lunedì 26 aprile 2010

Pulp fiction

Il film giusto, nel posto giusto, al momento giusto.
Non c'è altro modo per definire quello che, senza dubbio, è il film simbolo degli anni '90, culto e straculto totale ancora prima di invecchiare abbastanza per essere definito tale.
Tarantino, allora alla sua seconda vera prova dietro la macchina da presa, aveva il difficilissimo compito di mostrarsi all'altezza delle aspettative costituitesi dopo il suo fulminante esordio, quel Le iene che ancora contende, proprio a Pulp fiction, il primato nel cuore dei fan del regista di Knoxville: e nientepopodimeno, questo "secondo atto", viene presentato a Cannes, cuore della critica dura e pura e ultima roccaforte del cinema autoriale europeo, quanto di più lontano si possa trovare dal verbo tarantiniano.
E Quentin che fa!? Specifica subito, in apertura, quello che andrà a mostrare al pubblico: pulp è materia sporca, dura, sorniona, seducente e cattiva, che più di una volta può far ridere, e ancor più ridere di te che la guardi a bocca aperta come si osserva rapiti uno scarafaggio rigirato.
Pulp è come una sorta di overdose, per dirla come Mia Wallace: "Ho detto cazzo, che botta, che botta cazzo!"
Così, sulle note martellanti di Misirlov Tarantino parte, e scardina la struttura temporale convenzionale per raccontare tre storie che si intrecciano e si sfiorano, dagli esiti e dalle atmosfere completamente differenti, con protagonisti che sono comparse negli altri capitoli e comparse che divengono protagonisti, inanellando una sequenza di scene memorabili di proporzioni bibliche, che renderebbe ogni recensione, post o quant'altro una pressochè interminabile serie di citazioni di dialoghi, movimenti di macchina, canzoni, momenti da ricordare.
Che poi non sono momenti, perchè Pulp fiction si ricorda tutto, dall'inizio alla fine, dalle scene importanti - l'appartamento di Brad e soci, l'overdose di Mia, Zed e compagni, Wolf e la caffetteria - a quelle apparentemente di contorno - Zucchino e Coniglietta, l'acquisto dell'eroina, la storia dell'orologio d'oro -, e diviene, in qualche modo, uno specchio perfetto di quello che è il prodotto "sporco" americano, quasi fosse erede di una grande tradizione letteraria o musicale, senza però mostrare tutta l'ostentazione tipica del Vecchio Continente.
E se è vera l'affermazione, per dirla come Butch, "sono americano, i nostri nomi non significano un cazzo", è altrettanto vero che questo "un cazzo" portato sul grande schermo da Tarantino è quanto di più rivoluzionario, stupefacente, incredibile il cinema a stelle e strisce abbia sfornato negli ultimi vent'anni: potrà non sembrare un capolavoro a prima vista - tutti possono avere problemi, del resto -, e certo è poco paragonabile a grandi pellicole di struttura classica che, nel complesso, possono essergli superiori, ma è quanto di più sperimentale, d'avanguardia e innovativo si possa pensare rispetto alla storia recente della settima arte.
Nonostante il vecchio Quentin l'abbia tirato fuori da un mucchio di materia melmosa e putrescente di chiara origine precedente.
Non avrà creato nulla, ma cazzo, dalla merda ha tirato fuori un signor cioccolato.
Ed ecco che, addirittura, finisce per vincerla, quella Palma d'oro.
Con buona pace dell'Europa.
E volete sapere chi era a presiedere la giuria del Festival, in quel lontano 1994?
Un signore che si chiama Clint Eastwood.
Per premiare un'opera come questa non bisogna essere coraggiosi, ma spietati.

"Get down with the boogie!"
MrFord

1 commento:

  1. Peccato per l'illusione di poter vedere il BRUCE nudo... aspettativa disattesa!
    :D

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