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martedì 5 dicembre 2017

Il culto di Chucky (Don Mancini, USA, 2017, 91')





Ho sempre amato alla follia il personaggio di Chucky, uno degli alfieri dell'horror trash anni ottanta nonchè charachter perfetto nel mescolare crudeltà, terrore, ironia, risate grasse, linguaggio colorito e violenza incontenibile, rivale assoluto in questo dell'altrettanto mitico Freddy Krueger: tempo fa, qui al Saloon, avevo perfino dedicato una sorta di retrospettiva alla creatura di Don Mancini, recensendo tutti i film della saga e divertendomi a rivederli anche più di quanto non fosse accaduto per quelli, per l'appunto, più blasonati e legati al brand di Nightmare.
Alla notizia - ed avendo letto buone recensioni - del ritorno della bambola più folle del Cinema, avevo già immaginato una serata da rutto libero selvaggio e risate sguaiate un pò come era capitato, anche se non parliamo di horror, di recente con Thor: Ragnarok, pregustandomi già tutte le cattiverie che il buon Chucky avrebbe riservato alle sue vittime di turno: peccato, però, che non si sa neppure bene perchè, Mancini abbia deciso, nonostante la vena ironica sia ovviamente presente, di virare in una direzione decisamente più seriosa, quasi un tentativo di rendere il prodotto più oscuro ed "autoriale", risultando a conti fatti un pò troppo pretenzioso - anche se mi pare assurdo associare un termine di questo tipo alla figura di Chucky - e finendo per limitare troppo lo spettacolare protagonista pupazzo, in questo caso reso sulla carta ancora più forte da un nuovo potere che gli permette di trasferire la sua coscienza in più bambole contemporaneamente e perfino all'interno di persone viventi.
Peccato che l'insieme del lavoro, legato ad un fu piccolo Andy sempre più cresciuto e potenzialmente più pericoloso della sua nemesi ed agli internati in un istituto psichiatrico di media sicurezza - compresa Nica, che Chucky affrontò nel capitolo precedente del suo percorso cinematografico - non regga neppure per sbaglio in termini di logica anche spiccia - per quale motivo scegliere una cornice di questo tipo se a fronte di una struttura ipermoderna ed enorme troviamo soltanto cinque o sei persone tra personale e pazienti? -, ritmo e divertimento, restando a galla solo nei - comunque troppo rari - momenti in cui Chucky sproloquia e conducendo ad un finale che dovrebbe portare ad un nuovo capitolo addirittura, ma spero davvero che non sia così, con protagonisti il serial killer divenuto bambola e la sua ex ma neanche poi tanto moglie in versione umana - in questo senso andrebbe spezzata una lancia in favore di Jennifer Tilly, che ricopre il ruolo con grande ironia e sfruttando tutte le sue non proprio spiccate doti recitative -.
Una grossa delusione su tutta la linea, dunque, che giunge proprio quando, al contrario, mi aspettavo la definitiva consacrazione comedy di un characther dalle potenzialità illimitate, che necessiterebbe di un approccio in stile Ash vs Evil Dead e di un rilancio a tutti gli effetti, magari proprio attraverso una serie televisiva: dopotutto, a Chucky piace stare sotto i riflettori, e pensare che il suo posto possa essere in qualche modo "rubato" da un eccesso di presunzione degli autori e dalla figlia dell'attore che da sempre gli ha prestato la voce mi pare davvero uno spreco enorme.




MrFord



 

domenica 6 marzo 2016

Alcatraz - L'isola dell'ingiustizia

Regia: Marc Rocco
Origine: USA, Francia
Anno: 1995
Durata: 122'







La trama (con parole mie): siamo nei primi anni quaranta quando James Stamphill, giovane ed idealista avvocato fresco di nomina, è assegnato come difensore d'ufficio ad Henri Young, detenuto di Alcatraz colpevole di aver ucciso nella sala mensa del carcere l'uomo che sospettava essere una spia delle guardie nonchè il responsabile del fallimento del suo tentativo di fuga, tre anni prima.
I due, vicini per età e dalla storia radicalmente opposta - il primo cresciuto sotto la protezione di un fratello maggiore già avvocato di successo, studente, figlio della San Francisco che conta, ed il secondo colpevole di un furto per fame che gli costò l'ingresso nel mondo criminale e nel carcere più duro dell'epoca - si scoprono non solo amici, ma anche compagni di una lotta che porterà il caso Young a porre sotto accusa la stessa organizzazione di Alcatraz ed i suoi amministratori, puntando il dito in particolare sul vicedirettore Glenn.








Gli anni novanta sono stati un periodo piuttosto buio da molte angolazioni differenti, per il sottoscritto, quasi e soprattutto a posteriori: liberatomi, infatti, del radicalchicchismo e della timidezza aggressiva giovanili, con il tempo mi sono reso conto di quanto i cult sguaiati degli ottanta abbiano influito sulla mia formazione, e di quanto ancora adesso voglia infinitamente bene agli stessi, al contrario di tanti colpi di fulmine figli dei nineties ora destinati alla vergogna - Poeti dall'inferno, giusto per citarne uno -.
Eppure ci sono ancora titoli che, pur figli di un decennio che si è fatto distante anni luce dal sottoscritto, finiscono per solleticare le corde ed i sentimenti giusti: uno di questi è senza dubbio Alcatraz - L'isola dell'ingiustizia, giunto per la prima volta nell'allora casa Ford grazie al mitico Paolo dell'altrettanto mitica videoteca che fece la fortuna della mia infanzia, di recente riscoperto in bluray e mostrato per la prima volta a Julez, che pur essendo cresciuta nello stesso periodo aveva finito per perderselo.
Tratto da una storia vera, il lavoro di Marc Rocco - regista ininfluente rispetto alla Storia del Cinema - appare come il classico procedurale viscerale e carico di emozione pronto ad influenzare il pubblico affamato di pellicole da Oscar, eppure a distanza di oltre vent'anni continua a convincermi e a dare l'impressione della pellicola assolutamente onesta, ben confezionata ed in grado di rappresentare le stelle e strisce ed il loro approccio in tutto il mondo.
Grazie ad un cast in grande spolvero - ottimi sia Kevin Bacon, senza dubbio in uno dei ruoli migliori della sua carriera, e Gary Oldman, specializzato ai tempi nelle parti da sacco di merda - ed una confezione impeccabile Alcatraz finisce per risultare funzionale e godibile ancora oggi, quasi fosse una sorta di ideale membro della trinità dei film carcerari cult di allora insieme a Il miglio verde e Le ali della libertà, che prima o poi mi deciderò a recensire.
Senza dubbio, rispetto a quanto accaduto nella realtà a Henry Young, quello che è presentato sullo schermo è il tipico prodotto a stelle e strisce detestato dai radical chic e dai detrattori della cultura sempre troppo sopra le righe dei nostri cugini oltreoceano, eppure c'è qualcosa, in questo dramma carcerario pronto a denunciare una delle realtà più difficili che si possano vivere nella vita ed al mondo, che finisce per andare oltre la retorica e quello che ci si aspetta o si finisce per aspettare da un prodotto di questo tipo.
Ed ancora oggi, memore di quelle prime visioni in vhs e di tutto quello che è stato il mio percorso di cinefilo da allora in avanti, non riesco a trattenermi rispetto al concetto di azione e reazione che caratterizza il duello a distanza tra Kevin Bacon e Gary Oldman, così come ad un finale calcolatissimo eppure in grado di colpire dove è giusto essere colpiti: sinceramente, come per Johnny Cash nella sua San Quentin, penso sempre che la prigionia non faccia altro che amplificare le pulsioni ed i caratteri peggiori di un essere umano, e che la tortura legata alla stessa possa, di fatto, rendere chiunque tra noi il peggiore degli assassini.
E se è giusto pagare le proprie colpe, quantomeno rispetto alle regole che ci permettono una convivenza civile, non lo è farlo nel momento in cui le stesse diventano un pretesto per chi si rifugia dietro incarichi di potere o tutelati dalla Legge proprio per scampare alla stessa.






MrFord






"San Quentin, what good do you think you do?
Do you think I'll be different when you're through?
You bent my heart and mind and you may my soul,
and your stone walls turn my blood a little cold."

Johnny Cash - "San Quentin" - 







venerdì 25 aprile 2014

La maledizione di Chucky

Regia: Don Mancini
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 97'




La trama (con parole mie): la giovane paraplegica Nica vive con la madre Sarah in una grande casa isolata, fin troppo protetta dalla genitrice. Quando viene loro consegnato un pacco contenente la bambola "Tipo bello" che per anni è stata l'involucro dell'anima del serial killer Charles Lee Ray, ribattezzatosi Chucky, comincia per la ragazza un vero e proprio incubo. La madre, infatti, muore in un tragico ed apparentemente casuale incidente, e quando la sorella con al seguito tata, marito e figlia arriva per convincerla a mettere in vendita la casa e trasferirsi in un ricovero, per l'intera famiglia comincerà il gioco al massacro orchestrato proprio da Chucky, più spietato e cattivo che mai, nonchè legato a ricordi dei suoi tempi da umano proprio agli occupanti di quella casa.








E così, anche per Chucky e la sua saga è giunto il momento del capitolo che - almeno per ora - pone la parola fine alla retrospettiva regalata al pupazzo più malvagio del Cinema horror - e non solo - qui al Saloon: in tutta onestà, benchè a livello visivo si possano notare grandi miglioramenti rispetto alla qualità da b-movies dei precedenti, ho trovato l'ultima fatica di Don Mancini troppo seriosa ed orrorifica nel vero senso "di genere" del termine per potermi davvero sentire conquistato dalla stessa.
Per la prima volta dai tempi del suo esordio, infatti, il bambolotto psicopatico non è riuscito, nel corso della visione, a strappare al sottoscritto neppure una sonora, cattivissima risata grazie al suo rinomato turpiloquio o ai rapporti quantomeno burrascosi con le sue vittime umane: a contribuire a questo risultato un'ambientazione in pieno stile slasher fin troppo cupa, all'interno della quale regala le soddisfazioni migliori soltanto il trucco che cela dietro le fattezze di un "Tipo bello" completamente restaurato il vero ed ormai profondamente deturpato volto del nostro killer di plastica preferito.
Non che il risultato sia poco apprezzabile, o che il personaggio abbia perso il suo carisma, ma l'impressione che ho avuto nel corso della visione è stata quella di vedere le potenzialità del piccoletto sfruttate con il freno a mano tirato neanche ci fosse stato chissà quale salto a livello di produzione e distribuzione: edulcorare un personaggio di questo calibro, fosse anche solo verbalmente, significa in qualche modo tagliare le gambe alla sua dirompenza, senza contare che il resto delle sue caratteristiche distintive - su tutte la fantasiosa varietà nell'arte dell'uccisione - non sono state affatto limitate dal ritorno all'horror più canonico di questo sesto capitolo.
Interessanti l'utilizzo nel ruolo di Nica della figlia di Brad Dourif, voce ed anima di Chucky, così come l'apparizione conclusiva di Jennifer Tilly, che nel quarto e quinto film prestò voce e corpo alla compagna del protagonista Tiffany, che, occorre ammetterlo, fa sentire la sua mancanza - soprattutto quando si tratta dei battibecchi con Chucky, che pare soffrire molto il ritorno alla "solitudine", e di creatività nelle uccisioni -: in questo senso il finale risulta la parte più interessante di questo La maledizione di Chucky, di fatto uno dei capitoli meno trash della saga ma, allo stesso tempo, forse quello di maggior transizione.
Un peccato per i fan hardcore del brand, ormai abituati al grottesco più comico che spaventoso in grado di rendere mitici personaggio e serie, che dovranno attendere l'eventuale settimo capitolo e, chissà, anche un ritorno del fu Andy, prima nemesi ufficiale dell'adorata bambola assassina: nel frattempo, passare il tempo con massacri come quello della ragazza alla pari o la rivelazione della "maschera" di Chucky potrebbe essere un buon diversivo.
Ma niente di più.



MrFord



"When there’s no more room in hell
then the dead will walk the Earth
and the living won’t have a prayer
cause it’s the dawn of the dead."
Murderdolls - "Dawn of the dead" -



domenica 23 marzo 2014

Il figlio di Chucky

Regia: Don Mancini
Origine: USA
Anno: 2004
Durata: 87'





La trama (con parole mie): Chucky e Tiffany, morti al termine della lotta con i due innamorati del capitolo precedente, si trovano ad Hollywood, utilizzati come bambole per le riprese di un film ispirato proprio alle loro gesta. Quando il loro figlio, Glen, credutosi orfano per tutta la vita, scopre di portare un segno inequivocabile che indica la paternità di Chucky, fugge dal suo carceriere - un artista di strada di dubbia morale in Inghilterra - e una volta raggiunti mamma e papà si prodiga a resuscitarli grazie all'ormai noto rituale voodoo che aveva dato origine alla leggenda di Chucky stesso.
Tornati alla vita, i due improbabili genitori si ritroveranno a fare i conti con il loro nuovo ruolo e con i tentativi di Jennifer Tilly di riuscire ad essere apprezzata come attrice di successo, cercando di fare di lei e del regista che ha preso di mira i loro nuovi corpi ospiti.







Considerati i picchi di turpiloquio ed umorismo nerissimo cui il vecchio Chucky mi aveva abituato nei precedenti quattro capitoli della sua tanto trash quanto fortunata saga cinematografica, non mi sarei mai aspettato che la pur sorprendente bambola assassina sarebbe riuscita perfino a fare di meglio: sovvertendo le aspettative, invece, la saga porta a casa un quinto capitolo clamorosamente divertente, girato al limite del b-movie e, non ho paura di ammetterlo, forse il più interessante tra quelli visti fino a questo punto.
Perchè, a dispetto dell'infima qualità tecnica del lavoro di Mancini - per la prima volta passato da creatore dei personaggi a regista e sceneggiatore -, se si esclude il consueto ottimo comparto dedicato ai movimenti delle bambole, l'approccio assolutamente ironico nonchè metacinematografico alla storia che questa volta vede i redivivi Chucky e Tiffany alle prese con i capricci delle star di Hollywood regala una marcia in più all'intera pellicola, ed una consistente serie di scene già cult in casa Ford, da Britney Spears buttata fuori strada - Chucky che ridacchiando afferma "Ups! I did it again!" è impagabile - alla battaglia tra i due improbabili genitori per decidere il sesso dell'efebico Glen/Glenda, nato sul finire del film precedente e responsabile del tormentone legato al "made in Japan", anch'esso difficilmente dimenticabile.
L'utilizzo, inoltre, di Jennifer Tilly - l'attrice che impersonò Tiffany prima della trasformazione e che presta la voce nell'edizione originale alla metà di Chucky - come vittima predestinata di questo capitolo è assolutamente geniale, dall'autoironia sfoggiata dall'attrice - nota principalmente per le sue tette e per aver recitato nel lesbo thriller Bound, che nel corso degli anni novanta popolò i sogni erotici anche del Ford adolescente - alla sua rappresentazione della vacuità del mondo dorato della Hollywood che non conta troppo, pronta a tutto pur di percorrere la strada del successo.
Abbandonata dunque completamente la vena horror dei primi due film e concentratosi quasi esclusivamente su quella comico/sanguinosa - la visita dal paparazzo di Chucky e Glen, la chiamata al telefono amico di Tiffany, le ripetute e spassosissime citazioni cinematografiche, da Shining a Rosemary's baby -, Don Mancini sforna un ritratto a suo modo unico della famiglia disfunzionale, concedendosi felicemente parentesi splatter - la morte dell'assistente di Jennifer Tilly, l'incubo ricorrente di Glen - ed un finale in grado di confermare lo spessore di Chucky come charachter unico ed assolutamente carismatico nel panorama dei mostri da grande schermo: la stessa dichiarazione dell'ex serial killer ormai convinto a non cercare più un corpo ospite per la sua anima rimanendo fedele alla nuova natura di pupazzo malvagio e praticamente immortale - con tanto di dichiarazione gridata ai quattro venti "Io sono la bambola assassina" - che non esclude l'ormai consueto rituale di richiamo a Damballah, divinità voodoo che aveva reso possibile il primo passaggio dell'anima del fu Charles nel "corpo" di Chucky, diviene dunque una sorta di dichiarazione al mondo intero che il piccolo, sboccato, scalmanato, sanguinario pupazzo non ha intenzione di mollare i suoi panni così come il palcoscenico della settima arte.
Onestamente, al Saloon non possiamo che essere felici di sapere che questo piccolo bastardo continua ad essere in giro.




MrFord




"Mom and dad you're beautiful,
with bullet holes in your skull.
And red looks good on you too,
good-bye, Good riddance I hate you!"
Murderdolls - "The devil made me do it" -




sabato 1 febbraio 2014

La sposa di Chucky - La bambola assassina 4

Regia: Ronnie Yu
Origine: USA, Canada, Hong Kong
Anno:
1998
Durata:
89'
 




La trama (con parole mie): sono passati dieci anni dall'ultimo confronto tra Chucky ed il suo antagonista per eccellenza, Andy, e l'ex fidanzata del serial killer reincarnatosi nella bambola Tipo bello, Tiffany, finisce per mettere le mani sulle spoglie "di plastica" dell'amato, riportandolo di nuovo alla vita grazie ad un rituale voodoo. Il rapporto di coppia, però, non è idilliaco come lei vorrebbe, tanto che Chucky finisce per toglierle la vita costringendola ad incarnarsi a sua volta in una bambola.
Per l'improvvisata coppia di giocattoli animati si profila dunque l'idea di una sorta di "viaggio di nozze" che possa condurli al luogo di sepoltura delle spoglie mortali di Chucky, nella speranza che un medaglione dai grandi poteri possa aiutare entrambi a tornare tra gli umani a tutti gli effetti.







Devo ammettere che il ritorno in grande stile di Chucky e della sua saga sugli schermi del Saloon sta avendo il merito di risvegliare nel sottoscritto la voglia di riscoprire le grandi epopee dell'horror anni ottanta e novanta, da Venerdì 13 a Nightmare: prodotti spesso e volentieri sopra le righe, eppure in grado, anche a distanza di anni, di divertire ed intrattenere come la maggior parte delle proposte odierne può soltanto immaginare di fare.
Giunto al quarto dei titoli a lui dedicati, il bambolotto più malvagio della settima arte sperimenta per la prima volta un'avventura senza quella che è stata la sua nemesi storica, l'ormai non più piccolo Andy, divenendo dunque il protagonista indiscusso della vicenda e, almeno nella sua prima parte, la "vittima", neanche fosse una sorta di eroe positivo della stessa: fin dalle prime battute questo trashissimo titolo firmato Ronnie Yu - autore anche del divertentissimo Freddy vs Jason, per tornare al discorso di cui sopra - pare definirsi all'insegna dell'ironia - nera e non -, con tanto di citazioni dedicate ad alcuni "mostri sacri" - in tutti i sensi - del genere come Jason Voorhies, Michael Myers e Leatherface, proseguendo con omaggi a Classici come La moglie di Frankenstein - una vera e propria pietra miliare - presentati attraverso il consueto turpiloquio di Chucky, per la prima volta alle prese con le gioie ed i dolori - soprattutto questi ultimi - della vita di coppia.
In questo senso, l'idea vincente ed interessante di questo quarto film basato sui personaggi creati da Don Mancini è proprio quella di affiancare a Chucky una lei che possa in qualche modo tenergli testa arrivando a seminare - in tutti i sensi - quelli che saranno i fiori del quinto film dedicato alla sempre più instabile ed iraconda bambola: Tiffany - intepretata da una perfetta per la parte cagna maledetta Jennifer Tilly, che molti, soprattutto maschietti, ricorderanno per il ruolo in Bound - risulta dunque, di fatto, il fulmine a ciel sereno nell'esistenza fino a quel momento "tranquilla" di Chucky, lo squilibrio - anche positivo - introdotto da una storia sentimentale nel grande disegno di ogni scapestrato scapolo dedito agli eccessi da single senza freni. 
Una metafora della vita di coppia pronta a specchiarsi nella vicenda dei due giovani protagonisti "in carne ed ossa" vittime ed ostaggi delle due bambole, in fuga come novelli Romeo e Giulietta e ad un tempo pronti ad accusarsi a vicenda di follia nonchè degli omicidi commessi da Chucky e signora: curioso scoprire, nel ruolo della lei, una giovanissima Katherine Heigl sulla quale pesa la pressione del dispotico zio interpretato dal compianto John Ritter, ai tempi decisamente lontana dai fasti cui la destinò - almeno in parte - Grey's anatomy.
Un film divertente e di grana grossa come piace a noi del Saloon quando si considera di lasciare i neuroni a riposo, ironico quanto basta per non risultare spocchioso e sempre pronto ad omaggiare una delle epoche più importanti dell'horror - geniale la battuta che rimanda a Hellraiser a seguito del primo tentativo di omicidio dello sceriffo - che in cuor mio spero sempre di vedere in una nuova e, chissà, ancor più interessante veste: in questo senso, la conclusione di La sposa di Chucky potrebbe essere colta come un segno premonitore di un futuro - speriamo prossimo - ritorno dell'horror "come si faceva una volta".



MrFord



"I’d love it if you’d spin your head for me
or vomit a beautiful pea soup green,
so beautifully
across your stomach it said “HELP ME”
I gotta know will you marry me."
Murderdolls - "Love at first fright" -



sabato 11 gennaio 2014

La bambola assassina 3

 Regia: Jack Bender
Origine: USA
Anno: 1991
Durata:
90'




La trama (con parole mie): sono passati otto anni dall'ultima battaglia tra Andy e Chucky, rinato di nuovo sotto forma di pupazzo grazie al suo sangue entrato in contatto con l'impasto della plastica dei "nuovi nati" figli del marchio di "Tipo bello". Andy ora ha sedici anni, è passato da una famiglia all'altra ed è finito in una scuola militare nella speranza che la stessa possa raddrizzarlo e guidarlo verso un futuro costruttivo: e Chucky è sempre sulle sue tracce, anche se questa volta mosso solo ed esclusivamente dalla vendetta.
Il suo obiettivo per il cambio di corpo, infatti, è il giovane allievo della scuola Tyler, che Andy si troverà a difendere per evitare che l'ex serial killer tramutato in giocattolo possa riuscire a realizzare il suo agghiacciante progetto.





L'ultima visione del terzo capitolo delle avventure di Chucky degli occupanti di casa Ford risaliva, probabilmente, ad una quindicina d'anni or sono, grazie ad una delle migliaia di vhs che mio fratello stipava con quanti più film passassero in tv, e senza dubbio in estate, nel corso di una delle "notti horror" che ci concedevamo ai tempi una volta finita la scuola.
Il recupero progressivo della saga dedicata al bambolotto più spietato del Cinema mi ha dunque riportato questo gioiellino trash come fosse un'operazione di profondo amarcord, a tratti inducendo il sottoscritto a pensare che possa trattarsi addirittura del migliore dei primi tre capitoli della stessa: lo spostamento in avanti di otto anni della vicenda, con un Andy adolescente alle prese con i primi turbamenti sessuali e la disciplina ed il bullismo della scuola militare nella quale è finito, uniti ai propositi di vendetta di un Chucky sempre più in spolvero - dai proiettili di vernice scambiati con munizioni vere al "piccolo stronzo" rifilato al giovanissimo Tyler, suo nuovo bersaglio per la reincarnazione - e ad un finale che è un vero e proprio cult del trash grazie al duello all'interno della giostra degli orrori del luna park posto non lontano dalla scuola - la scalata di Andy della montagna di scheletri finti ed il volo di Chucky dritto nella ventola sono pezzi pregiatissimi della Storia dei b-movies, in grado di aggiungere ulteriormente valore ad un franchise che ha fatto proprio della sua aura "di genere", per usare un eufemismo finto autoriale, una delle caratteristiche fondamentali del successo -, infatti, rendono questo terzo capitolo ancora più divertente e vitale, un vero piacere nell'ambito delle visioni per ragazzi "distorte" dalla macchina - o dal giocattolo - dell'horror.
Inoltre - ma questa è una caratteristica che ha impreziosito anche i due capitoli precedenti - le animazioni della bambola risultano assolutamente ben realizzate - per i tempi, e non solo -, e regalano a Chucky una mobilità ed una mimica invidiabili, perfetta cornice per un turpiloquio sempre più spassoso e di un carisma che anche molti mostri nati nel pieno degli anni ottanta continuano ancora oggi soltanto a sognarsi.
Prosegue dunque nel migliore dei modi l'avventura de La bambola assassina, che un capitolo dopo l'altro sta garantendo agli occupanti di casa Ford la giusta dose di divertimento, sangue e linguaggio da Saloon di cui necessitiamo da queste parti per fuggire dai malesseri della quotidianità e della vita moderna.
Interessante comunque notare come e quanto, nonostante di fatto sia il vero e proprio bad guy della vicenda, Chucky finisca per suscitare la simpatia ed il "tifo" del pubblico quasi come se ne fosse l'eroe, regalando anche rivincite - come quelle rispetto al barbiere della scuola o al direttore - che sotto sotto si finisce per sognare, non fosse altro per empatia con il charachter positivo, il giovane Andy.
Un'ultima curiosità è data dalla presenza, dietro la macchina da presa, di Jack Bender, che i fan di Lost impareranno ad apprezzare più di un decennio più tardi, qui ad una delle sue prime esperienze come regista: evidentemente, Chucky doveva averci visto lungo anche da questo punto di vista.


MrFord


"Too much too soon,
too bad for you man..
The wheels fell off the bandwagon
left you stranded there and no one cares
what will you do?"
Murderdolls - "Motherfucker see, motherfucker do" -


lunedì 6 gennaio 2014

La bambola assassina 2 - Il ritorno di Chucky

 Regia: John Lafia
Origine: USA
Anno: 1990
Durata:
84'




La trama (con parole mie): il piccolo Andy, separato dalla madre a causa dei dubbi che le forze dell'ordine e l'opinione pubblica hanno espresso rispetto ai loro racconti a proposito di Chucky, è costretto a trovare asilo presso una famiglia affidataria che ospita la giovane Kyle, adolescente non troppo tranquilla.
I problemi del bambino, però, non sono finiti, perchè il serial killer reincarnatosi nel pupazzo "Tipo bello" è pronto a tornare alla ribalta per completare l'opera che non era riuscito a concludere ai tempi del loro primo incontro.
Inizierà dunque una battaglia che vedrà Andy e Kyle opporsi a Chucky dalla casa dei loro genitori adottivi alla fabbrica di giocattoli che ha visto nascere proprio il modello del quale Chucky è, ormai, un esemplare "definitivo".





Alle spalle il successo clamoroso del primo episodio della sua saga, era davvero difficile per il vecchio, bastardissimo Chucky non tornare alla ribalta della cronaca con un secondo capitolo delle sue avventure, realizzato con mezzi a tratti più limitati del precedente, ugualmente di successo rispetto agli appassionati del genere e costruito su un'ossatura tipica per uno pseudo slasher di quel periodo.
Poco è cambiato, nella struttura della storia e nell'idea di base legata ai personaggi di Don Mancini, ed il passaggio a questo secondo capitolo dedicato alla "vendetta" del pupazzo malefico pare assolutamente naturale ed in linea con molte saghe horror del tempo, da Venerdì 13 a Nightmare.
Più che per la brillantezza della trama, dunque, o le invenzioni di regia, questo Ritorno di Chucky risulta divertente quanto il film precedente grazie di nuovo al suo vero protagonista, sempre più cattivo e sboccato nonchè pronto a sfruttare la sua ormai quasi natura definitiva di giocattolo per ingannare gli adulti e costringere il piccolo Andy a battersi praticamente da solo contro il serial killer reincarnato in "Tipo bello".
Curiose le presenze di Christine Elise - che i meno giovani tra noi ricorderanno in Beverly Hills 90210 - e di Grace Zabriskie, musa di David Lynch e terrificante madre di Laura Palmer, nel cast prima della loro "ascesa" - anche se, soprattutto per la prima, pare obiettivamente difficile parlare di impennata di successo -, ed interessante la battaglia che vede Andy e Kyle contrapposti allo scatenato Chucky nella fabbrica dei modelli comuni di "Tipo bello", che al sottoscritto ha ricordato il mai dimenticato cult Terminator ed il confronto finale tra Kyle Reese - pare quasi un omaggio all'eroe padre di John Connor -, Sarah Connor ed il primo, leggendario T-500.
Il resto scorre via senza troppo restare impresso nella memoria, intrattenendo l'audience come solo Chucky riesce a fare mantenendo quel curioso equilibrio tra horror e film per ragazzi che troverà la sua migliore espressione - se così possiamo definirla - nel terzo capitolo della saga: il grande merito di Mancini e dei registi chiamati a portare sullo schermo le gesta del pupazzo più cattivo del Cinema è e resta quello di non prendersi mai troppo sul serio, trasformando Chucky in un simbolo di irriverenza che forse farebbe un gran bene a molti pseudo horror attuali troppo impegnati a passare per clamorose invenzioni d'autore ed in realtà decisamente più figli di una tradizione che ha nel suo essere profondamente artigianale uno dei punti di forza maggiori.
Senza dubbio questo capitolo non verrà ricordato come il più brillante della saga, o sarà destinato ad un fato diverso dall'essere uno spassoso riempitivo per amanti del genere, eppure il pubblico, allora come ora, è riuscito a cogliere l'importanza molto pop di un personaggio di questo calibro sancendone il successo e permettendogli di continuare il suo viaggio attraverso i decenni, sempre pronto a perseguitare il povero Andy - si potrebbe considerare la loro come una delle più lunghe rivalità cinematografiche di tutti i tempi, quasi quanto quella del sottoscritto e il Cannibale - e a punire chiunque "tenti di fregarlo".
A conti fatti, a me basta anche solo questo.


MrFord


"I hate your voice and I hate your face
exterminate you from the human race
life’s a joke and the joke is on you
hey you, it’s true, you suck, fuck you."
Murderdolls - "Motherfucker I don't care" -



mercoledì 1 gennaio 2014

La bambola assassina

 Regia: Tom Holland
Origine: USA
Anno: 1988
Durata: 87'
 



La trama (con parole mie): il piccolo Andy Barclay vive con sua madre e sogna, come molti suoi coetanei, di possedere la bambola di "Tipo bello", il giocattolo più in voga degli ultimi anni.
Quando la stessa madre acquista da un ambulante un esemplare recuperato dopo l'esplosione di un negozio, inizia per loro un'avventura ben oltre l'incredibile: all'interno del pupazzo chiamato Chucky, infatti, ha trovato rifugio prima della morte l'anima del serial killer Charles Lee Ray, che grazie ad un rituale voodoo appreso in carcere è riuscito a scampare alla cattura e alla dannazione eterna.
Quello che Chucky non sa, però, è che il tempo passato all'interno del giocattolo potrebbe condannarlo ad un'eternità da bambola, a meno che lo stesso non riesca a completare di nuovo il rituale per entrare nel corpo della persona con la quale ha sviluppato la connessione maggiore, Andy.




Prima di iniziare il percorso che mi porterà a recuperare tutti i film dedicati alla saga de La bambola assassina, va necessariamente sottolineato un dato di fatto: fin dai tempi della prima adolescenza e della camera condivisa con mio fratello nell'allora casa Ford, ho sempre adorato alla follia il personaggio di Chucky. Ricordo quando, per un natale di qualche anno fa, regalai il modellino parlante con tanto di corredo di armi proprio a mio fratello, che ancora oggi lo custodisce gelosamente sullo scaffale dei dvd.
Chucky, al pari di Freddy Krueger e Michael Myers, Jason Voohries e Leatherface, rappresenta uno dei charachters più folli che l'horror sia mai riuscito a regalare al suo pubblico, ed in qualche modo il più irriverente e spassoso del novero, grazie al suo linguaggio sboccatissimo ed al piglio deciso.
L'esordio cinematografico del malvagio pupazzo - involucro per l'anima del serial killer Charles Lee Ray, interpretato da Brad Dourif, noto per le sue parti in Qualcuno volò sul nido del cuculo, Il signore degli anelli e L'ignoto spazio profondo -, come il resto dei titoli del franchise allo stesso dedicato, è un divertito e divertente miscuglio di trash, film per ragazzi e horror, un cocktail spesso e volentieri sopra le righe che ha il pregio di intrattenere senza alcuna pretesa grazie alla verve del suo protagonista, passato alla storia già dalla prima sequenza in cui si rivela al mondo - e nello specifico alla madre del piccolo Andy, che sarà il suo bersaglio, la sua nemesi e la sua vittima preferita negli anni e nei film a venire - insieme ad uno sproloquio degno dei migliori - o peggiori - Saloon della Frontiera.
Mescolando, dunque, elementi di norma scostanti tra loro - un serial killer bianco scampato alla morte e trasmigrato in una bambola grazie ad un rito voodoo, il linguaggio scurrile in bocca ad un giocattolo, il mondo dei bambini, lucido e sincero, opposto a quello degli adulti - il risultato, per quanto tecnicamente lontano da standard qualitativi anche soltanto decenti, riesce comunque a conquistare oggi come allora, quando riuscì nell'impresa di incassare più di dieci volte il budget iniziale, dando origine al successo del brand e del personaggio creati da Don Mancini.
Curioso come, se a volte si può parlare di film portati sulle spalle da un solo attore responsabile di una performance straordinaria, così importante da oscurare non solo i colleghi in scena, ma anche le parti tecniche e registiche, in questo caso è possibile applicare lo stesso metro di giudizio rispetto al personaggio di Chucky, doppiato senza dubbio alla grande da Dourif ma in grado di bucare lo schermo con il suo ghigno da spietato ed il suo carisma innato, in grado di renderlo - al pari di suoi compari "mostri" come quelli citati sopra - un piccolo gigante, una sorta di gremlin impazzito e rabbioso pronto a lottare con le unghie e con i denti - aggiungendoci armi a profusione ed una lingua da girone dantesco - per sperare di tornare umano - e adulto - proprio passando attraverso un bambino ed un pupazzo, simboli di infanzia e di innocenza.
In qualche modo, volendo fare gli autoriali a tutti i costi, si potrebbe quasi supporre che Mancini, nel creare questi personaggi, li abbia considerati come una sorta di metafora del candore che inevitabilmente si perde crescendo, rovinati dal mondo dei "grandi".
Ma dato che siamo al Saloon, e stiamo parlando di Chucky, preferisco optare per un commento più diretto, di pancia e lontano da qualsiasi interpretazione metafisica: non gustarsi questo film dal primo all'ultimo minuto è proprio da stronzi.


MrFord


"Fuck you, get out of my face.
white trash straight from outer space.
Kick the shit right out of you,
leave you in the rear view.
I've told you once before, you're gonna piss me off."
Murderdolls - "Mr. Motherfucker" -



lunedì 22 aprile 2013

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Regia: Milos Forman
Origine: USA, Repubblica Ceca
Anno: 1975
Durata: 133'


La trama (con parole mie): Randall McMurphy, un criminale con la ribellione nel sangue, viene internato per una valutazione sul suo stato in un istituto di igiene mentale prendendo la cosa come una vacanza e senza sapere che, una volta accettato come paziente, la sua libertà sarà determinata soltanto dalla decisione dei medici.
Una volta venuto a contatto con gli altri degenti del suo reparto, l'uomo guiderà lo strano gruppo di schizzati in una sorta di rivolta contro il Potere, rappresentato alla perfezione dalla dispotica capo infermiera Ratched, che sfrutta le debolezze dei pazienti per esercitare pressione e mantenere un rigoroso ordine.
La battaglia tra i due, nata come un confronto limitato alla parola, diviene sempre più serrata e conduce ad una strada senza ritorno che cambierà per sempre le vite del gruppo di outsiders alla guida del quale si è posto lo stesso McMurphy.





Da quasi una decina d'anni che non rimettevo occhio sulle vicende dello scatenato Randall McMurphy, e devo ammettere che mi era proprio mancato: quando ci si confronta con cult assoluti come Qualcuno volò sul nido del cuculo è facile sottovalutare l'effetto che possono avere all'ennesima visione proprio perchè titoli ormai "seduti" su una fama consolidata, eppure ritrovarlo sugli schermi di casa Ford è riuscito a scuotermi nel profondo, aumentando di nuovo - se possibile - il valore dell'opera di Forman, ancora oggi uno straordinario grido di ribellione contro il Potere ed il controllo, nonchè sentito omaggio alla Libertà di pensiero ed azione, che passa dal corpo e dalle azioni ma soprattutto dalla mente, anche quando pare che la stessa possa averci inesorabilmente traditi.
Jack Nicholson - probabilmente in quella che è stata la sua prova più importante e significativa, anche oltre il Jack Torrance del successivo Shining -, vincitore dell'Oscar come miglior attore, porta sullo schermo la volontà ribollente di uno dei personaggi più carismatici, caotici ed affascinanti del Cinema USA anni settanta e non solo, protagonista di una pellicola che è una sorta di compilation di scene cult una dietro l'altra, tutte supportate da un cast in forma smagliante e dal feeling pressochè perfetto, dall'incredibile Louise Fletcher nel ruolo della glaciale capo infermiera Ratched al nutrito gruppo di matti che McMurphy/Nicholson si ritrova a guidare e scuotere neanche ci trovassimo nel pieno di un'antica rivolta degli schiavi.
Il crescendo del conflitto tra il criminale e le istituzioni assume risvolti che passano dalla commedia nera - i dialoghi con il direttore del centro e gli psicologi, la splendida gita clandestina in barca - al dramma profondo - il crescendo finale, gli scontri ed i drammi personali analizzati nel corso delle sedute di gruppo - senza risparmiarsi anche un'efficace dose di epica, che passa dalla partita di basket alla cronaca "televisiva" del match di baseball così ardentemente voluto dai pazienti - un pezzo di bravura dell'istrionico Jack a dir poco strepitoso - e conduce il pubblico ad una chiusura commovente e da brividi, con quei "mi sento forte come una montagna" e "ti porto con me" pronunciati da Bromden e pronti a finire dritti dritti al cuore di qualsiasi spettatore.
Forman, da par suo, dirige con un equilibrio da manuale, evitando di calcare troppo la mano e lasciando agli interpreti lo spazio necessario affinchè siano gli stessi a raccontare la storia soprattutto dal punto di vista emotivo, trasformando quello che, sulla carta, è di fatto un film sull'attesa - di un giudizio, una valutazione, una boccata d'aria che riporti la pace in una mente turbata - in un continuo corto circuito di pancia e cuore in grado di mostrare come e quanto, a volte, siano necessari portatori di distruzione nello stile di McMurphy affinchè le cose possano cambiare, fosse anche per un solo uomo, e a prescindere dal prezzo che una crescita come quella del curioso gruppo di pazienti protagonisti di Qualcuno volò sul nido del cuculo affronta per mano del vecchio Randall.
Così, dalla presa di coscienza di una situazione che per alcuni è volontaria - il giovane Billy, il vecchio Cheswick - e per altri un lento abbandono - come per il già citato Bromden -, assistiamo ad una rinascita che neppure il pugno di ferro della Ratched, l'elettroshock o peggio potranno davvero tenere a freno, e che tocca il suo vertice nella risata liberatoria di Taber a celebrare la nuova libertà conquistata un pezzo alla volta fino a quella corsa verso l'orizzonte ed un Canada che non è più soltanto il sogno di un matto, ma un barbarico YAWP che nessuna capo infermiera, istituzione o legge potrà tenere incatenato.
Perchè uomini come McMurphy, vincenti oppure no, distrutti in un colpo o un passo alla volta da un sistema che non potrà mai digerirli, sono l'ossigeno del nostro mondo di regole e medicine addolcite da un succo di frutta, sigarette razionate o una prigione più pericolosa di qualsiasi carcere o istituto, quella della nostra psiche: i Randall che incrociano la nostra strada sono la benzina per il motore dell'esistenza.
Questo a meno di non esserlo a nostra volta.
In quel caso, vacca troia, che si allarghino le spalle e ci si prepari al peggio, perchè a loro non basterà mai nulla fino a quando non verremo schiacciati: ma quello che è certo, e che ce ne andremo sempre e comunque con il botto, e lasciando un segno, una traccia, una cicatrice, una macchia indelebile sulle loro belle divise immacolate.


MrFord


"Aldol darkene triptizol 
noan anasclerol
valitran serpax vatran
psycoton seranase liserdol 
felison flunox control
quilibrex e lexotan."
Subsonica - "Depre" -




Partecipano follemente e forti come una montagna al Jack Nicholson Day:


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