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sabato 18 gennaio 2014

2013 in music


La trama (con parole mie): replicando il post dello scorso anno, ho deciso di inaugurare questo 2014 riscoprendo le canzoni che hanno formato la vera e propria colonna sonora del 2013 fordiano per affetto, casualità, numero di ascolti o accadimenti.
Rispetto all'edizione passata, il "viaggio" di oggi sarà più dedicato alla riscoperta di grandi classici che non ai nuovi suoni, considerato che, senza dubbio, gli ultimi dodici mesi - o gran parte di essi - sono stati consacrati al recupero dell'opera di Warren Zevon, cantautore da sempre amato al Saloon ma mai così inserito nell'heavy rotation del vecchio cowboy.



GENNAIO: SEMPRE NOI di MAX PEZZALI e J-AX


Passata in radio mentre con Julez eravamo in sala parto nei momenti decisivi prima della nascita del Fordino, questo omaggio agli anni ottanta decisamente sopra le righe è diventato un vero e proprio tormentone di quei giorni passati avanti e indietro dall'ospedale sotto la neve, ripensando a quel "niente ragione, sempre noi, solo passione, sempre noi" che pare calzare a pennello alla famiglia Ford.
Non sarà musica d'alta scuola, ma a volte chi se ne frega.

FEBBRAIO: GET UP! di BEN HARPER e CHARLIE MUSSELWHITE


Il disco che il favorito fordiano Ben Harper ha realizzato con l'armonicista Charles Musselwhite è stato una delle sorprese più gradite del mio 2013 musicale, e nei giorni della sua uscita è stato un ascolto prepotente e caldo, l'incontro tra il desiderio di un'estate ancora troppo lontana ed una riscossa quasi sociale rispetto all'inizio di uno dei periodi lavorativi più difficili della mia vita.
"I have right to get up", canta Ben. E lo canto anche io.

MARZO: LAWYERS, GUNS & MONEY di WARREN ZEVON


Con il sopraggiungere della primavera il ciclone Warren Zevon è giunto a toccare le corde più profonde dell'anima del sottoscritto, perso tra le ombre e l'alcool per fuggire alla sensazione di soffocamento data dall'idea di stare in qualche modo sprecando il proprio tempo e le proprie giornate al servizio di una realtà - soprattutto, di nuovo, lavorativa - che non mi apparteneva più: ripensando a Californication e dedicandomi ad uscite molto alcoliche, Lawyers, guns&money è stata quasi un liberatorio inno.

APRILE: BAD KARMA di WARREN ZEVON


Uno dei mesi più difficili degli ultimi anni: molto alcool, sbandate pericolose per me e la mia famiglia, momenti sopra le righe come non ne avevo mai vissuti - devono ricordarsi ancora di me il controllore ed il conducente di un treno Saronno Lodi di fine aprile - ed un "bad karma" che pareva, di colpo, deciso a lavorarmi ai fianchi prima di stendermi al tappeto.
Fortunatamente Julez ha allargato le spalle per me, il Fordino ha cominciato a guarirmi e Spartacus mi ha aiutato a pensarla in un altro modo rispetto alle prospettive di lavoro.

MAGGIO: FRANK AND JESSE JAMES di WARREN ZEVON


Compagno delle peregrinazioni alcoliche e delle serate della mia turbolenta primavera è stato mio fratello, che fortunatamente negli anni è diventato, prima di un parente, il mio migliore amico, un compagno d'armi accanto al quale affrontare le lotte contro il quotidiano, o almeno la sua parte peggiore.
Frank e Jesse James, banditi simbolo della Frontiera, sono stati le nostre guide ed i nostri corrispettivi per ogni brindisi, abbraccio o sostegno che ci siamo dati.

GIUGNO: CRUCIFY YOUR MIND di RODRIGUEZ


L'arrivo dell'estate e della cassa integrazione - presa come una vera e propria vacanza - è stato un vero e proprio toccasana, e le ferite aperte nei mesi precedenti, a suon di punti, hanno finito per rimarginarsi tra Torino, Milano, la Valle Imagna, l'addio al celibato di mio fratello e l'idea che una luce fosse arrivata alla fine del tunnel. A portarla Rodriguez, protagonista del meraviglioso Searching for sugar man.

LUGLIO: GET LUCKY dei DAFT PUNK



Passata la cassa integrazione, la paternità: approfittando di un'estate come, probabilmente, in casa Ford non si riuscirà più a vivere, con Julez e il Fordino si è cominciato davvero a godere del Tempo e della Vita come non si faceva da un pezzo, rimbalzando da un matrimonio all'altro, dalle terme alla piscina, da Torino - di nuovo - a Milano. A scandire il tempo il magnifico pezzo dei Daft Punk, uno dei pochi a mettere d'accordo i coniugi Ford.

AGOSTO: BLURRED LINES di ROBIN THICKE


Non ricordo, a memoria, di aver mai passato un mese intero al mare come è capitato lo scorso anno: una vera e propria goduria divisa tra nuove amicizie, esercizio fisico, serate in famiglia ed aperitivi in spiaggia.
Ancora adesso sento la mancanza di Viareggio e del sole che tramonta sul mio bel cuba, o del Fordino scatenato in piscina con il suo gonfiabile.
Una spensieratezza che ben si lega a una delle hit dell'estate, Blurred lines di Thicke, amatissima da Julez.

SETTEMBRE: WAKE ME UP di AVICII


Il rientro al lavoro dopo tre mesi e mezzo di relax e recupero dell'equilibrio è riuscito, proprio grazie all'accumulo di energie positive dei mesi precedenti, a non segnarmi negativamente, ma a farmi sviluppare un approccio zen e lebowskiano che ancora oggi resiste e mi trasforma in una sorta di corazzata.
Wake me up è stato il brano che ha accompagnato proprio il mio ritorno, una sorta di saluto all'autunno in arrivo, ma senza ansie di nessun genere.

OTTOBRE: HIT SOMEBODY di WARREN ZEVON


Per celebrare il mio compleanno, nonchè la filosofia del "tenere botta", torna il grande Warren con uno dei suoi brani più recenti, un inno ai losers e alla resistenza - fisica, mentale e dell'anima - tra i più belli del rock: sentirlo riesce a darmi ogni volta i brividi, ripensando al suo ultimo show prima della morte al Letterman, quando lo eseguì subito dopo aver risposto allo stesso Letterman in merito al suo rapporto con il cancro che lo stava divorando "I enjoy every sandwitch". Mitico.

NOVEMBRE: DIRTY DEEDS DONE DIRT CHEAP degli AC/DC


Ad accompagnare la lettura di uno dei romanzi più amati dello scorso anno torna un altro grande classico firmato dai grandissimi AC/DC, icone del rock planetario provenienti dalla mia amata Australia: ricordo ancora il momento in cui, giunto al punto in cui il pezzo veniva citato tra le pagine del lavoro di Ernest Cline, lo lanciai sull'Ipod venendo di fatto proiettato in un mondo magico di robot giganti, giochi di ruolo e richiami alla cultura eighties. Indimenticabile.

DICEMBRE: LET HER GO dei PASSENGER



A chiudere l'anno una ballad molto soft che ha accompagnato principalmente il mio ingresso nel mondo di Spotify ed i viaggi accanto a Julez e il Fordino nel periodo delle feste natalizie: non sarà roba da duri, ma è riuscita nel non facile intento di ricordare al sottoscritto i tempi di struggimenti dell'adolescenza ed i tanto amati Counting Crows. Mica facile.


MrFord



martedì 31 dicembre 2013

Ford Awards 2013: i film (N°10-1)

La trama (con parole mie): finalmente ci siamo. La top 10 del Saloon riferita ai titoli usciti in sala nel corso di questo ormai agli sgoccioli duemilatredici è qui, pronta a fare bella mostra di sè: come di consueto mancano alcuni film che purtroppo non sono ancora riuscito a recuperare - Blue Jasmine e La vita di Adele su tutti -, e la scelta è stata decisamente più ardua rispetto agli anni scorsi, considerato che il mio vero favorito, Mud, non è uscito dalle parti della Terra dei cachi, limitandosi dunque a vincere il premio come miglior film non distribuito.
Ma ora bando alle ciance e via all'ultima decina, che rivelerà l'erede di Killer Joe, Drive ed Inception, i vincitori degli ultimi anni.


N°10: SEARCHING FOR SUGAR MAN di MALIK BENJELLOUL


Il documentario numero uno del duemilatredici ed il primo film della top ten fordiana è un viaggio nel cuore e nella musica di uno dei più incredibili songwriters che gli USA abbiano regalato al rock, nonchè uno dei meno conosciuti: leggenda o realtà, la vicenda di Sixto Rodriguez è qualcosa che va oltre la Frontiera, il Tempo ed il Cinema, e rappresenta al meglio la più grande sfida di sempre.
Quella della vita.

N°9: LA FINE DEL MONDO di EDGAR WRIGHT


La spettacolare chiusura dell'altrettanto spettacolare Trilogia del Cornetto è un cocktail esplosivo di ironia, azione, ritmo ed una malinconia da fine delle vacanze e tempo che passa al limite dello struggente.
Edgar Wright ed i suoi fidi Simon Pegg e Nick Frost non potevano confezionare un addio migliore, lasciando un vuoto forse incolmabile nel cuore dei fan che continueranno a volerli insieme come fu per questi tre film uno più straordinario dell'altro.

N°8: RUSH di RON HOWARD


Come Moneyball lo scorso anno, anche a questo giro di giostra una pellicola a sfondo sportivo giunge fino alla top ten: firmato dall'artigiano Ron Howard, Rush riesce nella non facile impresa di trasformare la Formula Uno - uno degli sporti più amati ed al contempo detestati di sempre - in un'epica sfida tra uomini pronti a correre sul sottile filo che passa tra la vita e la morte ispirandosi ad una delle sue sfide più intense, che vide contrapposti il calcolatore Lauda e l'arrembante Hunt.
Riprese da manuale, un crescendo tesissimo ed un finale da fare invidia a Michael Mann.
Dritto al massimo senza voltarsi indietro.
 
N°7: PRISONERS di DENIS VILLENEUVE


Villeneuve, che nel corso delle ultime stagioni era riuscito a stupirmi in più di un'occasione, non perde il suo smalto neppure con la prima volta tra le fauci di una produzione da grandi studios ed attori più che noti: trasformando Wolverine Jackman in un cavallo di razza e stimolando Jake Gyllenhaal a compiere un'ulteriore evoluzione il regista canadese confeziona il thriller dell'anno ed una delle pellicole più toste dai tempi di Mystic river, un concentrato di violenza, amarezza e, paradossalmente, speranza, come raramente il Cinema ha saputo raccontare.

N°6: IL LATO POSITIVO di DAVID O. RUSSELL


Giunto in sordina sugli schermi del Saloon, l'ultimo lavoro di David O. Russell si è rivelato, di fatto, il titolo indie del duemilatredici, nonchè definitivo trampolino di lancio per la splendida e bravissima Jennifer Lawrence, sempre più la numero uno tra le preferite fordiane.
La storia d'amore scombinata e disfunzionale tra i due protagonisti, in bilico tra scontri e passione, cervello e pancia, è senza dubbio la più interessante che abbia potuto vivere su uno schermo nel passato recente, e le cicatrici di questi due ragazzi feriti dalla vita pronti a curarsi l'un l'altro senza risparmiarsi un colpo hanno riportato alla mente del sottoscritto le origini della storia con Julez.
Che vuol dire aver fatto centro.

N°5: LA GRANDE BELLEZZA di PAOLO SORRENTINO


Il Cinema italiano, ormai è cosa risaputa, non gode affatto di buona salute. Le proposte davvero interessanti latitano, soffocate da un oceano di merda molto poco d'autore che invade le sale settimane dopo settimana.
Eppure, nel pieno di questa desolazione, assistiamo anche a miracoli come La grande bellezza, titolo che riporta Sorrentino non solo entro i confini nazionali, ma anche alla potenza delle sue opere migliori, nonchè ad una surreale atmosfera che soltanto i grandi riescono a non rendere ridicola.
La dolce vita incontra il nuovo millennio tra le rovine dell'impero che fu.

N°4: SPRING BREAKERS di HARMONY KORINE


Contestato, odiato, detestato, il film forse più controverso della blogosfera di questo duemilatredici arriva davvero ad un soffio dalla top three: l'opera di Korine, a metà tra la visionarietà del Malick buono e la voglia di osare del Van Sant di Drugstore cowboy è un ritratto delle generazioni che, una dopo l'altra, si succedono lottando inevitabilmente l'una contro l'altra, così come dei destini diversi che le diverse classi sociali riserveranno ai loro figli.
Un film assolutamente cult, che non mi stancherò mai e poi mai di difendere e del quale continuerò a ribadire la grandezza, a costo di schierarmi fianco a fianco con il Cannibale.

N°3: DJANGO UNCHAINED di QUENTIN TARANTINO


Tarantino è sempre Tarantino.
Non c'è verso, il ragazzaccio di Knoxville, forte del grandissimo lavoro fatto con Bastardi senza gloria, torna a mostrare tutto il suo citazionista, folle, ridondante fascino rileggendo da par suo il Western e la drammatica storia della schiavitù negli USA.
In un certo senso, Il colore viola in versione pulp.
Sangue, violenza, ironia, sequenze da antologia ed uno dei Di Caprio più grandi di tutta la carriera, sua e di numerosi altri attori.
Definitivo.

N°2: ZERO DARK THIRTY di KATHRYN BIGELOW


Kathryn Bigelow, la regista più cazzuta del panorama mondiale, confeziona la sua opera più complessa e matura, un saggio di tecnica, sangue freddo, capacità di narrazione e respiro ampio come se Robert Altman incontrasse Michael Mann.
Personaggi gestiti come pedine su una scacchiera, passaggi da bocca aperta - l'attentato all'abergo -, una protagonista memorabile ed un finale da fiato sospeso, quaranta minuti in apnea tra il verde incantesimo dei visori notturni e la pancia di una balena dell'aria rimasta vuota anche di fronte ad una "vittoria".

N°1: RE DELLA TERRA SELVAGGIA di BENH ZEITLIN


Ed eccolo, il trionfatore dei Ford Awards 2013.
Pur se di pochissimo su Zero Dark Thirty, Re della terra selvaggia guadagna il gradino più alto del podio grazie alla magia della sua piccola, incredibile protagonista, della poesia nascosta tra le pieghe della Realtà e nell'immaginario da favola che vede un mondo sull'orlo dell'inabissamento ritrovare se stesso - forse - nel coraggio di una bimba pronta ad affrontare le bestie più antiche del mondo.
Re della terra selvaggia è un incantesimo, ed il vecchio cowboy ci è caduto con tutti gli stivali.
Ed è stato davvero un meraviglioso precipitare. Neanche fossi una cometa tra le mani di Hushpuppy.


MrFord


I PREMI


Miglior regia: Kathryn Bigelow per Zero Dark Thirty

Miglior attore: Leonardo Di Caprio per Django Unchained

Miglior attrice: Jennifer Lawrence per Il lato positivo

Scena cult: Hushpuppy che fronteggia gli Aurochs, Re della terra selvaggia

Miglior colonna sonora: Searching for Sugar Man

Premio "leggenda fordiana": Sixto Rodriguez, Searching for Sugar Man

Oggetto di culto: il Cornetto, La fine del mondo

Premio metamorfosi: Hugh Jackman da Wolverine ad attore consumato, Prisoners

Premio "start the party": l'infarto del cinese, La grande bellezza

Premio "be there": i sogni estatici e dai colori saturi, Spring Breakers


lunedì 24 giugno 2013

Searching for Sugar Man

Regia: Malik Bendjelloul
Origine: Svezia, UK
Anno: 2012
Durata: 86'




La trama (con parole mie): Sixto Rodriguez, cantautore di culto di origini messicane nato e cresciuto nella periferia dei lavoratori di Detroit, incise all'inizio degli anni settanta due album che, per i suoi produttori, lo portarono ben oltre il livello perfino di mostri sacri della canzone popolare americana come Bob Dylan. Peccato che, a seguito dell'insuccesso commerciale totale degli stessi, l'uomo scomparve letteralmente senza lasciare traccia del suo passaggio.
A cavallo degli anni ottanta, però, in Sudafrica, Rodriguez divenne una sorta di leggenda ispirando perfino i primi gruppi rock bianchi pronti a contestare duramente l'apartheid: il proprietario di un negozio di dischi, Stephen "Sugar" Segerman, ed un giornalista musicale, fan della prima ora di Rodriguez, si incaricano di indagare quale possa essere stato il destino del loro idolo.
Quello che scopriranno attraversando l'oceano sarà un'incredibile storia di musica e di vita.




A volte non c'è davvero bisogno di troppi giri di parole: Searching for Sugar Man è un grande film, nonchè uno dei migliori documentari che mi sia capitato di vedere nel corso delle ultime stagioni cinematografiche.
Ma prima dei premi, dei riconoscimenti al Sundance e alla notte degli Oscar, prima della ribalta e della distribuzione addirittura in Italia, prima della musica stessa e di una vicenda che pare talmente incredibile da essere stata scritta proprio per un film, il lavoro di Malik Bendjelloul - bravissimo davvero, questo ragazzo svedese di chiare origini extraeuropee, che ha finito per curare praticamente ogni aspetto del suo lavoro, dalla regia, al montaggio, fino alle bellissime sequenze arricchite dai disegni animati, anch'essi opera della sua mano - è un inno alla vita come raramente se ne incontrano nel corso del cammino che intraprendiamo giorno dopo giorno, un esempio di quello che fa la differenza tra chi non riesce a gestire la fama ed il successo e chi, al contrario, decide di vivere quello che il destino gli ha riservato, prendendo quello che ha come parte della sua storia - e, come scrivevo poco sopra, che storia -.
Sixto Rodriguez, cantautore di origini messicane nato e cresciuto nella Detroit dei lavoratori e dei losers della grande tradizione del folk - e non solo - made in USA, all'inizio degli anni settanta compone ed incide due dischi in grado di strabiliare gli addetti ai lavori, album brevi ed intensi che raccontano le vite consumate lungo una Frontiera che di mitico non ha proprio nulla, almeno sulla carta, fatta di calli alle mani e storie di periferia, lavori perduti e sconfitte che non lasciano spazio alle vittorie, speranze perdute un giorno dopo l'altro, schiacciate dalla forzata sopravvivenza.
Due dischi che gente alle spalle di artisti come Marvin Gaye o i Cure non esita neppure un secondo a definire epocali, considerando Rodriguez come uno dei massimi interpreti della musica americana, perfino oltre quello che è stato, è e sarà sempre Bob Dylan: eppure, questi due album monumentali finiscono inspiegabilmente nel dimenticatoio di tutte quelle proposte che, una volta immesse sul mercato discografico, si perdono in un oblio quasi mitologico - altro che Frontiera annichilita dal quotidiano e dal lavoro -.
Così, Sixto Rodriguez scompare. Definitivamente.
Senza sapere di essere diventato quasi per caso una leggenda all'altro capo del mondo, in Sudafrica, in un contesto sociale in cui i suoi testi attecchiscono e divengono uno dei più importanti stimoli della lotta contro l'apartheid, nonchè riferimento per un artista in grado di influenzare generazioni intere: e mentre rimbalzano le voci di un suo suicidio, della sua morte sul palco o per overdose, perduto tra le pagine del mito, Sixto Rodriguez aleggia ancora, come un fantasma, anche se nessuno dei suoi fan lo sa.
E sulle sue tracce si mossero, sul finire degli anni novanta, il proprietario di un negozio di dischi ed un giornalista musicale, pronti a mettere tutte le energie possibili in campo per arrivare a scoprire il vero destino di quell'uomo che avevano imparato a conoscere dietro ogni nota, e la voce rotta da un sentimento profondo di comunione con i perdenti di cui cantava.
E se pensate che questo possa essere già molto, non avete ancora scoperto il meglio.
Spesso mi capita di citare il John Ford de L'uomo che uccise Liberty Valance, con quel suo "Nel West, quando la Realtà incontra la Leggenda, vince la Leggenda".
Qui pare esattamente il contrario: e quello che la vita ha riservato a questa sorta di eroe della musica dei nostri tempi vissuto da fantasma per quasi un trentennio, è un passaggio di lirismo quasi magico che neppure il Cinema di fiction sarebbe riuscito a rendere nello stesso semplice, travolgente modo: una finestra che si apre, un volto che si affaccia sulla strada.
Quella strada cantata tante volte, anni e anni prima, e ancora ogni giorno, in modo diverso, ma ugualmente forte, deciso, pieno di passione.
Una strada diversa da quella di una fama internazionale, di denaro e groupie, e chi più ne ha, più ne metta.
Una strada fatta di tre donne, ed un bimbo nato dall'altra parte del mondo, pronto in qualche modo a raccogliere la sua eredità.
Un'eredità di musica, senza dubbio, ma soprattutto di dignità, forza, coraggio, solidità.
Anche quando non si è altro che un fantasma per le strade di una città che non regala niente a nessuno, costruita sulle spalle dei lavoratori della vita.
Searching for Sugar Man è una lezione, ed un grande film.
Perchè insegna che la passione non è subordinata al successo, come molta della cultura del mondo in cui viviamo pare suggerire.
E insegna anche che la generosità e la forza non nascono dalla fama stessa, ma arrivano dritti dalle ferite che ci ricordano che è impossibile crescere senza farsi male.
E quando abbiamo qualcuno da proteggere, e a cui mostrare il cammino, è ancor più inevitabile.
Caro Rodriguez, non ho mai conosciuto la tua musica, ma è come se fossi stato sempre con me.
Ed anche ora che correrò a comprare i tuoi dischi, credimi, non penserò che sarà finita con qualche pezzo - peraltro magistrale - ascoltato camminando per le strade del mondo.
Non penserò che sarà mai finita, perchè non lo è.
Fino a quando non arriva il momento di scomparire.
E forse non basterà neppure quello.


MrFord


"Sugarman
won't ya hurry
coz I'm tired of these scenes
for a blue coin
won't ya bring back
all those colours to my dreams
silver majik ships, you carry
jumpers, coke, sweet MaryJane."
Rodriguez - "Sugar Man" -


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