sabato 24 agosto 2013

The call

Regia: Brad Anderson
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 94'




La trama (con parole mie): Jordan Turner, operatrice esperta del 911, una sera riceve la chiamata di un'adolescente rimasta sola in casa. La ragazza denuncia un'effrazione, e seguendo i consigli della stessa Jordan, riesce in un primo momento a sfuggire alla vista dell'intruso: quando, a causa di un eccesso di preoccupazione, le azioni di Jordan portano la giovane ad essere scoperta, rapita ed uccisa dall'individuo misterioso, la donna subisce un duro contraccolpo e per sei mesi decide di dedicarsi all'istruzione delle nuove leve senza più rispondere alle chiamate.
Quando Casey, praticamente coetanea della teenager uccisa, viene rapita in un centro commerciale e riesce a contattare il 911, Jordan si trova costretta a tornare in azione solo per scoprire che la persona che sta commettendo questo nuovo reato è la stessa colpevole del precedente omicidio.




A volte capita di concedersi una visione totalmente estiva e senza alcuna pretesa e di ritrovarsi piacevolmente sorpresi in positivo, colpiti da un lavoro sicuramente artigianale e certo non destinato a fare la Storia della settima arte eppure più che onesto nel portarsi a casa una pagnotta totalmente guadagnata sul campo: è il caso di The call, thriller veloce ed indolore dal ritmo decisamente serrato prodotto, tra gli altri, addirittura dei WWE Studios - costola della più grande federazione di wrestling del pianeta, praticamente una specie di seconda casa per il sottoscritto -, che di tanto in tanto finiscono anche per azzeccare una proposta interessante - considerata la qualità infima dei film normalmente distribuiti dagli stessi - relegando il consueto wrestler ad un ruolo marginale che gli impedisce, di fatto, di lasciare un segno troppo negativo sul risultato - in questo caso parliamo di David Otunga, midcarder senza pretese all'interno della federazione e charachter assolutamente ininfluente per lo sviluppo della vicenda narrata dalla pellicola -.
Il merito della discreta riuscita dell'impresa è da imputare senza dubbio anche alla scelta di un regista di qualità certamente superiore a quella dei mestieranti di serie b normalmente chiamati in queste situazioni dietro la macchina da presa: Brad Anderson, infatti, è un nome conosciuto anche da appassionati di Cinema di caratura più importante, e pur non essendo un riferimento assoluto negli ultimi anni ha saputo consegnare al grande schermo pellicole interessanti come L'uomo senza sonno o Session 9.
Se, all'uomo dietro la macchina da presa, si aggiunge uno script forse non esemplare ma comunque ben strutturato e soprattutto in grado di mantenere alta la tensione praticamente dall'inizio alla fine - mi ha ricordato, in questo senso, il tamarrissimo Speed, uno dei film simbolo dell'action anni novanta - ed una coppia di protagoniste in buona forma - Halle Berry, che pur non rientrando certo nel novero delle attrici di riferimento di Hollywood ed essendosi macchiata dello scempio che fu Catwoman si difende e soprattutto Abigail Breslin, la fu Olive Hoover di Little Miss Sunshine idolo fordiano imperituro qui alle prese con un ruolo che vorrebbe sdoganarla da ragazzina acqua e sapone per portarla verso una dimensione più in stile Jennifer Lawrence, per quanto, obiettivamente, tra le due corra parecchia differenza a partire dalla dimensione "artistica" data dall'effetto del vederle per volere di produzione in reggiseno o canotta - il risultato finisce per essere senza dubbio efficace, senza troppe pretese "alte" ed in grado di intrattenere e coinvolgere il pubblico assolutamente meglio di molti titoli sulla carta più blasonati usciti nel corso dell'estate.
L'idea del confronto a distanza e del triangolo tra il rapitore, la vittima e l'operatrice del 911, passato per gran parte del tempo attraverso un cellulare usa e getta ed il bagagliaio di una macchina è interessante, così come i tentativi messi in atto dalla cazzuta e battagliera teenager - su indicazioni della sua potenziale salvatrice all'altro capo del telefono - in modo da mettere in difficoltà il disturbatissimo omicida: unica vera pecca un finale decisamente troppo tagliato con l'accetta, in grado di minare perfino la buona idea dietro al concetto di Giustizia privata applicata dalle protagoniste una volta ribaltato il gioco di potere con il maniaco finendo, di fatto, per avere il coltello dalla parte del manico.
Probabilmente, con qualche minuto in più a disposizione ed una maggiore attenzione allo scioglimento della trama, The call, oltre che un piacevole intrattenimento, sarebbe potuto divenire perfino una delle sorprese più gradite di questi mesi estivi che, soprattutto in materia di thriller, hanno concesso davvero poco a noi poveri spettatori bisognosi di un pò di sana e vecchia tensione in grado di incollare alla poltrona.
Ma non lamentiamoci troppo: una sorpresa solo discreta è sempre meglio di una clamorosa delusione.


MrFord


"Call me (call me) on the line.
Call me, call me any anytime.
Call me (call me)I'll arrive.
When you're ready we can share the wine.
Call me."
Blondie - "Call me" -


6 commenti:

  1. altra discreta sorpresa: sono discretamente d'accordo.
    mi aspettavo una schifezza assoluta, invece è un thriller quasi, ho detto quasi, decente :)

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    1. Ed io sono più che discretamente sorpreso di scoprirti d'accordo! ;)

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  2. me lo procurerò! hai messo Call me di Blondie...uno dei sogni erotici della mia adolescenza!

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