Regia: Jonathan Demme
Origine: Usa
Anno: 2003
Durata: 90'
La trama (con parole mie): la vita dell'attivista politico haitiano Jean Dominique, dagli studi da agronomo alle battaglie come proprietario della prima radio libera dello stato caraibico vessato dalle dittature, dalla violenza e dalla povertà.
Un uomo carismatico ed affascinante, vitale ed entusiasta che accanto alla compagna Michele Montas è stato per oltre quarant'anni un simbolo dell'emancipazione dal potere e dalla sua oppressione per tutti gli abitanti di Haiti, dagli intellettuali di Port au prince ai più poveri dei contadini della valle dell'Artibonite.
Un Uomo di quelli che nascono una o due volte in un secolo, ad essere proprio fortunati, destinato con la sola forza di un ideale a cambiare il destino di un'intera Nazione, o lottare fino alla fine per provarci.
A volte capita, grazie ad alcuni film, di scoprire mondi di cui quasi si ignorava l'esistenza, e ancor più le persone che più li rappresentano, o li hanno rappresentati: quando vidi The agronomist per la prima volta, non molto tempo dopo la sua uscita, conoscevo Haiti soltanto per la posizione geografica, il mito del voodoo e quel gioiellino de Il serpente e l'arcobaleno di Wes Craven.
Proprio grazie alla visione dell'opera del papà di Nightmare avevo scoperto parte della drammatica situazione del vicino sfortunato della Repubblica Domenicana, un Paese schiacciato dal peso di percentuali altissime di povertà ed analfabetismo e dalla dittatura di Duvalier padre e figlio, soltanto due tra i tanti despoti che, spesso sotto il beneplacito e silenzioso consenso degli Stati Uniti hanno potuto esercitare un potere pressochè assoluto sulla popolazione, reprimendo i dissidenti grazie ad una milizia scelta - i terribili Macoute - ed utilizzando alla luce del sole intimidazione, tortura ed una legge piegata completamente al loro volere.
Ricordo anche che, dopo la prima visione, accarezzai l'idea di organizzare un viaggio ad Haiti per visitare Radio Haiti International e provare a scrivere una sceneggiatura per un fumetto basato sulla vita di Jean Dominique e degli altri collaboratori dell'emittente: mi documentai, e risultò che anche secondo gli organizzatori più "wild" - e parliamo di anni prima del terremoto - un viaggio di quel genere risultava sconsigliato a qualunque viaggiatore non fosse sotto l'egida di organizzazioni umanitarie internazionali, e che a volte neppure quello bastava per avere la garanzia di un soggiorno "tranquillo": le condizioni sanitarie, la criminalità ed il regime costituivano rischi molteplici ed evidenti a qualsiasi turista, specie se bianco. Addirittura, in più di una guida e parlando di Port au prince - capitale di Haiti - si consigliava con viva decisione di evitare di uscire dalla piazza principale della città - dove sono radunati quasi tutti gli alberghi - dopo il tramonto.
Ma questa è un'altra storia, e certo non importante quanto quella che Jonathan Demme narra in questo strabiliante documentario, una lezione di tecnica cinematografica e, soprattutto, di umanità: grazie ad un montaggio praticamente perfetto, una regia che lascia campo libero alle immagini senza che la presenza dello stesso autore possa appesantire il risultato, una colonna sonora dalla grandissima intensità firmata da Wycleaf Jean e Jerry Duplessis - un musicista locale -, il regista de Il silenzio degli innocenti porta sullo schermo la battaglia durata una vita di Jean Dominique per i diritti umani e la libertà di stampa ed informazione nella sua terra, una terra che ama profondamente, e racconta con occhi carichi di ispirazione, passione, entusiasmo anche quando, nel corso dei due lunghi periodi d'esilio vissuti a New York fu costretto a far tacere la voce della radio, anche se non la sua.
Dai racconti delle sue sorelle a quelli di Michele Montas - una donna dal coraggio incredibile, grande almeno quanto lo stesso Dominique -, dagli aneddoti di questo "agronomo senza terra" divenuto il paladino del popolo legati alle similitudini tra dittatori, al Cinema, al bisogno di informazione e cultura, al padre che, fiero, esponeva la bandiera di Haiti ricordando al piccolo Jean "tu non sei inglese, non sei francese, non sei americano: tu sei haitiano", alla sicurezza con la quale, ad ogni momento drammatico vissuto da lui stesso e dai suoi collaboratori, rispondeva dicendo che le pallottole non avrebbero mai fermato la loro battaglia, perchè i proiettili non potranno mai uccidere gli ideali, e che non aveva "nessun dubbio" che la sua radio avrebbe ripreso a trasmettere, "neppure un'ombra di dubbio", anche quando erano passati anni dall'ultima messa in onda.
Una figura straordinaria e profondamente umana, vitale ed aperta al mondo, ma con le radici ben piantate nel suo Paese e nelle sue tradizioni paragonabile, per impatto storico e grandezza, a personaggi quali furono Gandhi o il nostro Giovanni Falcone.
Uomini dallo spessore enorme, dalla forza quasi inimmaginabile, eppure mai neppure apparentemente schiacciati dal peso delle loro responsabilità, del loro ruolo, della loro importanza.
Uomini incorruttibili, troppo grandi per i piccoli tiranni con cui hanno dovuto confrontarsi.
Uomini che sono andati incontro al loro destino senza abbassare il capo, e che come in vita, nella morte continuano ad essere esempi fondamentali per intere generazioni.
Gli ideali non possono essere scalfiti dai proiettili o dalle bombe, e hanno una potenza così grande da sorprendere perfino i loro stessi paladini: la sequenza del ritorno ad Haiti di Jean Dominique al termine del suo secondo esilio, quando lui stesso pensava che la gente si fosse dimenticata di lui e della radio, è in questo senso a dir poco clamorosa.
Osservare Dominique e sua moglie scendere dall'aereo ed essere accolti da una folla di sessantamila persone giunte da tutto il Paese, vedere il conduttore portato in trionfo con la commozione e lo stupore dipinti sul volto incitare la folla perchè cambiasse il suo grido da "Dominique!" ad "Haiti!" è una lezione di umanità di quelle che andrebbero mostrate come esempio a quei piccoli uomini da poco che amano crogiolarsi nel potere e pensano che nel sangue le voci di Uomini come Dominique possano essere zittite.
Perchè, come ad un mese dalla sua uccisione, nel corso della giornata mondiale della libertà di stampa, Michele Montas riaprì i microfoni della radio per comunicare una notizia appena giunta in redazione, che Jean Dominique non era morto, perchè era tra la gente, e lì con loro, anche qui al saloon, a distanza di undici anni da quel giorno, lontano mezzo mondo, anche io dico che Jean Dominique è ancora qui, e non c'è verso che riescano a farlo tacere.
MrFord
"Se le sak mirak la komansè
sa ki aveg gade yo wè
sa ki bebè gade yo palè
aveg yo di yo pa renmen sa yo wè
bebè di, yo pa renmen jan w'ap pale."
Wycleaf Jean feat. Jerry Duplessis - "Nou va rive" -
Interessante, molto interessante, cercherò di vederlo il prima possibile, e l'argomento è molto attuale, anche per la nostra situazione politica. :)
RispondiEliminaArwen, argomenti come questi sono sempre attuali, ad ogni latitudine, e Jean Dominique è un personaggio che merita di essere conosciuto ovunque. Recuperalo e poi fammi sapere! :)
RispondiEliminaUna grande storia che merita di essere conosciuta. Mette tristezza pensare a quanto quel popolo sia stato vessato da tutto ciò che poteva vessarli praticamente da sempre.
RispondiEliminaGae, concordo in pieno.
RispondiEliminaSia sulla storia di Dominique, sia sulla sfortuna del popolo haitiano.
ah fordeee
RispondiEliminama smettila di fare l'impegnato e facce ride!
:D
Cannibale, sai che noi grandi dobbiamo essere un pò impegnati, a volte, mica come i ragazzetti sbarazzini del tuo stampo! ;)
RispondiEliminaconcordo, anche se ogni tanto una risata fa bene alla salute, e il film l'ho messo in lista, ben presto appena è possibile lo vedrò e ti farò sapere ciaooooooooooooooo
RispondiEliminaArwen, aspetto la tua opinione in merito, allora!
RispondiEliminaovviamente e come sempre XD
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