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martedì 12 giugno 2018

Tomb Rider (Roar Uthaug, UK/USA, 2018, 118')








Ai tempi della sua prima uscita in videogioco, non ero un grande fan di Lara Croft. Nonostante e forme molto generose ed un look decisamente fuori dagli schemi per un charachter in stile Indiana Jones, le sue avventure su console mi parevano noiose e poco interessanti: occorsero quasi vent'anni e l'avvento della versione moderna del game originale - che strizza l'occhio a quel Capolavoro che è la saga di Uncharted - per farmi ricredere ed avvicinare ad un brand che avevo snobbato clamorosamente anche al Cinema ai tempi dell'apice della visibilità di Angelina Jolie.
Il suo ritorno sul grande schermo, ad ogni modo, lasciava diversi dubbi sia rispetto al tipo di operazione - e scegliere un regista norvegese semisconosciuto nonostante il nome da guerriero vichingo o canzone di Katy Perry - che sulla protagonista, una Alicia Vikander che, con la sua fisicità non proprio propompente e da cazzuta spaccaculi non mi dava l'idea di una Lara Croft come si sarebbe potuta immaginare: al contrario, invece, ho trovato la giovane star molto in parte, in grado di trasmettere bene la psicologia del personaggio e la sua intensità fisica.
Peccato che il resto del film, considerato il suo scopo - intrattenere selvaggiamente ed il più sguaiatamente possibile - ed i paragoni non proprio semplici legati a questo tipo di prodotti - il già citato Indiana Jones resta l'esempio più noto, netto ed inarrivabile - risulti poco più di una traversata noiosa dal sapore di già visto, se si escludono una certa vulnerabilità mostrata dalla protagonista - i main charachter cazzuti ma con fragilità sono sempre molto interessanti - ed i paesaggi decisamente pazzeschi per qualunque fordiano amante della Natura e della sua capacità di mozzare il fiato, resti davvero poco di originale: personalmente, anche se va calcolata la stanchezza combinata da crossfit, lavoro e Fordini, ho faticato a più riprese a tenere gli occhi aperti, e non ho trovato nessuno spunto da brivido o commozione nel tormentato rapporto tra Lara Croft e suo padre - quantomeno è stato interessante rivedere Dominic West -, o colpo di genio nel villain interpretato da Walton Goggins, uno di quei fordiani ad honorem dai quali mi aspetto sempre molto, forse troppo.
E dai cattivi che sono i classici cattivi ai sacrifici che sono i classici sacrifici, tutto procede stancamente verso un finale prevedibile che avrebbe dovuto aprire ad una nuova saga, ma che considerati gli incassi decisamente poco incoraggianti probabilmente resterà un sogno come una di quelle località mitiche segnate su mappe impossibili da trovare o leggere, e che richiedono colpi di genio e rischi altissimi come prezzo da pagare per essere condotte a termine.
Peccato che, in questo caso, a parte quello che ci si potrebbe aspettare dal più classico pop corn movie buono per essere dimenticato in qualche ora, non troviamo nulla di quanto si potrebbe immaginare di leggendario o destinato a sorprendere.




MrFord




martedì 7 novembre 2017

The Devil's candy (Sean Byrne, USA, 2015, 79')









E' sempre brutto rimanere delusi approcciando una pellicola.
Di norma, è una sensazione anche peggiore rispetto a quella di aver appena finito di guardare un film di merda, di quelli che senza dubbio non torneranno mai più a far parte della nostra vita, se non negli incubi cinematografici peggiori.
Una delusione è qualcosa di subdolo, sotterraneo, che quando meno te lo aspetti esce fuori e trasforma una potenziale serata di goduria in una noia mortale che vorresti lasciarti alle spalle il prima possibile.
The Devil's Candy, incensato quasi ovunque nella blogosfera e soprattutto da persone che ho sempre considerato autorità del Cinema di paura, firmato dallo stesso Sean Byrne del dal sottoscritto amatissimo The Loved Ones di qualche anno fa, atteso come uno di quei metal horror da volume al massimo, sangue a fiumi e terrore pronto a colpire si è rivelato, fatta eccezione per la buona prova di Ethan Embry - che avevo già apprezzato nell'apprezzatissimo Cheap Thrills -, davvero robetta, poco coeso ed incisivo in fase di scrittura, lento nel ritmo, incapace di trovare una linea guida che desse un senso all'intera operazione, che non si capisce se voglia essere inserita nel filone "satanista" del genere, in quello prettamente thriller, oppure cercare nella caotica follia dello psicopatico Ray una sorta di richiamo alla realtà che vede, a volte, menti decisamente contorte muoversi senza un criterio apparente nel mondo, mietendo vittime scelte in base a qualcosa di "oltre" - una cosa che potrebbe richiamare l'operato del Figlio di Sam, per intenderci -.
Un vero peccato per il sottoscritto, che da Byrne si aspettava qualcosa di potente almeno quanto l'esordio, e per la pellicola stessa, che invece di puntare esclusivamente sui legami forti della famiglia Hellman - una cosa rarissima quella di un rapporto, peraltro cementato da gusti musicali comuni, tra un padre ed una figlia adolescente - e sulla loro progressiva lotta per la sopravvivenza, preferisce inserire elementi apparentemente disturbanti come le voci che perseguitano Ray così come Jesse Hellman, l'inutile sottotrama - peraltro sviluppata superficialmente - della galleria d'arte "demoniaca" e passaggi legati alla follia dello stesso Ray che non si comprende bene dove si collochino tra realtà di narrazione e visioni del charachter.
L'impressione, qui in casa Ford, è stata quella di un tentativo clamorosamente fallito di portare sullo schermo la mitologia dell'horror disturbante degli anni settanta neanche fossimo all'interno di uno dei peggiori lavori di Rob Zombie: il fatto è che ai tempi, con il Vietnam a pesare sulle spalle degli States e la ferita aperta dei massacri della Manson Family, alcune suggestioni potevano anche funzionare, mentre ora, se mal gestite, paiono solo inutilmente provocatorie.
La mossa migliore, e questo va riconosciuto a Byrne, è quella di mantenere un discreto realismo nella parte più violenta della pellicola - soprattutto nel confronto tra Ray e gli Hellman nel finale -, in cui non abbiamo, almeno fino all'incendio, scene clamorose che non troverebbero riscontro nella realtà neanche per caso: in questo senso, la lotta sull'ingresso della magione tra l'invasore e Jesse funziona molto bene, dai proiettili sparati a vuoto e a caso da parte di qualcuno non abituato ad usare la pistola alla forza della disperazione che interviene nel momento in cui è in gioco la sopravvivenza propria e di chi si ama.
Troppo poco, però, per poter anche solo pensare di perdonare tutti i limiti - finale compreso - di una pellicola che risulta, purtroppo, molto wannabe cult, ma che dei cult veri, soprattutto quelli che l'hanno ispirata, non ha davvero nulla.




MrFord




venerdì 31 marzo 2017

Fordina Unchained - Un anno dopo




Credo sia la prima volta, che inizio per tre volte un post, lo cancello e ricomincio.
Di norma, quando scrivo, sono un fiume in piena, non mi preoccupo troppo di quello che esce, se non che esca, ed il giorno prima della pubblicazione rileggo il tutto velocemente giusto per rifinire.
Ma questo, Becca, è un post diverso da tutti gli altri.
Oggi è il giorno del tuo primo compleanno, e come tre anni fa feci per tuo fratello, oggi tocca a te prenderti tutto il Saloon per festeggiare.
Amici e conoscenti me lo dicevano, quasi fosse un monito.
Ad uno che è sempre stato un vero stronzo - per quanto le bastonate in amore le abbia prese anch'io, come è naturale e giusto che sia - una figlia femmina cambia completamente l'esistenza.
E devo ammettere che è proprio vero.
Come quando adesso mi vedi entrare in una stanza, o arrivare al nido per portarti a casa in bicicletta - e quanto ti piace, con le braccia alzate come fossimo sulle montagne russe! - e gattoni a velocità impressionante e poi ti fermi con le mani protese e lo sguardo che pare già di una donna che sa quali corde pizzicare, per avere un uomo ai suoi piedi, per chiedermi - se così si può definire - di prenderti in braccio, ed io sono lì, a tua disposizione, e penso che sarà sempre così, anche quando non avrò più la forza di muovermi e tu e AleLeo, almeno spero, sarete al mio fianco per salutarmi un'ultima volta.
In un certo senso, anche quando alla ventesima sveglia notturna ti farei bere una bella boccia di sambuca per farti dormire dodici ore di seguito e lasciarci riposare, penso che tu sia, e non me ne voglia la mamma, la donna della mia vita: il percorso che proprio lei ha iniziato, con me, lo stai proseguendo tu ora, anche se non te ne rendi conto, anche se non te ne ricorderai, mentre a me resteranno per sempre negli occhi i tuoi balli scatenati, i tuoi riccetti - così diversi dai capelli liscissimi di Ale -, quegli occhi che certi giorni paiono azzurri come il mare ed altri ambrati come le foglie in autunno, quasi fossero un cocktail tra tutti quelli della famiglia, ed altri grigi, quel momento in cui, appena affacciata al mondo, con il cordone stretto intorno al collo apparivi violacea e senza voce, e ho dovuto combattere il terrore di vivere una seconda volta quello che era accaduto per la nostra piccola Agnese, rimanere saldo in attesa che mi gridassi: "Io sono qui".
Ed ora, dodici mesi dopo, posso dire che ci sei, eccome.
Ci sei con le risate fragorose che più di tutti tuo fratello riesce a strapparti, con le dita negli occhi ai tuoi compagni del nido - e non solo a loro -, con la mania per i telecomandi, i dvd dei cartoni animati usati come racchette da neve mentre ti muovi in tutta la casa ed i miei volumetti di Planetes - chissà perchè, poi, proprio quelli, tra tutti quelli che potresti avere a portata di mano -, con la furbizia tipica delle piccole donne, con i momenti in cui ti prendo in braccio, la notte, e piano piano ti abbandoni appoggiata al mio petto, ed io sogno il momento stupendo e dolorosissimo in cui dovrò accompagnarti da un altro uomo che prenderà il mio posto e, chissà, magari ti renderà madre a tua volta.
O a una donna, e non cambierebbe nulla, ai miei occhi.
Ora scherzo spesso e volentieri rispetto al fatto che probabilmente sarò molto geloso di te, quando sarai più grande - ed è curioso, perchè io geloso non lo sono affatto -, e mentre con AleLeo costruisco una complicità maschile quando ti guardo sento crescere qualcosa che va oltre qualsiasi sentimento abbia mai provato per qualsiasi donna, e di nuovo mi perdoni mamma, che ora mi starà mandando qualche maledizione ma che sa  bene cosa intendo, quanto abbiamo lottato per averti - ed avervi -, quanto ti abbiamo voluta, quanto è stato magico quella mattina di metà agosto duemilaquindici pedalare da Bellaria a Igea Marina per le beta, sentirsi dire dall'infermiera ai prelievi che secondo lei saremmo stati (ancora) genitori, e andare a ritirare i risultati nel pomeriggio con Ale che, alla nostra domanda "Sì o no?" rispose sicuro "Sì!".
Senza contare, comunque, che tutto questo non ti deve precludere e non ti precluderà la visione di tutti gli action movies del tuo vecchio, dei western, del wrestling e di tutto quello che mi definisce: dovessi diventare una Sly al femminile, non potrei che esserne felice.
Anche se l'importante, alla fine, è che tu possa essere felice per come sarai, qualsiasi cosa deciderai di fare.
E che, alla fine, io ci sarò sempre.
In fondo, per quanto "pop" e banale potrà suonare, tu sei la mia (e nostra) "ragazza magica".
Buon (primo) compleanno, Patatina.
Che anche per te sia l'inizio di un viaggio ben più lungo dei centotre che sogno per me.




MrFord

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