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martedì 12 marzo 2013

Il Dottor Stranamore: ovvero come imparai a non preoccuparmi ed amare la bomba

Regia: Stanley Kubrick
Origine: USA
Anno: 1964
Durata: 95'




La trama (con parole mie): il generale Jack D. Ripper, convinto che i comunisti stiano per avviare un piano di offensiva e conquista dell'Occidente, avvia la procedura d'attacco dell'aviazione statunitense che prevede lo sganciamento di ordigni nucleari sugli obiettivi strategici in Unione Sovietica.
Asserragliato nel suo ufficio e contrastato senza troppo successo dall'ufficiale anglosassone Mandrake, il guerrafondaio Ripper scatena così una serie di eventi che arriveranno a coinvolgere i Presidenti di USA e URSS, impegnati ad interrompere il raid prima che lo stesso scateni la letale controffensiva da oltre cortina.
Quando tutto pare essersi sistemato ed i bombardieri si avviano al rientro, a causa di un guasto tecnico il velivolo comandato da T. J. "King" Kong si dirige senza guardarsi indietro sul suo bersaglio, lasciando i leader delle due più grandi potenze inermi ad attendere la fine della civiltà conosciuta.
Ma il Dottor Stranamore, consigliere del Presidente USA ed ex nazista, ha già un piano in mente...



Ho sempre considerato Il Dottor Stranamore come uno degli esperimenti più arditi e clamorosi del Kubrick sceneggiatore, più che regista, nonchè uno degli esempi più fulgidi di antimilitarismo reso satira e pellicola al vetriolo talmente avanti con i tempi da risultare attuale ancora oggi, con le geografie e geometrie politiche mondiali radicalmente cambiate - almeno sulla carta - dai tempi dei favolosi sixties.
Allo stesso modo considero questa pellicola anche una delle più ostiche del Maestro, vuoi per una sua presenza meno "invadente" dietro la macchina da presa, vuoi per tematiche affrontate in modo certo poco convenzionale, vuoi perchè la modernità dei temi affrontati non viaggia di pari passo con la sensazione di avere di fronte la fotografia di un'epoca ormai inesorabilmente al tramonto, protagonista dei libri di Storia ma decisamente lontana dal pubblico attuale, ormai non più avvezzo - fortunatamente - a sentir parlare di minaccia di guerra atomica e di grandi potenze a confronto come poteva essere fino alla caduta del blocco sovietico - anche se, senza dubbio, si potrebbero trovare problematiche gemelle, pur se differenti sulla carta, anche nel nostro presente -.
Senza dubbio, il risultato è e resta un caposaldo assoluto del genere e del Cinema in toto, esempio di pellicola militante e contro - a tutto e a tutti gli effetti - che seppur non agli stessi livelli del Capolavoro Orizzonti di gloria ne raccoglie in qualche modo l'eredità mostrando un aspetto più "leggero" dello stesso senza risparmiarsi di colpire nel segno una certa "casta" di guerrafondai e uomini politici dal pulsante facile che nel corso dei decenni avranno cambiato volto e motivazioni - dalle armi si è passati al denaro, principalmente, e dall'olocausto nucleare a quello dei mercati - ma certo non hanno abbandonato le loro poltrone, ancorati saldamente ad un Potere contro il quale il buon Stanley si è sempre battuto con tutta la potenza del suo incredibile Cinema.
Esempio e modello di questa categoria di personaggi, ancor più dell'arcigno Jack D. Ripper - un fantastico Sterling Hayden - o dell'uomo d'azione tutto fatti e niente domande T. J. "King" Kong, il mefistofelico Dottor Stranamore, interpretato con una verve unica da Peter Sellers - che presta volto anche all'ufficiale anglosassone Mandrake ed al Presidente USA -, residuato del mondo che i nazisti si erano prefigurati ed ancora una volta nelle sale che contano delle nazioni che contano, incapace, nonostante tutti gli sforzi, di celare una Natura che neppure un braccio meccanico è in grado di tenere nascosta all'anima - celebre il passaggio della lotta tra il Dottore ed il tentativo della sua mano destra di elevarsi in piena posa da saluto nazista -.
Il resto è un affascinante mosaico di sequenze d'azione che rimandano ai primi lavori del regista, riprese dei velivoli diretti agli obiettivi strategici che anticipano le danze delle future odissee nello spazio e straordinari scambi di battute - indimenticabile la telefonata tra il capo di stato USA e quello sovietico -, impreziositi da un bianco e nero perfetto e scenografie da urlo - la sala ovale fulcro delle attività di guerra a stelle e strisce è un vero e proprio gioiellino -.
Un altro tassello ed un altro grande prodotto della carriera di uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi, che di fatto chiuse un'epoca - per lui e per il mondo della settima arte - e si preparò ad aprirne un'altra non soltanto nuova ed oltre ogni confine, ma densa e traboccante Capolavori anche e più di quanto non fosse stata quella precedente, della quale Il Dottor Stranamore rappresenta senza dubbio uno dei vertici più innovativi e clamorosi.
Come se non bastasse, a quasi cinquant'anni dalla sua realizzazione, questo film riesce ancora a mostrare e dimostrare quanto la stupidità umana si sia resa - e si renda, non crediate - responsabile di molte delle tragedie più grandi che abbiano colpito la nostra civiltà ed il pianeta stesso, e riesce nell'impresa prendendosene gioco senza alzare neppure la voce, mettendo alla gogna l'ignoranza e la sete di potere, due delle piaghe più grandi con le quali siamo costretti a fare i conti ogni giorno e ad ogni livello di questa nostra società tanto stratificata quanto stupidamente semplice.
E non lo dico come fosse un complimento.


MrFord


"I'm gonna brag about it
I'm not gonna stay in school
I'm gonna rob and steal
gonna break every rule
I'm a time bomb, baby
I'm a time bomb, baby
I'm a time bomb, baby
I'm a time bomb, baby."
Ramones -  "Time bomb" -


venerdì 8 marzo 2013

Rapina a mano armata

Regia: Stanley Kubrick
Origine: USA
Anno: 1956
Durata: 85'




La trama (con parole mie): Johnny Clay, da poco uscito di galera dopo cinque anni di detenzione, orchestra una rapina ad un ippodromo organizzata sfruttando l'aiuto di insospettabili dalla fedina penale pulita, mossi ognuno da esigenze economiche o personali. 
Si tratta di uno dei cassieri - un ometto vessato dalla giovane moglie - e del barman - che vorrebbe usare i soldi per la compagna malata - dello stesso ippodromo, di un allibratore vecchio amico di Clay e di un poliziotto corrotto con qualche debito di troppo.
I passaggi del colpo sono studiati minuziosamente, e tutto pare filare liscio fino al giorno della rapina: quando, però, i problemi coniugali del cassiere George mettono in moto un piano parallelo della consorte aiutata dall'amante, la situazione precipita fino a far letteralmente volatilizzare il bottino della rapina.





Basterebbero due soli nomi a rendere Rapina a mano armata un supercult di quelli da rimanere a bocca aperta: Stanley Kubrick e Jim Thompson, uniti nel firmare una sceneggiatura che ancora oggi è un esempio clamoroso di ritmo, tensione, efficacia e violenza.
Eppure, il regista ed il romanziere autore di titoli indimenticabili quali L’assassino che è in me e Colpo di spugna sono soltanto la punta dell’iceberg per la pellicola che, di fatto, confermò Kubrick come uno dei giovani registi più importanti della scena statunitense degli anni cinquanta, in grado di stupire nonostante – ma questo non si poteva ancora sapere – un talento che ancora non aveva esploso i suoi colpi di genio più sorprendenti.
Rapina a mano armata è, di fatto, uno dei capistipite dell’heist movie, una prova eccezionale di decostruzione temporale e costruzione di tensione – l’escalation che porta al colpo ha un accumulo di suspance quasi hitchcockiano – impreziosita dalle interpretazioni di Sterling Hayden – un grandissimo che gli appassionati di Classici conosceranno come se fosse praticamente un loro parente, mentre i meno ferrati si ricorderanno, forse, per il suo ruolo nel primo capitolo della trilogia de Il padrino – e di un gruppo di caratteristi da antologia, fotografato splendidamente – sempre dallo stesso Kubrick, come fu per Il bacio dell’assassino – e girato con un’eleganza clamorosamente superiore all’esordio – basterebbe la sequenza dell’ingresso di Clay nella stazione dei bus per restare ammirati rispetto all’abilità dietro la macchina da presa mostrata dal regista, che non solo pare con questo lavoro aver scoperto l’eleganza del suo movimento, ma avere definitivamente abbandonato, conservandone il meglio, il suo precedente tocco da fotografo, che avrebbe potuto rendere lo stile troppo statico -.
Come se non bastasse tutto questo, l’opera numero due del Maestro porta un bagaglio di violenza decisamente inusitato per l’epoca – con le dovute proporzioni rispetto a quanto mostrato allo spettatore, non sfigurerebbe neppure accanto a pellicole come Le iene ancora oggi – e solo limitatamente stemperato da un finale a metà tra il moralismo – “il crimine non paga” – ed il fatalismo – “se il destino è avverso, anche i piani migliori sono destinati al fallimento” -, e con la sua struttura ad incastro anticipa di decenni quello che proprio Tarantino ed i suoi epigoni avrebbero trasformato nel loro cavallo di battaglia alle soglie del nuovo millennio.
Inoltre, la riflessione sull’avidità umana che assume dimensioni differenti ed è mossa da altrettanto diverse motivazioni risulta profonda ed incisiva, e regala uno spessore enorme ad ognuno dei protagonisti: dal vecchio allibratore che pur di combattere la solitudine si lega al “figlio che non ha mai avuto” Johnny Clay al cassiere soggiogato da una moglie che ogni giorno rinfaccia di non avere il denaro che si sarebbe aspettata da lui, dal poliziotto corrotto con qualche debito di troppo contratto a causa del suo amore per la bella vita al barista dell’ippodromo che vorrebbe utilizzare la sua parte di bottino per curare al meglio la compagna malata, fino a Clay stesso, mente dietro un piano sulla carta infallibile e poggiato sulle spalle di un gruppo di insospettabili, in attesa di completare il suo trionfo con la fuga accanto alla donna pronta ad attenderlo dopo i cinque anni trascorsi in galera, non c’è uno solo dei protagonisti – neppure il tiratore ed il lottatore assunti per scatenare il caos e favorire la rapina – che risulti privo dello spessore necessario a renderlo memorabile, e nonostante alcune sequenze paiano oggi tutto sommato naif – il confronto con il parcheggiatore del cecchino ingaggiato da Johnny, la rissa al bar, la partenza all’aeroporto nel finale – tutto funziona ancora a meraviglia, ed oltre ad un altissimo tasso di tensione il pubblico finisce per poter contare anche su passaggi decisamente forti – la rapina del “clown” ed il confronto tra il gruppo di complici del protagonista e l’amante della moglie di George il cassiere, destinato a finire nel sangue – ancora efficaci oggi, in un’epoca in cui si è abituati decisamente a molto peggio.
Se, dunque, Il bacio dell’assassino era stato in grado di mostrare alcuni lampi del talento incommensurabile del Maestro, con Rapina a mano armata si conquista la certezza di trovarsi davanti ad un cavallo di razza – e mai come per questo film una definizione di questo tipo risulta calzante – destinato a cambiare letteralmente la Storia della settima arte.
Di certo ogni studente di Cinema o appassionato dell’opera dell’immenso Stanley conoscerà questa perla a memoria, ma sarebbe davvero un delitto, pur da spettatori occasionali, lasciarsi sfuggire quella che, di fatto, è una delle pietre miliari di un genere che, in tempi più recenti, è stato in grado di regalare meraviglie come Inside man o influenzare autori come il già citato Tarantino.


MrFord


"Money it's a crime
share it fairly but don't take a slice of my pie
money so they say
is the root of all evil today
but if you ask for a rise it's no surprise that they're giving none away."
Pink Floyd - "Money" -


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