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sabato 27 settembre 2014

Catfish

Regia: Henry Joost, Ariel Schulman
Origine: USA
Anno: 2010
Durata:
87'





La trama (con parole mie): Niv Schulman è un giovane fotografo di New York che condivide lo studio con due giovani registi, il fratello Ariel ed il loro comune amico Henry. Entrato in contatto con la giovanissima pittrice Abby e la sua famiglia, proveniente da uno sperduto paesino del Michigan, Niv conosce Megan, una loro parente, e tra loro inizia una corrispondenza che passa dalle e-mail a Facebook, fino alle telefonate, aprendo le porte ad un legame sempre più forte che potrebbe sfociare, una volta superata la barriera telematica, in una vera e propria relazione.
Quando i tre giovani artisti, impegnati in un documentario sulla danza nel Nord degli States, decidono di improvvisare una visita a questa strana famiglia, i misteri cominciano ad infittirsi: le canzoni che Megan manda a Niv dichiarandole registrazioni per lui sono infatti prese dalla rete, e qualcosa pare sempre più strano nel comportamento della ragazza.
Il confronto con Abby e Angela, la madre della bambina, rivelerà uno dei più clamorosi inganni che le relazioni sentimentali online abbiano mai rivelato, ed una realtà che pare quasi quella di un film.






Senza alcuna ombra di dubbio, internet ed il suo concetto non solo di condivisione globale, ma anche di evoluzione - o involuzione - dell'identità sociale e reale sono stati tra i più importanti che la Storia umana abbia conosciuto nel passato recente e non solo: la comunicazione, l'Arte, la Musica, il Cinema, il sesso, le relazioni sono cambiate radicalmente nell'epoca della Rete, e noi stessi, pronti a trasformare la blogosfera nella nostra quasi casa, avremmo preso strade sicuramente differenti un centinaio di anni or sono.
Personalmente, non conservo brutti ricordi - o quantomeno bizzarri - degli incontri nati da una conoscenza fatta online, e dagli aneddoti divertenti - come quella volta in cui Julez, alla vigilia della mia prima uscita con Dembo, si mostrò preoccupata pensando che il mio Fratellino fosse l'Edward Bunker con la faccia da ergastolano settantenne del suo avatar - alle occasioni per rimorchiare, devo
ammettere che mi è andata discretamente bene.
Qualche stagione fa, invece, Mtv cominciò a presentare una trasmissione decisamente interessante legata ai rischi - sentimentali e non - delle storie d'amore telematiche condotta da un regista e da un giovane fotografo, Niv Schulman, che ispirò la stessa grazie ad un documentario realizzato nei primi tempi della sua avventura artistica dal fratello, che con un amico regista condivideva con lui lo studio a New York: Niv, infatti, conobbe la famiglia della piccola Abby, pittrice sorprendente per la sua età che realizzava quadri a partire dalle sue fotografie, finendo per perdere la testa per sua sorella maggiore, Megan, intrattenendo con quest'ultima una fitta corrispondenza cartacea, telefonica e telematica di nove mesi prima di decidere, sfruttando un incarico lavorativo, di rompere il ghiaccio e
dirigersi verso la sperduta località del Michigan dove abitava, ovviamente accompagnato dai due futuri registi di questo documentario.
Il risultato fu a dir poco incredibile, tanto da sospendere Niv in uno stato in bilico tra lo stupore, la malinconia e la quasi ammirazione per il talento mostrato nel mentire rifugiandosi in sogni e pezzi di vite non sue della donna con la quale aveva condiviso momenti e sentimenti degni di una vera e propria storia, finendo, con le rivelazioni che seguirono il loro incontro, proprio per ispirare la stessa a cambiare la propria esistenza ed uscire da un guscio che pareva essere stato costruito appositamente per una di quelle pellicole da provincia americana senza speranza buona per un cocktail tra Lynch e Springsteen.
La vita di Angela - questo il nome della donna -, di fatto rivoltata come un guanto dall'ingresso di Niv nella stessa, finisce dunque per rivelare sfumature che vanno ben oltre la questione legata ai chiaroscuri della rete, ma toccano corde sospese tra il coraggio e la follia, la disperazione e la speranza: osservare suo marito definire Niv il catfish delle loro esistenze in quella che è, probabilmente, la sequenza pià clamorosa di questo sorprendente documentario e mosaico di frammenti di vite, e spiegare il significato della definizione stessa, custodisce la scintilla del grande Cinema, quello legato al bisogno di raccontare una storia, o forse più di una, e di quanto una persona anche lontana migliaia di chilometri da noi possa influenzare l'esistenza che conduciamo tutti i giorni.
Ma è davvero un rischio, quello di vivere?
O dovremmo sempre sperare di incontrare i nostri catfish, per poterci spingere un passo avanti?
A ognuno la sua risposta, a ognuno la sua identità.
Vera o falsa che sia, l'importante sarà viverla.
O cercare di farlo.




MrFord




"How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here."
Pink Floyd - "Wish you were here" -





domenica 28 luglio 2013

TBP - AFK

Regia: Simon Klose
Origine: Svezia, Danimarca, Norvegia, UK
Anno: 2013
Durata: 85'




La trama (con parole mie): Pirate Bay, il più grande luogo di sharing della rete mai esistito, a partire dal duemiladieci lotta contro il potere di Hollywood, che a seguito della violazione dei diritti del copyright sui film ha ingaggiato una vera e propria guerra contro i tre fondatori ed amministratori del sistema, Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji.
In un continuo botta e risposta tra tribunali, corti d'appello, media fino ad arrivare al Parlamento Europeo, i tre giovani ed i loro sostenitori continuano ad opporre alla logica della legge del più forte imposta dalle major della distribuzione l'ideale di un nuovo mercato basato sulla libertà ed il libero scambio della Rete.
Ma i tre accusati sono davvero idealisti come sembra? Cosa c'è davvero dietro Pirate Bay ed il suo impatto sul mondo - internettiano e non -?





Il fatto che internet e la rete abbiano cambiato il mondo è un fatto assodato ed ormai fuori discussione: ricordo quando, ai tempi della mia adolescenza - già immagino le battute del Cannibale in proposito -, se soltanto si pensava di portare fuori una ragazza ci si doveva fare coraggio, buttare il cuore oltre l'ostacolo e chiamare a casa della stessa - sperando che a rispondere non fossero i genitori - per chiedere tutto quello che si doveva chiedere a voce.
Se mi sforzo, ricordo almeno un paio di situazioni imbarazzanti proprio al telefono - ovviamente fisso - legate a dichiarazioni - una mia compagna di classe dell'ultimo anno di superiori, di punto in bianco, mentre si parlava d'altro, mi disse "non so se l'hai capito, ma tu mi piaci, e voglio che stiamo insieme" - o consigli - terrificanti telefonate in cui le amiche di lei ti dicono "mi raccomando, trattala bene", roba da spaventarsi già dopo un'uscita -: internet, ai tempi, era praticamente fantascienza.
Poi, di colpo, nel giro di neppure vent'anni, si è passati dai telefoni a gettone agli smartphone in grado di dirti in ogni momento il tempo che fa, se i mezzi saranno puntuali oppure no, dove si trova questo o quel tuo amico, e via discorrendo: accanto ai progressi della comunicazione e della tecnologia, ovviamente, è giunto a sconvolgere il mondo il file sharing.
Ed anche in questo caso, non prendiamoci troppo per il culo: che si tratti di musica o film, libri o videogiochi, tutti noi sappiamo bene cosa significhi scaricare.
Sia che la motivazione stia nel fatto che un determinato titolo non è mai stato distribuito qui nella Terra dei cachi o che senza un lavoro ben retribuito - o un lavoro - è ben difficile poter considerare di spendere gran parte del proprio stipendio in prodotti editoriali, alla maggior parte delle persone almeno in parte in grado di muoversi online sarà capitato di recuperare una volta nella vita una canzone, un romanzo, un film.
Probabilmente, se questo è accaduto negli ultimi anni, è passato in un modo o nell'altro attraverso i server di The Pirate Bay, il più grande sito di file sharing mai esistito, in grado di rivaleggiare - per importanza e bacino d'utenza - con Napster, primo grande network di questo tipo mai creato: Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji, creatori di Pirate Bay, da qualche anno sono al centro di un'intricata vicenda legale che li ha visti battersi in tribunale in Svezia - loro Paese d'origine -, sui media e al Parlamento Europeo.
Il percorso seguito dai tre giovani informatici è stato documentato da Simon Klose e distribuito - non in Italia, guardate caso - per testimoniare l'accanimento che l'industria cinematografica hollywoodiana ha manifestato nei confronti dei nomi di spicco del sito colpevole di aver sottratto introiti dal botteghino per riciclarli - anche se detto così suona ancora più criminale - nel risparmio degli utenti e nelle tasche dei fondatori della Baia: tralasciando il discorso prevalentemente cinematografico - il lavoro di Klose è interessante, anche se ancora acerbo e privo della mano polemica di un Michael Moore così come di quella prevalentemente analitica di un Werner Herzog -, sono rimasto colpito da TBP ATK principalmente per le riflessioni che lo hanno accompagnato.
Da un lato, infatti, la mia parte più ribelle nonchè profonda sostenitrice della Libertà - di parola, idee, pensieri e scambio, come in questo caso - è uscita profondamente sconvolta dall'idea che lobbies di potere - economico e sociale - enorme possano premere fino a questo punto su tre giovani colpevoli principalmente di avere un talento fuori dal comune, mentre dall'altro la parte più razionale e paterna del sottoscritto ha continuato a pensare che ai già citati Svartholm, Sunde e Neji poco importasse della tanto sbandierata battaglia per la loro identità di intellettuali liberi di esprimersi attraverso la Rete, quanto di poter tornare liberi a godere della loro notorietà il più in fretta possibile.
I tre moschettieri qui presenti, infatti, non sono personaggi da film, eroi senza macchia perseguitati dall'orribile macchina di una Giustizia che privilegia il più forte, bensì nerd con un altissimo tasso di rancore verso la società - espresso attraverso le dipendenze di Gottfried, l'eccessiva esposizione di Peter e la rabbia e l'alcolismo di Fredrick - che hanno avuto la fortuna, in qualche modo, di poter contare su doti eccezionali che li potessero distinguere dai tanti disadattati che finiscono per scomparire inghiottiti dall'anonimato o per esplodere in follie omicide.
In questo senso, TBP AFK è una pellicola fondamentale nell'esprimere il disagio presente nella società attuale divenuta dipendente da quella stessa Rete che fino a qualche anno fa neppure esisteva a livello quotidiano, incompleta e soltanto abbozzata eppure in grado di scatenare riflessioni decisamente complesse: da che parte finiremo per schierarci? E mossi da quali scopi?
Proclamare l'innocenza di questi tre ragazzi è giusto perchè ideologicamente è assurdo che multinazionali della comunicazione esercitino la loro volontà di imporre il loro gusto agli utenti oppure perchè sotto sotto tutti noi vogliamo continuare a poter vedere cento film per comprarne soltanto dieci?
La condivisione è un'illusione da Fattoria degli animali o una nuova frontiera che le majors, guidate da sensazioni simili a quelle dei politici attaccati alla poltrona, non abbandoneranno fino a quando la lotta non si farà troppo dura?
Difficile dirlo. Difficile rispondere.
Simon Klose, da par suo, ha posto la prima pietra di qualcosa che, forse, sarà più grande della Rete stessa.
L'etica della sua esistenza.


MrFord


"Pirate I’m gonna take your soul
I only want the right to love you
I know the sea won’t let you go
pirate, my love will only chain you down
so just know how much I love you
and then turn that ship around."
Cher - "Pirate" -


sabato 26 maggio 2012

L'eclisse

Regia: Michelangelo Antonioni
Origine: Italia
Anno: 1962
Durata: 125'



La trama (con parole mie):  Vittoria, una giovane e benestante donna annoiata della borghesia romana, chiude la storia ormai logora con Riccardo, e fantasticando di viaggi in paesi lontani, confrontandosi con una madre troppo impegnata a giocare in borsa e cercando una risposta alla sua solitudine interiore si ritrova a tentare di nuovo la via dell'amore con l'affascinante Piero, squalo da mercato azionario sicuro, deciso e pieno di vita.
Ma anche questa nuova possibilità pare naufragare inesorabilmente sotto i colpi di una progressiva oscurazione dei sentimenti, che induce ogni essere umano ad isolarsi inesorabilmente dagli altri, divenendo di fatto spettatore della vita.




Personalmente, non ho mai avuto un rapporto idilliaco con Antonioni.
Ricordo che il primo film del regista di Ferrara che vidi fu Blow up, celebratissimo spesso e volentieri, premiato a Cannes e visto da generazioni intere come un cult: già ai tempi in cui, praticamente, mi cimentavo soltanto in visioni autoriali, mi parve una pellicola forzata, vuota, clamorosamente troppo radical chic pur attraversando io stesso un periodo di - purtroppo - radicalchicchismo cinematografico.
Sono passati anni, e Antonioni è riuscito anche - in poche occasioni, sia chiaro, come per l'ottimo Professione: reporter - a farsi rivalutare, eppure non sono mai riuscito a superare completamente quel vecchio trauma.
A gettare sale su una ferita che pensavo praticamente rimarginata ci ha pensato il Cannibale, propinandomi nella sua lista per la nostra ultima Blog War L'eclisse, un film che mi ha lavorato ai fianchi e al viso neanche fosse Apollo Creed nei suoi due epici incontri con Rocky Balboa: dal primo all'ultimo minuto di questa estenuante visione ho pensato a quanto l'opera in questione di Antonioni fosse legata al Capolavoro felliniano La dolce vita, fotografia di un'epoca ormai lontana, magica e clamorosamente terrena, sacra e profana.
Peccato che, se il lavoro del Maestro riminese assume le connotazioni di un vero e proprio ritratto in grado di oltrepassare i confini del tempo, questo tentativo di Antonioni pare più la versione salottiera e - lo dico con il massimo disgusto possibile - radical chic della stessa, tanto poco sopportabile quanto inesorabilmente datata rispetto ad una visione nel pieno degli anni zero.
L'alternanza di silenzi e risposte evasive e poco sensate di Vittoria - uno dei protagonisti femminili più irritanti che abbia mai affrontato nella mia carriera di spettatore - riesce ad annullare non solo la vitalità di Piero - un ottimo Alain Delon -, ma anche la verve registica dello stesso Antonioni, che pare ipnotizzato dal suo personaggio e dalla Vitti finendo per sacrificare sull'altare di momenti agghiaccianti come il ritrovo notturno sognando l'Africa che mi ha ricordato una versione ante litteram - e spocchiosa - delle odierne Desperate housewives la sua impareggiabile tecnica, che in altri lavori - il già citato Professione: reporter - sopperiva ad una mancanza cronica nella sostanza dei suoi script.
Certo, tutto è realizzato in modo da rappresentare l'incomunicabilità che porta alla fine dei rapporti di coppia, e sicuramente chi viene da una formazione universitaria all'interno della quale avrà trovato un poco simpatico - ma carismatico - professore di Cinema pronto a vendere anche l'anima per questo film lo adorerà, ma per un autodidatta da saloon come il sottoscritto quello di Antonioni pare un manierismo vuoto ed irritante, che più che rappresentare, per l'appunto, l'incomunicabilità, fa della stessa una bandiera del suo modo di intendere il Cinema, nonostante i tentativi simbolici - soprattutto con l'apertura e la chiusura - vorrebbero lasciare intendere numerose strizzatine d'occhio ai veri Maestri del grottesco come Bunuel e Jodorowskij, lontani anni luce da questi esercizi di stile tanto vecchi quanto pacchiani.
Una visione faticosa e un pò ammuffita, per quanto certamente superiore a gran parte delle schifezze nostrane che intasano le sale oggi, uscita decisamente sconfitta dagli anni che passano e buona più per una lezione di Cinema da raduno di pseudo-intellettuali che non come simbolo per quella che, a conti fatti, è stata la migliore stagione della settima arte italiana.


MrFord


"Le nuvole e la luna
ispirano gli amanti
sì, ma per tanti,
compreso me,
è ti - p - i - o - logico
il vero amore
è zo - o - ologico
fin dentro il cuor."
Mina - "Eclisse twist" -


 
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