giovedì 1 aprile 2010

Il mambo degli orsi

Joe R. Lansdale è un gran figlio di buona donna. Con uno stile fantastico.
Hap e Leonard, protagonisti di una serie di sette (per ora) romanzi sono da annoverare in quel ristrettissimo gruppo di personaggi capaci di entrare nel cuore dei lettori almeno quanto sono radicati in quello del loro creatore, che non ha paura a strapazzarli, a mostrarli per quello che sono, a farli sbagliare per poi dare loro una mano ad alzarsi rendendoli al contempo più umani possibile.
Il mambo degli orsi, terzo capitolo della serie loro dedicata, raccoglie l'eredità profondamente violenta del noir che definì la parte conclusiva di Una stagione selvaggia, prima avventura dei due improvvisati detective/avventurieri, e l'umorismo al vetriolo legato ad un indagine complessa e ricca di sfumature che aveva costituito l'ossatura di Mucho mojo, il romanzo successivo.
Eppure, all'interno de Il mambo degli orsi, c'è qualcosa in più.
Hap e Leonard, con le loro battute pronte e il cuore sempre oltre l'ostacolo, questa volta le prendono. E di brutto. Giusto per ricordarci che nessuno di noi è invincibile, e che, usando le parole di Charlie, poliziotto aficionado del K-Mart amico dei nostri due ragazzacci "c'è sempre qualcuno più forte, più furbo e più cattivo di te."
La differenza starà nel non arrendersi a se stessi, più che a chi ha fatto loro sputare sangue, e all'idea che un avvenimento traumatico può cambiare anche il più coraggioso ed impulsivo degli uomini.
Come se non bastasse, ci sono un mucchio di sfumature così incredibilmente variegate da poter controscrivere un saggio. Ma non sarebbe cosa che Lansdale apprezzerebbe.
Joe R., tutto pane e salame, si prenderebbe giusto uno di quei momenti di riflessione da veranda, come Hap in chiusura di romanzo, sospirando e gustandosi un sigaro, una birra o semplicemente le stelle.
Il mambo degli orsi è selvaggio, oscuro, ostile, ingiusto, violento e cattivo.
Ma anche pieno di passione, di quella che permette agli uomini come Hap e Leonard di sopravvivere, tutto sommato.
E di scoprire che il bigottismo e la cultura sudista delle peggiori, quella che sottintende il KKK e i suoi lenzuoli, non è diffuso fino in fondo al cuore di uomini con le palle così grosse da scendere quasi alle ginocchia, e che a volte il delitto, e il sangue, sporcano le mani di chi porta dentro peccati più antichi e terribili, che vanno ben oltre il razzismo, e che, forse, sono proprio alle sue radici.
Figlio di tanto padre, verrebbe da dire pensando a Tim.
Perchè il vecchio Jackson, ricco, bello e potente ce la fa, e ha tutta l'aria di chi ce la farà sempre. Almeno fino alla fine. E quella arriva inesorabile, anche se spesso non è così giusta come si potrebbe sperare.
Come la natura e la sua pioggia purificatrice, crudele e feroce come il Destino.
Destino che non risparmia Hanson e Florida, entrambi uccisi per non aver mosso un passo oltre, o forse proprio per averlo fatto. O forse per averlo fatto senza che un Hap o un Leonard guardasse loro le spalle.
E' una triste storia, quella dell'ex fidanzata - o presunta tale - di Hap e del poliziotto che l'aveva soffiata al nostro amico, che suscita rabbia e malinconia, proprio perchè profondamente umana nella sua annunciata e tragica conclusione.
E in quel momento, nel pieno dell'alluvione, con Hap appeso a un albero e alla vita e il cadavere di Florida quasi crocefisso dalla marea proprio di fronte a lui, pare quasi che il Destino tracci un confine, fra chi ce l'ha fatta e chi no. E non è mai una cosa troppo allegra.
Come non è allegro pensare che così come Jackson l'ha scampata, l'hanno scampata Hap e Leonard. E che anche per loro arriverà, inesorabile, una fine.
Quella è la marea che nessuno può combattere, e che non ci sarà albero che tenga quando verrà il nostro momento.
Ma fintanto che dura, è bello pensare che Hap e Leonard sono in giro, un pò come direbbe Lo straniero del Drugo.
Ed è quasi più bello pensare che in giro ci sia anche un certo Joe R. Lansdale, che oltre al sensei continua ad avere voglia di fare anche lo scrittore, come un vecchio - ma neanche troppo - bastardo dannatamente, fottutamente bravo.

"And then I see a darkness."
MrFord

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