Regia: Simon Rumley
Origine: Usa
Anno: 2010
Durata: 104'
La trama (con parole mie): siamo nella provincia profonda del Texas, nel pieno dei non luoghi della cultura dei losers made in Usa.
Erica si arrangia con lavori di fortuna, uscendo poi la sera e finendo a letto ogni volta con un uomo diverso, con la promessa di non innamorarsi e non scopare mai due volte con la stessa persona.
Nate è un reduce dell'Iraq, lavora in un grande magazzino specializzato in ferramenta e da lontano segue le vicende della ragazza, cercando di essere gentile con lei ed aiutarla.
Franki è un giovane aspirante musicista che ha appena rotto con la fidanzata, e quando non è con la band passa il tempo ad accudire la madre che lotta contro il cancro.
Quando Erica finirà a letto con Franki ed il suo gruppo, le esistenze dei tre si legheranno indissolubilmente, esplodendo in un dramma senza speranza.
Prima di cominciare, una doverosa segnalazione per Eraserhead ed Einzige, che mi hanno incuriosito a tal punto da recuperare questo film.
Evidentemente è l'anno giusto per l'analisi del confine terribile che, nel cuore della nuova Frontiera di un West senza più alcuna aura di mito e leggenda lascia soltanto una scia di morte e disperazione, e soltanto un filo di speranza cavalcato come in un rodeo folle da pochi coraggiosi pronti a sacrificarsi: Red State e Winter's bone sono stati, in questo senso, i titoli di riferimento per questo 2011 che ha portato alla ribalta anche Lucky McKee e, per l'appunto, Simon Rumley.
Curioso - ma non troppo - quanto, in patria, tutti questi titoli non siano stati riconosciuti da pubblico e critica quanto avrebbero meritato, probabilmente frenati da una denuncia cui gli statunitensi restano molto sensibili, nel bene o nel male, legata ai nervi scoperti e celati dall'immensità della loro provincia ormai clamorosamente a fatica: il lavoro di Rumley, da questo punto di vista, resta uno dei più tosti e terribili passati sugli schermi di casa Ford negli ultimi anni.
Le vite di Erica, Nate - un ottimo Noah Taylor, che ho sempre trovato bravo quanto sottovalutato dai tempi di Shine - e Franki sono emblemi delle esistenze fagocitate da un sistema che digerisce la vita e lascia sulle spalle dei suoi "scarti" le scorie di un mondo desolato, quasi come in una società a struttura piramidale in cui la merda piove a cascata dall'alto fino a seppellire gli ultimi della fila, gli schiavi che arrancano alla base portando sulle spalle il peso di quella che dovrebbe essere la grandezza del loro popolo.
Quello che lascia attoniti - e va oltre un certo gigioneggiamento che potrebbe risultare irritante del regista, soprattutto rispetto al gusto per l'immagine, alla fotografia e al montaggio - è la drammatica ineluttabilità che colpisce i protagonisti della vicenda, costretti dal mondo a giocare da outsiders e scortati al macello dal Destino che li aizza uno contro l'altro, da Erica a Franki, da Franki a Erica, da Nate a Franki.
In particolare, nonostante le figure della donna e del veterano siano a loro modo certamente più importanti se rapportate alla società Usa di oggi, sono rimasto profondamente colpito dalla storia del giovane musicista: la rottura con la fidanzata, l'incontro con Erica e lo sfogo delle proprie frustrazioni - di vita, sessuali e musicali -, il rapporto con la madre, la rivelazione peggiore nel momento migliore e dunque un tentativo di riportare la pace in un mondo in cui l'ordinarietà sembra data dal combattere, giusto in tempo perchè tutto precipiti ed esploda di nuovo per mano di Nate, reduce da una guerra che pare una battaglia, rispetto al combattimento che lo vede protagonista ogni dannato giorno della dannata vita, in un crescendo finale che pare la versione allucinata del già terrificante Dead man's shoes.
Una pellicola spietata, agghiacciante, fredda come il mondo che, da buon cavaliere errante, mastica Erica, Franki - e sua madre - e Nate prima di sputarli tutti quanti nella terra brulla, come tabacco da masticare: tornano alla mente Ree e Teardrop, il nulla e l'addio eastwoodiani, le morti senza senso dei giovani liceali di Kevin Smith e Gus Van Sant, la rivolta della Natura di McKee, il Liberty Valance di John Ford, in cui "nel West, quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda".
I tempi sono cambiati, e la Frontiera si è evoluta.
Il sogno è finito, e la sveglia è anche peggio di una nottata da sbronzi in cui si finisce a letto con la prima persona che capita.
Non basterà una doccia.
Questo Nuovo Mondo vuole sangue.
MrFord
Evidentemente è l'anno giusto per l'analisi del confine terribile che, nel cuore della nuova Frontiera di un West senza più alcuna aura di mito e leggenda lascia soltanto una scia di morte e disperazione, e soltanto un filo di speranza cavalcato come in un rodeo folle da pochi coraggiosi pronti a sacrificarsi: Red State e Winter's bone sono stati, in questo senso, i titoli di riferimento per questo 2011 che ha portato alla ribalta anche Lucky McKee e, per l'appunto, Simon Rumley.
Curioso - ma non troppo - quanto, in patria, tutti questi titoli non siano stati riconosciuti da pubblico e critica quanto avrebbero meritato, probabilmente frenati da una denuncia cui gli statunitensi restano molto sensibili, nel bene o nel male, legata ai nervi scoperti e celati dall'immensità della loro provincia ormai clamorosamente a fatica: il lavoro di Rumley, da questo punto di vista, resta uno dei più tosti e terribili passati sugli schermi di casa Ford negli ultimi anni.
Le vite di Erica, Nate - un ottimo Noah Taylor, che ho sempre trovato bravo quanto sottovalutato dai tempi di Shine - e Franki sono emblemi delle esistenze fagocitate da un sistema che digerisce la vita e lascia sulle spalle dei suoi "scarti" le scorie di un mondo desolato, quasi come in una società a struttura piramidale in cui la merda piove a cascata dall'alto fino a seppellire gli ultimi della fila, gli schiavi che arrancano alla base portando sulle spalle il peso di quella che dovrebbe essere la grandezza del loro popolo.
Quello che lascia attoniti - e va oltre un certo gigioneggiamento che potrebbe risultare irritante del regista, soprattutto rispetto al gusto per l'immagine, alla fotografia e al montaggio - è la drammatica ineluttabilità che colpisce i protagonisti della vicenda, costretti dal mondo a giocare da outsiders e scortati al macello dal Destino che li aizza uno contro l'altro, da Erica a Franki, da Franki a Erica, da Nate a Franki.
In particolare, nonostante le figure della donna e del veterano siano a loro modo certamente più importanti se rapportate alla società Usa di oggi, sono rimasto profondamente colpito dalla storia del giovane musicista: la rottura con la fidanzata, l'incontro con Erica e lo sfogo delle proprie frustrazioni - di vita, sessuali e musicali -, il rapporto con la madre, la rivelazione peggiore nel momento migliore e dunque un tentativo di riportare la pace in un mondo in cui l'ordinarietà sembra data dal combattere, giusto in tempo perchè tutto precipiti ed esploda di nuovo per mano di Nate, reduce da una guerra che pare una battaglia, rispetto al combattimento che lo vede protagonista ogni dannato giorno della dannata vita, in un crescendo finale che pare la versione allucinata del già terrificante Dead man's shoes.
Una pellicola spietata, agghiacciante, fredda come il mondo che, da buon cavaliere errante, mastica Erica, Franki - e sua madre - e Nate prima di sputarli tutti quanti nella terra brulla, come tabacco da masticare: tornano alla mente Ree e Teardrop, il nulla e l'addio eastwoodiani, le morti senza senso dei giovani liceali di Kevin Smith e Gus Van Sant, la rivolta della Natura di McKee, il Liberty Valance di John Ford, in cui "nel West, quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda".
I tempi sono cambiati, e la Frontiera si è evoluta.
Il sogno è finito, e la sveglia è anche peggio di una nottata da sbronzi in cui si finisce a letto con la prima persona che capita.
Non basterà una doccia.
Questo Nuovo Mondo vuole sangue.
MrFord
"Well my hairs turning white
my necks always been red
my collars still blue
we've always been hear
just trying to sing the truth to you
guess you could say we've always been Red White and Blue."
my necks always been red
my collars still blue
we've always been hear
just trying to sing the truth to you
guess you could say we've always been Red White and Blue."
Lynyrd Skynyrd - "Red, White&Blue" -
Grazie per la citazione Mr.! Hai detto tutto e bene, sicuramente è l'America che più voglio vedere nel cinema perché in realtà parla del mondo in cui viviamo noi stessi.
RispondiEliminaquesto ce l'ho pronto da vedere (sempre su segnalazione di einzige e quindi di rimando a eraserhead)
RispondiEliminai tre bicchieri sono di ottimo auspicio!
Eraser, de nada! Citazione doverosa!
RispondiEliminaE' importante che frontiere come questa vengano mostrate, anche perchè ormai sono parte del retaggio culturale del mondo occidentale, e non solo più degli Usa.
Dici bene: in questo mondo viviamo noi per primi.
Frank, vedrai che non resterai deluso.
RispondiEliminaQuesta è la nuova frontiera degli Usa e non solo - come si diceva con Eraser -.
Mi hai fatto venire una voglia matta di vederlo. Proprio una bella recensione. Poi a me queste trame tra il disperato ed il depresso (se c'è qualcuno che suona poi) piacciono un sacco.
RispondiEliminase è interessante quanto il pessimo red state, siamo messi male, siamo messi :)
RispondiEliminaGae, non si suona molto, ma di certo alla fine della visione difficilmente si può rimanere indifferenti.
RispondiEliminaCannibale, meno male! Cominciavo ad avere nostalgia del tuo cattivo gusto! :)
L'ho visto proprio due giorni fa, sempre seguendo il consiglio di Einzige e quindi di Eraserhead! :D
RispondiEliminaDavvero un gran bel film, triste e potente. Giusto sottolineare il disturbante crescendo finale.
Ottimista, concordo in pieno sul film, ovviamente, e anche sui meriti di Einzige ed Eraser. ;)
RispondiEliminaIl finale non poteva proprio perdersi la citazione, davvero una bomba.
James ti ringrazio (un po' in ritardo) per la citazione e mi complimento per la rece, davvero ottima!
RispondiEliminad'accordissimo con te nel sottolineare la bravura di Noah Taylor, strepitoso in questo ruolo, e il paragone con Dead Man's Shoes (non so perché non mi era venuto in mente :)).
sacrosanta l'ultima cosa che scrivi: quando si fa un cinema della Frontiera (umana, sociale, geografica) non si può fare a meno di ispirarsi a John Ford.
Einzige, de nada! Grazie a te dei complimenti!
RispondiEliminaJohn Ford è un mito della Frontiera, del Cinema e non solo: per me resta uno dei migliori registi della Storia del Cinema, e viene quasi naturale per i talenti più "giovani" confrontarsi con il suo lascito!
visto e finalmente torniamo a discordare radicalmente:
RispondiEliminal'ho trovato un film di rara bruttezza, con una regia e un montaggio frammentati in maniera fastidiosa, un'atroce colonna sonora, personaggi tutti uno più idiota e vuoti dell'altro. e poi il film si prende troppo sul serio, arrivando nel finale a toccare vertici di involontaria comicità peggio dell'ultimo di almodovar.
una vera schifezza di cui non salvo niente (e noah taylor io mai l'ho sopportato, tiè)
se winter's bone tra i film citati è l'unico che ha ricevuto la giusta considerazione e robe come questa o red state sono stati ignorati un motivo ci sarà...
Cannibale, fortunatamente torniamo a divergere!
RispondiEliminaCominciavo a temere che l'antagonismo si fosse sopito, tra donne e film: meno male che ci pensa la tua mancanza di gusto cinematografico a riportarci sulla retta via! ;)