martedì 27 aprile 2010

Agora

Confesso di aver avuto dei pregiudizi, a proposito dell'ultima fatica di Amenabar, anche prima che le luci si spegnessero e iniziassero le due ore di peplum in stile cinema finto autoriale: del resto, se The others era passabile - ma comunque una copia ottocentesca de Il sesto senso - Mare dentro era una paraculata al 100%, così irritante da far dimenticare anche quello che, di buono, poteva esserci, appunto, dentro.
Simile, seppur inserito in una cornice completamente diversa, si è rivelato essere Agora.
Tante parole, interessanti premesse - quasi shakesperiane - per arrivare, in conclusione, a quello che i filosofi erano soliti definire "una bella mazza".
Questo senza contare che in fase di scrittura Amenabar non è proprio un Terrence Malick, e che il suo approccio alla regia è di quelli che più fanno incazzare gli appassionati di cinema, perchè provocano il fastidioso effetto finto autoriale che porta gente improbabile a dire cose del tipo "ho visto uno di quei film che piacciono a te" e cose simili.
Quasi peggio dei radical chic alla ricerca dei brividi solo con i film di Desplechin.
In realtà, Agora - e le pellicole di questo stampo - non sono affatto "quei film che piacciono a te", e pur non essendo schifezze inguardabili - lo ammetto senza problemi, meglio dieci Agora che un Lebanon, tanto per tirarlo di nuovo in mezzo - sono assolutamente ininfluenti nel percorso di una persona all'interno di quella meraviglia di mondo che è il Cinema.
Ed è anche un peccato, perchè sicuramente dalla storia di Ipazia si poteva trarre molto più che un semplice melò percorso da polemiche - neppure poi così scandalose come l'Italia governata dal Vaticano temeva - religiose all'indirizzo del cristianesimo e pillole di scienza in stile trasmissione tv: così come dal triangolo che attorno alla stessa filosofa si forma, quei tre uomini così diversi tra loro capaci di nascondere dietro politica, religione e rancore personale il fatto che, molto semplicemente, volevano lei senza mezzi termini.
I temi della libertà di pensiero e dei peccati dei culti di tutti i tempi - quel signore che professava che la religione fosse l'oppio dei popoli non lo diceva propriamente a torto -, soprattutto filtrati da una filosofia - che caso! - che avrebbe rimembrato Eyes wide shut - domanda: "E ora cosa dobbiamo fare?" Risposta: "Scopare." - di certo sarebbero stati linfa preziosissima per la penna di uno sceneggiatore come si deve e di un regista con voglia di fare, più che di stupire.
Se penso a quelle visioni da satellite che partono dalle stelle per arrivare lungo le strade di Alessandria o al ribaltamento dell'inquadratura durante l'assalto dei cristiani all'università e alla biblioteca pagane un brivido di terrore percorre inesorabile la mia schiena.
Ma, del resto, Amenabar è un pupazzo.
E questa l'avevo promessa.
Senza contare il fatto che, sottilmente, è un piacere.

"Giù dalla torre,
butterei tutti quanti gli artisti."
MrFord

1 commento:

  1. Bravo, promessa mantenuta.
    MA:
    perchè fare un film su una "femminista" irritando tutte quelle che per caso sono finite a vedere questo "Beautiful" imbellettato?

    Detto questo:
    sei il migliore!

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