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martedì 6 giugno 2017

Hap and Leonard - Stagione 2 (Sundance TV, USA, 2017)




Penso sia ormai risaputo quanto adori l'universo letterario di Joe Lansdale, ed in particolare quelle che sono le sue due creature più riuscite: Hap e Leonard.
Per anni - anche quando ho avuto l'occasione di chiacchierare direttamente con il loro padre letterario - ho sognato una serie che potesse vederli come protagonisti, magari proprio con una stagione dedicata ad ogni romanzo - cosa che sta avvenendo, fortunatamente -: lo scorso anno, ai tempi dell'uscita della season d'esordio, fui felice di vedere finalmente un prodotto ben confezionato dedicato ai nostri eroi giungere sullo schermo, meno delle scelte di casting, incentrate su James Purefoy - che non ho mai amato - e Michael Kenneth Williams - bravo, ma a mio parere troppo "piccolo" per rappresentare il tostissimo Leonard -.
Probabilmente, essendo stato un avido lettore delle loro avventure, ho finito per farmi condizionare molto dai particolari - nel ciclo di romanzi la storia comincia quando i due improvvisati detectives hanno più o meno trentacinque anni, e vedere due attori alle soglie dei cinquanta nei loro panni fa decisamente strano, ad esempio - frenando gli entusiasmi nonostante il primo ciclo mi avesse comunque discretamente soddisfatto: potrei dire quasi la stessa cosa rispetto a Mucho Mojo, peraltro il mio capitolo preferito delle avventure dei due amiconi, che mi sono goduto per ognuno dei suoi sei episodi nonostante l'ombra dell'opera originale abbia finito per incombere e non poco sugli stessi.
Ammetto, infatti, che mi mancano molto sia la componente comica che quella action delle pagine scritte - in quel caso, si ride tantissimo e i due amici picchiano neanche fossero ispiratori di una decina di action del periodo anni ottanta -, e che sia normale constatare un certo snellimento del plot in modo da non intasare troppo il prodotto - sei episodi sono effettivamente pochi, rimanendo sullo standard dei quaranta minuti -, ma ho cercato comunque di staccarmi dalla modalità "fan dei romanzi" in modo da non inquinare troppo la visione.
Il risultato mi ha ricordato il lavoro compiuto dagli autori sulla prima stagione e da Jim Minckle - tra questi - su Cold in July - sempre figlio della penna di Lansdale -: un prodotto ruvido e solido, pane e salame, onesto, che porta in scena un noir caldo e di pancia, racconta cose toste senza essere pesante e si presenta come qualcosa di fruibile e fresco, e perfino gli interpreti dei due protagonisti hanno iniziato a sembrarmi in parte - cosa non da poco, soprattutto per quanto riguarda Purefoy -.
Una visione, tra l'altro, perfetta per questi primi caldi, che avvince e lancia l'amo - come già fece lo scorso anno - rispetto a quello che è il romanzo più cupo della saga di Hap e Leonard, Il mambo degli orsi, che corrisponderà alla terza stagione già confermata: non si tratterà di una cosa potente come True Detective o Fargo, certo, ma Hap e Leonard ben rappresenta un genere considerato troppo spesso "di genere" e poco più nonchè un'occasione, per chi non conoscesse i romanzi che hanno ispirato il prodotto, per conoscere sempre meglio Hap Collins e Leonard Pine.
E credetemi, ne vale davvero la pena.




MrFord




 

sabato 11 ottobre 2014

Cold in July

Regia: Jim Mickle
Origine: USA, Francia
Anno:
2014
Durata: 109'





La trama (con parole mie): Richard Dane è un tranquillo corniciaio con una famiglia come tante altre, pronto a vivere la sua altrettanto tranquilla esistenza in un angolo del Texas sul finire degli anni ottanta. Quando, però, un ladro entra in casa sua e, sentendosi spaventato e minacciato negli affetti, l'uomo finisce per ucciderlo quasi accidentalmente con un colpo della pistola di suo padre, tutto cambia: il morto, infatti, è figlio di un pregiudicato decisamente pericoloso appena uscito dopo una lunga permanenza in prigione e pronto a prendere di mira la famiglia Dane per vendicarsi della perdita subita.
Neppure il tempo di rifugiarsi nel terrore della rappresaglia dell'ex detenuto, quand'ecco che le carte in tavola vengono cambiate di nuovo: Dane e Russel - questo il nome del vecchio criminale -, divenuti alleati, si ritrovano, accanto al detective privato Jim Bob, ad affrontare una vicenda decisamente più oscura di quanto non avrebbero mai pensato.






Joe Lansdale è uno dei più cari amici del Saloon.
E lo è dall'incipit di Una stagione selvaggia, primo romanzo della serie dedicata a Hap e Leonard, i suoi due eroi più noti, che regalò al sottoscritto uno degli autori più vicini alla sua sensibilità di sempre.
Freddo a luglio è stato senza dubbio uno dei lavori del romanziere texano che ho più apprezzato, al di fuori della saga dei succitati ed improvvisati detectives: una fosca vicenda dedicata al rapporto tra padri e figli che divorai l'estate precedente la nascita del Fordino, quando certe sensazioni potevo solo immaginarle, senza sapere che provate sulla pelle sarebbero state anche più forti.
Quando lessi della notizia di un film tratto dal romanzo, accolto come se non bastasse decisamente bene in quel del Sundance, l'aspettativa si fece decisamente alta, complice un cast che pareva essere stato scelto con un occhio di riguardo per il sottoscritto, dal Michael C. Hall interprete indimenticato di Six Feet Under e Dexter a Sam Shepard, passando per Don Johnson, uno che dovrebbe essere fordiano almeno quanto Lansdale.
Ho conservato la visione in modo da poterla condividere, pressando Julez allo spasimo e sfruttando la visita del suocero per affrontare uno dei noir più interessanti sul rapporto tra generazioni a suon di White russian come se piovessero: l'attesa è valsa la pena, e devo ammettere che, se non avessi letto l'opera dalla quale è stato tratto, avrei probabilmente finito per attribuire un voto anche più alto a Cold in July, thriller sudato e rarefatto dall'ottima atmosfera e dalle tematiche importanti, in grado di alternare momenti molto ironici e divertenti - soprattutto grazie a Jim Bob/Don Johnson - ed altri profondamente drammatici, figli di una delle tematiche cardine dell'opera dello scrittore texano, quella del rapporto tra generazioni e dell'importanza dei lasciti delle stesse mentre si susseguono.
I cambi di prospettiva che coinvolgono Dane e Russel, protagonisti della storia, a partire da una prima parte che quasi ricorda Cape Fear per giungere ad una seconda che mescola Gran Torino a Il giustiziere della notte, paiono quasi sottolineare quelle che sono le fasi di incomprensione e vicinanza di un figlio ad un padre - e viceversa -, sfruttando la vicenda che lega entrambi all'omicidio per legittima difesa commesso dal mite Richard, pronto ad innescare una serie di eventi sempre più drammatici e grotteschi.
Chi non conosce Lansdale o il romanzo sicuramente troverà pane per i suoi denti rispetto ad un'evoluzione narrativa decisamente tosta e pulp, mentre inevitabilmente i lettori più accaniti patiranno almeno in parte il piede sull'acceleratore premuto in fase di scrittura per evitare di trasformare la materia d'origine in un film di tre ore e passa dall'incedere troppo lento: una scelta saggia, per certi versi, ma almeno in parte limitativa per noi fedelissimi, pronti a ricordare le emozioni dal respiro più ampio della pagina rispetto alla velocità della pellicola.
Nonostante questo occorre confermare la solidità di Cold in July, che pecca solo nel finale di una serie di "accettate" neanche in post-produzione avessero deciso di sforbiciare qualche minuto la pellicola, di fatto eliminando uno dei faccia a faccia più importanti tra Russel e Dane - "Stai lontano dalle ombre", quasi intimerà il vecchio al suo giovane "figlio" - pur rimanendo fedele al fulcro dell'intera vicenda, la risoluzione del rapporto tra l'ex detenuto ed il suo sangue, lo stesso che aveva creduto morto e sepolto, e cercato di vendicare.
Un film che si inserisce alla perfezione nella tradizione di confine americana, dal recente e fondamentale Mud ai vecchi Classici come Il gigante, passando per il recente e discusso Out of the furnace: la propria terra e la famiglia, il legame con chi ci ha preceduti e quello con chi verrà dopo di noi, sempre pensando che lo stesso è frutto di una fatica e di un amore più forti del normale perchè legato al sangue e al Destino.
Cosa faremmo, infatti, per i nostri figli? E a che punto saremmo disposti ad arrivare, per loro?
Nel bene o nel male, quanto li proteggeremmo, anche da loro stessi?
E quali pesi porteremmo sulle nostre spalle, nel loro nome?
Qualsiasi, dico io.
E penso siano d'accordo anche Russel e Dane.
Qualsiasi.
Senza pensarci due volte.



MrFord



"How can I try to explain, when I do he turns away again.
It's always been the same, same old story.
from the moment I could talk I was ordered to listen.
now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go."
Cat Stevens - "Father and son" - 



martedì 6 marzo 2012

Stake land

Regia: Jim Mickle
Origine: Usa
Anno: 2010
Durata: 98'



La trama (con parole mie):  Martin è un adolescente rimasto orfano allo scoppiare di un'epidemia di vampirismo che ha riportato gli States ad uno stato brado di rimembranze medievali, salvato dalla morte ed addestrato dal granitico e solitario Mister, un cacciatore in viaggio verso Nord continuamente in lotta con i succhiasangue.
I due, divenuti amici, si dirigono verso New Eden - una comunità che pare essere la speranza della gente, situata oltre il confine canadese - incontrando, oltre a diverse tipologie di mostri, reietti, disperati, compagni di lotta e di viaggio tutte le peggiori minacce che l'uomo è in grado di lasciare incombere su altri uomini: violenza, fanatismo, religione e chi più ne ha, più ne metta.
Contando gli amici perduti in battaglia, i due giungeranno all'agognata frontiera, ma questo non significherà necessariamente passarla insieme.




E' davvero un peccato, a volte, che un film dal discreto potenziale sia limitato dalle sue stesse ispirazioni, per quanto buone o funzionali possano risultare.
E' il caso di Stake land, pellicola tutto sommato solida che mescola survival, horror "on the road" e trash sulla carta di culto sfoderando un'ora e mezza abbondante di intrattenimento, combattimenti all'ultimo sangue e paesaggi da wasteland come non si chiederebbe altro in casa Ford ma che, neppure con un generoso sforzo del sottoscritto, riesce a conquistare o ad andare oltre una visione indolore e riempitiva: il problema principale, nel caso del lavoro assolutamente onesto di Mickle è dato dal fatto che le influenze della pellicola mostrano un carattere ed uno spessore maggiori del film stesso, provocando il mai troppo piacevole deja-vù nello spettatore che sfocia in commenti del tipo "niente male questa trovata, l'avevo già vista in questo o in quel film", oppure "questo dev'essere un omaggio o una citazione del regista x o della saga y".
In questo caso, da 28 giorni dopo al Vampires di Carpenter - che, peraltro, è la pellicola che amo meno del buon John -, da Il buio si avvicina a Mad Max, passando per il già abbastanza citazionista - ma con un'enormità di palle in più - Doomsday, nulla di questo Stake land pare davvero originale, ed anche momenti discreti come la progressiva aggregazione di una sorta di "compagnia dell'anello" in versione horror destinata a venire falcidiata da mostri, integralisti cristiani e una nuova mutazione vampirica risultano meno incisivi di quanto vorrebbero essere.
Proprio la componente religiosa -  e questo occorre ammetterlo - rappresenta invece la svolta più interessante di questa versione on the road ed invernale di Dal tramonto all'alba, con la setta di fondamentalisti composta da loschi figuri incappucciati che paiono cristiani redenti completamente invasati mescolati ad adepti del KKK pronti a seminare terrore quanto e più dei vampiri stessi: in questo senso si potrebbe addirittura azzardare che il regista abbia scelto l'horror per disegnare una metafora agghiacciante degli States odierni, un territorio abbandonato a se stesso dagli uomini di potere ed in balia di succhiasangue incontrollabili e gruppi di fanatici religiosi pronti ad uccidere i propri simili per sostenere la verità assoluta del loro credo, attraversato da gruppi di uomini e donne pronti a resistere e difendersi l'un l'altro in attesa dell'occasione di varcare il confine della New Eden canadese.
Visto da quest'ottica, oltre che clamorosamente adattabile anche alla situazione attuale del Nostro Paese, questo film pare assumere uno spessore decisamente più importante, tanto da finire per farmi quasi giustificare la sua effettiva mancanza di originalità di fondo: è di nuovo un personaggio legato alla componente religiosa a farmi pensare ad una complessiva rivalutazione, quello della suora interpretata da un'invecchiatissima Kelly McGillis - che tutti noi residuati degli anni ottanta ricordiamo al meglio della sua forma in Top gun - che regala un momento in grado di farmi tornare alla mente la prepotenza di Romero nel criticare la società in tutti i suoi aspetti - e non rivelerò l'accaduto giusto per non spoilerare troppo -.
Certo, ancora una volta la sensazione è di già visto, ma a ben guardare, considerata la scarsità di materiale davvero interessante nel genere, meglio un'opera costruita con criterio pur se limitata dalla mancanza di picchi di inventiva che una completamente nuova ma priva di logica o, più semplicemente, soltanto brutta.
In questo senso Mickle, e Stake land, fanno come il protagonista che ne porta fieramente la bandiera, una collana con un teschio e manciate di zanne strappate ai vampiri: il loro sporco lavoro.
E qualcuno, come ben si sa, lo deve pur fare.


MrFord


"You can't escape the wrath of my heart
beating to your funeral song (you're so alone)
all faith is lost for hell regained
and love dust in the hands of shame (just be brave)."
H.I.M. - "Vampire heart" -

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