Visualizzazione post con etichetta miti della rete. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta miti della rete. Mostra tutti i post

domenica 28 luglio 2013

TBP - AFK

Regia: Simon Klose
Origine: Svezia, Danimarca, Norvegia, UK
Anno: 2013
Durata: 85'




La trama (con parole mie): Pirate Bay, il più grande luogo di sharing della rete mai esistito, a partire dal duemiladieci lotta contro il potere di Hollywood, che a seguito della violazione dei diritti del copyright sui film ha ingaggiato una vera e propria guerra contro i tre fondatori ed amministratori del sistema, Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji.
In un continuo botta e risposta tra tribunali, corti d'appello, media fino ad arrivare al Parlamento Europeo, i tre giovani ed i loro sostenitori continuano ad opporre alla logica della legge del più forte imposta dalle major della distribuzione l'ideale di un nuovo mercato basato sulla libertà ed il libero scambio della Rete.
Ma i tre accusati sono davvero idealisti come sembra? Cosa c'è davvero dietro Pirate Bay ed il suo impatto sul mondo - internettiano e non -?





Il fatto che internet e la rete abbiano cambiato il mondo è un fatto assodato ed ormai fuori discussione: ricordo quando, ai tempi della mia adolescenza - già immagino le battute del Cannibale in proposito -, se soltanto si pensava di portare fuori una ragazza ci si doveva fare coraggio, buttare il cuore oltre l'ostacolo e chiamare a casa della stessa - sperando che a rispondere non fossero i genitori - per chiedere tutto quello che si doveva chiedere a voce.
Se mi sforzo, ricordo almeno un paio di situazioni imbarazzanti proprio al telefono - ovviamente fisso - legate a dichiarazioni - una mia compagna di classe dell'ultimo anno di superiori, di punto in bianco, mentre si parlava d'altro, mi disse "non so se l'hai capito, ma tu mi piaci, e voglio che stiamo insieme" - o consigli - terrificanti telefonate in cui le amiche di lei ti dicono "mi raccomando, trattala bene", roba da spaventarsi già dopo un'uscita -: internet, ai tempi, era praticamente fantascienza.
Poi, di colpo, nel giro di neppure vent'anni, si è passati dai telefoni a gettone agli smartphone in grado di dirti in ogni momento il tempo che fa, se i mezzi saranno puntuali oppure no, dove si trova questo o quel tuo amico, e via discorrendo: accanto ai progressi della comunicazione e della tecnologia, ovviamente, è giunto a sconvolgere il mondo il file sharing.
Ed anche in questo caso, non prendiamoci troppo per il culo: che si tratti di musica o film, libri o videogiochi, tutti noi sappiamo bene cosa significhi scaricare.
Sia che la motivazione stia nel fatto che un determinato titolo non è mai stato distribuito qui nella Terra dei cachi o che senza un lavoro ben retribuito - o un lavoro - è ben difficile poter considerare di spendere gran parte del proprio stipendio in prodotti editoriali, alla maggior parte delle persone almeno in parte in grado di muoversi online sarà capitato di recuperare una volta nella vita una canzone, un romanzo, un film.
Probabilmente, se questo è accaduto negli ultimi anni, è passato in un modo o nell'altro attraverso i server di The Pirate Bay, il più grande sito di file sharing mai esistito, in grado di rivaleggiare - per importanza e bacino d'utenza - con Napster, primo grande network di questo tipo mai creato: Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji, creatori di Pirate Bay, da qualche anno sono al centro di un'intricata vicenda legale che li ha visti battersi in tribunale in Svezia - loro Paese d'origine -, sui media e al Parlamento Europeo.
Il percorso seguito dai tre giovani informatici è stato documentato da Simon Klose e distribuito - non in Italia, guardate caso - per testimoniare l'accanimento che l'industria cinematografica hollywoodiana ha manifestato nei confronti dei nomi di spicco del sito colpevole di aver sottratto introiti dal botteghino per riciclarli - anche se detto così suona ancora più criminale - nel risparmio degli utenti e nelle tasche dei fondatori della Baia: tralasciando il discorso prevalentemente cinematografico - il lavoro di Klose è interessante, anche se ancora acerbo e privo della mano polemica di un Michael Moore così come di quella prevalentemente analitica di un Werner Herzog -, sono rimasto colpito da TBP ATK principalmente per le riflessioni che lo hanno accompagnato.
Da un lato, infatti, la mia parte più ribelle nonchè profonda sostenitrice della Libertà - di parola, idee, pensieri e scambio, come in questo caso - è uscita profondamente sconvolta dall'idea che lobbies di potere - economico e sociale - enorme possano premere fino a questo punto su tre giovani colpevoli principalmente di avere un talento fuori dal comune, mentre dall'altro la parte più razionale e paterna del sottoscritto ha continuato a pensare che ai già citati Svartholm, Sunde e Neji poco importasse della tanto sbandierata battaglia per la loro identità di intellettuali liberi di esprimersi attraverso la Rete, quanto di poter tornare liberi a godere della loro notorietà il più in fretta possibile.
I tre moschettieri qui presenti, infatti, non sono personaggi da film, eroi senza macchia perseguitati dall'orribile macchina di una Giustizia che privilegia il più forte, bensì nerd con un altissimo tasso di rancore verso la società - espresso attraverso le dipendenze di Gottfried, l'eccessiva esposizione di Peter e la rabbia e l'alcolismo di Fredrick - che hanno avuto la fortuna, in qualche modo, di poter contare su doti eccezionali che li potessero distinguere dai tanti disadattati che finiscono per scomparire inghiottiti dall'anonimato o per esplodere in follie omicide.
In questo senso, TBP AFK è una pellicola fondamentale nell'esprimere il disagio presente nella società attuale divenuta dipendente da quella stessa Rete che fino a qualche anno fa neppure esisteva a livello quotidiano, incompleta e soltanto abbozzata eppure in grado di scatenare riflessioni decisamente complesse: da che parte finiremo per schierarci? E mossi da quali scopi?
Proclamare l'innocenza di questi tre ragazzi è giusto perchè ideologicamente è assurdo che multinazionali della comunicazione esercitino la loro volontà di imporre il loro gusto agli utenti oppure perchè sotto sotto tutti noi vogliamo continuare a poter vedere cento film per comprarne soltanto dieci?
La condivisione è un'illusione da Fattoria degli animali o una nuova frontiera che le majors, guidate da sensazioni simili a quelle dei politici attaccati alla poltrona, non abbandoneranno fino a quando la lotta non si farà troppo dura?
Difficile dirlo. Difficile rispondere.
Simon Klose, da par suo, ha posto la prima pietra di qualcosa che, forse, sarà più grande della Rete stessa.
L'etica della sua esistenza.


MrFord


"Pirate I’m gonna take your soul
I only want the right to love you
I know the sea won’t let you go
pirate, my love will only chain you down
so just know how much I love you
and then turn that ship around."
Cher - "Pirate" -


lunedì 15 agosto 2011

Winnebago man

Regia: Ben Steinbauer
Origine: Usa
Anno: 2009
Durata: 85'





La trama (con parole mie): chi tra voi ha una discreta familiarità con Youtube avrà senz'altro avuto occasione di vedere, almeno una volta, uno dei viral video più cliccati della storia della rete, spesso intitolato "L'uomo più arrabbiato del mondo" o, per l'appunto "Winnebago man". 
Il protagonista di quel video, tratto dagil outtakes di una campagna pubblicitaria della nota casa produttrice di caravan e camper, è Jack Rebney, dovenuto una vera e propria leggenda per le centinaia di migliaia di utenti che per risollevarsi il morale guardano a ripetizione le sue continue imprecazioni contro le mosche, la troupe e se stesso. Ma chi è davvero Jack Rebney? E che fine a fatto dopo quella torrida estate 1989? 
Ben Steinbauer, suo grande fan, si mette alla ricerca di un vero e proprio mito che pare aver fatto perdere ogni traccia di sè.


Dalla nascita di Youtube, i cosiddetti viral videos sono divenuti una sorta di fenomeno mediatico in grado di lanciare vere e proprie star della rete - nel bene e nel male - spinte dal passaparola di migliaia e a volte milioni di utenti che si collegano per spezzare i ritmi delle giornate lavorative e finiscono inevitabilmente per andare alla ricerca di filmati che possano provocare - volontariamente oppure no - quell'ilarità che permette, spesso e volentieri, di non finire ridotti come molti dei protagonisti di quegli stessi video.
Jack Rebney, in questo senso, è una leggenda.
Certo, la sua fama risulta certamente maggiore negli States, ma prima ancora di venire a scoprire l'esistenza di questo film, anche io l'avevo visto dare di matto in numerosi video postati sul Tubo, e conoscevo il personaggio da tempo: dunque, non potevo certo resistere alla visione di un documentario attesissimo - e purtroppo mai distribuito qui da noi - e spesso e volentieri definito un vero e proprio cult da molti appassionati del genere.
La ricerca di Ben Steinbauer, fan hardcore del vecchio Jack, risulta da subito e ad un tempo divertente e profonda, spensierata eppure acuta ed intelligente: gli interrogativi che il regista si pone a proposito del protagonista di quei video clamorosamente sopra le righe sono legittimi ed assolutamente più importanti di quanto non si potrebbe pensare. 
Chi è l'uomo che appare così irascibile in quei video di vent'anni prima? Cosa lo portò a realizzarli? Quale fu la sua vita prima di quel momento, e quale sarà oggi? Sarà vivo o morto? Sarà conscio del suo nuovo status di leggenda della rete?
Così, Ben si mette scrupolosamente alla ricerca del suo mito interrogando la rete stessa, la troupe che eseguì le riprese, la Winnebago, gli autori di programmi e festival di filmati "home made" che venerano Rebney quanto e più dello stesso Steinbauer. Risultato: nulla. 
Il vecchio Jack pare essere sparito dal mondo, forse morto, forse su una barca diretto verso altri continenti.
Sconsolato, l'autore decide di rivolgersi ad un investigatore privato e scrivere a tappeto a tutti i Jack Rebney rintracciati dallo stesso.
A questo punto, per non perderci nello svolgimento di quella che, a tutti gli effetti, pare una vera e propria trama, il documentario cambia completamente registro: perchè Ben Steinbauer troverà Jack Rebney - anche se sarebbe più corretto dire il contrario -, e dal loro incontro inizierà non soltanto una nuova fase nella lavorazione della pellicola, ma la scoperta della vita dell'uomo che, per migliaia di persone, altro non è che il furibondo promotore dei video industriali della Winnebago.
Sfruttando la carica esplosiva di Rebney, la sua voglia incondizionata di comunicare - nonostante il carattere lo faccia somigliare al Walt Kowalsky di Gran Torino e gli acciacchi fisici lo tormentino - ed una lenta, spesso difficoltosa opera di mediazione, il regista confeziona un ritratto in grado di andare ben oltre il recupero di un personaggio divenuto famoso grazie alla rete ma del quale la stessa popolazione internettiana non sapeva nulla fino all'uscita di questo film: ed il weekend passato a San Francisco come ospite del festival dei filmati amatoriali diviene un momento magico per Rebney così come per i giovani accorsi a conoscere di persona uno dei loro idoli - nel corso della pellicola fanno la loro comparsa anche attori come Michael Cera e Ben Affleck, grandi fan del nostro Winnebago man -, per scoprire l'Uomo dietro "l'uomo più arrabbiato del mondo", e velare di una malinconia toccante il momento della ribalta di Jack, individuo tutto d'un pezzo, libero pensatore, ex giornalista televisivo e custode di un parco nel Nord della California, sorta di eremita in lotta contro un sistema che critica da anni, personificato dall'odiato Dick Cheney.
E nella carrellata di foto scattate accanto a Rebney, così come nelle voci di chi lo definisce una sorta di "nonno" di un'intera generazione, o che giura di guardare i suoi filmati ogni volta che l'umore è basso per tornare a rialzarsi, c'è tutta la rivincita di un outsider ferito che, se non per le sue idee o volontà di esprimerle, sarà certamente ricordato per sempre.
Sempre che "voi crediate a queste cazzate".
Parola di Jack Rebney.

MrFord

"Feed the lawn from the palms of their hands
never holding, to a pole
Winnebago, we were one
hold in wonder, spoke and wheel
she divorces, party zeal."
Foo Fighters - "Winnebago" -


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...