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martedì 18 aprile 2017

Fast and furious 8 (F. Gary Gray, USA, 2017, 136')




Se una decina d'anni fa qualcuno mi avesse predetto che la saga di Fast and furious sarebbe diventata una delle mie certezze cinematografiche quantomeno legate alla parte più tamarra, sguaiata ed ignorante della settima arte, avrei riso forte o forte dato del pazzo al povero malcapitato.
Ed avrei clamorosamente sbagliato.
Curioso come questo franchise, partito molto in sordina dalle mie parti - lo recuperai anni fa su consiglio nientemeno che del Cannibale, per darvi un'idea - e massacrato ben volentieri rispetto ad episodi per me terribili come Tokyo Drift, che parevano l'antitesi di quella che è l'action che adoro e venero, figlia degli anni ottanta degli eccessi e dei muscoli tirati al massimo, abbia subito un brusco e positivo cambio di rotta con l'inserimento di elementi, vicende ed attori che proprio agli eighties facevano più o meno volontariamente riferimento e che sono diventati, capitolo dopo capitolo, colonne portanti del prodotto, da Kurt Russell a Dwayne "The Rock" Johnson, passando per Jason Statham.
Certo, alle spalle il sentitissimo settimo capitolo reso profondo ed emozionante dalla morte di Paul Walker, protagonista fin dagli esordi della saga con Vin Diesel, l'hype e le aspettative per questo numero otto erano molto alti, complice un trailer che lasciava davvero ben sperare rispetto all'evoluzione della storia: da questo punto di vista, non illudetevi.
F. Gary Gray non è James Wan, e l'impressione data dal suddetto trailer - il tradimento di Toretto ai danni dei suoi compagni, amici e membri della Famiglia - non rispecchia quello che appare chiaro fin dal principio nel corso della pellicola, ma messo agli atti questo, Furious 8 è un vero e proprio tripudio di tamarraggine e guasconeria, che lascia da parte il serio - se non con un paio di riferimenti, una volta ancora, al fu Brian/Paul Walker - per concentrarsi sulle tipiche battute da film macho - imperdibili i siparietti tra The Rock e Statham così come tra uno scatenato Tyrese Gibson e Scott Eastwood - e sequenze ben oltre il limite della fantascienza dal potere di gasamento altissimo per il pubblico, specialmente quello pronto a sedersi in sala per dimenticare le angosce della vita quotidiana e godersi una corsa a perdifiato sul grande schermo, neanche tutto quello che viene mostrato fosse davvero possibile, alla guida così come nel mondo criminale e non solo.
Un tripudio, dunque, di spettacolo, esplosioni, botte da orbi, inseguimenti ad alta velocità e più casino possibile, in barba a qualsiasi profondità di intenti o sentimenti così come ad una qualsiasi ansia: l'ottavo capitolo di Fast and Furious è il giocattolo perfetto, l'action che, allo stato attuale, non sfigura rispetto ai suoi avi illustri figli dell'epoca d'oro del genere, che non risparmia nulla - al limite del geniale e del grottesco la sequenza di Statham con il bambino nel trasportino sull'aereo di Cypher, o l'evasione dal carcere dello stesso Statham e The Rock - e gioca a carte scopertissime dal primo all'ultimo minuto.
Fast and Furious, parentesi sentimentali necessarie a parte, è e resta la saga di grana grossa per eccellenza degli Anni Zero, ed è proprio per questo che ho imparato ad amarla.
E nonostante questo numero otto non sia certo il migliore, viene quasi da pensare che i dieci previsti stiano davvero stretti, a Toretto e soci.
Neanche fossero una canotta comprata appositamente di una taglia o due più piccola per mostrare ancora meglio i muscoli.




MrFord




 

martedì 29 dicembre 2015

Ford Awards 2015: i film (N°30-21)

La trama (con parole mie): prosegue la carrellata della Top 40 fordiana legata al duemilaquindici in sala, salendo di decina e categoria per incontrare alcune delle pellicole più premiate ed incensate dell'anno, indubbiamente valide ma da queste parti non meritevoli neppure della Top 20.
Accanto a loro sorprese, conferme e l'impressione che, con gli ultimi dodici mesi, tutti noi si sia assistito ad un ritorno al passato - ed al futuro, in un certo senso - davvero spassoso e ricco di piacevoli visioni.


N°30: FURY di DAVID AYER


Il genere bellico, così come il Western, è un retaggio che mi porto dentro fin dai tempi dei film con John Wayne visti sul divano con mio nonno, legati a situazioni e valori che, fortunatamente per molti versi, la nostra generazione ha potuto solo vedere al Cinema, o scoprire sui libri.
Il lavoro di David Ayer offre l'ennesimo, ottimo spaccato del dramma assurdo della Guerra, e nonostante molte imperfezioni, regala anche momenti di grande emozione.

N°29: STILL ALICE di RICHARD GLATZER E WASH WESTMORELAND



Raccontare drammi legati a malattie non è mai facile, considerati i rischi di retorica sempre dietro l'angolo. Still Alice riesce nell'impresa - pur non eccellendo - riuscendo addirittura a far apparire Kristen Stewart come un'ottima interprete.
E raccontando la Famiglia prima della malattia stessa.

N°28: WHIPLASH di DAMIEN CHAZELLE



Titolo più che incensato ai tempi dell'ultima edizione degli Oscar, considerato una sorta di nuovo Attimo fuggente, a me è parso un discreto prodotto teso e molto di pancia, pur se decisamente da sminuire almeno rispetto alle suddette critiche.
Gran lavoro degli interpreti, ottimi gli spunti di riflessione, tanto clamore.
Un posto in questa classifica, ad ogni modo, lo meritava.

N°27: BIRDMAN di ALEJANDRO GONZALES INARRITU


Ed eccoci giunti ad uno dei titoli più premiati e discussi dell'anno: tecnica ineccepibile, grande confezione ed interpretazioni, pioggia di premi, gran parte di pubblico e critica convinti.
Eppure. Eppure per me resta solo un enorme esercizio di stile che per due terzi si sarebbe potuto trovare nella Top 10 e che con l'ultima mezzora precipita di almeno una ventina di posizioni.

N°26: STRAIGHT OUTTA COMPTON di F. GARY GRAY


Biopic con due palle d'acciaio legato ad uno dei gruppi fondamentali del panorama hip hop mondiale di tutti i tempi, gli NWA che furono la palestra di Ice Cube e Dr. Dre.
Colonna sonora imperdibile, grande cuore, qualche pecca ma tanta voglia di raccontare una storia che tutti gli appassionati di musica e chiunque voglia aprire le proprie frontiere sociali dovrebbero ascoltare e vedere narrata almeno una volta.

N°25: SELMA di AVA DUVERNAY


Legato a doppio filo ad uno degli eventi più importanti della Storia dei Diritti Civili negli States, il lavoro della DuVernay, che pensavo si sarebbe rivelato come profondamente retorico, ha contraddetto le aspettative fornendo un ritratto di Martin Luther King equilibrato e profondo, riuscendo a toccare il cuore e la pancia, l'indignazione e l'orgoglio di chiunque abbia a cuore non solo i diritti degli altri, ma anche e soprattutto i propri.
N°24: WILD di JEAN MARC VALLEE


Altro biopic, ed altro titolo che, rispetto alle aspettative della vigilia, si è rivelato un ottimo e sorprendente prodotto figlio dell'esperienza, della pancia e delle emozioni.
Un road movie costruito passo dopo passo, un percorso verso la rinascita di una protagonista indimenticabile, interpretata alla grande ed esempio per tutti quelli che, come il sottoscritto, sono inclini a perdere la strada maestra.

N°23: TERMINATOR - GENISYS di ALAN TAYLOR 


Da fan hardcore dei primi due capitoli della saga di Terminator firmati da James Cameron, ero molto scettico rispetto al ripescaggio del personaggio, soprattutto dopo due prodotti decisamente scarsi come il pessimo numero tre e lo pseudo autoriale Salvation, ma Taylor e l'autoironia di Schwarzy hanno dissipato ogni dubbio.
Negli ultimi anni, solo Expendables 2 mi aveva fatto divertire tanto, in sala.

N°22: UN DISASTRO DI RAGAZZA di JUDD APATOW


Apatow torna in sala sfruttando il talento di Amy Schumer - che mi sta anche cordialmente sul cazzo - di fatto realizzando il primo buddy movie della sua carriera dal punto di vista femminile: una rom com insolita e divertente, scorretta e commovente nella migliore tradizione del film pane e salame tanto amato dal sottoscritto.

N°21: SOUTHPAW di ANTOINE FUQUA


Tamarro, scontato, retorico, tagliato con l'accetta. 
Dite pure quello che volete, fatta eccezione per l'ineccepibile performance di Gyllenhaal, e non potrò che darvi ragione.
Eppure, da padre e da outsider, ho adorato incondizionatamente Southpaw, perfetta parabola sul riscatto e sull'amore per i propri figli.
Fatica, botte, peccatori e l'innocenza di occhi che ci guardano come se fossimo unici. Non potevo resistere.


To be continued... 

lunedì 12 ottobre 2015

Straight Outta Compton

Regia: F. Gary Gray
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 147'






La trama (con parole mie): siamo a Compton, un sobborgo degradato di Los Angeles, nell'ottantasei quando la Storia del Rap cambia radicalmente. Da quelle strade sempre in bilico tra droga, polizia, scontri razziali e morti ammazzati dalle quali è difficile fuggire, un gruppo di giovani più o meno legati alla criminalità decide di sfruttare la musica per evitare di finire per essere solo statistiche di cronaca nera.
Mossi dalla mente organizzata e dagli stimoli di Andre "Dr. Dre" Young, Eazy-E, Ice Cube, DJ Yella e MC Ren fondano gli NWA, che diventano prima un fenomeno cult locale, e dunque, spinti dal manager Jerry Heller, una nuova sensazione musicale in tutti gli States, arrivando perfino a sfidare il potere costituito dalle forze dell'ordine, di fatto stabilendo gli standard per tutti quelli che, da quel momento, verranno considerati gangsta-rapper. 
Ma l'impero che gli NWA costruiscono a partire dall'amicizia finisce presto per crollare schiacciato dal denaro e dalla fiducia destinata a scemare, lanciando le carriere da solisti di Dre e Ice Cube e portando Eazy-E sempre più vicino a Heller.
La storia di un gruppo che ha fatto la Storia della Musica.








Ricordo bene la voracità musicale degli anni passati come commesso da Virgin, tempi in cui, come fu per il Cinema, cercai di costruire le basi più solide possibili per la mia cultura musicale, senza sapere che, soltanto qualche anno dopo, mi sarei divertito molto più con tamarri sguaiati e simili piuttosto che con pietre miliari e proposte autoriali: risale a quel periodo anche il mio amore per il rap, che passa dai Beastie Boys ai Public Enemy, senza dimenticare i Cypress Hill - forse il loro Black Sunday è il mio disco di genere preferito in assoluto -, Notorius e, ovviamente, gli NWA.
La compagnia di Eazy E, Dre e Ice Cube mi colpì dritta allo stomaco dal primo ascolto: tosti, duri, senza mezze misure, tamarri e prodotti di un ambiente difficile giunti al successo e, di fatto, bruciatisi - come gruppo - in un tempo davvero troppo breve.
Personalmente, attendevo con trepidazione la trasposizione cinematografica dedicata alla loro parabola dal ghetto ai grandi palcoscenici ed alla fama internazionale, nonostante fosse stato annunciato che la stessa sarebbe stata firmata dal mediocre F. Gary Gray, già dietro la macchina da presa del dal sottoscritto detestato Giustizia privata di qualche anno fa.
Il risultato è stato un solido film tosto e con due discrete palle, dalla colonna sonora favolosa - del resto, gli NWA spaccavano davvero il culo -, la ricostruzione anni ottanta/novanta ottima, un gruppo di attori selezionati con grande cura- O'Shea Jackson Jr, che interpreta Ice Cube, è impressionante per somiglianza con il cantante ed attore - ed una giusta importanza data alla figura di Dre, il vero e proprio cervello dietro la costruzione del fenomeno che furono i Niggaz With Attitude.
Certo, senza dubbio il risultato finale risulta forse un pò troppo patinato e nel rispetto delle regole della grande distribuzione - non credo sia un caso che dietro l'operazione ci sia il colosso Universal e che negli States abbia fatto il botto al botteghino, in barba alla pochezza culturale del Bel Paese, che l'ha fondamentalmente snobbato -, eppure finisce per risultare intenso ed interessante per tutti i suoi quasi centocinquanta minuti di durata, alternando riscatto sociale, grandissima musica ed una sensibilizzazione legata agli anni del tristemente famoso pestaggio subito da Rodney King, che ispirò cantautori - Ben Harper su tutti - e fu la scintilla per le rivolte razziali che seguirono il primo processo agli agenti colpevoli nell'ormai lontano novantadue.
Di fatto, comunque, l'aspetto più interessante ad essere mostrato è quello legato all'importanza ed alle insidie dei ruoli di manager e produttore all'interno del processo creativo ed economico del mondo delle sette note: le figure di Dre e Jerry Heller, in questo senso, sono indicative, e decisamente più efficaci delle fugaci apparizioni a sensazione di figure come Snoop Dogg o Tupac, entrambi "creature", almeno agli esordi, dello stesso Dre, ed ugualmente forse più noti del loro stesso mentore, come sarebbe accaduto qualche anno dopo con Eminem.
Un film, dunque, buono ma non grande come avrebbe potuto essere, da un certo punto di vista simile al gruppo del quale racconta la storia: in fondo, se non fossero implosi a seguito di problemi legati a soldi e rivalità, gli NWA avrebbero potuto aspirare ad un posto anche più importante di quello che hanno nel mondo musicale, ed ora sarebbero ricordati non solo dagli appassionati e dagli addetti ai lavori, ma anche da chi li vede solo come i precursori della figura del "gangsta" o dagli ascoltatori occasionali.
Ad ogni modo, se non conoscete la loro storia o il mondo del rap, la musica o le gesta degli NWA, questo film e soprattutto i dischi della straordinaria band californiana continueranno ad essere un'ottima scintilla per appiccare un incendio, ed anche tra un paio di secoli, quando tutto parrà morto e sepolto, brani come Fuck the police - notevole la sequenza dedicata all'arresto dei membri del gruppo a Detroit - o Straight Outta Compton continueranno a lasciare il segno, ed ispirare qualunque ragazzo con la rabbia veicolata in modo costruttivo così da tenere la testa sempre alta e la voglia di esprimere la propria libertà - ed identità - oltre ogni misura.




MrFord





"Niggaz start to mumble, they wanna rumble
mix em and cook em in a pot like gumbo
goin off on a motherfucker like that
with a gat that's pointed at yo ass."
NWA - "Straight Outta Compton" -





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