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mercoledì 11 gennaio 2017

Orange is the new black - Stagione 4 (Netflix, USA, 2016)

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Ricordo bene quando, qualche anno fa, nel pieno di uno dei miei periodi più tumultuosi, lavorativamente parlando, davo fuoco ad ogni atomo della mia parte ribelle ascoltando alcuni brani tratti da Storia di un impiegato di De Andrè, ed in particolare Nella mia ora di libertà, che in un passaggio recita così: "Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza, fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni".
Fin dalla prima stagione, ho amato con diverse riserve Orange is the new black, partendo scettico ad ogni annata per poi ritrovarmi travolto da un crescendo, partendo dallo scontro tra Chapman e Pensatucky che chiuse il primo ciclo di episodi fino al fantastico Don't fear the reaper che accompagno la fine di Vee, passando attraverso il tentativo di cambiamento della stessa Piper al termine della season three: quello che non mi aspettavo, però, era l'effetto devastante che avrebbe avuto l'escalation di questa numero quattro.
Partita in sordina, quasi in fase di stanca, inserendo nuovi personaggi nella geografia di Lichfield, Orange is the new black a questo giro è letteralmente decollata costruendo alla perfezione il progressivo montare della tensione tra detenute e nuove guardie, tra piccoli soprusi e vendette a due episodi - quelli conclusivi - da antologia, tra i più belli non solo di questa serie ma quantomeno dell'anno appena trascorso, culminati con l'addio e la morte di uno dei personaggi storici e forse più amati ed un paio di passaggi in cui l'animo ribelle del sottoscritto non ha potuto che avvampare di fronte alla lotta delle ragazze di Lichfield, dal tutte in piedi sui tavoli neanche fossimo ne L'attimo fuggente a quella pistola lasciata in sospeso, e quanto, quanto sarebbe difficile non premere il grilletto.
Johnny Cash, altro mio mito musicale, in San Quentin ricorda quanto la prigione possa rendere freddo il cuore di un uomo, e rivolge allo stesso istituto una domanda semplice quanto terribile: "Cosa pensi di aver fatto di buono?".
Questo è quello che ci si chiede al termine della stagione migliore di Orange is the new black: in un'epoca in cui viene mercificato tutto, perfino la sanità, quanto potranno mai contare le vite di chi finisce dietro le sbarre? 
Nessuno giustifica il crimine o il fatto di scontare una pena, ma come Edward Bunker ben racconta - anche e soprattutto per esperienza - nei suoi romanzi, la vita dietro le sbarre finisce per alimentare il lato peggiore di chi è costretto a viverla, decisamente più che quello pronto a condurre ad una "riabilitazione": mascherando tutto questo dietro un'atmosfera spesso e volentieri quasi giocosa, Orange is the new black si consacra non solo come una grande serie, ma anche come riferimento per il genere carcerario degli Anni Zero, tenendo ora con il fiato sospeso ed il cuore in gola tutti quelli che, come me, di fronte ad un certo tipo di battaglie, finiscono sempre per trovarsi dal lato degli outsiders, dei perdenti, dei cattivi - veri o finti che siano -.
E mentre vedevo le detenute sfidare il potere delle guardie con un atto dimostrativo sentivo il brivido che mi avevano dato Spartacus ed i suoi ai tempi della visione della serie dedicata al trace ribelle che alzò la testa e la spada contro Roma, e quando la tragedia ed il dolore hanno preso il posto di qualsiasi lontana ed umana speranza, mi sono detto, "cazzo, premi quel grilletto, pareggia il conto".
Poi, come una visione, un sorriso sullo sfondo dello skyline di New York, apice di una nottata semplice, strana e magica, come quelle che si ricordano tutta la vita.
Ed è stato allora che mi sono fermato.
Ed ho pensato: si sono presi tutto, si possono prendere tutto.
Non la libertà di pensare. Di decidere. Di vivere.
La libertà di non premere il grilletto.
E sperare, una volta fuori, di poter trascorrere una notte come quella.




MrFord




 

lunedì 6 giugno 2016

Orange is the new black - Stagione 3

Produzione: Netflix
Origine: USA
Anno: 2015
Episodi: 13







La trama (con parole mie): la vita per Piper Chapman continua all'interno del penitenziario di Litchfield, e mentre dopo la "caduta" a causa di Vee e delle latine torna alla ribalta Red all'interno delle gerarchie delle detenute, un'azienda privata entra prepotentemente nell'organizzazione della struttura a seguito dei finanziamenti che, di fatto, hanno permesso allo stesso carcere di rimanere aperto.
Proprio l'introduzione di nuove possibilità lavorative nel corso della propria detenzione porta Piper ad ideare un nuovo business che non solo l'allontanerà da Vause, ma che porterà a galla il suo "lato oscuro", cominciando a trasformarla in una criminale professionista lontana dalla spaurita ragazza entrata tempo addietro per la prima volta in un carcere.








I drammi carcerari, da sempre prerogativa cinematografica e letteraria esclusivamente maschile, terreno fertile per il sottoscritto e la sua formazione da Edward Bunker a Sorvegliato speciale, passando per Fuga da Alcatraz e Le ali della libertà, hanno conosciuto una nuova e moderna dimensione negli ultimi anni in casa Ford grazie ad una delle proposte più interessanti targate Netflix, Orange is the new black, dramma - ma non solo - da galera in salsa completamente - o quasi - rosa.
Partito in sordina e conquistata la fiducia del sottoscritto nel corso della prima stagione a colpi di episodi sempre più convincenti e fatto un pur appena percettibile passo indietro con la seconda, al terzo giro di giostra Orange is the new black si conferma come una delle realtà più interessanti del piccolo schermo, in grado di mostrare il lato femminile dello stesso senza per questo risultare indigesto al pubblico appartenente all'altra metà del cielo: per molti versi, infatti, mi sentirei assolutamente tranquillo nel considerare le vicende di Piper Chapman e compagne di detenzione come tra le più cazzute attualmente in circolazione.
Nel corso di questa terza stagione, rimbalzando tra abbandoni eccellenti - e permanenti? -, nuovi charachters e sviluppo di vecchie conoscenze in grado di valorizzarle sempre di più - splendida la nuova versione di Crazy Eyes scrittrice, per citarne una in particolare - il percorso della protagonista è quello che finisce per risultare più stimolante: entrata  a far parte del mondo degli istituti correzionali da pesce fuor d'acqua, Piper ormai dimostra di essere sempre più a suo agio nel suo ruolo di criminale, sviluppando una personalità che da lei non ci si sarebbe mai aspettati parallelamente al business delle mutande usate vendute in rete la cui idea nasce proprio a seguito della privatizzazione di Litchfield.
Interessanti, da questo punto di vista, anche le questioni legate proprio alla privatizzazione di enti di norma statali ed al loro sfruttamento in termini di profitto, la sindacalizzazione delle guardie della "vecchia scuola" - forse l'episodio incentrato sul Responsabile del centro, Caputo, è il migliore della stagione - e la responsabilità, effettiva o involontaria, del sistema correzionale di rappresentare una sorta di "università del crimine" per chi ne finisce prigioniero: la parabola di Piper, sempre più destinata al ruolo di piccolo "boss" del suo piccolo mondo, una volta superate le minacce di Pennsatucky - il cui personaggio ha sviluppato una significativa evoluzione nel corso delle stagioni -, di Vee - ancora negli occhi lo strepitoso ultimo episodio della seconda stagione - e del confronto emotivo e non solo con Vause, passata dall'essere la parte forte della coppia a quella più che debole, giostrata e raggirata come l'ultima delle sveltine, è esemplare: la stessa new entry Ruby Rose - nuovo idolo di Julez - alias Stella, dal fascino da bad girl, finisce per essere vittima del nuovo ed oscuro lato della Chapman, pronta a dare senso al titolo dell'ultimo episodio "Trust no bitch".
Un titolo ed un cambiamento che potrebbero segnare un nuovo corso per una serie decisamente interessante che, con l'aggiunta dei "nuovi letti", potrebbe rivelarsi ancora più esplosiva di quanto già non sia.




MrFord





"She's plagued with pain
making me insane
passionate repulsion
kiss the evil inside
that you cannot deny
smiling at your sufferings."
Amorphis - "Evil inside" - 






sabato 27 giugno 2015

Orange is the new black - Stagione 2

Produzione: Netflix
Origine: USA
Anno: 2014
Episodi: 13




La trama (con parole mie): per Piper Chapman la vita dietro le sbarre non procede propriamente tranquilla. A seguito dello scontro con Pennsatucky, infatti, la donna è stata costretta ad un periodo in isolamento cui fa seguito una trasferta legata al processo dell'ex boss per il quale lavorò l'ex fidanzata Alex Vause, responsabile della sua reclusione.
Quando proprio le dichiarazioni di quest'ultima separano di nuovo le loro strade e Piper fa ritorno alla sua "casa" dietro le sbarre, si troverà ad affrontare i cambiamenti nella geografia sociale delle detenute, dal nuovo ruolo della stessa Pennsatucky al progressivo potere assunto dalle afroamericane, guidate dalla temibile Vee, pronta a tutto per riprendere il controllo della prigione che, in gioventù, l'aveva già ospitata.
Come si evolveranno, dunque, le vicende? E cosa accadrà alla tornata in libertà Alex?






Una delle sorprese più piacevoli della scorsa stagione del piccolo schermo fu un titolo in grado di unire l'approccio "in rosa" di Julez alla necessità di dosi robuste di sesso, violenza, linguaggio scurrile ed un'ambientazione carceraria che non fa mai male come spesso e volentieri ricerca il sottoscritto: Orange is the new black.
Partita in sordina, infatti, con il crescendo finale la prima stagione del serial che vede la "brava ragazza" Piper Chapman costretta a vivere dietro le sbarre - con tutte le conseguenze del caso, da quelle sociali e legate ai rapporti con l'esterno a quelle con le quali ci si trova necessariamente a dover fare i conti all'interno - era riuscita ad alzare l'asticella delle aspettative per l'annata numero due, che purtroppo, a conti fatti, pur risultando molto interessante non si è rivelata altrettanto potente: fatta eccezione, infatti, per l'ascesa di Vee ed i conflitti razziali all'interno del carcere - charachter notevole, quello della perfida matrona afro, che tiene sulle spalle l'intera annata - e gli episodi dedicati a Miss Rosa - splendido il season finale, un concentrato di malinconia e desiderio sfrenato di libertà, oltre a quel "è sempre stata una maleducata" che chiude alla grandissima una vicenda che pareva non avere fine -, il resto pare campare del credito guadagnato l'anno precedente, a partire dalla scarsa presenza di Laura Prepon/Alex Vause - per il dispiacere di Julez, che l'ha ormai eletta a suo sogno erotico femminile - ad un ridimensionamento della follia di un charachter potenzialmente stupefacente come Pennsatucky, senza contare il muoversi ai margini di Nichols e Diaz, che paiono essere rimaste in qualche modo prigioniere dei loro archetipi.
Unico scossone effettivo il cambio di direzione nel carcere, che promette scenari interessanti rispetto alla prossima stagione, sia in positivo che in negativo: nel complesso, però, un'annata che pare di transizione, per Piper e le sue compagne di sventura, che soddisfa ma non lascia con la sensazione di aver assistito a tredici episodi memorabili almeno per la serie stessa.
Non voglio però apparire troppo severo, rispetto a Orange is the new black, che ha il merito di mostrare - ed è assurdo negarne l'esistenza - le palle dell'altra metà del cielo in un contesto insolito - almeno per quanto riguarda le proposte in rosa - senza dimenticare intrecci che toccano i massimi sistemi - amicizia, amore, desiderio di vivere ed affermarsi in quanto individui - senza drammatizzare troppo, mantenendo risvolti grotteschi e noir che non hanno nulla da invidiare ai capisaldi di genere.
Il lato più interessante di OITNB resta la volontà di umanizzare le detenute senza comunque dimenticare le loro inclinazioni o colpe, in modo che possano essere considerate umane ed in quanto tali, forse, destinate a legare i loro destini al "lato oscuro": l'esempio della già citata Miss Rosa è lampante, ma la stessa Piper, soprattutto nel corso del permesso ottenuto per assistere ai funerali della nonna, nota quelle che sono le differenze tra chi ha vissuto dall'altra parte del confine e chi si è visto negare uno degli aspetti più importanti dell'esistenza di una persona: la libertà.
Ed è bello, anche quando fa male, scoprire che non si deve fingere che la colpa non esista, o pretendere di essere perfetti ed integerrimi: come i detenuti cantati dalle canzoni di Johnny Cash, queste donne sono, dalla prima all'ultima, profondamente umane.
Ed è questa la loro forza, tanto quanto la loro debolezza.
Perfino quando si tratta di un'eminenza più che grigia come Vee.
L'unico accorgimento da tenere è quello di cercare di essere educati.
Perchè non si sa mai di quale "reaper" andremo ad incrociare il cammino.



MrFord



"Valentine is done
here but now they're gone
Romeo and Juliet
are together in eternity..."

Blue Oyster Cult - "(Don't fear) the reaper" -






domenica 7 dicembre 2014

Orange is the new black - Stagione 1

Produzione: Netflix
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi: 13




La trama (con parole mie): Piper Chapman, poco più che trentenne promessa sposa al giovane scrittore di buona famiglia Larry, viene incarcerata a seguito dei reati commessi come corriere di denaro per l'ex fidanzata e trafficante di droga Alex di anni prima, e condannata a scontare una pena di poco più di un anno.
Quella che, però, dall'esterno pare un'impresa tutto sommato accessibile, per Piper diverrà una vera e propria corsa ad ostacoli all'interno: dalla sua incapacità di relazionarsi con le altre detenute alle regole non scritte della vita dietro le sbarre, infatti, molte saranno le complicazioni.
Come se non bastasse, poi, la stessa Alex - colei che ha fatto il nome di Piper, di fatto segnando il suo destino - è tra la popolazione della stessa struttura detentiva: sentimenti e sensi di colpa si mescoleranno, dunque, finendo per portare questa neofita della routine da penitenziario ad affrontare un giro di vite della propria esistenza.







Questo post partecipa con grinta e più caos possibile alla selezione dedicata da noi bloggers alle Bad Girls.




Probabilmente pochi luoghi fisici finiscono per portare alla luce la parte più animale e votata alla sopravvivenza del carcere: una prova in grado di schiacciare e seppellire anche i più forti, e portare in superficie, al contrario, la capacità di adattarsi di chi, apparentemente, pare destinato a soccombere.
Personalmente, pur non avendo mai provato sulla pelle - fortunatamente, direi - l'esperienza, resto comunque molto affascinato dalla geografia sociale ed umana dei racconti carcerari, siano essi tradotti in romanzi, film o serie televisive: qualche anno fa ricordo con quanto trasporto seguii Oz, uno dei titoli cult di casa Ford, interamente ambientato in un particolare braccio di un carcere di massima sicurezza all'interno del quale omicidi, ammazzamenti e violenze di vario genere erano all'ordine del giorno.
Nel corso delle ultime stagioni, invece, è stata una serie "in rosa" a far parlare e scrivere molto di se, nella blogosfera e non: Orange is the new black.
Sponsorizzato molto in casa Ford da Julez, fiduciosa del fatto che anche io avrei gradito, questo titolo ha finito inevitabilmente, dopo una partenza forse con il freno a mano troppo tirato, a conquistare pienamente il favore del sottoscritto, guadagnandosi di diritto lo status di "must see" con il quale era giunto su questi schermi spinto da aspettative decisamente alte.
Merito del grande lavoro degli sceneggiatori sui personaggi e dello straordinario gruppo di attrici protagoniste - bravissime dalla prima all'ultima, uno di quei casi in cui vige la regola di Lost rispetto alle scelte ottime della produzione in questo senso e della chimica che, probabilmente, si è venuta a creare all'interno della crew -, e di un crescendo assolutamente pazzesco partito con i primi segni di cedimento della protagonista Piper Chapman e con l'inserimento del personaggio forse più sfaccettato ed interessante della season, la terribile Pennsatucky, che per quanto insopportabile sia riuscita ad essere ha rappresentato, forse, sotto più aspetti, il charachter chiave per il cambio di direzione preso dalla serie nel mio cuore di appassionato.
Johnny Cash, nella sua straordinaria San Quentin, cantava quanto le mura di una prigione potessero rendere ancora più freddo il sangue dei detenuti che vi abitavano, di fatto amplificando le zone d'ombra che li avevano portati fino a quel punto del loro percorso: in questo senso il lento sprofondare di Piper verso il tostissimo finale è espressione perfetta delle parole del Men in black, sfruttato in equilibrio rispetto ad alcuni gesti di generosità e vicinanza tra le detenute, il rapporto tra le stesse e le guardie - interessante il personaggio della giovane donna, la più morbida tra i "controllori" -, il sesso - e in questo senso, nonostante la gettonatissima Alex Vause, continuerò sempre a preferire la rozza Nicky -, una buona dose di ironia nera - la mitica Boo - ed una critica neppure troppo velata ad un sistema che ingrassa le tasche della classe dirigente sulla pelle dei contribuenti così come della popolazione carceraria - altro spunto niente male in vista della seconda annata è quello dei fondi "mangiati" dai grandi capi dell'amministrazione a scapito delle attività da svolgere e delle strutture interne del carcere -.
Orange is the new black, dunque, trova conferma anche al Saloon del suo status di titolo con le palle e tutte le potenzialità per diventare ancora più tosto ed imperdibile per il pubblico: in fondo, tutti noi, anche i più posati e ligi alle regole, teniamo dentro un qualche animale pronto ad uscire e lottare per la propria sopravvivenza senza quasi guardare in faccia a nessuno.
E' la Legge della Giungla.
E non c'è giungla peggiore di una prigione.
Figurarsi quando la prigione in questione è territorio e dominio dell'altra metà del cielo.
Ho come l'impressione che per Piper, in questo senso, i guai siano appena all'inizio.
Per fortuna nostra, da questa parte dello schermo e delle sbarre.



MrFord


Di seguito il programma dettagliato della rassegna:



"Think of all the roads
think of all their crossings
taking steps is easy
standing still is hard
remember all their faces
remember all their voices
everything is different
the second time around."
Regina Spektor - "You've got time" - 




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