mercoledì 11 novembre 2015

La legge del mercato

Regia: Stephane Brizè
Origine: Francia
Anno: 2015
Durata: 93'





La trama (con parole mie): Thierry, padre di famiglia impiegato per una vita in un'azienda tessile, perde il lavoro e si ritrova intrappolato nel circolo vizioso degli impieghi a tempo determinato, i corsi di formazione senza futuro ed una condizione economica sempre più precaria.
Quando, finalmente, riesce a trovare un impiego fisso come guardia di sicurezza presso un centro commerciale, scopre l'altro lato della medaglia della crisi: piccoli furti perpetrati da anziani pensionati o insospettabili, controlli serrati su cassiere e dipendenti, momenti di durezza anche rispetto ai colleghi richiesti da un ruolo che non è suo ma che, di fatto, diventa una vera e propria necessità.
Luci e ombre del mondo del lavoro e di una realtà che rende l'impiego una lotta per la sopravvivenza.








Il mondo del lavoro è davvero una brutta bestia.
Considerato che, di fatto, il luogo di lavoro è quello che viviamo maggiormente - spostamenti compresi - nel corso di una giornata standard, e che spesso vediamo i nostri colleghi più tempo di quanto non ci capiti con famiglia ed amici, la tranquillità e, di contro, lo stress provati nel quotidiano in ufficio, in negozio, in fabbrica o qualunque cosa sia, finiscono per incidere in misura decisamente importante sulla nostra vita.
Nel corso degli anni, almeno in un paio di occasioni mi è capitato di provare sulla pelle la spiacevole sensazione data dal timore di rimanere senza lavoro, ed in casa Ford abbiamo sperimentato - questa volta rispetto a Julez - cassa integrazione e mobilità per periodi di tempo decisamente importanti: personalmente, inoltre, ammetto di aver attraversato i miei momenti peggiori - e quelli che hanno tirato fuori il peggio di me - proprio a seguito di problemi avuti nell'ambito lavorativo.
La legge del mercato, uscito in sordina nonostante il premio - meritatissimo - ricevuto da Vincent Lindon come migliore attore all'ultimo Festival di Cannes, ed accolto tiepidamente - almeno sulla carta - anche dal sottoscritto, si è rivelato uno dei racconti più lucidi delle ultime stagioni proprio rispetto alle problematiche economiche, sociali e personali legate alla nostra identità d'impiego, che nel caso del protagonista della pellicola assumono dimensioni ancora più preoccupanti legate all'età anagrafica: il supplizio degli inutili corsi di formazione, dei contratti a tempo determinato, dei colloqui senza oggettive possibilità di assunzione, la ricollocazione professionale, la preoccupazione pratica rispetto ai conti da pagare - quasi agghiacciante la sequenza in cui la consulente della banca suggerisce a Thierry di vendere la casa, e sentendosi rispondere negativamente, vira sulla proposta di un'assicurazione sulla vita da considerare in caso di decesso dell'utente, ovvero Thierry stesso - ed infine, una volta raggiunto lo scopo e ritrovato un posto fisso, il confronto con la spigolosità dell'incarico - addetto alla sicurezza in un centro commerciale, che all'apparenza potrà sembrare una cosa da poco, ma che in realtà si rivela una cartina tornasole della realtà della crisi - "Un ladro non ha colore, non ha età, o stato sociale", avvisa un collega di Thierry, concetto espresso alla grande dalla sequenza legata al fermo del pensionato che non si può permettere la spesa intera, o il controllo rispetto alle cassiere del centro, a tutti gli effetti colleghe -.
Una pellicola, dunque, durissima e spietata ma non per questo drammatica a tutti i costi, quasi una versione "light" delle tragedie inseguite dai Dardenne, che farà storcere il naso al pubblico occasionale - che, con ogni probabilità, definirà il lavoro di Stephane Brizè noioso nonostante il minutaggio limitato ed una scorrevolezza che io ho trovato notevole per l'argomento trattato - e che potrebbe, proprio per la mancanza di grandi scene madri ed a causa di una struttura che vede susseguirsi lunghi piani sequenza legati ai dialoghi tra gli attori con inquadratura spesso fissa, scontentare perfino i radical.
Non che questo mi spaventi, o che debba spaventare chiunque possa essere incuriosito dalla visione: La legge del mercato è Cinema sociale puro e semplice, diretto come la vita, e proprio come il suo quotidiano senza acuti: ma l'insieme, quello sì, che è potente.
Come un collettivo vincente a fronte di un singolo formidabile ma incapace di regalare la vittoria alla squadra.




MrFord




"L’inferno e’ solamente una questione temporale
a un certo punto arriva punto e basta
a un certo punto anch’io uso l’ingresso principale e
hanno detto avete perso il posto
e’ vero il mio lavoro e’ sempre stato infame
ma l’ho chiamato sempre il mio lavoro
e c’han spostato sempre un po’ più avanti la pensione
ma quello adesso e’ l’ultimo pensiero."

Ligabue - "Non ho che te" - 






18 commenti:

  1. Come sai, nonostante l'importanza del tema trattato, il realismo, l'attualità , la bravura di Lindon e tutto quello che il film significa ecc.ecc. non mi ha convinto del tutto (a livello "filmico", non del messaggio). Come avevo detto, è ovvio che è scarno ed essenziale in maniera voluta, ma pure troppo.

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    1. Mi ricordavo la tua recensione, e quando l'ho visto ci ho ripensato parecchio: eppure a me è piaciuto un sacco, e l'ho trovato davvero tosto e sentito.

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  2. Decisamente non il nostro genere....passiamo!
    Ci sono altri film sul tema che vorrei recuperare.

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    1. Beh, il pilastro di questo genere è Ken Loach, ma non credo che sia il vostro genere neanche lui! :)

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  3. I film con inquadrature fisse negli ultimi tempi mi stanno acchiappando, vedi il Kreuzweg di oggi.
    I film esaltati da WhiteRussian però mi acchiappano molto meno, quindi non so.
    Se è più Dardenne che Loach potrebbe anche piacermi...
    Nel complesso mi sa parecchio più di fordianata che di cannibalata. Purtroppo. :)

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    1. Sicuramente è più una fordianata, ma ricordando i Dardenne - pur se non così disperato - potrebbe perfino piacermi, almeno quanto potrebbe perfino piacere a me Kreuzweg.

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  4. moooolto Dardenne....anche troppo....

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    1. Secondo me, invece, va benissimo così.
      Non troppo drammatico, ma profondamente vero.

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  5. Mi ricorda "Due giorni, una notte", pellicola che ho apprezzato tantissimo anche grazie alla sua straordinaria interprete che in quanto a trasmettere emozioni non è seconda a nessuni nell'attuale panorama cinematografico.
    Un verismo spietato dunque, ma che fa riflettere e talvolta stare male, ma sono sensazioni che di questi tempi in tanti stiamo provando. Non ci resta che lottare.

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    1. In effetti può essere associabile a Due giorni, una notte.
      Realismo spietato, ma non eccessivamente spinto verso la lacrima o il drammone senza speranza.
      Per me, da vedere.

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    2. Era esattamente questo,il film che mi veniva in mente!
      Più che Ken Loach :)

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    3. In realtà i Dardenne di norma sono anche più disperati di Loach.
      Fortunatamente in quel film, come in questo, la normalità funge anche da spiraglio per la speranza.

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  6. Bellissimo film, come ho scritto anche dalle mie parti.
    Una cosa in particolare mi ha colpito: l'ultima parte, quando ci vengono mostrati i furtarelli compiuti dalle commesse del supermercato. E' inquietante pensare che le telecamere servano più che altro per punire loro, per permettere all'azienda di raggiungere quegli obiettivi di riduzione del personale "frenati" dagli accordi sindacali... questo, ovviamente, senza voler giustificare chi ruba. Ci mancherebbe.

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    1. Concordiamo in pieno, Kris.
      Ottimo film recitato alla grande da Lindon.
      Per quanto riguarda la questione dei furti "interni", negli esercizi commerciali è praticamente una prassi che il personale della sicurezza controlli i dipendenti quasi prima degli avventori.
      In questo senso, il film fotografa benissimo la realtà.

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  7. Colpo di stile la canzone finale XD
    Ne avevo sentito parlare da Fazio e mi ispirava particolarmente. Spero di riuscire a vederlo.

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    1. Il film merita.
      Non sapevo ne avesse parlato Fazio, altrimenti ne avrei avuto paura. ;)

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  8. Bella recensione, ho notato dopo quella di Kelvin che è un tema molto sentito, seppur in modo diverso. Il mondo del lavoro è una gran brutta bestia sì. :(

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    1. Il mondo del lavoro è davvero una bestiaccia, e questo film lo mostra molto bene.
      Recuperalo.

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