrevole e divertente, perfettamente inserito nel filone "uomini che cercano di comprendere le donne e viceversa" che è sempre sociologicamente interessante riscoprire in coppia o da soli, passando dai momenti più divertenti a quelli così vicini alla realtà da essere quasi drammatici.
Inoltre, devo dare atto a questa commedia sostanzialmente leggerina - forse perfino troppo - che se l'avessi vista in uno dei periodi della vita di malinconia da lupo solitario dedito proprio agli one night stand la visione avrebbe suscitato quell'insana voglia di innamorarsi che a volte prende perfino i più stronzi ed apparentemente duri di noi.
L'evoluzione della storia tra Alec e Megan, con le loro imperfezioni e comprensibili umanità, risulta, seppur centrifugata in un'evoluzione rapidissima, decisamente credibile, ed in più di un caso mi ha riportato alla mente il periodo in cui conobbi Julez, quando a partire dall'amicizia quasi da buddies abbiamo cominciato a scoprirci l'un l'altra mantenendo una distanza di sicurezza che ci ha permesso di conoscere anche i lati peggiori di noi - è ancora memorabile la notte di una sbronza mortale presa dal sottoscritto con Julez al telefono che mi guida fino al suo appartamento di allora, ed io che mi sveglio la mattina dopo con addosso una sua tuta e una maglietta senza ricordarmi nulla, un biglietto e le chiavi di casa da riportarle quando sarei andato a prenderla in Accademia per il nostro consueto aperitivo del venerdì, e prima di uscire lasciai un ricordino praticamente tossico nel bagno cieco dove, subito dopo di me, entrò una delle sue coinquiline, un bulldog fatto donna che tra l'altro detestavo -.
Certo, tutto scorre quasi senza colpo ferire, e tolte un paio di idee carine - il ballo separati, l'irruzione nella casa dei vicini - non vi troverete certo di fronte ad un titolo capace di essere più di un one - o two, se proprio volete - night stand, ma in quel caso vi porterà in dono tutto quello che potrebbe piacervi: proprio come quella ragazza con la quale avete diviso una notte, della quale non ricordate bene il viso, o il nome, ma che avete impressa nella memoria per un momento, o qualche mossa che non avevate mai potuto sperimentare, o non avete più sperimentato dopo.
A volte, basta anche questo.




MrFord




"Don't you know that you're nothin' more than a one night stand.
tomorrow I'll be on my way, an' you can catch me if you can.
honey, take me by the hand and play that game again, yeah."
Janis Joplin - "One night stand" - 






lunedì 14 settembre 2015

Fantastic 4 - I Fantastici Quattro

Regia: Josh Trank
Origine: USA, Germania, UK, Canada
Anno:
2015
Durata: 100'






La trama (con parole mie): Reed Richards, fin dalla più tenera età, ha sempre mostrato di essere un genio assoluto della scienza, di quelli che nascono, quando al mondo va di fortuna, una volta ogni secolo. Cresce affiancato dall'inseparabile amico Ben Grimm, fino a quando, ancora alle superiori, viene avvicinato da Franklin Storm, che con i figli Johnny e Sue è legato a doppio filo a sperimentazioni sui viaggi dimensionali.
Al lavoro accanto all'unico altro giovane dotato quanto lui, Victor Von Doom, Reed affinerà le sue abilità fino a guidare una missione d'esplorazione dall'altra parte del confine che ha sempre sognato di superare: peccato che, proprio a seguito della stessa, tutti i membri del team finiscano per subire modifiche fisiche che cambieranno le loro vite per sempre.
E mentre Victor risulterà disperso nella dimensione ignota, Reed tornerà dopo aver acquisito la capacità di allungarsi ed un'elasticità incredibile, Johnny potrà prendere fuoco e volare, Sue diventare invisibile ed operare sui campi di forza mentre Ben, mutato in un essere enorme fatto di roccia, diverrà un concentrato di forza bruta.
Cosa accadrà quando dovranno non solo coesistere, ma anche affrontare l'ordine costituito che li vorrebbe pienamente al suo servizio ed il redivivo Victor, anch'egli dotato di terrificanti poteri?









Non ho mai amato particolarmente, da accanito lettore di fumetti, i Fantastici Quattro.
Le loro storie, per quanto affascinanti, hanno sempre portato in dote una componente spiccatamente sci-fi e cosmica che poco si addiceva, ai tempi, alla mia ricerca di eroi urbani e "con superproblemi" come Daredevil o Spider Man, e a parte il personaggio della Cosa, con i suoi tormenti legati all'aspetto fisico contrapposti ad un carattere burbero in pieno stile Bud Spencer dei tempi d'oro, non mi sono mai sentito particolarmente coinvolto dagli altri tre membri originali della squadra.
Quando, poi, in sala giunsero i due lungometraggi targati Fox dedicati al quartetto, pensai di aver fatto più che bene la mia scelta: negli anni dell'Uomo Ragno di Raimi e degli X-Men di Singer, infatti, i Fantastici Quattro cinematografici, con o senza Silver Surfer, risultarono quantomeno imbarazzanti.
Il tempo è passato, io ho abbandonato la lettura degli albi e l'Universo Ultimate - che fondamentalmente ripropone eroi classici in versioni moderne e rivisitate - ha rilanciato team come quello di Richards e soci, portando la grande M a tentare un nuovo esperimento su grande schermo per il gruppo creato da Stan Lee e Jack Kirby: il risultato, almeno sulla carta, è stato disastroso quanto il precedente.
Recensioni pessime oltreoceano affiancate da incassi che superano a malapena il budget stimato, nonostante un sequel previsto per il duemiladiciassette - che, considerato il finale, pare quasi d'obbligo -, infatti, parevano confermare la maledizione pronta a colpire lo storico quartetto in ogni sua incarnazione su grande schermo.
Qui al Saloon, lo ammetto in tutta onestà, ci si aspettava molto peggio, e personalmente credo che il risultato - insoddisfacente, sia chiaro - finale sia legato principalmente ai numerosi problemi in fase di produzione avuti dalla pellicola: pare, infatti, che la direzione presa da Josh Trank - regista del promettente Chronicle - non fosse di particolare gradimento a finanziatori e distrubitore, che dunque sarebbero "corsi ai ripari" facendo riscrivere in corsa la parte conclusiva.
In effetti, a conti fatti, la prima metà del film risulta essere addirittura quasi piacevole, frutto di un discreto lavoro sulla caratterizzazione dei personaggi volta a presentarli, di fatto, anche ad un pubblico a digiuno degli stessi charachters: peccato che, proprio a partire dalla conquista dei poteri dei quattro, tutto si evolva e risolva nel tipico prodotto da multisala nel weekend tagliato con l'accetta e schiavo delle regole che il mercato della settima arte legata ai supereroi impone.
Un vero spreco, considerato l'uomo dietro la macchina da presa ed un cast di "nuove leve" decisamente interessante, un villain tra i più importanti del panorama dei comics - il Dottor Destino - e la possibilità di approfondire con un certo criterio le diversità di ogni membro del team: in questo senso non riesco a capire per quale ragione un obbrobrio come Transformers 4 debba necessitare di quasi tre ore e questo Fantastic 4 di un'ora e mezza e poco più.
Misteri della grande produzione e distribuzione.
Archivata la consapevolezza di avere assistito ad uno spettacolo assolutamente dimenticabile, comunque, resta la perplessità di fronte alle critiche feroci ricevute da un film che, di fatto, non le meritava, o quantomeno non così clamorose come sono piovute perfino in ambienti profondamente mainstream come IMDB.
Resta da pensare se valga davvero la pena di investire sugli F4 per un sequel o abbandonare definitivamente un brand che pare maledetto, sperando in questo caso di non incontrare mai la Cosa pronta a gridarci in faccia:" E' tempo di distruzione!"





MrFord





"It's been a hard day's night, and I'd been working like a dog
it's been a hard day's night, I should be sleeping like a log
but when I get home to you I find the things that you do
will make me feel alright owww."
The Beatles - "A hard day's night" - 





lunedì 16 febbraio 2015

Whiplash

Regia: Damien Chazelle
Origine: USA
Anno:
2014
Durata:
107'





La trama (con parole mie): il giovane e promettente batterista Andrew, figlio di un professore di liceo intenzionato a diventare un grande della musica jazz, affronta la sfida più importante della sua vita quando, al primo anno di una delle più prestigiose scuole di New York, viene selezionato per l'orchestra della stessa da Fletcher, il professore più temuto dell'istituto, un uomo noto per il suo temperamento esplosivo e per i metodi decisamente militari.
Salito alla ribalta grazie ad una casualità, Andrew si trova dapprima ad essere l'astro nascente dell'orchestra e ad abbandonare ogni legame che lo possa distrarre dalla musica, dunque vittima prescelta di Fletcher, in bilico tra la crisi e l'abisso.
Un drammatico incidente - dentro e fuori la scena - allontanerà il ragazzo dalla batteria e dall'ambiente per qualche mese, prima che l'incontro con lo stesso ex insegnante apra di nuovo le porte del jazz ad Andrew: come andrà il suo ritorno dietro casse e pedali?








C'è stato un momento della mia vita - coincidente, grossomodo, con il passaggio tra il quarto ed il quinto anno delle superiori -, in cui scrivevo ogni giorno, cercando di mettere tutto me stesso nella pagina che avevo di fronte: una cosa che continuo a fare ancora oggi, giorno più, giorno meno, soprattutto grazie al blog, ma senza dubbio portata avanti con un approccio differente.
Ai tempi ero un vero stronzo, speravo che le mie storielle da adolescente finissero sempre entro il mese perchè vedevo molti miei amici prodigarsi per un regalo allo scoccare del fatidico primo "versario", trattavo la maggior parte delle persone che avevo attorno con supponenza e ritenevo grandi le stronzate che buttavo sulla carta, neanche fossi un novello Rimbaud o cazzate di questo genere.
E mi sentivo come Andrew in un momento preciso di Whiplash.
Quello in cui il suo ex insegnante Fletcher dichiara di non aver mai avuto un Charlie Parker da tramutare in Bird.
E tu, che te lo senti dire, pensi ancora di esserlo.
In questo senso, il film di Damien Chazelle descrive molto bene il rapporto tra insegnanti ed allievi e tra genitori e figli - la figura del padre dello stesso Andrew, delineata solo sullo sfondo, risulta di gran lunga la più profonda ed interessante della pellicola -, e riesce a fotografare molto bene - oltre allo stesso prodotto, confezionato davvero alla grande nella sua parte tecnica - la sensazione che si accarezza quando, all'inizio della propria vita - perchè, di fatto, gli anni dell'adolescenza e quelli appena successivi sono solo il principio del viaggio che si compie nel mondo -, si pensa di essere più speciali degli altri, soprattutto se si accarezzano sogni di natura artistica.
Per quella che è stata la mia esperienza personale posso dire che è senza dubbio vero che alcuni di quelli che sacrificano tutto - ma proprio tutto - finiscono per raggiungere il successo ambito, ma che non sempre il prezzo da pagare vale quello stesso successo: la discussione a tavola di Andrew con i parenti a proposito di Charlie Parker è emblematica, in questo senso.
Vent'anni fa avrei detto che sarebbe stato meglio morire attorno ai trent'anni circondato dall'aura di genio assoluto, ora penso che non c'è genio che tenga, o opera immortale che compensi la sensazione che provo quando il Fordino mi sorride, o mi abbraccia, o quando si va a prenderlo al nido, e gli si illumina il viso appena ci vede.
Del resto, all'epoca avrei odiato un insegnante come Fletcher - bravo J. K. Simmons, anche se non così miracoloso come mi è capitato di leggere in giro -, tanto quanto avrei amato un Keating: la verità è che nessuno dei due è un buon insegnante, e nessuno dei due sarà mai in grado di fare quello che un insegnante ha il compito di fare, quasi come fosse un padre.
Proteggere i suoi allievi.
Non tanto da lui, o dalla materia di studio, quanto dal mondo attorno, che non regala niente a nessuno, neppure ai cosiddetti "grandi".
Tanto Fletcher forza la mano rischiando di tarpare le ali ai talentuosi più fragili, tanto Keating rischia il tutto per tutto illudendo anche i non talentuosi di potercela fare.
E la cosa più terribile è che non si arriverà mai ad una soluzione, in questo senso: perchè quello dell'insegnante è un ruolo terribilmente scomodo, una sorta di genitore senza legami affettivi, privo del vantaggio che gli stessi legami di sangue possono portare: l'insegnante è qualcuno del quale possiamo anche fare a meno, nel momento in cui la magia si spezza.
Eppure, allo stesso modo, deve essere presente, e farci sentire quanto sia importante che non si molli, che si dia il meglio, che ci si guardi le spalle per non cadere.
Osservando le cose da questa prospettiva il lavoro di Chazelle non fa una grinza, è tosto e tenace come l'insegnante più interessante o come lo studente più promettente, regge il ritmo e regala anche momenti di ottimo Cinema: eppure, saranno le fin troppo numerose recensioni entusiastiche o la sensazione di aver assistito "soltanto" ad uno sfoggio davvero notevole di tecnica e capacità di avvincere il pubblico, ma non credo di aver avuto di fronte, a conti fatti, un Charlie Parker.
In questo senso c'è un signore che di insegnamenti e rapporti tra padri e figli se ne intende parecchio che, ormai quasi trent'anni fa, è riuscito senza ombra di dubbio a portare sullo schermo non, per l'appunto, lo stesso Charlie Parker, ma Bird.
Quel signore di chiama Clint Eastwood, forse il punto d'incontro migliore tra Keating e Fletcher.
E la cosa curiosa è che, nel corso dell'imminente notte degli Oscar, a vincere non sarà il vecchio cowboy tanto quanto Chazelle, giovane che con ogni probabilità si crede un genio.
Non lo è.
Ma non merita neppure di essere preso a calci.
Quantomeno a priori.
Merita di essere compreso, palleggiato tra un abbraccio ed un rimprovero.
E poi di nuovo nella mischia.
Pronto ad un assolo che potrebbe essere decisivo.




MrFord




"Adrenaline starts to flow
you're thrashing all around
acting like a maniac
whiplash."
Metallica - "Whiplash" - 




martedì 30 settembre 2014

That awkward moment - Quel momento imbarazzante

Regia: Tom Gormican
Origine: USA
Anno: 2014
Durata:
94'




La trama (con parole mie): Jason, Daniel e Mikey sono tre amici inseparabili fin dai tempi dell'università, sempre pronti a spalleggiarsi l'un l'altro, che si tratti di rimorchiare o di passare il tempo tra alcool e videogiochi. Quando Mikey, l'unico ad essere sposato, viene lasciato dalla moglie, i tre promettono di rimanere single in modo da essere presenti e divertirsi il più possibile uscendo insieme: peccato che, non troppo tempo dopo, Jason conosca quella che pare proprio essere la ragazza dei suoi sogni, Daniel finisca a letto con la sua migliore amica e compagna di "rimorchi" Chelsea e Mikey tenti la strada della riconciliazione con la consorte, il tutto senza che nessuno sia partecipe di quello che sta accadendo agli altri.
Quando la situazione esploderà, non sarà messa alla prova soltanto l'amicizia dei tre, ma anche i rapporti che hanno cercato, in un modo o nell'altro, di costruire.








Con il passare degli anni resto sempre più convinto dell'idea che, almeno quanto per gli uomini le donne restino una sorta di oggetto misterioso, la situazione possa essere la stessa vista dall'altra parte - con le dovute proporzioni, considerato che, tendenzialmente, noialtri siamo decisamente più semplici e meno svegli -.
Ora, la visione di questo film mi ha portato a pensare di incentrare il post non tanto sul film stesso - che non dice, di fatto, niente di nuovo, ma lo fa con un buon approccio da commedia romantica indie che tutto sommato si fa voler bene, nonostante una conclusione decisamente poco coraggiosa, per esempio, se confrontata con cose più interessanti come Drinking buddies -, quanto su una delle grandi verità riguardanti l'Uomo inteso come genere: per quanto intenti a mostrare il lato forte, figo o simpatico del momento, decisi o timidi, pronti a scopare senza ritegno e fuggire come se ci si accorgesse di essere nel letto sbagliato - davvero niente male la partenza della storia tra Jason ed Ellie -, la verità è che il genere maschile è popolato da fighette.
E' una dura verità, ma che lo si dichiari oppure no, tutti noi sappiamo che è così.
Questo, principalmente, perchè soffriamo di dipendenza.
E di quella sbagliata, o quella giusta al momento sbagliato.
Spesso e volentieri, infatti, ci divertiamo a cucirci addosso un'aura da stronzi sciupafemmine quando, in realtà, non possiamo fare a meno di quel brivido, che sia caccia, contatto fisico, calore umano, sesso puro e semplice.
Ed allo stesso modo, finiamo per non riconoscere mai quanto, ed in modo molto femminile, ci scopriamo romantici, gelosi, pronti a coltivare gli stessi dubbi e porre le stesse domande che tanto, in condizioni di tranquillità, ci divertiamo a sbeffeggiare rispetto alla parte in rosa del mondo.
In questo senso, il lavoro di Tom Gormican - nonostante, come già sottolineato, il finale molto consolatorio e lo sviluppo chiaramente telefonato - ben sottolinea questo aspetto, sfruttando tre protagonisti in parte - devo ammetterlo, Zac Efron comincia addirittura quasi a piacermi, dopo Cattivi vicini e questo That awkward moment - ed una serie di situazioni tipiche del buddy movie bromantico da serata tra amici con fuochi d'artificio iniziali e sbronza malinconica di chiusura: in qualche modo, si potrebbe perfino pensare che l'intreccio sentimentale che fa da ossatura alla pellicola sia più legato all'amicizia che lega Jason, Daniel e Mikey piuttosto che alle storie che ognuno di loro vive nel corso di questi novanta minuti tutto sommato discretamente guardabili, considerati i limiti che una proposta di questo genere può per natura avere.
E attenzione: tutta la questione della verità sull'atteggiamento di noi pezzi d'uomini non è una grande rivelazione svelata all'universo femminile, quanto più una strizzata d'occhio con tanto di pacca sulla spalla a tutti i miei compagni di bevute del Saloon - un pò quello che accade tra il padre di Ellie e Jason alla festa "in costume" -.
Possiamo raccontarcela quanto vogliamo, ma non possiamo affatto prenderci per il culo.
Certo, ci sarà chi di noi finisce per rimorchiare di più, chi resterà legato ad una sola donna per tutta la vita, chi neppure a quella: ma sotto sotto, siamo tutti nella stessa barca.
Capaci di chiamare la compagna di riserva quando quella che ci piace davvero ci manda in bianco per poi tornare da lei con la coda tra le gambe, delle peggiori figure si possano fare, o anche solo immaginare: in realtà quel "dunque" preso tanto di mira dai tre impavidi - più o meno - eroi della pellicola è proprio dell'Uomo, che finge di non porsi domande e poi torna - o si butta - tra le braccia dell'amata neanche fosse di colpo salito sulla macchina del tempo e divenuto ancora una volta bambino.
Quello è il momento imbarazzante.
E la cosa curiosa è che a volte è proprio questa la goccia che fa traboccare il vaso rendendo possibile l'innamorarsi della donna della nostra vita.




MrFord




"Under a sky, no one else sees,
yourself appears in front of me
the sky clear, the sun hits, i'm here
waiting, what's happening.
the moment that you want is coming if you give it time."
The Horrors - "Still life" - 




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