Uno degli ostacoli più difficilmente valicabili per le serie televisive di grande valore è incarnato, senza dubbio, dalla qualità garantita da una prima stagione - a volte accompagnata da una seconda - in grado di trasformare un titolo in un instant cult destinato inesorabilmente a "sfiorire" anno dopo anno: sono infatti pochissimi - ricordo solo Breaking Bad - a compiere il percorso inverso, mentre molti mostri sacri, da Lost a Dexter, passando per True Blood, hanno finito, pur se in misura differente, per proporre stagioni non al livello di quella d'esordio, o ad ogni modo a presentare un calo vistoso nella parte finale delle loro "esistenze".
Narcos, al terzo giro di giostra, era chiamata a superare una non facile prova: alle spalle due stagioni clamorose, infatti, questa serie dal sapore di docufilm doveva per la prima volta ritrovarsi a fare a meno del carisma del suo protagonista, l'eccezionale Pablo Escobar interpretato da Wagner Moura.
Senza dubbio, occorre sottolinearlo immediatamente, il "vuoto di potere" lasciato da un charachter di quella portata si è fatto sentire, e la componente più romanzesca e lirica della narrazione ha lasciato spazio più al thrilling ed alla cronaca - spesso nera - dell'ascesa e della caduta del Cartello di Cali, che ai tempi sostituì in cima alla catena alimentare del narcotraffico quello di Medellin che Escobar aveva costruito nel corso degli anni ottanta.
Il risultato è un'altra ottima stagione da fiato sospeso dall'inizio alla fine, grazie ai giochi di potere dietro a grandi imperi criminali come quelli descritti dagli autori, al lavoro spesso sporco operato dagli agenti statunitensi atto a mettere all'angolo i trafficanti, per giungere al ruolo scomodo e senza dubbio non simpatico di traditori, spie ed informatori, che per mera sopravvivenza, indole o situazioni sfavorevoli finiscono sempre, in questi casi, per fare da ago della bilancia anche in situazioni incredibilmente più grandi di loro.
In questo senso le vicende di Pallomari e Salcedo, cardini dell'offensiva della DEA orchestrata dall'agente Pena - più deciso, serio e convincente di quanto non fosse da spalla caotica del collega interpretato da Boyd Holbrook nelle prime due stagioni -, divengono episodio dopo episodio una vera e propria corsa all'ultimo respiro, alimentando una tensione a tratti quasi insostenibile non tanto per coinvolgimento emotivo quanto per la riflessione legata al peso di qualsiasi scelta e via si possa immaginare di prendere nel momento in cui si intraprende una strada che, nella realtà come nella fiction, sappiamo bene pur se non "del mestiere" sia sempre quasi impossibile abbandonare indenni.
Lo stesso percorso dei boss del Cartello di Cali, diversi per estrazione sociale, metodo ed ambizioni da Pablo Escobar, che punta ad un "ritiro" costruito a tavolino, organizzato nel dettaglio, lastricato d'oro, passo dopo passo mostra che anche in un piano perfetto, o quando si pensa di avere il dominio assoluto, è sempre in agguato la variabile impazzita, e che in un ambiente come quello criminale, termini come resa o ritiro trovano davvero pochi riscontri.
Le differenze che passano tra i "gentiluomini di Cali" ed Escobar si riflettono, dunque, anche sul prodotto finito, che passa dall'essere una sorta di biografia a suo modo "romantica" - nel senso drammatico del termine - di un "cattivo" esplosivo, estremo e sopra le righe ad una cronaca più fredda ma anche più serrata e tesa all'interno della quale si muovono predatori forse meno d'impatto ma ugualmente pericolosi - personalmente, sono rimasto molto colpito dalla figura e dall'interpretazione di Chepe, davvero da brividi -, quasi lo spettatore fosse passato dall'affrontare il grande squalo bianco del crimine ad un banco di squali toro, singolarmente meno insidiosi ma non per questo pronti a rinunciare al loro pezzo di carne fresca.
La cornice e la qualità, dunque, non sono calate nonostante la perdita di una pedina importante e di carisma in senso generale, e se il finale può apparire quasi anticlimatico, dal probabile ritiro dell'agente Pena alla fine spesso e volentieri ingloriosa dei padrini di Cali, l'attesa di un nuovo confronto, di una nuova lotta, di un nuovo spaccato di questo mondo terribile e selvaggio, continua a salire.
E se il Messico dovrà essere, noi saremo pronti.
Specie se il risultato continuerà ad essere questo.
MrFord
prima o poi devo cominciarla anch'io questa xD
RispondiEliminaMeglio prima che poi. ;)
EliminaTemevo anch'io il peggio vista la mancanza di Pablo e la presenza di boss non alla sua altezza. Ma Pena e Salcedo si fanno valere, e pure questa stagione conquista alla grande.
RispondiEliminaSalcedo è stato davvero il jolly di una stagione forse meno esplosiva ma davvero tesa.
EliminaSeh, va beh.
RispondiEliminaSta roba meglio di Stranger Things?
Vivi proprio in un mondo Sottosopra rispetto al mio. :)
Stagione senza Escobar, e pure senza il fondamentale personaggio di Boyd Holbrook, inutile e che ha perso l'identità delle due precedenti. L'ho abbandonata per noia dopo i primi due soporiferi episodi e non so se riuscirò mai a recuperarla...
Se consideri che la prima di Stranger Things aveva preso mezzo bicchiere meno delle prime due di Narcos, tutto torna. ;)
EliminaPer quanto riguarda il tuo parere Sottosopra, non è una novità. :)
A noi è piaciuta molto,temevamo per la mancanza di Pablo,ma non l'abbiamo rimpianto,a fine stagione.
RispondiEliminaVisto l'*incidente* accaduto in Messico,vedremo se sarà possibile realizzare lì la quarta stagione,o se decideranno di cambiare indirizzo...
A me è mancato il Pablito, ma devo dire che si sono arrangiati davvero molto bene, soprattutto in termini di tensione.
EliminaA prescindere dal luogo, speriamo bene per la quarta.
Il carisma è mancato, ma la tensione, cazzo, si è sentita. Narcos ha cambiato pelle, ma non è detto che sia necessariamente un male. Staremo a vedere.
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