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sabato 19 marzo 2016

Lo specialista

Regia: Luis Llosa
Origine: USA, Perù
Anno: 1994
Durata: 110'






La trama (con parole mie): Ray Quick è un ex soldato dei corpi speciali esperto come pochi altri al mondo di esplosivi, che da anni e dopo un incidente in missione che gli è quasi costato la vita, e ha coinvolto alcuni innocenti, ha separato la sua strada da quella dello spietato ex compagno Ned Trent.
Stabilitosi a Miami e divenuto una sorta di sicario a pagamento pronto a scegliere le persone giuste ed ingiustamente perseguitate per decidere se entrare in azione oppure no, l'uomo viene contattato da May, che qualche anno prima ha visto uccidere i suoi genitori dagli uomini di Tomas Leon, figlio di uno dei boss incontrastati della città: la ragazza, decisa a vendicarsi a tutti i costi, a fronte del rifiuto di Ray, si affida a se stessa e tenta di infiltrarsi ingraziandosi proprio Tomas, finendo per convincere Quick ad accettare finalmente l'incarico.
Quando, però, nell'equazione entra anche Trent, le questioni si faranno molto più personali.









Gli anni novanta sono stati indubbiamente uno dei periodi più amari e terribili per molti ed in molti campi, sottoscritto compreso.
Più ancora, sono stati decisamente difficili per uno degli idoli più amati di sempre del Saloon: Sylvester Stallone.
Lontano dai fasti di Rocky e Rambo e da quegli anni ottanta che ai loro eroi permettevano ed avevano permesso, di fatto, tutto il possibile, oltre ad aver regalato agli stessi fama e gloria, il buon Sly andò incontro ad un decennio clamorosamente buio, nel corso del quale era più semplice trovarlo protagonista di prodotti di serie B privi del fascino dei loro predecessori che non alla ribalta come sarebbe stato giusto fosse - e com'è ancora oggi -.
Per quanto non l'ultimo di questa lista, Lo specialista potrebbe essere annoverato tra i titoli meno significativi con protagonista lo Sly di noi tutti, un prodotto decisamente troppo lungo e sopra le righe per il decennio in cui è uscito, monopolizzato dalla presenza dello stesso Stallone e di Sharon Stone - protagonisti di una sequenza soft-porno sotto la doccia che ai tempi deve avere fatto scalpore - e oltre misura dal primo all'ultimo minuto, non completamente banale ma certo lontano dalla possibilità di diventare un cult anche per i fan dell'attore, regista e sceneggiatore - che, comunque, regala una sequenza indimenticabile con la sistemazione dei bulli sull'autobus nella prima parte del film -.
Da fan di questo tipo di prodotto e del vecchio Sylvester, ovviamente, ho finito per divertirmi comunque come un matto godendomi, tra le altre cose, la presenza di comprimari di lusso quali Rod Steiger, Eric Roberts e soprattutto James Woods, eppure non mi sentirei davvero di consigliare Lo specialista a qualcuno non avvezzo alle botte da orbi ed alle esplosioni che tutti noi nostalgici dell'action tanto amiamo, perchè finirebbe per contribuire a diminuire la già poca stima che i radical nutrono rispetto a prodotti figli degli eccessi tipici del genere.
Restano la location decisamente interessante - Miami, che è sempre un bel vedere -, una scorta di sane esplosioni - anche se vedere Sly esperto artificiere invece che action man dal cazzotto facile fa davvero strano - ed un'escalation insolita se si pensa soprattutto al ruolo della Stone, decisamente più sfaccettato rispetto alla tipica figa buttata in una storia ad uso e consumo degli occhi e del pubblico maschile ma destinata a fare fondamentalmente da soprammobile.
Da questo punto di vista, gli spunti legati proprio alla Stone rendono Lo specialista uno dei titoli più "femministi" che l'action abbia mai generato, e di fatto salvano la confezione e la regia - davvero elementari - da una valutazione più bassa: a conti fatti, però, tutto cade in secondo piano rispetto al buon Sly, che come Rocky ha finito per incassare alla grande tutti i colpi assestatigli dal decennio più ostile della sua storia ed uscirne non solo in piedi, ma addirittura rafforzato.
Avercene, di action heroes così.





MrFord





"Yeah Yeah Yeah Yeah
Miami, uh, uh
Southbeach, bringin the heat, uh
haha, can y'all feel that
can y'all feel that
jig it out, uh."
Will Smith - "Miami" - 





sabato 12 dicembre 2015

The Rock

Regia: Michael Bay
Origine: USA
Anno: 1996
Durata: 136'






La trama (con parole mie): quando il Generale Hummel, leggenda dell'esercito in rotta con il Governo a causa dei mancati risarcimenti alle famiglie dei soldati caduti nel corso delle missioni segrete organizzate dai Corpi Speciali, occupa con un commando la prigione di Alcatraz tenendo prigionieri i turisti presenti minacciando di bombardare San Francisco con missili caricati con armi chimiche, vengono chiamati sul posto due veri e propri specialisti che non potrebbero essere più diversi tra loro.
Il primo è Stanley Goodspeed, un biochimico dell'FBI privo di esperienza sul campo ma senza rivali quando si tratta di analisi di materiali utilizzati per attacchi di questo genere, in attesa di sposarsi e con un bimbo in arrivo.
Il secondo un ex detenuto dal passato misterioso, unico - non documentato - ad essere riuscito ad evadere, sopravvivendo, da Alcatraz, che la direzione dell'FBI vede come fumo negli occhi e che ha una figlia che praticamente non conosce proprio a San Francisco, John Patrick Mason.
I due dovranno unire le forze, appianare le divergenze ed affrontare da soli la minaccia.








Preparatevi, perchè sto per spararla grossa: nonostante la mia onoratissima carriera di fan e sostenitore dell'action tamarra senza ritegno, non avevo mai visto The Rock, uno dei capisaldi del genere del periodo paradossalmente più oscuro per lo stesso, gli anni novanta.
Spinto dalla curiosità, dalla voglia di qualcosa che prevedesse esplosioni e battute tipiche da macho e dal recupero dei titoli che ancora mancano all'appello con protagonisti Nicholas Cage e il suo mitico parrucchino, ho deciso di fare un tuffo nei nineties ed affrontare quello che è stato per la generazione di mio fratello l'equivalente di quelli che erano per la mia i vari Die Hard: onestamente, nonostante una confezione ottima, uno Sean Connery in grandissimo spolvero, il classico plot da action senza ritegno, però, devo ammettere di essere rimasto parzialmente deluso dalla visione, che non è riuscita a coinvolgermi quanto avrei voluto, finendo per risultare a tratti addirittura noiosa, molto datata e priva dell'ironia guascona - per quanto ci si diverta - che era prerogativa delle proposte dello stesso genere del decennio precedente.
Non sia mai che critichi selvaggiamente giocattoloni come questo, soprattutto dopo la rivalutazione - quantomeno parziale - operata rispetto a Michael Bay dopo Pain&Gain, ma la visione di The Rock è stato uno dei rari casi in cui mi è parso quasi di poter capire chi di norma e per partito preso osteggia le proposte di questo genere, e di aver intravisto almeno in parte quelli che sono i problemi dei tentativi attuali di ricreare le magiche atmosfere anni ottanta, dalla durata eccessiva ad una quasi spocchia di fondo che pare mostrare ambizioni che prodotti di questo genere dovrebbero sbeffeggiare, invece che coltivare.
Appurato questo, ovviamente, mi sono profondamente goduto i siparietti forniti dalla coppia Cage/Connery, che se in termini di pura tecnica attoriale, messi a confronto, paiono come la merda e la Nutella, in quest'ambito funzionano davvero bene, nonostante i livelli di John McLaine o dei duetti Gibson/Glover in Arma letale siano decisamente su un altro livello: interessante il cast, dalla controversa figura del Generale Hummel di Ed Harris ai comprimari, cui prestano volto molti caratteristi che gli appassionati conoscono bene, da William Forsythe a Steve Morse, passando per Michael Biehn, ottimo il comparto tecnico - anche se le sequenze all'interno di Alcatraz secondo me non valorizzano al massimo la struttura ed il suo fascino - e perfettamente tamarro il crescendo con tanto di finale in cui i cattivi vengono sistemati ed i buoni o quasi buoni riescono a trovare il gentlemen agreement che accontenta tutti e porta a casa il risultato.
Probabilmente, se non fossi stato un vero e proprio veterano del genere avrei finito per esaltarmi molto di più, ma tant'è: The Rock è ormai agli archivi del Saloon, come l'ennesima missione portata a termine, e seppur non esaltante quanto avrei voluto, o sperato, è riuscita a garantire l'intrattenimento che le proposte di questo tipo dovrebbero sempre regalare allo spettatore.
Essendo figlia del decennio più disastrato dell'action, Michael Bay è forse riuscito a fare anche più di quanto fosse possibile: e già questo è un successo, un pò come il riferimento da applausi sul finale a Rocket Man di Elton John, che porta un brano classico e da atmosfere decisamente differenti - lo ricordo, di recente, per il fantastico finale di Californication - ad una dimensione trash che riesce comunque a calzare a pennello.
Certo, non sarà come cenare in un ristorante stellato, ma ogni tanto tutti noi abbiamo un gran bisogno di MacDonald's.




MrFord





"Mars ain't the kind of place to raise your kids
in fact it's cold as hell
and there's no one there to raise them if you did
and all this science I don't understand
it's just my job five days a week
a rocket man, a rocket man."

Elton John - "Rocket man" - 






venerdì 22 maggio 2015

The gunman

Regia: Pierre Morel
Origine: Spagna, UK, Francia
Anno: 2015
Durata: 115'





La trama (con parole mie): Terrier, un militare del settore privato e cecchino professionista parte di un team che si occupa della sicurezza e del lavoro sporco di una compagnia mineraria nel Congo del pieno della guerra civile, ha una storia d'amore con una donna membro di una delle ONG operanti nel paese, Annie, che non sa nulla del suo effettivo ruolo.
Quando è designato per eliminare il Ministro che si occupa delle attività minerarie ed è costretto a lasciare il paese, Terrier perde anche la sua amata: otto anni dopo, ancora traumatizzato e deciso a redimersi lavorando proprio in Congo alla costruzione di pozzi d'acqua, l'uomo è minacciato da un commando inviato per ucciderlo.
Scampato all'attentato ed insospettitosi, inizia per lui una ricerca che lo condurrà di nuovo in Europa e che lo vedrà ricongiungersi con Annie: riusciranno, però, i due a salvare la pelle?








A volte, quando si affrontano certe visioni che già dalle premesse si prospettano decisamente fallimentari, dovremmo avere una sorta di Grillo Parlante molto poco interiore e molto poco grillo che, con un paio di cazzotti ben assestati, o una bella mossa di wrestling, avrebbe il compito di ricordare a tutti noi quanto siamo stati incredibilmente coglioni.
E con questo The Gunmen sarebbe stato davvero fondamentale, per il sottoscritto: nonostante, infatti, le critiche negative piovute su questa pellicola un pò ovunque, il fatto che dietro la macchina da presa si trovasse il Pierre Morel del primo Taken, che Sean Penn si sia voluto reinventare come fosse una copia sbiaditissima del Jack Bauer di 24 o che ancora Javier Bardem si sia trovato nell'ormai classica ed ipergiogioneggiante posizione del cattivo sopra le righe, ho voluto comunque insistere e rischiare, pur considerandolo fin dall'inizio un riempitivo da giornata di relax in solitaria.
Devo anche ammettere, nonostante tutto, di non essermi incazzato a morte lottando con il desiderio di frantumare una bottiglia contro il televisore come fu con porcate simili come The American, ma di aver considerato, di fatto, The Gunman come una sorta di versione alternativa e poco riuscita di un episodio della già citata 24 o di Blood Diamond, blockbuster a sfondo sociale con protagonista Di Caprio di qualche anno fa: in fondo, il lavoro di Morel è il tipico filmetto action con poche palle come se ne trovano a mazzi nel panorama di un genere che troppo spesso dimentica ironia e coraggio, e tenta di propinare (anti)eroi politically correct - o quasi - se non nelle azioni, quantomeno "idealmente".
La difficoltà maggiore, in questo senso, è digerire il Terrier di Penn, che fin dai primi minuti pare un bravo scolaretto nonostante, di fatto, si occupi di uno dei lavori più sporchi che possano esistere - il mercenario per grandi corporazioni del settore privato pronto, in cambio solo ed esclusivamente di denaro, a commettere le azioni più terrificanti spesso in angoli di mondo già devastati e all'interno dei quali nessuno andrà mai ad indagare -: vederlo dispensare tenerezze ad Annie - la nostrana Jasmine Trinca - e guardare con occhi da padre deluso i suoi commilitoni come se le sue mani non fossero sporche di sangue o considerare di farlo passare per il "buono" neanche ci trovassimo in una pellicola targata Disney per adulti pare davvero fantascienza, anche quando dall'altra parte della barricata troviamo un Bardem più odioso del solito che non si vede l'ora di vedere morto ammazzato.
Per il resto è tutto come ce lo si aspetterebbe: confezione finto patinata, sparatorie confusionarie, un protagonista in piena crisi di mezza età che non vede l'ora di mostrare i muscoli, viaggi da una parte all'altra dell'Europa - ovviamente i luoghi di produzione della pellicola -, la bella in pericolo ed un complotto destinato ad essere smascherato e ribaltato da testa a piedi dal nostro intrepido e redento ex assassino prezzolato tornato sul luogo del delitto per dedicarsi agli scavi di pozzi d'acqua.
Tutto già visto e già sentito, dunque, un pò come quando si approccia un film che si sa già finirà tra i peggiori dell'anno, e con coraggio - o stupidità - si porta avanti l'impresa fino alla fine.
E fino alla prossima volta.
Non ci sono buon senso o grilli parlanti che tengano.




MrFord




"War without end
no remorse No repent
we don't care what it meant
another day Another death
another sorrow Another breath."
Metallica - "No remorse" - 





martedì 19 maggio 2015

Mad Max - Fury Road

Regia: George Miller
Origine: Australia, USA
Anno: 2015
Durata: 120'





La trama (con parole mie): in un futuro prossimo figlio del nulla post-atomico e dominato da despoti capaci delle più terrificanti violenze ed atteggiamenti da presunte divinità, si muovono due ribelli pronti a mordere la strada per conquistare la propria Libertà e sopravvivere. Il primo è Max Rockatansky, ruvido e di poche parole, ex poliziotto, lupo solitario, disposto a tutto pur di portare a casa la pelle ogni giorno. La seconda è Furiosa, forzata compagna ed Imperatrice di Immortan Joe, decisa a tornare alle terre che le hanno dato i natali portando con lei le spose e riproduttrici dello stesso Joe liberandole di fatto dal suo giogo.
Quando le strade dei due si incrociano ha inizio una vera e propria fuga attraverso il deserto che condurrà l'insolito gruppo di ribelli - ai quali si aggiunge, per se inizialmente dall'altra parte della barricata, il giovane guerriero Nux - attraverso canyons dominati dalle tribù del deserto, acquitrini oscuri e tempeste di sabbia apocalittiche, oltre che ad uno scontro frontale con Immortan Joe ed i suoi combattivi figli.
Chi riuscirà a sopravvivere?
E chi continuerà a viaggiare su questa polverosa strada verso la fine del mondo?








Esistono saghe ed ambientazioni cui finiamo inevitabilmente per essere legati anche quando paiono dimenticate, come se fossero in qualche modo parte di noi, cicatrici o tatuaggi di colpo saliti in rilievo, ricordi tornati prepotentemente alla memoria: il personaggio di Mad Max, tra i primi volti noti della futura star Mel Gibson, pronto a lottare in una cornice da sopravvissuti al dramma del post-guerre atomiche, che aveva in comune proprio il setting con un altro dei charachters di culto per il sottoscritto di quegli anni, Ken il Guerriero - ricordo quanto fui felice di poter vedere tutta la serie con mio padre, quando una caduta in bicicletta con doppia frattura della clavicola lo tenne a casa dal lavoro per quasi tre mesi tra la fine dell'ottantotto e l'inizio dell'ottantanove -, è parte della categoria a tutti gli effetti, nonostante i miei anni da cinefilo attento solo alle proposte autoriali - che poi, a ben guardare, includono anche la creatura di George Miller - ed il progressivo riavvicinamento, con l'età che avanza, ai cari, vecchi action tanto amati nel corso dell'infanzia.
Il ritorno sul grande schermo dell'antieroe del deserto australiano era da tempo una scommessa sulla quale molti amanti del genere come il sottoscritto avevano deciso di puntare, in parte perchè fortemente voluto e finalmente costruito con i mezzi desiderati dallo stesso Miller ed in parte per un cast che prometteva scintille a partire dai due protagonisti, Tom Hardy e Charlize Theron.
Senza troppi altri giri di parole, la suddetta scommessa è stata vinta e stravinta da un film strepitoso, tiratissimo dall'inizio alla fine, un fumettone da esaltazione pura che mi ha riportato a quei giorni lontani sul divano accanto a mio padre e riflesso nelle tante coppie padre/figlio presenti in sala, un inseguimento a perdifiato di centoventi minuti inserito in una cornice stupenda, curato in ogni dettaglio - dai costumi, al trucco, agli stupefacenti mezzi - e visivamente da restare a bocca aperta: basterebbe la prodigiosa sequenza della corsa all'interno della tempesta di sabbia per far venire la pelle d'oca a chiunque riesca a spalancare ancora occhi e bocca per questa macchina meravigliosa che chiamiamo Cinema.
Ma Mad Max - Fury Road non è soltanto questo: è il buon Rockatansky, un sopravvissuto fatto e finito, lupo solitario dedito soltanto alla regola di portare sempre a casa la pelle alla fine del giorno, un buono dai metodi cattivi, un disilluso pronto a credere, però, in chi crede.
E nel fatto di lottare per farcela, sempre e comunque.
E' Furiosa, uno dei migliori personaggi che la settima arte abbia offerto al suo pubblico quest'anno - e forse anche di più -: una guerriera che è più un simbolo, e che va oltre la bellezza, il suo ruolo all'interno della società forgiata da Immortan Joe, quel braccio bionico che è una meraviglia di charachter design e di umanità, l'incontro tra il moncherino che è quasi un'anima spezzata ed il metallo pronto a far danzare veicoli di tonnellate e tonnellate d'acciaio e benzina.
E' la fuga della speranza delle Madri, un richiamo neppure troppo velato all'importanza ed alla sacralità della Donna nella società, al rispetto - guadagnato nella lotta - che merita ed alla forza che dimostra, e che non chiede o pretende sconti - neanche Miller è tenero, in questo -.
E' la visione allucinata dei guerrieri di Immortan Joe, desiderosi di morire nel modo più chiassoso e spettacolare possibile per poter avere la garanzia dell'accesso al Valhalla, e che rimanda ai kamikaze ed alla cultura del sacrificio bellico e religioso che abbiamo sperimentato sulla pelle del mondo negli ultimi decenni.
E' veicoli lanciati a perdifiato nel deserto, attraverso i canyons dell'outback australiano, adrenalina pura, esaltazione e malinconia, coraggio e tristezza, liberazione e morte.
E' la speranza di poter ricominciare, l'ancestrale cordone ombelicale che conduce alle braccia, ai seni ed alla pancia di una madre, all'acqua, alla vita che rinasce da una piccola pianta.
E' un uomo solo tra la polvere, che come uno squalo di terra non può smettere di correre, di muoversi, di guardare avanti.
Perchè quello è il solo modo per sopravvivere.
Ad un mondo popolato da predatori, e soprattutto a se stessi.




MrFord




"Breathe in deep, 
and cleanse away our sins
and we'll pray that there's no God
to punish us and make a fuss."
Muse - "Fury" - 





venerdì 20 febbraio 2015

Taken 3 - L'ora della verità

Regia: Olivier Megaton
Origine: Francia
Anno:
2014
Durata: 109'





La trama (con parole mie): Bryan Mills, ex agente speciale dei servizi segreti, spaccaculi di professione ormai deciso a rimanere in pensione, pare finalmente convinto a mantenere un basso profilo e dedicarsi alla famiglia, con le attenzioni alla figlia incinta che teme di rivelargli la notizia e l'ex moglie ancora indecisa se tornare tra le sue braccia o cercare di salvare il salvabile con l'attuale compagno, l'affarista Stuart.
Quando proprio quest'ultima viene ritrovata assassinata in casa di Mills e quest'ultimo accusato, ha inizio una caccia da parte delle forze dell'ordine che indurrà il quasi invincibile uomo d'azione a prendere in mano la situazione per scagionarsi, salvare la figlia ed il potenziale nipote, sgominare una banda di mafiosi russi e scoprire chi c'è dietro all'intero complotto ai suoi danni.
Tutto questo, ovviamente, tenendo a bada le forze di polizia sulle sue tracce, guidate dal tenace Dotzler.








Onestamente, dovrei ringraziare Luc Besson ed il suo pupillo Olivier Megatron, insieme ai Transformers tutti suoi progenitori: il brand targato Taken, infatti, non tradisce mai le aspettative.
Quando ci si imbatte in pellicole come questa, infatti, già si accarezza il piacere di aver trovato uno dei candidati più autorevoli per la decina dedicata al peggio dell'anno in corso, unendo al divertimento di qualche risata sguaiata quello delle prese per il culo continue indirizzate alla produzione intera.
Probabilmente, poi, suonerà quantomeno strano che un tamarro della mia stirpe, legato a doppio filo agli anni ottanta e a tutti gli eroi di genere made in USA risulti così allergico a questi giocattoloni pensati e realizzati oltralpe, eppure è inesorabilmente così: le cause vanno probabilmente ricercate nella presenza - quando si parla di produzione e sceneggiatura - del già citato Luc Besson, probabilmente uno dei più sopravvalutati ed immeritevoli di successo registi che esistano sul globo terracqueo, e di Liam Neeson - che oltre ad essere l'uomo con le mani più brutte del mondo come action hero è credibile più o meno quanto il Cannibale, a prescindere dall'altezza: vederlo in una delle rare sequenze non sostituito dallo stunt double correre è stato quanto di più esilarante il Cinema abbia regalato agli occupanti di casa Ford negli ultimi mesi -, così come da uno spirito che all'apparenza ricorda quello eighties, sguaiato e totalmente implausibile, ma che nell'approccio e nel modo di raccontare si presenta, fondamentalmente, come il più classico degli sfigati repressi che cercano con le loro battutine acide di risultare anche simpatici.
Come se non bastasse, questo terzo capitolo riesce a lasciare l'amaro in bocca anche da questo punto di vista, troppo lungo - superare i cento minuti con una proposta di questo tipo equivale a spappolarsi i gioielli di famiglia a colpi di cric - e decisamente incapace di avvincere anche dal punto di vista del ridicolo involontario.
Inoltre il charachter di Bryan Mills, già bollito in partenza, manca della cattiveria del primo capitolo e della totale e caotica sconclusionatezza del secondo, per nulla aiutato da avversari che non lasciano neppure il più misero dei dubbi a proposito del risultato finale della pellicola: si salva giusto il Dotzler di Forest Whitaker, attore di ben altra caratura rispetto al resto del cast che in pochi passaggi guadagna tutta l'attenzione del pubblico eclissando completamente non solo lo stesso Neeson/Mills, ma la storia portata sullo schermo dall'allegra brigata Besson/Megatron.
Se, dunque, da un lato è stato una garanzia ed una cosa indubbiamente confortante scoprire che Taken 3 abbia finito per eguagliare i suoi due precedenti in quanto a valore artistico e probabilità di arricchire le fila della decina dedicata al Ford Award del peggio in sala, dall'altro mi aspettavo forse un abominio con più carattere, da parte di Megatron: non so se sia stato l'influsso positivo dei suoi tanto odiati Autobots, ma il malvagio Decepticon avrebbe potuto spremere decisamente di più da quello che è stato il charachter che ha fatto la sua fortuna.
E a questo punto non so se sperare nell'episodio numero quattro, oppure se farmi bastare l'incedere a "passo di corsa" di Liam Neeson di spalle che pare quasi il più veloce della casa di riposo.




MrFord




"You're messing with my head
girl that's what you do best
saying there's nothing you won't do
to get me to say yes
you're impossible to resist
but I wouldn't bet your heart on it
it's like I'm finally awake
and you're just a beautiful mistake."
One Direction - "Taken" - 



martedì 4 novembre 2014

Guardiani della Galassia

Regia: James Gunn
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 121'




La trama (con parole mie): Peter Quill, rapito da un'astronave aliena ancora bambino e cresciuto nello spazio profondo, è un avventuriero con un rapporto non propriamente risolto con la Legge autoribattezzatosi Starlord. Quando mette le mani su un antico manufatto con l'intenzione di venderlo e diventare spaventosamente ricco, viene a contatto con Gamora, letale emissaria dell'impero Kree e di Ronan l'accusatore, che ha promesso in cambio della distruzione di un pianeta avversario a Thanos di recuperare per lui l'oggetto.
Finito in carcere proprio con Gamora ed una coppia curiosa di cacciatori di taglie sulle sue tracce - Rocket e Groot -, Peter finirà per improvvisarsi eroe quando il male assortito gruppo - al quale in carcere si unisce Drax il distruttore, assetato di vendetta rispetto a Ronan - dovrà mettere una pezza affinchè Thanos non entri in possesso di qualcosa di molto più potente di quanto ci si potesse aspettare.







Negli ultimi anni - forse, ultimamente, finendo per abusare della visibilità guadagnata - il genere supereroistico ha, di fatto, invaso le sale conquistando uno spazio decisamente ampio nella fetta di mercato dei blockbuster, a partire dalla meravigliosa - con i suoi alti ed i suoi bassi - trilogia di Nolan con protagonista Batman fino a Watchmen per quanto riguarda il meglio della produzione DC Comics, e gli Spider Man di Raimi - cui sono seguiti due non eccezionali reboot - e l'universo degli eroi classici in casa Marvel.
Rispetto ai loro diretti concorrenti, però, gli adepti di Stan Lee - che continua ad essere in una forma invidiabile a più novant'anni, sempre pronto ad una fugace apparizione nelle pellicole con protagoniste molte delle creature nate dalla sua penna - hanno sviluppato l'idea di una sorta di universo anche cinematografico che permettesse di creare un mosaico di singole pellicole parte di un'epopea unica complessiva con al centro gli Avengers, protagonisti di un film spettacolare un paio d'anni or sono, di uno in arrivo il prossimo e di un terzo che dovrebbe portare a compimento l'intero progetto.
E in mezzo ai Captain America, agli Iron man e ai Thor, ha finito per trovare spazio anche un gruppo praticamente sconosciuto ai non appassionati di nuvole parlanti, tra i più curiosi ed interessanti del panorama cosmico made in Marvel: i Guardiani della Galassia.
Affidati a James Gunn - che già mi sorprese in positivo con l'ottimo Super - i cinque male assortiti antieroi finiscono per riesumare il gusto per il kitsch della seconda metà degli anni settanta - non a torto questo film ha richiamato alla mente di molti elementi della prima trilogia di Star Wars - e l'approccio tamarro e fracassone degli eighties, regalando al pubblico una pellicola forse meno intensa ed esaltante di quella dedicata agli Avengers stessi ma che, di fatto, non solo propone volti nuovi in questo affollato panorama, ma anche un piglio decisamente più sbarazzino già pronto a sputarci addosso un sequel che già attendo ansiosamente e, soprattutto, uno spin-off che noi residuati degli anni ottanta non vediamo davvero l'ora di vedere sullo schermo - la scena di chiusura oltre i titoli di coda mi ha letteralmente fatto saltare sulla sedia per l'hype -.
Il risultato di tutti questi elementi è un giocattolone roboante e vintage dagli effetti ottimi, trainato da un quintetto di protagonisti spassosi e resi molto bene - perfino da Bautista/Batista, ex wrestler che a stento riesce ad articolare, figuriamoci a recitare - capitanati da un Rocket splendido - doppiato nella versione originale da Bradley Cooper - e da un Firelord pronto a lanciare nell'Olimpo dei cool Chris Pratt, ottima argomentazione per convincere le proprie fidanzate o mogli a presenziare alla visione. Niente male davvero anche Zoe Saldana nuovamente in versione aliena e le rappresentazioni cinematografiche di Ronan l'Accusatore e Thanos - che dovrebbe fare ritorno in pompa magna con il terzo film dedicato ai Vendicatori, per l'appunto -, gli effetti speciali ed una colonna sonora spettacolare, pronta a pescare a piene mani dall'immaginario musicale corrispondente all'infanzia di Peter/Firelord, un appartenente fiero alla generazione del sottoscritto.
Per il resto non c'è nulla di particolarmente innovativo, dalla struttura che vede un gruppo che definire poco coeso di antieroi risulta quantomeno eufemistico dapprima battersi come avversari e dunque da alleati ed amici quasi fraterni pronti a contrastare un male comune prendendo coscienza delle proprie responsabilità ad un finale aperto e decisamente pompato - in termini di esaltazione e scelte fracassone, ma anche di un certo spirito goliardico, si vedano le citazioni di Footloose -, eppure la confezione è ben curata, il risultato eccellente ed alcune sequenze irresistibili - la prima apparizione di Firelord alla ricerca dell'Orb a ritmo di musica, l'evasione dal carcere -: tutti gli ingredienti giusti, insomma, per un film d'intrattenimento come si conviene, in grado di regalare colori, esplosioni, personaggi interessanti e due ore di divertimento senza ritegno a chiunque sia disposto a saltare su quest'astronave decisamente sopra le righe e lasciarsi trascinare a suon di botte nel cuore di un Universo così grande e variegato da far apparire "troppo terrestri" perfino tutte le meraviglie Avengers-style.



MrFord



"I can't stop this feeling
Deep inside of me
Girl, you just don't realize
What you do to me."
Blue Swede - "Hooked on a feeling" -



 

sabato 30 agosto 2014

Trappola sulle Montagne Rocciose

Regia: Geoff Murphy
Origine: USA
Anno: 1995
Durata: 100'




La trama (con parole mie): Casey Ryback, ex membro dei corpi speciali nonchè superspaccaculi spesso e volentieri celato dietro la sua passione per la cucina, è a bordo di un treno per un viaggio che dovrebbe ricongiungerlo con la nipote Sarah, figlia del fratello morto, che non vede da anni. Il loro momento di ritrovata serenità parentale viene però sconvolto dall'arrivo di un commando di terroristi a bordo del mezzo guidati dall'ex membro della CIA Travis Dane, licenziato per i suoi squilibri dopo aver progettato un satellite dal potenziale distruttivo ed intenzionato a riprendere il controllo dello stesso estorcendo i codici di sicurezza ad una coppia di ex colleghi presenti proprio sul treno prima di rivendere il tutto a potenze straniere.
Ovviamente, proprio quando la situazione parrà precipitare senza possibilità di scampo, Ryback rimetterà da par suo le cose a posto.






Ammetto di avere per troppi anni sottovalutato - e snobbato colpevolmente - il lavoro firmato da uno degli action heroes più sopra le righe di sempre, Steven Seagal, da sempre considerato come il portabandiera del trash anche all'interno di un genere che trash è, di fatto, per definizione.
Il recente recupero di Trappola in alto mare - seguito a ruota dal qui presente sequel Trappola sulle Montagne Rocciose - hanno invece aperto una breccia nel cuore del sottoscritto rispetto al corpulento parruccone esperto di arti marziali, tornando ad illuminarmi come solo i filmacci usciti tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta riuscivano - e riescono tuttora -, con tutto il loro bagaglio di ironia, botte da orbi, trame improbabili e dialoghi al limite del ridicolo: senza dubbio inferiore al precedente capitolo, questo Under siege 2 riesce comunque ad intrattenere come il pubblico pane e salame necessita, sfoderando un cast che tutti gli appassionati di serie televisive riconosceranno - si toccano Twin Peaks e Breaking bad, fino all'allora giovanissima Katherine Heigl di Grey's anatomy -, al pari di volti noti sul grande schermo come Peter Greene  - visto in The mask, I soliti sospetti e Pulp fiction, tra gli altri -, Eric Bogosian - Talk radio - e Patrick Kilpatrick - Minority report, Classe 1999 -.
Forse meno divertente del predecessore, ma ugualmente in grado di regalare chicche a profusione - specialmente quando l'attenzione si sposta sui siparietti tra Seagal/Ryback e la sua spalla Morris Chestnut, in pieno spirito Arma letale -, il lavoro di Geoff Murphy non appartiene e probabilmente mai ha sognato di farlo al Cinema nel vero senso della parola, eppure alza l'indice della malinconia per un'epoca in cui titoli di questo stampo erano all'ordine del giorno, fracassoni e senza pensieri come è giusto che fossero, lontani dalle proposte fighette e troppo pompose - oltre che dai minutaggi assurdi - di oggi.
Il successo fu clamoroso al botteghino, eppure non venne mai realizzato un terzo capitolo di quello che, di fatto, può essere considerato la versione di serie molto b del brand di Die Hard: e nonostante regia e montaggio decisamente artigianali, ed un plot quantomeno prevedibile, resta interessante osservare le evoluzioni di Seagal soprattutto con il coltello, esempio interessante dell'applicazione degli studi di Aikido del per così dire attore, che conferma di divertirsi parecchio a rendere la parte dell'invincibile eroe positivo che nessuno può e potrà mai contrastare - forse una manifestazione dell'ego messo in dubbio dalla cofana sulla testa -.
Dunque, se avete bisogno della classica pellicola sguaiata e priva di ogni umana logica, corredata da qualche sana e goduriosa scazzottata ed esplosione da gustare tra amici accompagnata da rigorosi alcool e rutto libero, allora avete trovato pane per i vostri denti, e senza dubbio uscirete più che soddisfatti dall'esperienza: per tutti i radical chic ed affini, invece, ci addentriamo in "dark territories" - tanto per citare sempre il titolo originale - che si adattano poco o niente a palati fini e più o meno intenditori della settima arte.
Anche se, con buona pace di tutti loro, il Cinema - con o senza maiuscola - è anche questo.



MrFord



"Let me take you on a funky ride
all around the world
and ahh, if you let me get inside your mind
feel your spirits fly."

Outkast - "Funky ride" - 





martedì 19 agosto 2014

Transformers 4 - L'era dell'estinzione

Regia: Michael Bay
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 165'




La trama (con parole mie): Cade Yeager, meccanico ed inventore, e sua figlia Tessa, vengono casualmente in contatto con il "cadavere" di un camion che si rivela essere Optimus Prime, leader degli Autobots ferito gravemente ed autoesiliatosi a seguito degli eventi dell'ultimo episodio della loro saga, intento ad avvisare i suoi compagni del pericolo incombente. Nonostante, infatti, la caduta di Megatron e dei Decepticons, cacciatori di taglie provenienti dal loro pianeta d'origine ed un accordo con gli stessi stipulato da una multinazionale e dalla CIA rischiano di mettere a repentaglio non solo le loro vite, ma anche quelle di chiunque deciderà di aiutarli e, forse, degli abitanti della Terra. 
Riusciranno Yeager e Prime a tenere in piedi un'alleanza traballante e rimettere i pezzi del puzzle al loro posto? E riuscirà Michael Bay a spremere le creature della Hasbro per un quinto film?








Di norma, l'estate non regala mai troppe soddisfazioni, agli amanti della settima arte.
Non che possa dirmi totalmente in disaccordo, rispetto a questa regola non scritta: in fondo, anche il più radical tra i cinefili ha bisogno - per quanto rifiuterà sempre di ammetterlo - di mettere a riposo i neuroni, e dunque, approfittando di ferie e bella stagione, un periodo "off" anche in sala mi è sempre sembrato più che legittimo.
Peccato che, di fatto, quest'anno l'estate - che metereologicamente ha finto di non esserci - della settima arte sia iniziata a fine aprile e ancora rifiuti di lasciare il campo, consentendo a proposte come la qui presente quarta fatica di Michael Bay - uno degli antiCinema per eccellenza, fatta eccezione per Pain&Gain - legata ai robottoni trasformabili targati Hasbro e protagonisti negli anni ottanta di fumetti e cartoni animati che io stesso seguivo con grande interesse di prendersi tutto il possibile nell'ambito delle sale e degli spettatori.
In tutta onestà, speravo che la novità rappresentata dall'arrivo di Marc Wahlberg - un fordiano fatto e finito - potesse dare una svolta action tamarra tendenzialmente ridicola al brand finendo per rivitalizzarlo come fu per Fast&Furious con l'arrivo di The Rock, ma mi sono dovuto ricredere: certo, il buon Marky Mark e Stanley Tucci ce la mettono tutta per strappare due risate all'audience, e di sicuro non ci sono secondi fini - se non quello di fare cassa - dietro l'operazione gestita da Bay, ma a conti fatti il risultato è assolutamente uno dei più bassi raggiunti quest'anno dal Cinema pur nella sua accezione più popolare e blockbuster.
Marchette scandalose a nastro - da Tom Ford a Victoria's secret, senza contare quella vergognosa alle Beats, già sopravvalutate nel mercato dell'audio come cuffie e presenti con il pessimo diffusore bluetooth in una sequenza che pare essere stata inserita ad hoc -, logica non pervenuta - quasi peggio di un film horror di quelli che paiono girati apposta per essere sbeffeggiati nelle recensioni -, interpretazioni - esclusi i già citati Wahlberg e Tucci - oltre il limite dei cani maledetti ed un minutaggio che dovrebbe comportare sanzioni penali per sceneggiatori e produttori della pellicola: ora, io capisco che gli anni ottanta siano alle spalle e che i buoni, cari, vecchi film action della durata di un'ora e mezza scarsa non vadano più tanto di moda, ma vorrei capire come cazzo è possibile che una troiata gigante con robottoni trasformabili che si inseguono da una parte all'altra del mondo lottando per la salvezza dello stesso senza badare ai presunti milioni di morti considerati danni collaterali degli scontri - problema già ravvisato nel recente e pessimo Man of steel - tutto effetti speciali e poco altro debba costringermi a rimanere davanti ad uno schermo per la bellezza di centosessantacinque minuti sonanti senza per questo riuscire a fornire uno script degno almeno della scuola elementare.
Scandaloso davvero.
Giuro che, giunti al traguardo - per nulla semplice da conquistare - dell'ora e mezza, in casa Ford ci siamo chiesti se non fossimo stati vittime di una sorta di complesso meccanismo in grado di dilatare il tempo, e come fosse possibile che di fronte a noi si aprisse una finestra di un'altra settantina di minuti: un'Odissea, credetemi.
Certo, ci sono Marc Walhberg, i robottoni, le esplosioni, le sparatorie, le battutacce da film pseudo-macho, le astronavi, il cattivo gusto ed io sono un inguaribile tamarro: ma a tutto c'è un limite.
Michael Bay l'ha superato.
Ampiamente.
E per centoquaranta di questi centosessantacinque incredibili, assurdi minuti, ho pensato che l'estinzione cui si faceva riferimento nel titolo fosse la mia.



MrFord



"That I'm doing it all for you
I'm doing it all for you
I'm ready to go
I'm ready to go
I'm doing it all for you
I'm doing it all for you
I'm ready to go
I'm ready to go."
Imagine Dragons - "All for you" - 



venerdì 25 luglio 2014

Banshee - Stagione 1

Produzione: Cinemax
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi: 10




La trama (con parole mie): un ladro professionista tradito dalla donna che amava, nonchè sua complice, tornato in libertà dopo quindici anni di carcere, finisce nella piccola città di provincia di Banshee, dove la sua bella ha ricostruito la propria vita lontana dal crimine, da lui e dal padre, boss di origini russe della mala newyorkese. A seguito di una serie di casualità, l'ex detenuto finisce per ricoprire il ruolo dello sceriffo Lucas Hood, pronto a prendere servizio sul posto: il suo arrivo agiterà non poco le acque nel piccolo centro, dagli affari interni - che passano dallo spietato uomo di potere della zona Kai Proctor ai nativi americani a capo del casinò locale - a quelli di cuore, senza dimenticare la vendetta che incombe e che il padre della donna coltiva ancora nel cuore.






Onestamente, non so proprio come un titolo come Banshee sia riuscito ad eludere i radar fordiani per un intero anno: raramente, nel panorama del piccolo schermo, si è vista una proposta così clamorosamente affine ai gusti del sottoscritto, tamarra, sopra le righe, strabordante botte e sesso, assolutamente imperfetta in fase di logica e scrittura eppure godibile come poche altre, perfetta nell'approcciare le tematiche della provincia americana profonda e della Frontiera nel loro senso più profondo e privo di confini effettivi.
L'importante, comunque, è che sia alla fine giunta - grazie al mio fratellino Dembo - dalle parti del Saloon, regalando agli occupanti di casa Ford momenti di profondo divertimento, tra una scazzottata epica - clamorosa quella tra lo sceriffo Hood ed il lottatore di MMA, tesissima come non ne capitavano da queste parti dai tempi di The Raid e Ip Man - ed una scopata da urlo - a quanto pare, il buon main charachter, seppur fisicamente a mio parere non reso alla perfezione da Anthony Starr, riscuote il tipico successo del bad guy presso le signorine della contea -, per non parlare del tipico crescendo da serie crime che non fa mai male.
Senza dubbio non mancano i difetti, ed in più di un'occasione si ha la netta percezione che si sfoci nella vera e propria fantascienza neanche fossimo tornati ai buoni, vecchi, film action anni ottanta, eppure i dieci episodi di questa prima stagione filano via ad una velocità invidiabile, e pongono discretamente bene le basi per una seconda che promette un ulteriore salto di qualità in termini di scontri, incasinamenti e caos generato dal buon Hood, uno che pare nato per trovarsi al centro di qualche casino con i fiocchi un giorno sì e l'altro anche.
Per un amante della Frontiera e del suo concetto, del pane e salame e dei casinisti come il sottoscritto, dunque, una serie come questa è praticamente un regalo di natale, impreziosita da un impegno non eccessivo in termini di contenuti e senza mezzi termini come un diretto alla mascella, alcool che scorre a fiumi, personaggi forse tagliati con l'accetta ma ugualmente affascinanti, dal vecchio barman ex pugile al già mitico Job, passando per lo sfaccettato Proctor, interpretato dalla vecchia conoscenza del Cinema d'autore europeo Ulrich Thomsen, che il sottoscritto continuerà ad amare incondizionatamente per la sua interpretazione nel cultissimo Le mele di Adamo.
Un fumettone, dunque, che riporta sullo schermo tutta la ruvidità di proposte come Sons of anarchy senza che il dramma possa essere una componente determinante, da seguire con stuzzichini vari e rutto libero e dal primo all'ultimo pugno: non servono, dunque, troppe spiegazioni, se non quella di una sorta di versione campagnola del vecchio adagio homo homini lupus, reso alla grande dai personaggi oscuri - dal già citato Proctor a Rabbit, senza dimenticare Hood e la sua ex compagna - così come da quelli "positivi" - la squadra di poliziotti al servizio dello sceriffo, la giovane Deva, il procuratore Gordon -.
Se non avete paura, dunque, di sporcarvi un pò le mani e godervi qualche sana rissa da bar - e qualcosa in più -, un pò di sesso selvaggio e qualche sbronza, Banshee è il posto che fa per voi.
Da par mio, ci sono stato benissimo.



MrFord



"The problem with society's been how do we teach
and if they'll believe.
we'll fight this battle for years to come
'til we all accept that we can stand on our own."
Avenged Sevenfold - "The fight" -




sabato 31 maggio 2014

Trappola in alto mare

Regia: Andrew Davis
Origine: USA, Francia
Anno: 1992
Durata: 103'




La trama (con parole mie): Casey Ryback, un ex seal improvvisatosi cuoco a bordo della storica corazzata Missouri, si trova coinvolto nell'attacco che un gruppo di terroristi guidati dall'ex agente dei servizi segreti Stranix ha organizzato in modo da impadronirsi dei missili a testate nucleari presenti a bordo e pronti per essere smantellati secondo gli accordi internazionali.
Con la complicità del comandante in seconda Krill, gli uomini di Stranix paiono avere completamente sotto controllo la situazione, riuscendo a tenere in scacco perfino lo Stato Maggiore degli USA: nel momento in cui Ryback scenderà in campo, però, la geografia dello scontro cambierà improvvisamente aspetto.
Il "cuoco", dunque, si renderà protagonista di una riscossa a suon di botte e proiettili che archivierà la minaccia ripristinando l'ordine costituito.






Non troppo tempo fa, in occasione del post dedicato alla collana curata da La Gazzetta dello sport dedicata alle gesta di Steven Seagal, uno degli eroi action più sopra le righe degli anni ottanta e novanta, approfittai per recuperare i dvd di due dei titoli di maggior successo con protagonista il ben poco espressivo esperto di arti marziali, Trappola in alto mare ed il suo sequel, Trappola sulle Montagne Rocciose.
Idolo assoluto di mio padre per quanto riguarda le visioni da cervello spento e spesso e volentieri ridicolizzato perfino da un action addicted e tamarro senza ritegno come il sottoscritto, il realtà il corpulento Steven ha finito per essere protagonista, a cavallo tra gli ultimi scampoli di eighties ed i primi ruggiti dei nineties, di pellicole di genere decisamente divertenti che ebbero anche un discreto successo al botteghino, consegnandolo all'Olimpo dei volti dei film di botte senza se e senza ma.
Del novero fa parte senza dubbio Trappola in alto mare, classico filmaccio buzzurro dell'epoca che vede buoni e cattivi tagliati con l'accetta affrontarsi colpo su colpo dall'inizio alla fine grazie ad uno script che più elementare non si potrebbe ed un cast che vede all'opera caratteristi rimasti tali, attori consumati - Garey Busey - e future star anche del Cinema "alto" - Tommy Lee Jones -: esplosioni, lanci di coltelli, gran legnate e proiettili, poi, preparano una cornice da grandi occasioni per un titolo che ricorda, nella sua costruzione, cose decisamente più interessanti come il primo Die Hard nello svolgimento e nella struttura.
Considerate le agghiaccianti esperienze recenti con il Seagal di cose terribili come Killing Point - geniale nella sua disarmante bruttezza -, non mi aspettavo di divertirmi così tanto in un recupero di un suo successo d'annata, impreziosito da alcune evoluzioni del protagonista con il coltello alla mano - legate, presumibilmente, alla sua esperienza nel combattimento corpo a corpo - e dalla presenza della notevole Erika Eleniak, che gli adolescenti di allora ricorderanno in Baywatch, protagonista di almeno un paio di topless che devono aver reso felice il pubblico in piena pubertà ai tempi dell'uscita in sala.
Prodotti come questo, senza alcuna pretesa eppure clamorosamente efficaci nel loro essere di grana grossa, restano il simbolo di un'epoca purtroppo tramontata, e finiscono per mancare come l'aria oggi, in un momento storico della settima arte in cui perfino i film di botte manifestano ambizioni troppo alte e si affidano a minutaggi da record, sfiancando lo spettatore che ai tempi dei Trappola in alto mare finiva per non rendersi neppure conto di quell'ora e mezza o poco più che volavano grazie alle improbabili imprese di spaccaculi capaci di far apparire gente come Jack Bauer agnellini pronti per i cartoni animati del primo pomeriggio.
Un successo, dunque, per Steven Seagal, che finisce per preparare alla grande il terreno per il successivo e già citato Trappola sulle montagne rocciose e stimola la curiosità del sottoscritto rispetto al recupero di altre due chicche della sua carriera, Nico e Duro da uccidere.
E' in corso una almeno parziale rivalutazione del parruccatissimo Stevenone?
Solo il tempo lo potrà dire.
Di sicuro, di trappole come queste, al Saloon vorremmo vederne molto più spesso.



MrFord



"If I'm butter - if I'm butter- 
if I'm butter, then he's a hot knife, 
he makes my heart a cinemascope, 
he's showing the dancing bird of paradise."
Fiona Apple - "Hot knife" - 




venerdì 13 dicembre 2013

Red 2

Regia: Dean Parisot
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
116'




La trama (con parole mie): Frank Moses, ormai definitivamente in pensione e pronto a concentrarsi sul rapporto con la fidanzata Sarah, viene coinvolto suo malgrado in un losco ed esplosivo - in tutti i sensi - affare di spionaggio. A seguito di una rivelazione giunta dalla rete, infatti, un intrigo vecchio di decine d'anni rappresentato dal folle scienziato Bailey mette lo stesso Frank ed il suo inseparabile compare Marvin nel mirino di tutte le maggiori agenzie del mondo, nonchè di un pericoloso sicario ingaggiato dalla CIA per liberarsi dei suoi due troppo sopra le righe ex agenti.
Dunque, seppur controvoglia, Moses si troverà costretto a scendere in campo per fare quello che gli riesce meglio - spaccare culi - cercando nel contempo di preservare la salute fisica e mentale della sua metà: sempre che la stessa non sia più felice - molto più felice - di lui di ritrovarsi nel pieno dell'azione.





La vecchia regola degli "old guys rule" - che mi ricorda la recente lettura de I re del mondo - è praticamente sacra, qui al Saloon, e da ben prima che arrivassero a confermarla Capolavori come Gran Torino o perle come i due Expendables: la vecchia scuola ed il suo approccio ruvido ma efficace era stata il leit motiv principale anche di Red, action movie ispirato ad un albo a fumetti passato su questi schermi intrattenendo gli occupanti di casa Ford a dovere un paio d'anni or sono e tornato alla ribalta con un sequel che, nonostante le scarse aspettative, è riuscito a raggiungere ampiamente il livello del primo film, puntando con una decisione ancora maggiore sulla componente ironica legata alle gesta dell'agente speciale in pensione Frank Moses, felicemente - almeno in apparenza - consacratosi alla vita civile tutta fidanzata e centri commerciali nel weekend.
Bruce Willis, praticamente nato per parti come questa, torna dunque a vestire i panni di un charachter che pare l'emblema assoluto del genere, supportato da una schiera di comprimari da urlo, a partire dal Marvin di John Malkovich per finire in bellezza con la Victoria di Helen Mirren, che per la seconda volta torna a sfoderare un look ed un approccio da dark lady - seppur attempata - letale sotto tutti i punti di vista.
Il tocco vincente, comunque, del secondo capitolo - e a questo punto c'è da sperare che ne venga proposto anche un terzo - delle avventure di questo "wild bunch" di spaccaculi solo apparentemente in pensione è dato dall'ironia, giocata a più riprese ed in qualsiasi situazione - sia essa da campo di battaglia o da "momento di riflessione" - per così dire -, ed utilizza come catalizzatore della stessa la fidanzata del protagonista, al centro di momenti già cult come il confronto con l'ex del solido Brus - l'agente del KGB interpretata da Catherine Zeta Jones - o il tormentone del bacio, senza dubbio il personaggio rivelazione della pellicola.
Pellicola che non perde un colpo in termini di ritmo e alla quale pare sia giovato il cambio di mano dietro la macchina da presa, così come l'inserimento di Byung - splendida la sua sequenza d'esordio, divertenti i siparietti ed i faccia a faccia con Willis - e l'utilizzo di Anthony Hopkins, che seppur ormai un pò troppo uguale a se stesso riesce in ogni caso a fare la sua porca figura, che sia in veste di scombinato scienziato o di villain numero uno della cricca di arzilli vecchietti.
Considerato che, almeno sulla carta, il rischio di incorrere in robaccia inutile portata sullo schermo soltanto nella speranza di raschiare il fondo del barile degli incassi era molto alto, Red 2 sorprende almeno quanto il primo capitolo, e diviene uno dei riferimenti dei film tutti sparatorie ed esplosioni - e battute da macho tipiche del "settore" - della seconda parte di questo duemilatredici, supportato alla grandissima da un gruppo di attori che, ci sarebbe da scommetterci, ha scoperto di divertirsi oltre misura mostrando quante palle si possono avere anche una volta superati i famigerati "anta" - e metteteci voi la cifra che volete davanti -.
Un sano intrattenimento action come se ne facevano ai bei tempi, dunque, che non inventerà certo nulla di nuovo ma che senza dubbio porta a casa la pagnotta mostrando agli pseudo registi ed interpreti di oggi - Statham escluso - cosa significa avere a che fare con gli alfieri dell'old school.


MrFord


"The older guys tell us what it's all about
the older guys really got it all worked out
since we've got the older guys to show us how,
I don't see why we can't stop right now."
Teenage Fanclub - "Older guys" - 


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