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lunedì 8 maggio 2017

Guardiani della Galassia Vol. 2 (James Gunn, USA, 2017, 136')




E' proprio dura, a volte, essere uno stronzo.
E non lo scrivo come una giustificazione.
In un certo senso, ho sempre ammirato i bravi ragazzi, quelli che riescono a dare l'esempio, a non uscire dal seminato neppure nel momento in cui converrebbe loro molto di più.
Credo sia questo uno dei motivi per i quali ho sposato Julez.
Credo sia questo uno dei motivi per i quali negli anni ho rivissuto e recuperato il mito di Sly quantomeno sullo schermo.
In realtà, io adoro i "bravi ragazzi".
Perchè non potrò mai essere parte del novero.
Amo troppo me stesso, vivere, eccedere, e non mi sento in colpa per nessuna delle mie colpe.
Penso sia perchè quando vivo, sento.
Sento il più possibile.
E penso sia perchè se non fossi uno stronzo, le persone che mi amano non mi sentirebbero altrettanto.
Sono più un tipo alla Rocket, o alla Yondu, anche se non amo aggredire, quanto più essere aggredito.
Quasi cercassi una giustificazione per essere ancora più stronzo.
Non rompere il cazzo a nessuno in modo che nel momento in cui viene rotto a te puoi sentirti sollevato da qualsiasi peso.
Si chiama Ego, questo fenomeno.
E non credo riuscirò mai a scollarmelo di dosso.
Del resto, non sono Peter Quill, Starlord, o chi per lui.
Ma posso dirvi una cosa.
Ho guardato il piccolo Groot allungare le braccia, rivisto quello che la Fordina - che è una specie di dinosauro in fasce - fa con me ogni giorno, e non ho potuto fare altro che commuovermi.
E come se non bastasse quello, l'enorme figlio di puttana James Gunn mi ha anche piazzato Father and son, giusto per assestare un colpo basso e farmi sperare, un giorno, di poter apprezzare tanto un film divertente e sentimentale così ben riuscito - imperfezioni comprese - come Guardiani della Galassia Vol. 2 insieme ad entrambi i miei bambini, a prescindere da come sono e da come saranno, dal Fordino che pare un amplificatore di emozioni ed una batteria di sensibilità alla Fordina, che al contrario è praticamente uno schiacciasassi.
Bravi ragazzi e stronzi provetti.
L'innocente, piccolo Groot senza limitazioni, la dura dal cuore tenero Gamora, il fracassone ferito Drax, i nati per sbagliare Rocket e Yondu.
Questa è la Famiglia.
In tutta onestà, non mi interessa granchè di quello che sarà Infinity War, aspettative da fan a parte.
Non mi interessa che Guardiani della Galassia sia parte dell'affresco del Cinematic Universe, ed al servizio di una logica che, fino a quando vedrà il botteghino dare ragione alle cifre prima ancora che alle critiche, proseguirà senza badare troppo al come, al cosa e al quando.
Non mi interessa descrivere nel dettaglio quanto mi sia divertito, gustato, goduto Guardiani della Galassia Vol. 2.
Voglio solo affermare che sono questi i film che voglio.
Quelli che arrivano dritti dalla pancia, e fanno sentire vivo, ed aver voglia di scrivere anche solo due righe in barba a qualsiasi sveglia o impegno o incombenza del giorno successivo, o bere quelle due dita di troppo per placare un fiume in piena, o gonfiarlo.
I film che producono necessità.
E se devo essere uno stronzo per questo, fanculo.
Sarò felice di esserlo a vita.
In fondo, quelle braccine che si sporgono verso di me valgono bene questo sacrificio.
E ben altri.




MrFord




 

martedì 4 novembre 2014

Guardiani della Galassia

Regia: James Gunn
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 121'




La trama (con parole mie): Peter Quill, rapito da un'astronave aliena ancora bambino e cresciuto nello spazio profondo, è un avventuriero con un rapporto non propriamente risolto con la Legge autoribattezzatosi Starlord. Quando mette le mani su un antico manufatto con l'intenzione di venderlo e diventare spaventosamente ricco, viene a contatto con Gamora, letale emissaria dell'impero Kree e di Ronan l'accusatore, che ha promesso in cambio della distruzione di un pianeta avversario a Thanos di recuperare per lui l'oggetto.
Finito in carcere proprio con Gamora ed una coppia curiosa di cacciatori di taglie sulle sue tracce - Rocket e Groot -, Peter finirà per improvvisarsi eroe quando il male assortito gruppo - al quale in carcere si unisce Drax il distruttore, assetato di vendetta rispetto a Ronan - dovrà mettere una pezza affinchè Thanos non entri in possesso di qualcosa di molto più potente di quanto ci si potesse aspettare.







Negli ultimi anni - forse, ultimamente, finendo per abusare della visibilità guadagnata - il genere supereroistico ha, di fatto, invaso le sale conquistando uno spazio decisamente ampio nella fetta di mercato dei blockbuster, a partire dalla meravigliosa - con i suoi alti ed i suoi bassi - trilogia di Nolan con protagonista Batman fino a Watchmen per quanto riguarda il meglio della produzione DC Comics, e gli Spider Man di Raimi - cui sono seguiti due non eccezionali reboot - e l'universo degli eroi classici in casa Marvel.
Rispetto ai loro diretti concorrenti, però, gli adepti di Stan Lee - che continua ad essere in una forma invidiabile a più novant'anni, sempre pronto ad una fugace apparizione nelle pellicole con protagoniste molte delle creature nate dalla sua penna - hanno sviluppato l'idea di una sorta di universo anche cinematografico che permettesse di creare un mosaico di singole pellicole parte di un'epopea unica complessiva con al centro gli Avengers, protagonisti di un film spettacolare un paio d'anni or sono, di uno in arrivo il prossimo e di un terzo che dovrebbe portare a compimento l'intero progetto.
E in mezzo ai Captain America, agli Iron man e ai Thor, ha finito per trovare spazio anche un gruppo praticamente sconosciuto ai non appassionati di nuvole parlanti, tra i più curiosi ed interessanti del panorama cosmico made in Marvel: i Guardiani della Galassia.
Affidati a James Gunn - che già mi sorprese in positivo con l'ottimo Super - i cinque male assortiti antieroi finiscono per riesumare il gusto per il kitsch della seconda metà degli anni settanta - non a torto questo film ha richiamato alla mente di molti elementi della prima trilogia di Star Wars - e l'approccio tamarro e fracassone degli eighties, regalando al pubblico una pellicola forse meno intensa ed esaltante di quella dedicata agli Avengers stessi ma che, di fatto, non solo propone volti nuovi in questo affollato panorama, ma anche un piglio decisamente più sbarazzino già pronto a sputarci addosso un sequel che già attendo ansiosamente e, soprattutto, uno spin-off che noi residuati degli anni ottanta non vediamo davvero l'ora di vedere sullo schermo - la scena di chiusura oltre i titoli di coda mi ha letteralmente fatto saltare sulla sedia per l'hype -.
Il risultato di tutti questi elementi è un giocattolone roboante e vintage dagli effetti ottimi, trainato da un quintetto di protagonisti spassosi e resi molto bene - perfino da Bautista/Batista, ex wrestler che a stento riesce ad articolare, figuriamoci a recitare - capitanati da un Rocket splendido - doppiato nella versione originale da Bradley Cooper - e da un Firelord pronto a lanciare nell'Olimpo dei cool Chris Pratt, ottima argomentazione per convincere le proprie fidanzate o mogli a presenziare alla visione. Niente male davvero anche Zoe Saldana nuovamente in versione aliena e le rappresentazioni cinematografiche di Ronan l'Accusatore e Thanos - che dovrebbe fare ritorno in pompa magna con il terzo film dedicato ai Vendicatori, per l'appunto -, gli effetti speciali ed una colonna sonora spettacolare, pronta a pescare a piene mani dall'immaginario musicale corrispondente all'infanzia di Peter/Firelord, un appartenente fiero alla generazione del sottoscritto.
Per il resto non c'è nulla di particolarmente innovativo, dalla struttura che vede un gruppo che definire poco coeso di antieroi risulta quantomeno eufemistico dapprima battersi come avversari e dunque da alleati ed amici quasi fraterni pronti a contrastare un male comune prendendo coscienza delle proprie responsabilità ad un finale aperto e decisamente pompato - in termini di esaltazione e scelte fracassone, ma anche di un certo spirito goliardico, si vedano le citazioni di Footloose -, eppure la confezione è ben curata, il risultato eccellente ed alcune sequenze irresistibili - la prima apparizione di Firelord alla ricerca dell'Orb a ritmo di musica, l'evasione dal carcere -: tutti gli ingredienti giusti, insomma, per un film d'intrattenimento come si conviene, in grado di regalare colori, esplosioni, personaggi interessanti e due ore di divertimento senza ritegno a chiunque sia disposto a saltare su quest'astronave decisamente sopra le righe e lasciarsi trascinare a suon di botte nel cuore di un Universo così grande e variegato da far apparire "troppo terrestri" perfino tutte le meraviglie Avengers-style.



MrFord



"I can't stop this feeling
Deep inside of me
Girl, you just don't realize
What you do to me."
Blue Swede - "Hooked on a feeling" -



 

venerdì 23 maggio 2014

Out of the furnace

Regia: Scott Cooper
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 116'




La trama (con parole mie): Russell Baze è un uomo da duro lavoro e silenzi prolungati, sepolto in fabbrica nella provincia americana profonda. Suo fratello Rodney, invece, veterano della Guerra in Iraq e testa calda, non pensa a lavorare e a farsi una famiglia, quanto a cercare di fare soldi grazie ai combattimenti illegali, supportato dal piccolo boss locale John Petty.
Quando Russell finisce in carcere a seguito di un incidente stradale e Rodney è lasciato solo a se stesso, finisce per incrociare la strada di Harlan DeGroat, un losco individuo violento e senza regole che di tanto in tanto traffica con Petty: quando Russell tornerà in libertà e Rodney si deciderà a combattere per l'ultima volta, le cose vanno a rotoli ed il minore dei Baze scompare.
Constatata l'incapacità della polizia di intervenire contro DeGroat, Russell deciderà di farsi giustizia da solo.







La Frontiera è da sempre uno dei luoghi che più affascina il sottoscritto, come ormai ogni avventore del Saloon ben saprà: un altro tema molto caro a questo vecchio cowboy è quello legato al rapporto tra fratelli, che ho vissuto e vivo intensamente sulla pelle ogni giorno.
La provincia americana - o almeno, una parte molto ruvida e selvaggia della stessa - offre uno dei terreni migliori per raccontare storie di vite consumate "tra il nulla e l'addio", che nel corso delle ultime stagioni sono state raccontate con piglio e risultati non uniformi ma con la stessa passione da pellicole come Un gelido inverno, Lawless o Come un tuono: Out of the furnace si colloca proprio in questo stesso filone disperato e rabbioso, sporco e decisamente senza speranze che possano essere alimentate da sogni larger than life come quello americano.
La vicenda dei fratelli Baze, narrata in stile classico dal regista del decisamente fordiano Crazy heart, è di quelle da ballad strappacuore di uno Springsteen o di un Neil Young, un dramma che finisce per ritrovarsi più legato alla disperazione ed al male di vivere che non alla vendetta ed al suo compimento, e che mostra quanto, in luoghi dimenticati come quello in cui i protagonisti si ritrovano a dover crescere e lottare per la loro sopravvivenza, le possibilità di rifuggire da una quotidianità che porta in fabbrica, nell'esercito o nell'illegalità siano prossime allo zero.
Il lavoro di Cooper, decisamente più efficace nella prima parte che nella seconda, forse troppo frettolosa e stereotipata, riesce comunque ad avvincere e coinvolgere l'audience grazie ad una carica emotiva che, seppur non raggiungendo gli stessi livelli, è riuscita a riportare alla mente del sottoscritto lo splendido Prisoners, grazie anche al lavoro di un cast di altissimo livello, da un Bale clamoroso soprattutto per l'accento - se non l'avessi saputo, avrei giurato che, più che inglese, fosse americano fino al midollo - ad un sempre convincente Woody Harrelson, qui nelle vesti di uno dei personaggi più oscuri e selvaggi che abbia mai interpretato - esemplare, in questo senso, l'ottima sequenza d'apertura -, spalleggiati da grandi nomi sfruttati come comprimari - Defoe e Whitaker - e giovani volti come Casey Affleck - che a livello interpretativo è decisamente anni luce superiore al fratello - e Zoe Saldana, mai parsa così intensa.
Ma la cosa che più mi ha fatto voler bene a Out of the furnace è stata senza dubbio la passione espressa nel raccontarlo, quasi fosse il regista stesso a dibattersi per uscire da una provincia che pare più soffocante e senza prospettive di un carcere o di una missione dall'altra parte del mondo pronti a dare la vita - e a toglierla - in nome di un Paese che, ma è storia vecchia, finisce per abbandonarti a te stesso una volta sulla via del ritorno.
Nella disperazione sommessa di Russell rimasto solo sul ponte dopo il confronto con quella che era e potrebbe essere ancora la sua donna, futura madre di un figlio che avrebbe voluto per lui, o nella resa incondizionata di Rodney di fronte all'inevitabile c'è tutta l'amarezza di chi è perduto dalla nascita, e dalla fornace cui la vita l'ha destinato potrà uscire sempre e soltanto nel peggiore dei modi.
Ed anche così, le prospettive paiono migliori di quelle che una vita di sopravvivenza quasi animale può offrire.



MrFord



"Stab the knife into the face and then
wrench the blade inside
murder this piece of shit
scraps of flesh and severed bone are on the floor
these I must hide."
Cannibal corpse - "Evidence into the furnace" - 




martedì 18 giugno 2013

Star Trek - Into darkness

Regia: J. J. Abrams
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
132'




La trama (con parole mie): il Capitano Kirk, come sempre allergico alle regole ed ai protocolli, è messo nei guai dal suo primo ufficiale, Spock, quando per salvare la vita dello stesso vìola una delle direttive di non interferenza della Flotta Stellare, finendo per essere degradato e privato del comando della sua nave.
Quando, però, un ribelle ed ex agente della Flotta stessa attacca gli alti ufficiali uccidendo, tra gli altri, Pike, mentore dello stesso Kirk, il giovane capitano viene reintegrato in modo da dare la caccia al criminale ed ucciderlo: dietro le direttive della missione, però, si nascondono scheletri nell'armadio della Flotta e del suo comandante, Marcus, la cui figlia finisce per imbarcarsi sull'Enterprise per mettere a nudo i piani del padre.
Kirk ed i suoi uomini si troveranno dunque presi tra due - e più - fuochi, e dovranno mettere le loro vite in gioco per salvare la Terra da una guerra e da chi - da una parte e dall'altra della barricata - le vuole decisamente male.





E' curioso, il ricordo di Star Trek che conservo: benchè mio nonno, infatti, fosse uno strenuo sostenitore dei film western e di guerra, una delle serie che seguiva - con me accanto - con più passione era proprio l'originale dedicata all'equipaggio dell'Enterprise, storica nave spaziale che con la sua curiosa forma finì per diventare uno dei miti della mia infanzia insieme ai suoi occupanti, dall'apparentemente freddo Spock al mitico Kirk, già allora idolo del sottoscritto, senza dimenticare Chekov, Scotty, Sulu, Uhura ed l'indimenticato McCoy - ribattezzato Bones in questa nuova versione -.
Allo stesso modo, non sono mai diventato un trekker, e ricordo di aver avuto una sorta di fidanzata, ai tempi dell'ultimo anno delle superiori, che invece per le occasioni speciali finiva per indossare tanto di tuta della Next Generation, che a ripensarci avrei dovuto prendere molto più per il culo.
E dalla fine del liceo, il nulla.
Quattro anni fa, quando J. J. Abrams, genio del piccolo schermo consolidatosi e cresciuto grazie a serie di culto come Alias e Lost, mise le mani su questo titolo per farne una sorta di prequel/reboot, la mia curiosità per Kirk e soci tornò ad aumentare, e le attese non furono affatto tradite: il risultato, infatti, fu un ottimo film di fantascienza nel senso più classico del termine, in grado di mescolare gli elementi d'avventura e d'azione - senza contare l'ironia - della prima trilogia di Star Wars e gli effetti e la regia dinamica che il nuovo millennio impone.
Con questo secondo capitolo, ovviamente, speravo quantomeno in una riconferma del regista che, nel frattempo, era riuscito a rievocare gli anni ottanta grazie all'ottimo Super 8, in qualche modo rendendo anche più alte le aspettative della vigilia: e che posso dire!?
Quel gran figlio di buona donna di Abrams ha centrato il bersaglio un'altra volta, se possibile migliorando il suo standard e consegnando al pubblico non solo uno dei migliori film di fantascienza degli ultimi anni - attenzione, questo Into darkness si mangia roba come Prometheus a colazione e molti degli anni settanta a pranzo, rivaleggiando, tra l'aperitivo e la cena, con il meglio dei già citati eighties -, ma andando oltre effettoni e messa in scena preoccupandosi di rendere tridimensionali i suoi personaggi e, di fatto, trasformando un omaggio in qualcosa in grado di rendere ancora più grande l'eredità di una serie - televisiva e di lungometraggi - cult per ben più di una generazione di spettatori.
Esempio perfetto dell'altissimo livello di questa produzione è l'utilizzo di un personaggio già noto ai fan della saga di Star Trek come Khan, protagonista del secondo film dedicato agli uomini e alle donne dell'Enterprise risalente all'ottantadue nonchè uno dei migliori mai prodotti della serie - insieme al supercult Rotta verso la Terra -: l'interpretazione di Benedict Cumberbatch, protagonista di Sherlock, e l'approfondita scrittura del personaggio, rendono l'incastro con quello che sarà il "futuro" di Kirk e i suoi ancora più interessante, senza contare che, nel corso dell'intera vicenda, l'amicizia ed i botta e risposta che coinvolgono il Capitano ed il suo primo ufficale impreziosiscono la pellicola con divertentissimi scambi sulla scia delle migliori proposte della settima arte in materia di amicizia virile - ultimamente, e pare quasi uno scherzo del destino, soltanto gli Holmes e Watson di Guy Ritchie sono riusciti a divertire con il loro bromanticismo in questo modo - ed i differenti caratteri degli ufficiali dell'Enterprise riescono a rendere alla grandissima l'idea dell'equipaggio inteso come Famiglia che passa anche e soprattutto attraverso la caratterizzazione e l'approfondimento della loro vera nemesi, un nemico ben più inquietante e pericoloso di politicanti guerrafondai come Marcus - una critica rispetto alle passate amministrazioni USA? -.
Come se tutto questo non bastasse, due cose alzano ulteriormente l'asticella della qualità rispetto al lavoro di Abrams: la capacità di mantenere altissima la tensione - sfido a trovare uno solo tra il pubblico a non sapere che il buon James Tiberius Kirk sopravviverà a queste imprese - nonostante si tratti, a conti fatti, di prequel, e quella di riuscire ad interpretare al meglio la sensazione che ai tempi di E. T. - ma questo si poteva evincere con il già citato Super 8 - rendeva ogni esperienza in sala e legata ad un genere come la fantascienza un viaggio verso l'ignoto in grado di farci spalancare occhi e bocca neanche fossimo gli indigeni di un pianeta sperduto che finiscono per trovarsi di fronte ad un'astronave migliaia di anni più avanti nel futuro.
Meraviglia, signori miei.
Questa è la specialità di J. J. Abrams.
E del Cinema.
Non dovremmo scordarcelo mai.
E per fortuna c'è gente come lui pronta a rinfrescarci la memoria ad ogni nuova pellicola.



MrFord



"Parlami dell' esistenza di mondi lontanissimi
di civiltà sepolte di continenti alla deriva.
Parlami dell'amore che si fà in mezzo agli uomini
di viaggiatori anomali in territori mistici...di più.
Seguimmo per istinto le scie delle Comete
come Avanguardie di un altro sistema solare."
Franco Battiato - "No time no space" -





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