Visualizzazione post con etichetta metal. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta metal. Mostra tutti i post

venerdì 4 dicembre 2015

Deathgasm

Regia: Jason Lei Howden
Origine: Nuova Zelanda
Anno: 2015
Durata: 86'






La trama (con parole mie): Brodie è un adolescente all'ultimo anno di liceo borderline e problematico. Separato dalla madre a causa dei problemi di quest'ultima dai servizi sociali ed affidato agli zii, il ragazzo si rifugia nella musica - in particolare heavy metal - per cercare di vincere le proprie insicurezze e sfogare la rabbia accumulata nel corso degli anni.
Emarginato a scuola e legato soltanto ad un paio di amici molto nerd, insieme all'altrettanto sopra le righe Zakk viene in possesso di un misterioso spartito consegnato loro da un ex cantante metal in fuga da una strana organizzazione di individui: quando, con la band che nel frattempo hanno messo in piedi, i ragazzi tentano di eseguire il brano recuperato, strani fenomeni cominciano a verificarsi in città.
Questo perchè le note rispolverate dai Deathgasm altro non sono che un inno oscuro volto a risvegliare ed evocare un demone potentissimo, contro il quale Brodie, Zakk ed i loro compagni dovranno lottare fino all'ultima goccia di sangue.










Me lo sono dovuto sudare, questo Deathgasm.
Il tam tam della blogosfera aveva portato all'orecchio del sottoscritto il valore dell'ennesimo e sorprendente film che, nel corso di questa stagione, finiva per omaggiare e pescare a piene mani dall'immenso bacino immaginifico che sono stati gli anni ottanta, all'interno dei quali ho nuotato con grande piacere sia da bambino che da adulto, alimentando a dismisura l'hype dei Ford tutti - o quasi -.
Il bacino ancora più immenso della rete, però, ha finito per ingaggiare con il sottoscritto una vera e propria battaglia, sanguinosa e sfiancante, che mi ha visto vincitore quando, finalmente, armato di alcool e spuntino, ho potuto passare una serata avvolto dalle atmosfere folli che la Nuova Zelanda non mi regalava dai tempi del primo, favoloso Peter Jackson - omaggiato da Jason Lei Howden grazie ad una fantastica t-shirt di Bad Taste, un cult assoluto che tutti gli appassionati di horror dovrebbero vedere almeno una volta nella vita -: Deathgasm è, di fatto, un vero e proprio omaggio non solo ad un decennio indimenticabile, ma anche a quella fase della vita in cui, se non si è vincenti predestinati o sfigati senza speranza, ci si ritrova in quel limbo chiamato adolescenza senza sapere bene da che parte girarsi per prendere fiato e cominciare a vivere davvero.
Il risultato è stato puro godimento dal primo all'ultimo minuto, grazie ad un cocktail forse grezzo e sicuramente artigianale ma di pancia, sentito in ogni fotogramma, figlio di un amore incondizionato per il Cinema - a prescindere dal genere - e perfetto per raccontare la rivincita di un certo tipo di nerd che passa gli anni delle superiori a sudarsi ogni conquista e poi si ritrova a godere della rendita una volta cresciuto: e dai riferimenti alle band ed alla logica di avvicinamento del metallaro "classico" - bellissima la sequenza in cui Brodie e Zakk si conoscono nel negozio di dischi - ai sogni larger than life immaginati sulle note dei pezzi preferiti, passando per sangue, possessioni, risate ed un finale che bussa alla porta de La casa senza dimenticare l'ironia de L'armata delle tenebre - e, ovviamente, tutto il primo Peter Jackson, come già sottolineato -, non è passato un singolo fotogramma del lavoro firmato da Jason Lei Howden che non mi abbia fatto pensare a quanto avrebbe fatto letteralmente impazzire il mio amico Emiliano, che ricordo quando, già dalle medie, si materializzava nell'allora casa Ford con le sue t-shirt degli Iron Maiden e l'inizio dell'amore per la Musica che lo accompagnò tutta la vita, partendo proprio dall'heavy.
Tutto questo senza contare i riferimenti alla classica trama da riscatto dell'outsider che da I Goonies a Karate Kid ha posto le fondamenta per quello che sono ora, settima arte oppure no, con tanto di reginetta del ballo che finisce per essere conquistata dal fascino di chi, nella vita, è condannato a lottare per ogni successo, e con tutti i mezzi possibili: probabilmente allo stato attuale delle cose io sarei più uno Zakk che non un Brodie, decisamente più simile a com'ero ai tempi delle superiori - esilaranti, in proposito, anche i riferimenti ai giochi di ruolo dei due amici nerd del protagonista -, ma poco importa.
Deathgasm è un vero e proprio momento di spaventosa esaltazione per tutti gli appassionati di musica ed horror movies, di eighties e di stronzate raccontate tra amici, di tripudi di alto volume, sesso ed emozioni buttate fuori a squarciagola o attraverso un assolo dirompente di chitarra: probabilmente i radical, i puritani, i perbenisti o tutti quelli che ancora pensano che il metal sia l'anima del diavolo non apprezzeranno, ma sinceramente, chi se ne fotte.
Questa è roba forte.
E se poi si dovesse scoprire che è davvero in grado di aprire le porte dell'Inferno, allora vorrà dire che ci attrezzeremo per prendere a calci in culo anche chi viene dalle fiamme eterne.




MrFord




"Well I'm an axegrinder piledriver
mother says that I never never mind her
got no brains I'm insane
teacher says that I'm one big pain
I'm like a laser 6-streamin' razor
I got a mouth like an alligator
I want it louder
more power
I'm gonna rock ya till it strikes the hour
bang your head! metal health'll drive you mad
bang your head! metal health'll drive you mad."
Quiet Riot - "Metal health (Bang your head)" -





sabato 28 febbraio 2015

Stage fright

Regia: Jerome Sable
Origine: Canada
Anno: 2014
Durata:
89'





La trama (con parole mie): Kylie Swanson, diva in ascesa del musical, la notte del suo più clamoroso successo come protagonista di uno spettacolo che ricorda Il fantasma dell'Opera viene barbaramente uccisa lasciando orfani i suoi due figli, accolti come da un padre da parte del produttore e compagno della donna, Roger McCall. 
Dieci anni dopo Camilla e Buddy, al lavoro come inservienti nel campo estivo basato proprio sulla cultura del musical diretto da Roger, vengono a scoprire che verrà organizzato da studenti ed ex studenti una rilettura dello show che rese immortale la loro madre: e mentre Buddy cercherà di tenersi ai margini dell'operazione, Camilla finirà travolta da quell'irrefrenabile bramosia di luci della ribalta che costò la vita alla genitrice, finendo per guadagnare lottando con le unghie e non i denti - e non solo - il ruolo di protagonista.
Nel corso della preparazione della messa in scena, però, un misterioso omicida comincia a mietere vittime in tutto il campo, attendendo il suo vero e proprio tripudio conclusivo, che secondo i piani dell'improvvisata versione reale del nuovo "fantasma" avverrà proprio con il debutto dello show. 
Chi finirà per averla spuntata, una volta che i riflettori si saranno spenti?








Gli ultimi anni non sono stati certo teneri con l'horror, ed in misura ancora maggiore con il suo pubblico, costretto nove volte su dieci - quando andava bene - a confrontarsi con pellicole che definire di terza fascia continua ad apparire ottimistico.
Da grande appasionato del genere fin dai tempi dell'infanzia, ho finito per vivere con grande dispiacere questo momento di crisi apparentemente senza uscita, accogliendo tiepidamente i titoli proposti dalla grande distribuzione così come dal sempre ribollente universo della blogosfera: così Stage fright, interessante rilettura che unisce come in un cocktail apparentemente sconnesso musical e slasher, ha preso polvere nell'hard disk di casa Ford per un paio di mesi prima di vedersi chiamato in causa e sperimentato sulla pelle, quasi il timore dell'ennesima robetta neppure degna delle bottigliate superasse, di fatto, la curiosità motivata da una serie di recensioni decisamente positive passate in rete.
Devo ammettere, invece, che tutti i miei colleghi pronti a parlarne bene - perfino il mio acerrimo rivale Cannibal Kid - hanno avuto gran ragione ad avere più fretta di me di gustarsi questo sorprendente, nerissimo e divertente ibrido: oltre ad essere stato curato alla grande, quasi mescolando le atmosfere di cult come i Venerdì 13 o Scream - per quanto continui a considerare quest'ultimo sopravvalutato - alla struttura classica del musical - realizzando una scrittura ottima di canzoni come se ne intendono per lo standard del film musicale pur inserendo generi di norma non considerati come il metal -, gestendo elementi profondi e non da poco come il rapporto tra fratelli ed i segni che traumi infantili possono lasciare nell'intimo di chi li subisce tanto da rendere diametralmente opposte le reazioni di persone all'apparenza molto simili, l'opera firmata da Jerome Sable funziona quasi senza cedimenti dall'inizio alla fine.
Grazie, dunque, ad un cocktail insolito ma ben dosato, facendo affidamento sull'esperienza di veterani come Meat Loaf e sulle doti non solo canore di volti nuovi come la protagonista Allie MacDonald, il regista canadese Jerome Sable riesce a sorprendere come pochi altri nel corso delle ultime stagioni gli appassionati di horror, regalando al pubblico un gioiellino che, seppur imperfetto - soprattutto nel finale - è impreziosito da almeno un paio di sequenze a dir poco splendide - il confronto e la rivelazione dell'identità dell'assassino, l'arrivo al campus dei giovani aspiranti lavoratori futuri della grande macchina di Broadway e la splendida canzone che chiude i titoli di coda, da seguire e ricantare dall'inizio alla fine - e finisce per rappresentare uno dei titoli "outsiders" più riusciti che si potessero concepire partendo da una trama decisamente già nota ed un genere che, ormai, pareva non avere davvero più nulla da dare ad una qualsiasi audience.
Come se non bastasse tutto questo, Sable è davvero bravo a sottolineare anche un altro aspetto "oscuro" del mondo dello spettacolo, legato alla voglia di conquistarsi le luci della ribalta ed al cambiamento interiore che la stessa, una volta cresciuta ed alimentata, possa portare a chi lo vive: da Eva contro Eva a Viale del tramonto, sono molti gli esempi classici in questo senso, ed il regista trasferisce le stesse sensazioni sfruttando non solo l'incipit con protagonista Minnie Driver, ma anche la parabola della sua main charachter, il rapporto di quest'ultima con il regista e la sua diretta rivale per il ruolo principale, l'evoluzione dello spettacolo e l'intrecciarsi delle minacce passate e presenti, quello che porterà il futuro, sempre che qualcuno particolarmente assetato di sangue non si metta in mezzo per dire la sua.
Una sorta di parabola, dunque, all'interno della quale il nemico più pericoloso con il quale confrontarsi è rappresentato dal momento in cui, divorati dal desiderio di primeggiare sul palco - emblematica, per quanto divertente, la sequenza dello scontro tra la protagonista mancata e l'assistente di scena riscopertosi primadonna -, dimentichiamo quello che potrebbe essere il prezzo da pagare al cuore.
Resta solo da capire se preferiremo avere sangue sulle mani o sulla coscienza.



MrFord




"Raining blood
from a lacerated sky
bleeding its horror
creating my structure
now I shall reign in blood!"
Slayer - "Raining blood" -




giovedì 2 maggio 2013

Le streghe di Salem

Regia: Rob Zombie
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 101'





La trama (con parole mie): Heidi Hawtorne è una popolare DJ di una radio di Salem, cittadina resa famosa dai processi alle streghe perpetrati dalle personalità religiose del luogo sul finire del seicento, specializzata in proposte legate a doppio filo al mondo del metal duro e puro.
Quando le viene recapitato un disco da parte di un gruppo chiamato I Signori di Salem e lo stesso viene mandato in onda, la percezione della realtà della donna è messa a dura prova da quella che pare una sorta di nuova congrega delle streghe dei tempi tornate a causa della maledizione lanciata dalla loro leader per riprendere la ricerca di un ricettacolo per la nascita del figlio del Diavolo, loro signore e padrone.
Una settimana, dunque, iniziata come tutte le altre diventerà per Heidi un incubo senza fine dal quale lei, le streghe, i suoi colleghi e la stessa Salem non potranno neppure immaginare - o sognare - di uscire.






Qui al Saloon non si è mai risparmiato un certo approccio diretto alle cose, neppure quando le conseguenze dello stesso finiscono per abbattersi sui protetti di casa Ford: proprio a questo proposito annuncio ufficialmente che Rob Zombie, musicista, regista, produttore e sceneggiatore, salito alla ribalta delle cronache legate alla settima arte con La casa dei mille corpi e La casa del diavolo, due supercult fordiani, non fa più parte della suddetta cerchia.
Anzi, come giustamente ho letto qui, purtroppo per tutti quelli che avevano gridato al miracolo ed identificato nel metallaro cineasta l'anello di congiunzione tra Rodriguez e Tarantino, l'amara verità è ormai evidente: Rob Zombie è una meteora, un fuoco di paglia, una sòla.
E Le streghe di Salem, sua ultima fatica già molto discussa in rete ed attesa da mesi dal sottoscritto, una vera merda neppure degna delle bottigliate che normalmente destino alle più cocenti delusioni cinematografiche.
Un film vuoto, privo di idee, inutilmente citazionista, attraverso il quale il bollito Rob cerca di limitare i danni mostrando le grazie della sua adorata moglie Sheri Moon Zombie - da sempre protagonista delle sue pellicole - senza neppure accorgersi non solo che non basta un culo a rendere interessante una proposta, ma anche che il tempo passa per tutti, suddetta Sheri Moon compresa, e che i fasti del già citato La casa del diavolo sono ormai un ricordo più che sbiadito, sepolti sotto una montagna di idee confuse rette - per così dire - da uno script che si avvolge su se stesso senza portare da nessuna parte - basti pensare alla gestione dei personaggi, su tutti dei DJ colleghi di Heidi, uno scempio -, un gusto kitsch che da cult, vintage e grindhouse è diventato semplicemente pacchiano, una partenza scialba senza infamia e senza lode che evolve in un crescendo finale talmente ridicolo da lasciare a bocca aperta scoprendo quanto in basso è riuscito a cadere l'ex prodigio - ma lo sarà mai stato davvero, viene da chiedersi a questo punto? - Zombie.
Curioso come, tra le righe delle recensioni più entusiastiche, si siano fatti i nomi di riferimento di Polanski e Kubrick - quest'ultimo dev'essersi rivoltato nella tomba -, mentre a voler essere generosi i richiami più evidenti paiono quelli al Lynch più visionario, anche se il risultato è ben lontano dai risultati di pietre miliari come Eraserhead, Mulholland drive o Inland empire: come se non bastasse, nel corso dell'assurda escalation finale l'impressione che ho avuto è stata quella di trovarmi di fronte ad una sorta di Lars Von Trier dei poveri - e tutti voi sapete quanto detesti il pazzoide danese, o almeno le sue ultime opere - senza neppure un briciolo del talento che, indubbiamente, perfino l'insopportabile autore di Melancholia manifesta.
Un fallimento colossale, dunque, per Zombie, che produce una schifezza degna della decina dedicata al peggio di questo duemilatredici e che, a tratti, riesce addirittura ad innervosire facendo leva - senza sfruttare per nulla la componente dell'ironia, come se non bastasse - su tutti i luoghi comuni che una qualsiasi zitella inacidita da mezzi pubblici potrebbe sciorinare a proposito dei cosiddetti "metallari", dal gusto per la musica estrema e "il lato oscuro" alla violenza, passando attraverso satanismo ed affini: curioso che sia proprio un figlio del metal come il vecchio Rob, dunque, a fornire un ritratto che andrebbe a nozze con le critiche normalmente rivolte - senza fondamento alcuno - ai fan del genere, che spesso e volentieri si rivela inutilmente blasfemo - e parlo da anticlericale fino al midollo - ed assolutamente privo non solo di logica, ma anche del senso che potrebbe avere un semplice divertissement - il delirio dell'epilogo e la terrificante immagine di Heidi a giocare al parco con il cane che chiude la pellicola ne sono la testimonianza -.
Perchè la cosa grave di questo Le streghe di Salem è che Zombie crede davvero di aver portato sullo schermo una sorta di nuovo cult del genere, almeno quanto le sue streghe impazzite nell'avvento del figlio di Satana. Forse la questione è che da queste parti affrontare il discorso della Fede è materia solo per chi lo sa davvero gestire, da una parte o dall'altra della barricata, e gli atti legati ad Essa non sono gesti cui questo vecchio cowboy è avvezzo.
O forse, molto più semplicemente, questo film è inesorabilmente, assurdamente brutto, e cosa ancora peggiore privo di un capo e di una coda, quasi volesse sottovalutare l'intelletto del pubblico propinando un trip neanche fosse un lavoro fresco fresco dello Jodorowski migliore - ma anche in questo caso siamo su un altro pianeta - nascondendo una povertà di idee e scrittura come non ne capitavano da tempo: spesso ci si trova di incrociare il cammino di titoli che non meriterebbero di essere distribuiti, palesemente limitati sotto tutti gli aspetti, ma peggio di questi ultimi sono senza dubbio i lavori di registi spocchiosi convinti di regalare all'arte qualcosa di unico, potente e geniale, quando invece l'unica traccia di magia cinematografica si perde nel murale in testata al letto di Heidi, che raffigura uno dei fotogrammi più famosi de Il viaggio nella Luna di Melies: questo sì, davvero un Capolavoro.
Attorno, resta solo l'orrore.
E non nell'accezione di genere.


MrFord


"I'm waiting for your call and i'm ready to take 
your six six six in my heart
I'm longing for your touch and i welcome 
your sweet six six six in my heart."
H.I.M. - "Your sweet 666" -


mercoledì 21 settembre 2011

Tenacious D e il destino del rock

Regia: Liam Lynch
Origine: Usa
Anno: 2006
Durata: 93'



La trama (con parole mie): JB fin da bambino è stato un fanatico del rock allo stato puro, tanto da essere vessato dai religiosissimi e puritani genitori e fuggire di casa alla ricerca della Hollywood ispiratagli da Ronnie James Dio in persona.
Dopo lunghe peregrinazioni attraverso tutte le Hollywood degli States, il giovane giunge in California ed incontra fortuitamente KG, chitarrista mammone e squattrinato con il quale capisce immediatamente di avere un destino in comune: i due, superate le prime divergenze, decidono di mettere in piedi una band e andare alla ricerca del segreto del successo di ogni grande rockstar planetaria, un antico artefatto che si dice essere stato costruito partendo da uno dei canini del Diavolo in persona.
Questo artefatto è il plettro del destino.



Qualche tempo fa, a seguito di una discussione tra i commenti, ho preso l'impegno di essere arbitro di una questione in sospeso tra la tagliente Ciku ed il sorprendente Pesa a proposito di Tenacious D e il destino del rock, film di culto per quasi una generazione di metallari e rockettari di tutto il mondo.
E che posso dire, a visione avvenuta, a proposito di questa pellicola!?
Ok, il rock è forte, il rock è tosto, io amo il rock.
Ok, anche Jack Black è - o sarebbe meglio dire era - forte, Jack Black canta molto bene, Jack Black cerca a tutti i costi di apparire simpatico.
Ok, Kyle Gass suona molto bene, Kyle Gass cerca di stare al passo di Jack Black, Kyle Gass è quello che si potrebbe definire lo "sfigato orsacchiotto" che dovrebbe portare il pubblico dalla parte dei protagonisti.
Ok, c'è Ronnie James Dio - che Dio l'abbia in gloria -, e la parte in stile musical in apertura ambientata nella casa del piccolo JB è mitica.
Ok, ci sono poster di grandissime band che ricordano a tutti quanto è stato grande - ed è ancora, pur se con nomi certo meno importanti - il rock per la Storia della musica e non solo.
Ok tante cose.
Ma posso dirlo, caro Pesa?
Tenacious D e il destino del rock è proprio un film di bassa, bassissima lega.
Battute stanche, protagonisti mai davvero simpatici - mi hanno fatto venire in mente quegli sfigati da rabbia repressa che vorrebbero che la loro invidia verso il mondo non trasparisse così clamorosamente -, regia e comparto tecnico pessimi: a poco serve l'abilità di musicisti di Jack Black e Kyle Gass a sopperire ad una montagna di limiti così enorme.
Qualche risata potrà anche farsi, ma dai tempi di Alta fedeltà e School of rock - certo, Frears e Linklater non sono Liam Lynch, che a sua volta non è certo David - il buon Jack Black pare essere diventato la brutta, bruttissima copia di se stesso, finendo come il De Niro dalla paresi facciale degli ultimi anni senza avere alle spalle nemmeno un briciolo dello spessore del Robert scorsesiano e non solo.
E se ad alcune sequenze si può passare sopra quasi per compassione - tutta la parte legata al passato di KG -, altre, come il trip da funghi di JB ed il conseguente excursus in un mondo in stile Teletubbies propinato come se si volesse ricordare Il grande Lebowski ed i "viaggi" del Drugo o l'assalto al museo per recuperare il plettro sono davvero il peggio che ha da offrire il fondo raschiato del barile.
Ricordando Funny people, mi viene da pensare al momento in cui Adam Sandler consiglia a Seth Rogen di evitare di concentrare le sue battute su scoregge e visione pessimistica di se stesso, perchè in quel modo non troverà mai neanche una ragazza con cui scopare.
Ecco, se penso a Liam Lynch e ai Tenacious D - e sto sorvolando sull'incontro con la versione metal di Tim Robbins, inguardabile, e con il Diavolo in persona, ancora più inguardabile -, penso che la bravura con la chitarra sia uscita fuori da un costante esercizio delle mani.
Perchè altre possibilità "al femminile" mi paiono, a vedere questa roba, ben oltre la loro portata.
MrFord

"Have I fallen too far to rise
been burning too long in the fire
then it all falls down 
tearing the night away."
Ronnie James Dio - "Fever dreams" -


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...