martedì 11 aprile 2017

Io, Daniel Blake (Ken Loach, UK/Francia/Belgio, 2016, 100')




Alla fine della scorsa estate, in attesa del momento in cui Julez sarebbe tornata al lavoro dopo il periodo di maternità, mi preparavo a darle il cambio per passare qualche mese a casa con i Fordini così come avevo fatto nell'estate del duemilatredici, che si rivelò, difficoltà economiche a parte - decidere di mettersi in maternità o paternità facoltativa è decisamente tosto, considerato che si percepisce il trenta per cento del proprio stipendio -, la più bella della mia vita.
Per correttezza ed evitare qualsiasi ripercussione successiva, lavoravo il mio capo ai fianchi da mesi cercando di fargli digerire il fatto che sarei mancato nel periodo più caldo dell'anno - quello invernale -, lottando contro le sue neppure troppo velate speranze che potessi essere presente a dicembre: il giorno in cui gli comunicai che sarei sicuramente rimasto a casa almeno fino al trentuno gennaio, la sua reazione fu straordinariamente pacata, tanto che pensai "devo aver fatto proprio una bella opera di convincimento".
Peccato che, lo scoprii soltanto dopo, dai piani alti gli avessero comunicato il giorno prima di me che avremmo chiuso proprio con la fine dell'anno, e che dunque, di fatto, non sarei più tornato in quello che era stato il mio posto di lavoro - nonostante i cambi di gestione - dal novembre del duemilaquattro.
Trascorsa la paternità, dunque, dal dodici di gennaio scorso sono ufficialmente senza lavoro.
Niente drammi, per carità: ho vissuto ogni istante di questa nuova "avventura" come un'opportunità per ricominciare e reinventarmi, magari tentando di percorrere una strada che possa essere più vicina a quelle che sono le mie passioni.
Ma non è questo, quello di cui volevo parlare: in Italia al momento non esiste più la mobilità come la si conosceva, ma, in caso di licenziamento per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, si utilizzano piattaforme studiate affinchè il lavoratore stesso percepisca un'indennità di disoccupazione subordinata ad un patto di servizio stipulato dallo stesso con un'agenzia di collocamento o un ente che si occupi di ricollocazione che di mese in mese diminuisce fino allo scadere del periodo per il quale è diritto riceverla.
Il diciotto gennaio scorso, seguendo il percorso che lo Stato ha tracciato per il sottoscritto, ho fatto partire questa procedura, dovendo affrontare tutte le piccole e grandi menate burocratiche che anche online si fanno sentire - il sito della Regione Lombardia, in questo senso, è una vera merda, sappiatelo -, inviando i documenti di rito all'INPS e sottoscrivendo il suddetto patto di servizio.
Sono passati quasi tre mesi, da quel momento.
Tre mesi in cui ho fatto progetti alternativi per il mio futuro, oltre a godermi i Fordini, la casa ed il tempo a disposizione, e migliorare molto come casalingo.
Tre mesi in cui, dall'INPS e dallo Stato, non ho visto arrivare ancora nulla.
Tre mesi in cui il massimo sforzo dell'agenzia sono stati due incontri da due ore e mezza per aiutarmi a compilare per l'ennesima volta il curriculum ed inviarlo sfruttando le piattaforme assurde di alcuni siti molto noti di ricerca di lavoro ed un'offerta per un colloquio per un posto non certo di rilievo in una grande azienda al quale sarebbero seguiti due contratti da una o due settimane, ed in caso uno da tre o sei mesi.
E nel frattempo, se posso permettermi di percorrere le strade alternative di cui parlavo, posso farlo solo grazie ai soldi arrivati dal mio ex datore di lavoro, lo stesso per il quale ora mi ritrovo disoccupato.
Se non fosse che sono un ottimista, un ingordo di vita e abbia voglia davvero di cambiare, per me e per la mia famiglia, ci sarebbe quasi da piangere, nel pensare al grottesco di certe situazioni.
Dev'essere per questo, o perchè sono cresciuto in una famiglia in cui si è sempre lavorato, o perchè, semplicemente, come ai tempi del post dedicato all'ultima stagione di Spartacus, "non sono nato Romano", che Ken Loach mi arriva senza scorciatoie dritto al cuore.
Io, Daniel Blake è stato un colpo profondo e sofferto, di quelli come fu per My name is Joe.
Ed ancora una volta al termine di un film firmato dal più comunista tra i grandi registi europei - e non solo - mi sono ritrovato con il fiato corto e le lacrime agli occhi.
Io non sono un uomo tutto d'un pezzo come Daniel Blake: nella mia vita ho tradito, mentito, rubato, ho fatto in modo, con i mezzi che avevo ed ho avuto, di ritornare i colpi che ricevevo.
Non sono un puro. Anzi.
Ma so cosa significa aver voglia di far sentire la propria voce, così come avere la sensazione che nessuno, a parte chi ti ama davvero, farà nulla affinchè questo possa accadere.
Anche quando afferma il contrario.
So cosa significa farsi il culo, ed avere una dignità.
So cosa significa vederla in chi ci sta di fronte e magari, in quel momento, sta lavorando per noi.
Ma come cantava De Andrè, "Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza, fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni".
E quando i "poteri buoni" ci mettono alle strette, è importante, giusto, vitale far sentire quella voce.
La stessa che dice "Io sono Daniel Blake".
Fosse anche l'unica e l'ultima cazzo di cosa che facciamo.


 


MrFord 




 

12 commenti:

  1. Una splendida non-recensione Ford.
    Ti faccio i miei migliori auguri per il futuro, sinceri, con tutto il cuore.
    Queste righe sono per tutti quelli che additano Loach come "invecchiato" o "bolito", o di "dire sempre le stesse cose..."
    Andrebbero urlate, quelle cose.

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    1. Loach spacca, senza dubbio.
      E grazie, anche se io continuo ad essere ottimista.

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  2. Ottimo post, perlomeno nell'ambito dei post fordiani. :)

    La situazione lavorativa (e non solo) in Italia purtroppo è piuttosto tragica...

    Quanto al film, mi sa che in questo caso a me potrebbe piacere molto meno che a te, però visto il periodo chissà?

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    1. Voglio quasi sperare che questo film possa tornare a dividerci, altrimenti sarebbe più grave di quanto già non è, la situazione.
      E altro che Italia. ;)

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  3. Loach al suo meglio. Il film ha un'inarrivabile potenza emotiva (la sequenza in cui la protagonista mangia dalla scatola di pelati lascia attoniti) e un'estetica forse mai cosi asciutta. I temi di Loach ci sono tutti: la macchina statale che stritola le classi improduttive e la compassione come sprone per un futuro migliore. Ken si schiera sempre e questo stare sulle barricate rappresenta la grandezza del suo cinema. Indispensabile.

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    1. Verissimo.
      Uno dei film migliori di Loach.
      Asciutto, non retorico, emotivamente potentissimo.

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  4. Ce l'ho lì, devo solo trovare il tempo di guardarlo ma non vedo l'ora.

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    1. Recuperalo il più presto possibile.
      Merita alla grande.

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  5. Hey,mi dispiace per la situazione economica disastrata.
    Però forse è davvero il destino che ti serve una succosa occasione per cambiare decisamente rotta.
    Di Ken Loach non ho mai visto nulla,ed in una frase che hai scritto credo ci sìa il perchè ;)
    Anche se mi incuriosisce!Io la mente non la chiudo a nulla a prescindere ;)
    In bocca al lupo per tutto.

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    1. Spero anch'io possa essere così, ed avere occasione di cambiare.

      Per il resto, a prescindere dalle questioni politiche, credo che alcuni film di Loach, come questo, La parte degli angeli o My name is Joe andrebbero visti a priori.

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  6. Oh Ford, ti sono vicino anche io sono disoccupata e capisco quello che vuoi dire...ti abbraccio e mi segno questo film ^^

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