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sabato 11 ottobre 2014

Cold in July

Regia: Jim Mickle
Origine: USA, Francia
Anno:
2014
Durata: 109'





La trama (con parole mie): Richard Dane è un tranquillo corniciaio con una famiglia come tante altre, pronto a vivere la sua altrettanto tranquilla esistenza in un angolo del Texas sul finire degli anni ottanta. Quando, però, un ladro entra in casa sua e, sentendosi spaventato e minacciato negli affetti, l'uomo finisce per ucciderlo quasi accidentalmente con un colpo della pistola di suo padre, tutto cambia: il morto, infatti, è figlio di un pregiudicato decisamente pericoloso appena uscito dopo una lunga permanenza in prigione e pronto a prendere di mira la famiglia Dane per vendicarsi della perdita subita.
Neppure il tempo di rifugiarsi nel terrore della rappresaglia dell'ex detenuto, quand'ecco che le carte in tavola vengono cambiate di nuovo: Dane e Russel - questo il nome del vecchio criminale -, divenuti alleati, si ritrovano, accanto al detective privato Jim Bob, ad affrontare una vicenda decisamente più oscura di quanto non avrebbero mai pensato.






Joe Lansdale è uno dei più cari amici del Saloon.
E lo è dall'incipit di Una stagione selvaggia, primo romanzo della serie dedicata a Hap e Leonard, i suoi due eroi più noti, che regalò al sottoscritto uno degli autori più vicini alla sua sensibilità di sempre.
Freddo a luglio è stato senza dubbio uno dei lavori del romanziere texano che ho più apprezzato, al di fuori della saga dei succitati ed improvvisati detectives: una fosca vicenda dedicata al rapporto tra padri e figli che divorai l'estate precedente la nascita del Fordino, quando certe sensazioni potevo solo immaginarle, senza sapere che provate sulla pelle sarebbero state anche più forti.
Quando lessi della notizia di un film tratto dal romanzo, accolto come se non bastasse decisamente bene in quel del Sundance, l'aspettativa si fece decisamente alta, complice un cast che pareva essere stato scelto con un occhio di riguardo per il sottoscritto, dal Michael C. Hall interprete indimenticato di Six Feet Under e Dexter a Sam Shepard, passando per Don Johnson, uno che dovrebbe essere fordiano almeno quanto Lansdale.
Ho conservato la visione in modo da poterla condividere, pressando Julez allo spasimo e sfruttando la visita del suocero per affrontare uno dei noir più interessanti sul rapporto tra generazioni a suon di White russian come se piovessero: l'attesa è valsa la pena, e devo ammettere che, se non avessi letto l'opera dalla quale è stato tratto, avrei probabilmente finito per attribuire un voto anche più alto a Cold in July, thriller sudato e rarefatto dall'ottima atmosfera e dalle tematiche importanti, in grado di alternare momenti molto ironici e divertenti - soprattutto grazie a Jim Bob/Don Johnson - ed altri profondamente drammatici, figli di una delle tematiche cardine dell'opera dello scrittore texano, quella del rapporto tra generazioni e dell'importanza dei lasciti delle stesse mentre si susseguono.
I cambi di prospettiva che coinvolgono Dane e Russel, protagonisti della storia, a partire da una prima parte che quasi ricorda Cape Fear per giungere ad una seconda che mescola Gran Torino a Il giustiziere della notte, paiono quasi sottolineare quelle che sono le fasi di incomprensione e vicinanza di un figlio ad un padre - e viceversa -, sfruttando la vicenda che lega entrambi all'omicidio per legittima difesa commesso dal mite Richard, pronto ad innescare una serie di eventi sempre più drammatici e grotteschi.
Chi non conosce Lansdale o il romanzo sicuramente troverà pane per i suoi denti rispetto ad un'evoluzione narrativa decisamente tosta e pulp, mentre inevitabilmente i lettori più accaniti patiranno almeno in parte il piede sull'acceleratore premuto in fase di scrittura per evitare di trasformare la materia d'origine in un film di tre ore e passa dall'incedere troppo lento: una scelta saggia, per certi versi, ma almeno in parte limitativa per noi fedelissimi, pronti a ricordare le emozioni dal respiro più ampio della pagina rispetto alla velocità della pellicola.
Nonostante questo occorre confermare la solidità di Cold in July, che pecca solo nel finale di una serie di "accettate" neanche in post-produzione avessero deciso di sforbiciare qualche minuto la pellicola, di fatto eliminando uno dei faccia a faccia più importanti tra Russel e Dane - "Stai lontano dalle ombre", quasi intimerà il vecchio al suo giovane "figlio" - pur rimanendo fedele al fulcro dell'intera vicenda, la risoluzione del rapporto tra l'ex detenuto ed il suo sangue, lo stesso che aveva creduto morto e sepolto, e cercato di vendicare.
Un film che si inserisce alla perfezione nella tradizione di confine americana, dal recente e fondamentale Mud ai vecchi Classici come Il gigante, passando per il recente e discusso Out of the furnace: la propria terra e la famiglia, il legame con chi ci ha preceduti e quello con chi verrà dopo di noi, sempre pensando che lo stesso è frutto di una fatica e di un amore più forti del normale perchè legato al sangue e al Destino.
Cosa faremmo, infatti, per i nostri figli? E a che punto saremmo disposti ad arrivare, per loro?
Nel bene o nel male, quanto li proteggeremmo, anche da loro stessi?
E quali pesi porteremmo sulle nostre spalle, nel loro nome?
Qualsiasi, dico io.
E penso siano d'accordo anche Russel e Dane.
Qualsiasi.
Senza pensarci due volte.



MrFord



"How can I try to explain, when I do he turns away again.
It's always been the same, same old story.
from the moment I could talk I was ordered to listen.
now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go."
Cat Stevens - "Father and son" - 



venerdì 23 maggio 2014

Out of the furnace

Regia: Scott Cooper
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 116'




La trama (con parole mie): Russell Baze è un uomo da duro lavoro e silenzi prolungati, sepolto in fabbrica nella provincia americana profonda. Suo fratello Rodney, invece, veterano della Guerra in Iraq e testa calda, non pensa a lavorare e a farsi una famiglia, quanto a cercare di fare soldi grazie ai combattimenti illegali, supportato dal piccolo boss locale John Petty.
Quando Russell finisce in carcere a seguito di un incidente stradale e Rodney è lasciato solo a se stesso, finisce per incrociare la strada di Harlan DeGroat, un losco individuo violento e senza regole che di tanto in tanto traffica con Petty: quando Russell tornerà in libertà e Rodney si deciderà a combattere per l'ultima volta, le cose vanno a rotoli ed il minore dei Baze scompare.
Constatata l'incapacità della polizia di intervenire contro DeGroat, Russell deciderà di farsi giustizia da solo.







La Frontiera è da sempre uno dei luoghi che più affascina il sottoscritto, come ormai ogni avventore del Saloon ben saprà: un altro tema molto caro a questo vecchio cowboy è quello legato al rapporto tra fratelli, che ho vissuto e vivo intensamente sulla pelle ogni giorno.
La provincia americana - o almeno, una parte molto ruvida e selvaggia della stessa - offre uno dei terreni migliori per raccontare storie di vite consumate "tra il nulla e l'addio", che nel corso delle ultime stagioni sono state raccontate con piglio e risultati non uniformi ma con la stessa passione da pellicole come Un gelido inverno, Lawless o Come un tuono: Out of the furnace si colloca proprio in questo stesso filone disperato e rabbioso, sporco e decisamente senza speranze che possano essere alimentate da sogni larger than life come quello americano.
La vicenda dei fratelli Baze, narrata in stile classico dal regista del decisamente fordiano Crazy heart, è di quelle da ballad strappacuore di uno Springsteen o di un Neil Young, un dramma che finisce per ritrovarsi più legato alla disperazione ed al male di vivere che non alla vendetta ed al suo compimento, e che mostra quanto, in luoghi dimenticati come quello in cui i protagonisti si ritrovano a dover crescere e lottare per la loro sopravvivenza, le possibilità di rifuggire da una quotidianità che porta in fabbrica, nell'esercito o nell'illegalità siano prossime allo zero.
Il lavoro di Cooper, decisamente più efficace nella prima parte che nella seconda, forse troppo frettolosa e stereotipata, riesce comunque ad avvincere e coinvolgere l'audience grazie ad una carica emotiva che, seppur non raggiungendo gli stessi livelli, è riuscita a riportare alla mente del sottoscritto lo splendido Prisoners, grazie anche al lavoro di un cast di altissimo livello, da un Bale clamoroso soprattutto per l'accento - se non l'avessi saputo, avrei giurato che, più che inglese, fosse americano fino al midollo - ad un sempre convincente Woody Harrelson, qui nelle vesti di uno dei personaggi più oscuri e selvaggi che abbia mai interpretato - esemplare, in questo senso, l'ottima sequenza d'apertura -, spalleggiati da grandi nomi sfruttati come comprimari - Defoe e Whitaker - e giovani volti come Casey Affleck - che a livello interpretativo è decisamente anni luce superiore al fratello - e Zoe Saldana, mai parsa così intensa.
Ma la cosa che più mi ha fatto voler bene a Out of the furnace è stata senza dubbio la passione espressa nel raccontarlo, quasi fosse il regista stesso a dibattersi per uscire da una provincia che pare più soffocante e senza prospettive di un carcere o di una missione dall'altra parte del mondo pronti a dare la vita - e a toglierla - in nome di un Paese che, ma è storia vecchia, finisce per abbandonarti a te stesso una volta sulla via del ritorno.
Nella disperazione sommessa di Russell rimasto solo sul ponte dopo il confronto con quella che era e potrebbe essere ancora la sua donna, futura madre di un figlio che avrebbe voluto per lui, o nella resa incondizionata di Rodney di fronte all'inevitabile c'è tutta l'amarezza di chi è perduto dalla nascita, e dalla fornace cui la vita l'ha destinato potrà uscire sempre e soltanto nel peggiore dei modi.
Ed anche così, le prospettive paiono migliori di quelle che una vita di sopravvivenza quasi animale può offrire.



MrFord



"Stab the knife into the face and then
wrench the blade inside
murder this piece of shit
scraps of flesh and severed bone are on the floor
these I must hide."
Cannibal corpse - "Evidence into the furnace" - 




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