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martedì 27 maggio 2014

Onirica - Field of dogs

Regia: Lech Majewski
Origine: Polonia
Anno: 2014
Durata:
96'





La trama (con parole mie): Adam, giovane promessa della poesia, è vittima ed unico superstite di un gravissimo incidente d'auto che lo lascia segnato nel corpo e nell'anima, incapace di riprendersi davvero superando il dolore e dipendente da sogni che finiscono per sostituire la realtà, legati a rappresentazioni di opere d'arte e della Divina Commedia di Dante, un tentativo estremo della mente del ragazzo di scoprire il mistero dietro la sua permanenza sulla Terra.
E tra un giorno e l'altro di un lavoro lontano dalla sua essenza e le visite alla zia, Adam assiste inerme alle tragedie che colpiscono il suo Paese, cercando di trovare nelle stesse una risposta per i suoi drammi personali: riuscirà ad uscire dalla selva oscura e tornare a riveder le stelle?







La prima volta che lessi il nome Lech Majewski storsi il naso, in occasione dell'uscita de I colori della passione, sbirciato grazie alla rubrica settimanale che mi tocca condividere con l'antagonista di sempre Cannibal Kid: l'idea che mi feci, guardando il trailer del suddetto titolo, era dell'ennesima proposta autoriale radical a tutti i costi che una decina d'anni or sono mi avrebbe fatto impazzire, e che ora finisce per avere lo stesso effetto di una badilata di sabbia negli occhi.
Fortunatamente, dovetti ricredermi, dato che il buon Majewski seppe far coesistere una tecnica da Autore maiuscolo con la voglia di raccontare davvero a fondo una storia: apprezzai moltissimo il tentativo, promuovendolo anche in occasione dei Ford Awards di fine duemiladodici.
Dunque, all'uscita di Onirica, l'asticella delle aspettative partiva, al contrario del suo precedente, decisamente più in alto, considerati anche i riferimenti alla Divina Commedia - che ho sempre amato fin dai tempi delle superiori - che in mano ad un regista di questo tipo potevano dare voce ad uno dei titoli sulla carta più sorprendenti della stagione: peccato che, purtroppo per il sottoscritto, la visione della nuova fatica di Majewski si sia rivelata una fatica abnorme prima di tutto per il vecchio Ford, che rimbalzando tra i ritmi del lavoro, del pendolarismo e del Fordino comincia ad avere parecchie difficoltà a gestire, la sera, pellicole pronte a fare polpette delle parti basse.
E purtroppo Onirica - Field of dogs fa inesorabilmente parte della categoria: tolti, infatti, un paio di momenti interessanti - legati alla figura della zia visitata dal protagonista Adam e legati alle disquisizioni a proposito della natura della Morte e del Tempo -, il resto pare un'accozzaglia senza criterio di visioni buone giusto per essere proiettate nel soggiorno di casa Majewski ma che finiscono per avere poco senso agli occhi dello spettatore esterno al suo mondo, se non per i riferimenti alle tragedie che hanno colpito la Polonia negli ultimi anni - ricordavo la morte del Presidente in un incidente aereo, non l'alluvione - e le citazioni dell'opera di Dante, che comunque avrebbe meritato senza dubbio uno spazio maggiore, specialmente per mano di un aspirante Sokurov come il buon Lech, più che dotato quando si tratta di sfruttare al meglio la macchina da presa ed i suoi movimenti.
Peccato che, in fase di scrittura, il film latiti e non poco, assumendo le connotazioni di un unico, gigantesco, noiosissimo flusso di coscienza privo del fascino di opere come Enter the void e della capacità di ipnotizzare ed attrarre l'audience, che probabilmente tenderebbe a lasciare la sala entro i primi venti minuti, se non fosse che, di norma, per un titolo di questo genere si è già fortunati a trovare qualche altro coraggioso pronto ad affrontare la "via verso le stelle" attraverso la "selva oscura" ben rappresentata dalla confusione nelle idee e negli intenti del regista.
Senza dubbio si troverà, in rete e non, qualche accanito sostenitore del Cinema d'essai a tutti i costi pronto a difendere a spada tratta la visionarietà di questo lavoro, il suo coraggio, l'importanza data al proprio Paese, ai suoi limiti ed alle sue tragedie neanche fosse cosa viva, eppure, con tutti gli anni passati a nuotare nelle acque più profonde di questa parte della settima arte, sento il cuore in pace affermando che, in realtà, dietro operazioni di questo genere c'è ben poco cuore, o forse troppo, così tanto da non mettere in condizione il pubblico - anche quello, come il sottoscritto, disposto sulla carta ad amare un film - di godere appieno delle sensazioni che lo stesso può regalare.
Senza contare che un protagonista pronto ad ogni piè sospinto a schiacciare un pisolino non è certo d'aiuto nell'affrontare un titolo che rende la sua ora e quaranta scarsa l'equivalente di quattro abbondanti.




MrFord




"I did not believe because I could not see
though you came to me in the night
when the dawn seemed forever lost
you showed me your love in the light of the stars."
Loreena McKennitt - "Dante's prayer" -




giovedì 17 aprile 2014

Thursday's child


La trama (con parole mie): nuova settimana di uscite, e nuova ricerca - spesso e volentieri infruttuosa - di qualcosa di interessante a parte le ormai consuete schermaglie in cerca dell'antico splendore tra me e Cannibal Kid. A questo giro, però, la rubrica condotta ormai da tempo dai due quasi ex rivali più agguerriti della blogosfera comincia ad affrontare un cambiamento che, presto, sarà anche grafico e che dovrebbe svecchiare un pò il format così come i suoi due creatori.

Eccezionalmente, questo post esce nella sua versione definitiva per la seconda volta. Meraviglie del mio rapporto con la tecnologia!

"Sharon, tu puoi fare da nave scuola per il Cannibale: io mi becco quel fusto di Ford!"
Transcendence


Cannibal dice: Una volta una nuova pellicola con protagonista Johnny Depp era un evento da accogliere con favore. Negli ultimi anni è diventato un qualcosa cui guardare con sospetto, grande sospetto, manco si trattasse di un film recensito in maniera entusiastica da WhiteRussian. Questo nuovo Transcendence potrebbe quindi essere l’ennesima schifezza nella carriera recente del Depp, così come l’ennesima porcheria della sci-fi recente. Felice poi di essere smentito.
Ford dice: qualche mese fa, ai tempi dell'uscita di Disconnected, avevo confuso questo titolo con quello effettivamente in sala, tanto per dire quanto potesse fregarmi di questa nuova fatica di un Johnny Depp che ormai mi pare più confuso del Coniglione Kid sotto qualche acido da spring break. Considerati i recuperi dalla settimana scorsa, non penso che sarà il primo della mia lista.

"Dichiaro ufficialmente che Cannibal Kid non c'entra nulla con il Cinema."
Gigolò per caso


Cannibal dice: Gigolò per caso è il nuovo film di Woody Allen… Hey no, un momento. È un film con Woody Allen attore, con un ruolo tipicamente da Woody Allen, però il regista in questo caso è John Turturro. Risultato? Sembra un film di Woody Allen, e nemmeno uno dei suoi migliori. Una pellicola vecchio stile decisamente più fordiana che cannibale. Non è una bella cosa.
Ford dice: i tentativi finti simpatici di mascherare il proprio radicalchicchismo non mi sono mai piaciuti, suonano sempre poco credibili. Un po’ come se di colpo Peppa Kid si improvvisasse esperto di Cinema di botte. O di wrestling. A dire il vero il mio antagonista mi parrebbe forzato anche come gigolò. Quasi più di Woody Allen.

"Brindo all'incapacità informatica di Ford."
Rio 2 – Missione Amazzonia


Cannibal dice: Già mi ero tenuto alla larga da Rio 1, figuriamoci se vado ad avventurarmi in Amazzonia. Lascio il (dis)piacere a Ford, che ha già pronta la valigia per questo suo nuovo entusiasmante (?) viaggio bambinesco.
Ford dice: il primo Rio mi era parsa la solita robetta stile Dreamworks buona giusto per mostrare il divario con i prodotti Pixar. Non credo che con il secondo andremo tanto lontano. Roba da cuccioletti. E neppure tanto eroici.

"Andiamo da quella parte: non vorrei rischiare di  incontrare Ford nel cuore della giungla!"
Onirica – Field of Dogs


Cannibal dice: In questa settimana super fordiana non poteva mancare pure un film polacco pseudo intellettualoide, in realtà probabilmente solo noiosoide, di quelli che tanto piacciono al mio blogger rivale. Una cosa talmente radical-chic che persino io la aborro.
Ford dice: finalmente un film decente. Majewski, regista di quello che pare il filmone d'autore non solo della settimana, ma del mese, mi aveva strabiliato qualche anno fa con I colori della passione, e ho come l'impressione che questo suo nuovo viaggio potrebbe essere una conferma del suo talento visivo. E ho come l'impressione che, come ad ogni appuntamento con il vero Cinema d'autore, il Cannibale mancherà all'appello.

"Muori d'invidia, Von Trier!"
Song ‘e Napule


Cannibal dice: Il nuovo film dei Manetti Bros. a sorpresa questa volta non è ambientato a Roma, ma a Napule. Potrebbe essere per loro un cambiamento epocale, un po’ come quando Woody Allen si è spostato a girare da New York all’Europa. Comunque devo ammettere che, a parte giusto qualche video musicale, non ho mai visto niente dei Manetti Bros. e non credo nemmeno comincerò da questo film, uè uè.
Ford dice: i Manetti Bros mi stanno simpatici, ma non credo che rivoluzioneranno il Cinema italiano. O almeno, non quanto il Cinema italiano necessiterebbe. Anche in questo caso, dunque, metto in coda alla lista: sicuramente qualche recupero più interessante o titolo che potrebbe portarmi almeno sulla carta al conflitto con il mio rivale lo troverò di certo.

"Tranquilli, se Ford è arrivato ad esibirsi ad Amici, possiamo farcela anche noi!"
Ti sposo ma non troppo


Cannibal dice: Qui siamo proprio alla frutta. Un film orripilante già dal trailer, anzi, già a partire dal titolo. Di più inguardabile di questa improbabile romcom con protagonista un’improbabile Vanessa Incontrada c’è giusto WrestleMania!
Ford dice: Non voglio essere troppo tenero con questa schifezza. E no, non sto parlando del Cannibale, bensì di uno dei titoli italiani più agghiaccianti mai usciti in sala da quando esiste questa rubrica. Anzi, da quando esiste il Cinema, probabilmente.

"Ford e Cannibal sono d'accordo un'altra volta."
"Non ce la faccio più: la faccio finita."

giovedì 3 gennaio 2013

Ford Awards 2012: i film (N° 20-11)

La trama (con parole mie): se fossimo in un film degli anni ottanta a questo punto si potrebbe dire "ora cominciano gli incontri seri". A ridosso della top ten, infatti, la temperatura si alza, e si cominciano ad incontrare quelli che sono stati i quasi grossi calibri per il sottoscritto nel corso dell'ultima annata del Saloon.
Qui troverete la conferma della grande annata dei nostri cugini transalpini nonchè la seconda presenza italiana dei Ford Awards, ovviamente accompagnate da una nutrita e sempre valida selezione made in USA.


N° 20: Young adult di Jason Reitman


Il regista di Juno, dopo la parziale delusione che fu per il sottoscritto Tra le nuvole, torna alla ribalta con una commedia poco dolce e molto amara scritta per una superlativa Charlize Theron e legata a doppio filo ai concetti di famiglia, solitudine, crescita ed accettazione di se stessi.
Storie di provincia che diventano solitudini di città, amori idealizzati ed alcool a fiumi a soffocare i silenzi per uno dei personaggi più interessanti della scena quasi indipendente americana degli ultimi anni.


N° 19: Millennium - Uomini che odiano le donne di David Fincher


La saga di Stieg Larrson che ha conquistato gli appassionati di thriller di tutto il mondo, dopo essere stata portata sullo schermo “in casa” torna alla ribalta con una versione made in USA glaciale e tecnicamente stupefacente, decisamente più fedele al romanzo rispetto a quella nordeuropea ed assolutamente più credibile nella narrazione.
Fotografia pazzesca, montaggio da urlo ed una protagonista che è una meraviglia per gli occhi ed il cuore.



N° 18: J. Edgar di Clint Eastwood


Non può esistere classifica fordiana senza la presenza dell’inossidabile Clint, che dopo il meraviglioso Hereafter torna sullo schermo con un film inizialmente sottovalutato dal sottoscritto rivelatosi al contrario una fotografia del logorio del potere da brividi.
J. Edgar Hoover, eminenza grigia della Storia recente americana, rappresentato in tutti i suoi squilibri pubblici e privati – quelli più incisivi -: straordinario DiCaprio – ancora una volta ignorato dall’Academy -, dritta al cuore la parte finale. Eastwood è sempre Eastwood.


N° 17: Polisse di Maiwenn

 
Che il Cinema francese stesse trascorrendo una delle sue annate migliori si era capito fin dai Globes, e per il resto dell’anno non abbiamo fatto altro che assistere a proposte di altissima qualità e ben pochi scivoloni – al contrario di quanto accade di norma qui nella Terra dei cachi -.
Il lavoro i Maiwenn cucito attorno ai membri di una squadra della polizia parigina al lavoro sui crimini subiti dai minori riesce a mantenersi in perfetto equilibrio senza mai uscire dal seminato scivolando nella retorica o nel finto alternativismo, e a momenti leggeri alterna altri che colpiscono come un pugno in faccia. Chapeau.


N° 16: Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani


Trionfatrice al Festival di Berlino, l’ultima pellicola dei fratelli Taviani è un omaggio allo sceneggiatore più grande della Storia del Cinema – il buon, vecchio Bill “Il bardo” Shakespeare – portato in scena dai detenuti di Rebibbia, che rileggono nelle storie del Giulio Cesare i loro drammi personali ed i guai con la legge.
Realismo estremo e poesia pura per la migliore pellicola italiana non soltanto dell’anno appena trascorso.


N° 15: Moonrise kingdom di Wes Anderson


Curioso destino, quello dell’ultima fatica del regista di Rushmore e I Tenenbaum: odiato moltissimo nel corso della visione, è diventato con il post a lei dedicato una delle scoperte più belle della seconda parte del 2012, fiaba magica in grado di raccontare l’incomunicabilità tra il mondo degli adulti e quello dei bambini nonchè l’amore che sopraggiunge e ti cambia la vita.
Messa in scena come al solito impeccabile, fotografia splendida, ottima la colonna sonora.
Forse un po’ troppo radical chic, ma per una volta va bene così.


N° 14: Lawless di John Hillcoat


Sulla scia del Nemico pubblico di Michael Mann, una pellicola che pare costruita per la goduria del vecchio Ford: fuorilegge, whisky, sparatorie ed un ritratto di tre fratelli che fa venire i brividi soprattutto a chi vive in prima persona un legame di sangue di questo genere.
Intenso ed emozionante, impreziosito da un Tom Hardy roccioso e da un cast tutto in parte, è un viaggio ruvido e tosto nella vita che passa dall’essere selvaggia al godersi le cose semplici del quotidiano.


N° 13: Quasi amici di Eric Toledano e Olivier Nakache


Uno dei successi più clamorosi dell’anno ed ennesima zampata piazzata dai nostri cugini d’oltralpe: una commedia mai scontata, divertente ed assolutamente lontana dalla retorica nonostante i temi trattati che ha conquistato pubblico e critica ed è stata, almeno a mia memoria, forse l’unica in grado di mettere d’accordo tutti – ma proprio tutti, anche me e il Cannibale – i recensori della blogosfera.
Un film in grado di parlare sia al pubblico d’essai che agli spettatori occasionali, che tocca nel profondo, diverte ed avvince con una storia di straordinaria ordinarietà. Imperdibile.


N° 11: I colori della passione di Lech Majevski


Nonostante il Saloon sia un luogo da vecchi lupi di mare e cowboys allo sbando, trova spazio al limitare dei piani più alti della classifica una proposta assolutamente autoriale: il lavoro di Majewski, splendido visivamente ed ingegnoso nella narrazione, parte dalla rappresentazione di un quadro di Pieter Bruegel per fotografare i drammi di un’epoca – ma non solo – legati a società, religione, politica e miseria umana.
Un film dal ritmo russo – per non dire sovietico -, faticoso e poco accessibile, eppure in grado di schiudersi in una vera gioia non solo per gli occhi con un finale semplicemente perfetto.


N° 11: Quella casa nel bosco di Drew Goddard


Chiudo la serie di titoli che precede la top ten dei Ford Awards con il più sorprendente horror dell’anno e non solo: scritto dal regista e da quel geniaccio di Josh Whedon, è il titolo che più rappresenta l’omaggio e la decostruzione dello slasher che tra gli anni settanta ed ottanta impazzava dando un senso a tutte le estati degli adolescenti a qualsiasi latitudine.
Partenza da versione nuovo millennio di Scream, crescendo quasi metafisico che è un tripudio di effetti, mostri stupefacenti, chiusura “divina” da pelle d’oca.
Un gioiellino.


MrFord

lunedì 23 aprile 2012

I colori della passione

Regia: Lech Majewski
Origine: Polonia
Anno: 2011
Durata: 92'



La trama (con parole mie):  siamo nel cuore delle Fiandre dominate dai cattolici spagnoli, a metà del sedicesimo secolo, e Pieter Bruegel, pittore riconosciuto come un Maestro, decide di testimoniare la brutalità della repressione verso i protestanti da parte degli occupanti del suo paese grazie ad uno dei dipinti che lo renderanno famoso nei secoli seguenti: La salita al Calvario, infatti, rappresenta uno dei vertici dell'arte fiamminga, e ancora oggi è oggetto di culto e studio da parte degli appassionati di pittura di tutto il mondo per la ricchezza degli elementi e la potenza della rappresentazione.
Attraverso una scelta estetica ed un percorso che portano il quadro sul grande schermo passaggio dopo passaggio, assistiamo alle vicende che hanno definito la sua realizzazione in un esperimento quasi completamente nuovo nell'ambito della settima arte.




Raramente mi capita di vedere un film e giudicarlo quanto di più lontano esista dalla mia attuale sensibilità di spettatore arrivando quasi a detestarlo, eppure rimanere ammirato di fronte al suo valore: di recente, è successo con Synecdoche, New York.
Ora, replico con I colori della passione.
Certo, il lavoro di Majewski è molto diverso da quello di Kaufman - quest'ultimo decisamente più complesso e potente -, eppure questa sorta di fratellino minore del Faust di Sokurov, che mi avrebbe letteralmente fatto impazzire una decina d'anni fa, riesce a scavare nello spettatore a colpi di meraviglie visive celando - ma neppure troppo - una riflessione ben più profonda sull'arte ed il suo valore di fronte alla Storia e all'Uomo.
D'altro canto è indiscutibile che, nonostante la durata decisamente abbordabile si tratti di un film lento come solo i Classici più Classici dei russi sanno essere, costruito per essere ostico rispetto allo spettatore che non sia un assatanato adepto del Cinema d'autore senza compromessi, legato da un ritmo clamorosamente statico e ad intuizioni, più che ad una sceneggiatura vera e propria.
Probabilmente Majewski non aveva altro modo per rappresentare quello che, a tutti gli effetti, è il primo tentativo di portare sul grande schermo la rappresentazione più fedele possibile del lavoro di un pittore rispetto alla nascita di una sua opera: un viaggio complesso e non privo di difficoltà - artistiche e produttive - che può essere associato alla realizzazione di un film, pur se riferito, di fatto, all'opera di un solo artista - ma anche in questo caso si potrebbero considerare i soggetti di un lavoro incredibile come La salita al Calvario come attori, o parte integrante della stesso -.
La tecnica "a livelli" utilizzata, inoltre, risulta ipnotica ed affascinante, solo apparentemente statica - tanto da scomodare paragoni importanti come quello con una delle prime sequenze di Quarto potere, con la scena concentrata sull'interno della casa in cui il piccolo Kane è cresciuto con lui intento a giocare all'esterno, ben visibile in secondo piano dalla finestra - e trova il suo apice nella carrellata avanti e indietro che porta da Bruegel alla cima del monte e al mulino e di nuovo a Bruegel, in uno dei passaggi più intensi di questa sorprendente quanto sicuramente non per tutti visione.
In tutta onestà - e considerata la fama pane e salame del saloon - mi sentirei di consigliarvi di evitare I colori della passione - tra l'altro, pessimo titolo italiano -, davvero troppo votato all'arte "dura e pura" per trovare un riscontro effettivo nelle emozioni dello spettatore: eppure è curioso quanto il complesso di questo lavoro incredibile sia costituito da singole sequenze ispirate dalla quotidianità più fisica e vera possibile, come fosse un poema del popolo oltre che una chiara allegoria della lotta dell'arte rispetto all'oppressione - anche e soprattutto in questo caso religiosa -.
Doveste decidere di affrontarne comunque la visione, vi consiglio di liberare la mente dai pregiudizi per il radicalchicchismo e considerare di essere di fronte ad una sorta di lezione, una ricerca che porti da Bruegel come individuo inserito nel suo tempo a La salita al Calvario, che ancora oggi è in grado di fare rimanere ammirati visitatori di tutto il mondo - in questo senso, illuminante la sequenza finale -: superati questi scogli, I colori della passione sarà in grado di aprire occhi e cuore di chi sarà disposto a venire a patti con tutta la fatica che richiede.
E merita.


MrFord


"And I'll see your true colors
shining through
I see your true colors
and that's why I love you
so don't be afraid to let them show
your true colors
true colors are beautiful,
like a rainbow."
Cindy Lauper - "True colors"-


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