mercoledì 23 maggio 2018

La casa di carta - Stagione 2 (Netflix, Spagna, 2018)







Ho sempre pensato, dai ricordi d'infanzia - come ho già scritto nel post dedicato alla prima stagione - al retaggio - un nonno Partigiano -, dallo spirito alle prese di posizione, di avere un legame particolare con il concetto di Resistenza.
Un concetto, per quanto mi riguarda, non tanto legato all'idea di essere contro a prescindere, per partito preso, quanto più che altro al motto "hold fast" dei marinai e dei pirati, dell'aggrapparsi alla vita fino all'ultimo, al partecipare, al far sentire al mondo e soprattutto al Potere - inteso anch'esso come concetto - che si è vivi e mai domi.
Perchè è questo il bello della vita: vivere.
Ed il bello della seconda stagione de La casa di carta, per molti versi - soprattutto in termini di scrittura - inferiore alla prima, è che si esprima questo concetto principalmente e paradossalmente attraverso la morte: perchè nell'addio a due dei protagonisti ho trovato il succo di quello che io inseguo, sento, desidero per certi versi dalla vita.
L'affrancarsi dal Potere, in qualunque modo sia esso inteso, la Resistenza, da quella che portiamo avanti ogni giorno quando cerchiamo di fare finta che il nostro lavoro sia solo un lavoro e non la maggior parte del tempo che passiamo lontani da chi amiamo, che viviamo sulla pelle, che porta il cuore a battere per rabbia, passione, desiderio, e chi più ne ha, più ne metta, il sentirsi presenti, pronti ad aggredire ogni giorno anche quando si è così stanchi da pensare di mollare, e dormire il più profondo dei sonni.
E poco importa di una sceneggiatura poco plausibile - anche meno rispetto a quella della prima stagione -, di innesti e dimenticanze, di imperfezioni e via discorrendo: la vita, per quanto mi riguarda, la passione, il desiderio, la Resistenza, sono sempre quelli che vincono, a prescindere da chi siano i "buoni" e chi i "cattivi", da quale parte della barricata si voglia stare, anche se, per quanto mi riguarda, so benissimo dove mi vedo.
Mi vedo a sognare un'isola, a pensare di sfruttare il denaro non in quanto tale, ma come mezzo per vivere, a morire tra le braccia dei miei figli, dicendo loro che gli voglio bene, a combattere a mio modo ogni giorno per mostrare di essere presente, vivo, combattivo, pronto a guardare in faccia quello che accade e a prendere quello che desidero.
In fondo, La casa di carta racconta la storia - implausibile, ma è bello così - di un sogno: quello di essere contro, di tentare di trovare la propria strada, di sbagliare, di essere un cattivo anche quando nel mondo ci sono tanti cattivi tra i buoni, di immaginare che possano esistere sentimenti più grandi di regole, leggi, poteri costituiti.
Che esista una vita oltre i soldi, il lavoro, le case di carta: che esista un'isola in cui rifugiarsi, che costa sacrifici e speranze e sogni infranti, ma che possa cullare come la più generosa delle madri.
Che valga ogni sacrificio, ogni goccia di sudore e di sangue, ogni sofferenza, ogni addio.
Che valga la battaglia, la testa alta, una certa dose di incoscienza e supponenza.
Resistere, per vivere.
Perchè vivere è resistere.
Anche quando si perde. Anche quando si muore.
L'importante sarà averlo fatto per un motivo così grande.




MrFord



 

13 commenti:

  1. Questo post è bellissimo, lo condivido totalmente. Nelle battute finali hai condensato quello che anche per me è il senso della vita. Vivere, vivere sempre, vivere sentendo di vivere, con consapevolezza, osando, lottando e tenendo sempre a mente che ogni lasciata è persa. Vivere dando valore alle cose che contano davvero, agli affetti, sognando e portando avanti le nostre idee, per quanto folli possano sembrare. Resistere, appunto. Nonostante tutto :)

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    1. Dimenticavo, a me la serie è piaciuta tantissimo, così com'è. Nelle sue "imperfezioni", "lungaggini", dialoghi, colori, costumi, colonna sonora. In tutto. L'ho trovata "perfetta" così. "Bella ciao", poi, era ogni volta un tuffo al cuore.

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    2. Concordo in tutto e per tutto con entrambi i commenti: questa serie, pur imperfetta ed esagerata, ha reso perfettamente lo spirito della vita vissuta fino in fondo e della Resistenza. Bella ciao sempre. :)

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  2. Idea geniale degli sceneggiatori, che però si dilungano un po' troppo in una sorta di autocompiacimento. Si poteva fare altrettanto bene anche con 2/3 ore in meno. In ogni caso una serie che spacca, non a caso pare sia in programma una terza stagione. Da grande voglio fare El Profesor!

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    1. Il Professore e Berlino hanno infiammato Casa Ford, come questa serie imperfetta e bellissima.

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  3. In Spagna mi risulta sia andata in onda come stagione unica, e anche se Netflix per il mercato internazionale ha deciso di dividerla in due parti, io me la sono vista come una stagione unica.
    Questo per dire che, tanto mi era piaciuto il tuo post precedente, quando mi è sembrato un po' inutile (e pure ruffianotto) questo. D'altra parte non è che posso apprezzare tutti i pezzi di questo blog, se no che nemico sarei?

    Comunque l'immagine da isnotTV.com cosa rappresenta? L'inizio di una nuova partnership per White Russian, o una cosa che hai messo a caso? :)

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    1. Mi pare assolutamente giusto. Da buoni nemici e da buoni "resistenti". ;)

      E' l'inizio di una nuova collaborazione, e sono addirittura riuscito a metterla in pratica! ;)

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  4. Potrei dissentire, ma a chi non piacciono i complimenti? Muchas gracias! :)

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  5. Ho visto pure io tutte le puntate d'un fiato (prima e seconda parte di fila) ed ho avuto la sensazione che abbiano allungato un po' il brodo per buona parte della seconda stagione salvandosi però nel finale (per quanto la "conversione" di Raquel Murillo sia un pochino forzata). Però ecco, condivido la tua lettura sul sacrificio in nome di qualcosa di più grande, quello si. Nella serie l'ho trovata un po' forzata. Peccato perché fino alla prima serie se la giocava con le prime stagioni di Dexter nel mio cuore di neofita dei serial ;)

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    1. Beh, non è una serie perfetta, che si tratti della prima o della seconda stagione, ma ha davvero un cuore così. E a me basta. :)

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