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sabato 29 giugno 2019

Saturday's Child



Nuova puntata della rubrica in ritardo dedicata alle uscite in sala, nuova ospite - Stories, da tempo nota soprattutto tra le pagine di Pensieri Cannibali - e nuova intro, scritta proprio da Stories stessa.

MrFord

Intro di Stories: E’ un grandissimo onore essere ospitata sull’iconica rubrica di Cannibal Kid e James Ford, i due amici-nemici più esemplari della blogosfera cinematografica. Insomma, si tratta di due veri monumenti, un po’ come Sandra e Raimondo per il piccolo schermo italiano… okay, forse dopo questa mi odierete! Iniziamo bene!


"Questa cena è una tristezza. Neanche mezzo white russian!"

Toy Story 4

"Eccolo, quello è il Cucciolo Eroico." "E' più spaventoso di quanto pensassi!"
Stories: Il primo film – caposaldo della Pixar – è vecchio quanto me ed è davvero un mio personalissimo cult. I sequel, a dirla tutta, non mi hanno mai davvero appassionato. L’attesa per questo quarto capitolo, quindi, personalmente non è particolarmente fervente. Un’occasione, però, non si nega mai perché l’insolita ma collaudata accoppiata Buzz Lightyear-Woody può comunque regalare sorprese!
Cannibal Kid: Da anti-Disney e anti-Pixar (Inside Out a parte) quale sono, non ho mai capito tutto l'entusiasmo che ha sempre circondato la saga di Toy Story. A partire dal primo film con le fastidiose canzonette di Randy Newman. Sarà che da bambino io stesso immaginavo che i giocattoli prendessero vita quando non ero presente e quindi lo spunto di partenza mi è sempre sembrato molto scontato ed elementare. Lo scontro tra giocattoli nuovi e vecchi mi pare poi abbia stufato quasi quanto quello tra Cannibal Lightyear e lo Sceriffo Fordy, quindi forse sarebbe ora di trovare nuove idee. Sia alla Pixar che qui, ahahah.
Ford: ovviamente i giovani e supergiovani o finti giovani Stories e Cannibal non riescono a percepire il fascino di una saga come quella di Toy Story, che a mio parere è andata assolutamente in crescendo partendo da un primo episodio discreto per arrivare ad un terzo davvero memorabile. Inutile dire che, con i Fordini accanto - anche loro appassionati di Woody e Buzz -, sarà un piacere affrontare il quarto. Alla facciazza di Peppa e soci.

La mia vita con John F. Donovan

"Chiama subito la produzione e pretendi che riprenda Game of thrones: senza Martin la mia carriera è a rischio!"
Stories: Si parla di questo film dal maggio 2018. In Italia arriva solo ora e in buona parte del resto del mondo non ha ancora una distribuzione certa. Insomma, non hanno tutti i torti quello che lo chiamano film maledetto. Gli amichetti d’Oltreoceano l’hanno subito etichettato sbrigativamente come il primo vero flop dell’amatissimo Xavier Dolan. Sarà così? Anche se è difficile perdonare al canadese l’assenza dal cast dell’ultimo minuto della cara Chastain, l’appuntamento al cinema è già fissato. La speranza è di riuscire a sopportare Kit Harington per più della canonica oretta gameofthroniana… Sono convinta che questo film che sa dividere è davvero perfetto per i due rivali più agguerriti della blogosfera. Da che parte si schiereranno Cannibal Kid e Ford?
Cannibal Kid: Finora a sorpresa io e Ford ci siamo schierati entrambi a favore di Xavier Dolan, da altre parti della blogosfera invece inspiegabilmente odiato. C'è però da dire che abbiamo scelte differenti sui suoi film che preferiamo e credo che pure su questo potremmo pensarla in maniera differente. Sulla carta questo sarebbe dovuto essere il capolavorissimo del regista canadese e invece, prima ha eliminato del tutto le scene con Jessica Chastain anziché quelle con Kit Harington, a un certo punto sembrava che il film non avrebbe mai raggiunto le sale e poi sono arrivate le reazioni poco entusiastiche a festival e presentazioni varie. Considerando che neppure Natalie Portman negli ultimi tempi è infallibile (incredibile ma vero), ho paura che mi ritroverò a bastonare il giovane Dolan manco fosse il vecchio Ford.
Ford: Dolan è un talento da preservare e proteggere, considerato che, benchè la cosa mi porti inaspettatamente dalle parti di Cannibal, si tratta di uno dei talenti più importanti che il Cinema abbia sfornato negli ultimi vent'anni. Questo film sarà una scommessa, e se anche portasse in dote una tempesta di bottigliate, occorrerebbe considerare il tutto come una lezione e sperare che il buon Xavier faccia tesoro di tutti e continui a regalarci le emozioni che è in grado senza dubbio di regalare.

Ma

"Questa sì che è una festa, altro che quel mortorio di Dolan!"
Stories: Ricetta del classico thrillerino-horror estivo: prendi una spumeggiante Octavia Spencer, scegli una produzione di culto come quella della Blumhouse e prepara un’atmosfera accogliente ma non troppo. Tutto è pronto per quello che potrebbe essere tranquillamente il guilty pleasure di stagione. Già visto grazie alla distribuzione francese, questo Ma ha la stessa probabilità di essere una piccola sorpresina come una classica ciofeca.
Cannibal Kid: Un thrillerino-horror estivo rinfrescante ci sta sempre bene. Che poi lo si apprezzi è tutta un'altra storia, cara Stories, però lo si vede senza se e senza... ma. Ma si può vedere un film che si chiama Ma senza ma?
Ford: senza se e senza ma, direi che per l'estate una visione di questo genere potrebbe starci tutta. Che si riveli poi una piacevole sorpresa, è tutto da vedere. Un pò come quando si approccia una pellicola consigliata da Cannibal: ci sono ottime probabilità che faccia davvero paura. E non in senso buono.

Wolf Call - Minaccia in alto mare

"Ford sta guidando il sommergibile: meglio mettersi al riparo."
Stories: Dai cugini Oltralpe ha fatto pure furore. Questo dramma action dall’aria vista e rivista, però, non incuriosisce per niente. Preferisco lanciarmi – se così si può dire - sulla minaccia nucleare di Chernobyl proposta da HBO piuttosto che su un inaffidabile sottomarino francese.
Cannibal Kid: Già non m'ha esaltato manco Chernobyl, la serie più sopravvalutata dell'anno e forse di tutti i tempi, tanto adorata dai critici più radical come Ford. Figuriamoci se mi può interessare questa minacciosa tragedia annunciata. In tutti i sensi.
Ford: Chernobyl si è già quasi guadagnata il titolo di serie dell'anno, dunque direi che una visione di questo esperimento francese ci può anche stare. Alla peggio, sarà un naufragio: ma del resto, sono abituato alla situazione da quando seguo Pensieri Cannibali.

lunedì 19 febbraio 2018

La forma dell'acqua - The shape of water (Guillermo Del Toro, USA, 2017, 123')




Forse sto invecchiando, diventando insensibile rispetto a certe cose e troppo sensibile rispetto ad altre.
Forse comincio ad aver visto troppi film, o a trovarmi di fronte storie, sequenze, situazioni che mi pare di aver già vissuto, come un sogno ricorrente.
Forse chissà quali e quante cose, ma il tanto decantato, celebrato, premiato The shape of water di Guillermo Del Toro potrà vantarsi di essere la prima, grande, vera delusione di questo duemiladiciotto.
Leone d'oro a Venezia, applaudito, recensito entusiasticamente, definito commovente e magico, il lavoro del regista messicano mi è parso la versione sbiadita e buonista dell'ottimo Il labirinto del fauno, un cocktail già visto, sentito ed assaggiato di cose ormai fuori tempo massimo, che ripesca dalla mitologia del mostro a partire da Frankenstein per giungere ad Edward mani di forbice infarcendo il tutto con una cornice da Amelie - con una colonna sonora spudoratamente simile - ed una storia d'amore che mi avrebbe fatto massacrare uno qualsiasi degli ultimi Spielberg tenuto in piedi soltanto da una fotografia di ottimo livello e da un paio di interpretazioni che sono conferme di altrettanti ottimi attori - Richard Jenkins ed un gigantesco Michael Shannon -: un massacro su tutta la linea che sinceramente non mi aspettavo di compiere, nonostante le ultime prove non brillantissime del buon Guillermo, e che considerate le premesse speravo non avvenisse, considerate le critiche eccezionalmente positive piovute su una favoletta dark che mi ha fatto sentire come uno di quei vecchi cinefili che vede riproposte sullo schermo le versioni scialbe ed edulcorate dei cult con i quali è cresciuto e finisce per incazzarsi anche più del dovuto, in barba ai sentimenti, alla poesia e qualsiasi altra stronzata di questo genere vogliate ammettere.
Mi piacerebbe, in questo senso, avere la possibilità di confrontarmi con tutti i cinefili corsi ad acclamare questo film e pronti, in altre occasioni, ad usare come bersaglio i titoli Disney o cose come Avatar quando The shape of water ne è la versione vuota ed ancora più ipocrita: in questo caso abbiamo, infatti, un Autore che vorrebbe risultare alternativo pronto a dirigere e portare sullo schermo una storia che non aveva assolutamente esigenza di raccontare mascherata da grande melodramma romantico giocato su talmente tanti luoghi comuni da risultare a sua volta il prototipo del luogo comune stesso, che oltretutto strizza l'occhio in maniera vergognosa a produzioni di valore nettamente superiore - ho rischiato una vomitata a spruzzo in stile esorcista sulla sequenza da musical neanche si volesse ricordare La La Land -.
Prevedibilità, piattume, empatia pari a zero per un'opera confezionata ad uso e consumo della superficialità, che non ha nulla a che spartire con il Cinema d'autore in quanto ad originalità e con quello popolare per l'incapacità di trasmettere emozioni vere e non costruite: da sostenitore acceso degli outsiders, non mi era mai capitato di fare un tifo così spudorato per il personaggio del "cattivo" come in questo caso, l'unico a risultare vero e credibile dall'inizio alla fine, quasi simbolo di una rivolta - almeno per quanto mi riguarda - all'indirizzo di tutti gli autori o presunti tali pronti a sedersi sulla loro comoda formula o sulla possibilità che chi si troverà di fronte il loro lavoro non abbia mai visto altro, o avuto la curiosità di scoprirlo.
E dai richiami fin troppo evidenti all'Abe dei due Hellboy - ma è davvero possibile plagiare così clamorosamente se stessi? - all'irritante personaggio della pur brava Sally Hawkins, tutto gira nel verso più sbagliato possibile, e trasforma quella che doveva essere una favola emozionante e magica in qualcosa di vuoto e sterile a prescindere dal valore tecnico: un buonismo alternativo che pare perfino peggiore di quello di grana grossa che tanto criticano e criticheranno i fan sfegatati di Del Toro e di bolle di sapone come questa.
Bolle che, più che richiamare la forma dell'acqua, da queste parti ricordano altre geometrie decisamente meno piacevoli, magiche e profumate.




MrFord




 

lunedì 10 luglio 2017

Gifted - Il dono del talento (Marc Webb, USA, 2017, 101')




E' davvero curioso, come e quanto cambino le prospettive rispetto alla vita con il passare del tempo e l'accumularsi delle esperienze, tanto da ricordarmi la bellissima sequenza de L'attimo fuggente con Keating pronto a far salire i suoi studenti sulla cattedra per dare un'occhiata differente al mondo che loro conoscevano da un'altra angolazione: una ventina d'anni fa, nel pieno dell'adolescenza, sognavo di avere il talento di uno scrittore geniale, di vivere un'esistenza tormentata e di morire solo come un vero poeta romantico nell'estate del duemiladodici, a pochi mesi dal mio trentatreesimo compleanno.
Scritto, pensato o detto ora, fa quasi sorridere.
Questo perchè, a conti fatti, per quanto adori scrivere e adorerei ancor di più vivere soltanto di quello - principalmente sarebbe l'equivalente di non lavorare -, ci sono tante, tantissime cose che la vita può riservarmi e che continuerò a preferire rispetto al buttare emozioni, storie, sentimenti, fatica sulla carta: più che immaginarmi un genio che muore troppo giovane, ormai penso di essere più nella posizione di Guccini quando canta "godo molto di più nell'ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare".
Vivere, insomma.
Vivere e cercare di farlo nel modo più intenso possibile, inseguendo la felicità prima della realizzazione, l'emozione prima del sogno.
Non che, per questo, abbia cominciato a osteggiare il talento o chi ne ha, ma di sicuro tra un'esistenza di solitudine consegnata all'immortalità ed una vita normale goduta dal primo all'ultimo secondo, scelgo sempre e comunque la seconda, specie se lunga e piacevole.
C'è chi, probabilmente, penserà che il mio punto di vista sia quello di una resa, o più semplicemente la presa di coscienza di qualcuno che si è messo in pace con il fatto di non essere diventato quello che sognava da bambino.
E chissà, forse è così.
In fondo, non sono neppure riuscito a finire ad insegnare, o ad insegnare ginnastica, per dirla come Woody Allen. Eppure, dovessi pensare a me, oltre che ai miei figli, credo che la felicità e la sensazione di essere amati vengano decisamente prima dell'essere considerati una sorta di extraterrestri pronti a sconvolgere il mondo con qualcosa di rivoluzionario: certo, essere un Einstein, un Mozart o un Maradona porta e porterà sempre e comunque dei vantaggi, un pò come l'essere ricchi rispetto al non esserlo, ma considerato come finirà per tutti, credo che, a volte, questo tipo di grandezza risulti per essere sopravvalutato quanto la rockstar che sognavi di incontrare ed una volta faccia a faccia con lei capisci di essere di fronte soltanto ad un grande stronzo.
Con il Cinema, a conti fatti, è stato lo stesso.
Ho sempre amato ed amo tantissimo la settima arte, eppure non rimpiango per nulla il periodo della vita in cui passavo da un film d'autore all'altro, evitando come la peste qualsiasi proposta che non avesse un pedigree o un nome importante sulla locandina: come più volte mi è capitato di ripetere nel corso di questi ultimi mesi, sto cercando sempre più di avvicinarmi ad un Cinema di cuore, emozionante ed emozionato, che possa raccontare storie con qualche sbavatura ma assolutamente umane nella loro fallibilità.
Storie come quella di Gifted, firmato dal Marc Webb dell'ottimo 500 giorni insieme e del meno interessante Amazing Spider Man.
La vicenda della piccola Mary e di suo zio Frank, forse troppo semplice e "facile" per certi versi, senza dubbio indirizzata più al grande pubblico così come a chiunque abbia a che vedere da vicino con la crescita ed il futuro di un bambino, è una delle vicende più "straight" che abbiano accompagnato questo vecchio cowboy nel corso della stagione cinematografica in corso, divertente e commovente come solo la vita di tutti i giorni sa e può essere.
Un elogio del talento come lo furono a loro modo pellicole come L'attimo fuggente - già citata - e Will Hunting, ma allo stesso tempo di tutto quello che il talento non può raggiungere: perchè si può essere grandi nello sport, nell'arte, nella letteratura o nella scienza, ma non avere assolutamente idea di come vivere la vita.
Ed è allora che diventa fondamentale avere qualcuno che ce lo possa ricordare.
Perchè senza la vita, anche il talento perde significato.
Non esiste un Einstein senza uno studente che non capisce un beneamato cazzo di matematica.
Non esiste un Mozart, senza un orecchio che possa ascoltare la sua musica.
Non esiste un Maradona, senza un operaio che porta suo figlio allo stadio a vederlo.
Ci si sostiene a vicenda, nel bene e nel male. Come in una famiglia.
Gifted mi ha fatto sentire quel calore.
E al punto in cui sono arrivato, il pedigree ed il nome sulla locandina contano molto relativamente.
Mi sono sentito, guardando Frank e la piccola Mary, come a casa.
Ho riso, e mi sono commosso.
E vaffanculo, mi sono sentito bene come seduto sul portico con una bella birra ghiacciata in mano, il rumore dei bambini a giocare dentro ed il sole a scaldarmi.
Non c'è talento che possa eguagliare questo.




MrFord




 

martedì 14 marzo 2017

Hidden Figures - Il diritto di contare (Theodore Melfi, USA, 2016, 127')




Sono da sempre ed orgogliosamente, a prescindere dalle preferenze molto tamarre o molto d'autore che posso manifestare spesso e volentieri, un grande sostenitore dei film in grado di parlare al pubblico più vasto possibile senza per questo svilirsi in termini di qualità e resa: dai Forrest Gump ai The Help, passando per Il miglio verde o Salvate il soldato Ryan, sono molte le pellicole divenute cult anche per i non appassionati ad essere comunque in grado di coinvolgere e convincere il pubblico più smaliziato.
Hidden Figures - Il diritto di contare, tra i candidati al miglior film degli Oscar duemiladiciassette, rientra perfettamente nella categoria: la vicenda delle prime tre donne afroamericane destinate a cambiare il volto della NASA negli anni della lotta alla segregazione negli States e l'importanza "nascosta" delle loro figure è perfettamente interpretata, orchestrata, narrata e portata sullo schermo, e pur non rappresentando certo una nuova frontiera per la settima arte regala emozioni genuine ed una visione coinvolgente, interpreti in ottima sintonia ed un giusto equilibrio tra melò e commedia che riesce nell'impresa di non rendere pesante l'approccio ad un tema che, almeno per il sottoscritto, risulta sconcertante ed assurdo se riportato - com'era ai tempi, e com'è in modo più sotterraneo e subdolo oggi - alla realtà: e passando dai calcoli astronomici alla scandalosa divisione dei bagni, dei sedili degli autobus o dei settori dei negozi o dei servizi pubblici fino alle manifestazioni d'amore di uomini che, considerata l'epoca, si sacrificavano rispetto alle loro compagne "in carriera", si attraversa la pellicola con la giusta dose di desiderio di cambiamenti e riscatti sociali così come di ascoltare storie semplici, oneste, dirette e, perchè no, figlie di emozioni popolari come questa.
Perfino qui al Saloon, con questo Hidden Figures a chiuedere la settimana precedente alla Notte degli Oscar, con un ritmo di recupero dei film principali mancanti decisamente serrato, nell'ultima sera prima della cerimonia e di tutti i post da scrivere a riguardo, con la stanchezza che i Fordini garantiscono grazie alla loro energia ed alle sveglie notturne, nessuno pensava che il sottoscritto e soprattutto Julez avrebbero tenuto botta andando ben oltre l'orario di guardia senza colpo ferire, come catturati dall'epopea di donne coraggiose ed eroiche in più di un senso, pur non avendo compiuto imprese sulla carta ed agli onori della cronaca così incredibili.
Come se non bastasse, ad un cast azzeccato e ad una vicenda in grado di catturare testa e cuore, si aggiungono una buona dose di ricostruzione d'epoca - mai invasiva -, riferimenti stimolanti anche per chi ha studiato alcune scienze superficialmente ed un ritorno alle atmosfere dell'epoca della corsa alla conquista dello spazio ed alla Guerra Fredda, con tanto di fiato sospeso sul finale nella speranza di rendere pan per focaccia da parte del vecchio Zio Sam ai rivali sovietici che avevano "rotto il ghiaccio" con Gagarin.
Ad ogni modo, a prescindere da quello che è il contesto razziale o politico espresso dalla pellicola, uno dei messaggi più importanti risiede senza dubbio nella centralità che la figura della Donna ha non solo in famiglia, ma anche nella società: il coraggio, la determinazione e la perseveranza che l'altra metà del cielo mostra ogni giorno ed ha mostrato al mondo molte volte nel corso dei decenni e dei secoli sono e dovrebbero essere un monito, perchè nonostante i loro peculiari difetti, le donne sono decisamente più fondamentali di noi ominidi all'economia del mondo.
Quantomeno se si pensa di voler vivere in un mondo migliore.




MrFord




 

mercoledì 2 aprile 2014

Snowpiercer

Regia: Joon Ho Bong
Origine: Corea del Sud, USA, Francia, Rep. Ceca
Anno: 2013
Durata: 126'




La trama (con parole mie): in un prossimo futuro i governi del mondo, messi in ginocchio dal riscaldamento globale, appoggiano un piano di raffreddamento della Terra che provoca una catastrofe climatica degenerando in una sorta di nuova era glaciale, uccidendo la maggior parte degli abitanti del pianeta. I sopravvissuti, riparatisi all'interno di un treno speciale in viaggio continuo attraverso il mondo intero, sono divisi in classi sociali ben definite legate alla posizione dei vagoni: dalla locomotiva abitata dal dominatore assoluto Wilford alla coda con i reietti della società, costretti a vivere al servizio dei potenti e cibarsi di sole gelatine proteiche ricavate dagli insetti.
Curtis, a capo di un gruppo di ribelli dell'ultima vettura, a seguito dell'ennesimo sopruso decide così di dare il via ad una rivolta che dovrebbe riportare l'equilibrio all'interno del convoglio.







E così, anche Joon Ho Bong, probabilmente il più grande regista sudcoreano vivente, in grado di superare ben più noti colleghi come Park Chan Wook e Kim Ki Duk ed autore di perle assolute come The host, Memories of murder e Mother, è caduto.
Qui al Saloon, fin dalla sua apertura, non si sono risparmiate bottigliate neppure per gli idoli, quando è stato il tempo di sfoderare i colpi più duri che il bancone richiedeva, ma mai e poi mai mi sarei aspettato che a tradire gli ideali fordiani sarebbe stato uno dei cineasti più interessanti e di talento che mi sia capitato di seguire nel corso delle ultime stagioni, il cui ultimo lavoro, questo Snowpiercer, era tra i più attesi dal sottoscritto per la prima parte dell'anno: dunque, dopo i già citati Kim Ki Duk - preso dai suoi deliri di onnipotenza - e Park - snaturato definitivamente e perduta tutta la forza degli inizi con l'ultimo, radical e freddo Stoker - anche Bong segna il passo, schiacciato da una produzione colossale che porta l'uomo dietro la macchina da presa dalle parti del già visto e sentito, sfornando un blockbusterone che sarà pure d'autore a livello tecnico ma che, oltre a non inventare nulla, risulta noioso, decisamente troppo lungo ed appesantito da parentesi al limite del grottesco - la sequenza nella scuola del treno - ed un finale che potrei addirittura definire ridicolo.
Pescando, dunque, da un immaginario distopico già noto sia in Letteratura che al Cinema, da 1984 a V per vendetta, si finisce purtroppo per sfociare in una sorta di versione molto action e videoludica - la struttura a vagoni ricorda quella a quadri dei games anni ottanta - del bolsissimo Cosmopolis targato Cronenberg, mostrando quella che dovrebbe essere una critica sociale feroce come fosse la più banale delle epopee tipiche degli eroi Expendables del sottoscritto ai loro tempi d'oro.
Gli spunti non mancano, eppure tutta la meraviglia e l'aspettativa costruita da una campagna pubblicitaria che addirittura accostava questo Snowpiercer a cose come Blade runner - e bisogna proprio averne, di fantasia, oltre che di coraggio! - finisce per spegnersi in un susseguirsi di scontri che paiono decisamente slegati l'uno dall'altro e sfruttati soltanto per portare in scena l'ottima fotografia e l'occhio esperto dell'autore culminati con uno spiegone da trituramento di cosiddetti del "bad guy" Ed Harris che dovrebbe essere il fulcro della riflessione sulla decadenza dei governi e dei cosiddetti rivoluzionari e ben rappresentato dalla statica inespressività di Chris Evans, che mostra le stesse doti attoriali di una parete di cemento armato.
Non combina tanto di più il resto del cast, da una troppo gigioneggiante Octavia Spencer all'anonimo Jamie Bell, senza dimenticare John Hurt ridotto ad una macchietta insieme alla componente coreana del gruppo di ribelli protagonisti e all'insopportabile Tilda Swinton, che vorrebbe passare per cattiva cult ma finisce per suonare più come una caricatura involontaria: un esperimento fallito su tutti i fronti, che senza dubbio, per il momento, guadagna la posizione di titolo più deludente di questa prima parte di duemilaquattordici, tanto da farmi rimpiangere quello che è il film "a livelli" più importante del passato recente - quel gioiellino di The Raid: redemption, pronto al solo pensiero ad alimentare l'attesa per l'imminente sequel - e classici sulle rotaie come A trenta secondi dalla fine, decisamente più interessanti sia per costruzione che per tensione mantenuta ad un livello decisamente più alto di quello proposto da Bong in questo caso.
Una ferita destinata a lasciare il segno nella mia memoria di spettatore per molto tempo, ennesima conferma del male che la majors e le grandi produzioni riescono a fare all'opera di registi abituati ad avere completa libertà espressiva, letteralmente masticati e risputati dalla grande macchina del blockbuster multimilionario: mi dispiace davvero per Bong, che spero torni presto nella più accogliente Corea per realizzare qualcosa dallo spirito più vicino ai suoi precedenti lavori, evitando così di deragliare in un mondo dal bagliore accecante ma dominato dalla prospettiva non proprio da sogno di finire sbranato dai predatori di turno.
E non me ne vogliano gli orsi polari.



MrFord



"Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore 
mentre fa correr via la macchina a vapore 
e che ci giunga un giorno ancora la notizia 
di una locomotiva, come una cosa viva, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia!"

Francesco Guccini - "La locomotiva" -





mercoledì 19 marzo 2014

Prossima fermata: Fruitvale Station

Regia: Ryan Coogler
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
85'





La trama (con parole mie): Oscar Grant III, un ventiduenne dal passato problematico di Oakland, poco dopo le due del mattino del primo gennaio duemilanove fu freddato da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia appartenente alla pattuglia intenta ad effettuare un fermo dello stesso Oscar e di alcuni suoi amici di ritorno dai festeggiamenti per l'ultimo dell'anno passato a San Francisco.
I passeggeri del treno sul quale i ragazzi viaggiavano ed i testimoni, filmando con i cellulari l'accaduto, portarono alle dimissioni dell'intera squadra di agenti, del capo della polizia e dell'accusa di omicidio - prima di primo, dunque colposo - del responsabile.
Questa è la storia delle ultime ventiquattro ore di vita di Oscar.








Il Destino è davvero una gran brutta bestia.
Da lostiano convinto dovrei esserci abituato, eppure continuo a pensare alla vita come ad una sorta di corsa contro il Tempo e le difficoltà che fin dal principio ci poniamo l'obiettivo di affrontare sperando di scappare proprio da Lui, maledetto bastardo.
Il fatto è che presto o tardi, ed in barba a qualsiasi regola, quello arriverà comunque.
E si prenderà quello che vorrà, senza fare complimenti.
Onestamente, non conoscevo la storia di Oscar Grant III, che probabilmente avrà avuto i suoi ultimi istanti di lucidità sulla banchina di una stazione della metropolitana della Bay Area - Fruitvale Station, per l'appunto - ed altrettanto probabilmente avrà pensato a sua figlia.
La prima cosa che mi è tornata alla mente già dal principio di questo film - che documenta fatti purtroppo accaduti realmente - è stata la morte di Carlo Giuliani: certo, il contesto è completamente diverso, la dinamica molto più chiara, le versioni quasi completamente concordi.
Eppure, l'assurdità e l'assoluta freddezza del suddetto Destino mi sono parse decisamente simili: due giovani dal passato difficile con un'intera vita davanti portati via da un colpo di pistola esploso da un agente, quasi della stessa età al momento della morte, entrambi divenuti simboli di lotta di un'intera comunità.
Fruitvale Station, pellicola d'esordio del giovane regista e sceneggiatore Ryan Coogler, riporta - sfruttando le due ottime interpretazioni di Michael B. Jordan, già noto per Friday night lights, ed Octavia Spencer, letteralmente fenomenale - le ultime ventiquattro ore di vita di Oscar, impegnato a battersi con i suoi demoni rispetto all'idea di tornare a spacciare erba - occupazione che aveva causato la sua detenzione non troppo tempo prima -, di trovarsi un lavoro legale, rimettere a posto le cose con la famiglia e vedere gli amici per festeggiare l'ultimo dell'anno.
Mettendo per un momento da parte i riconoscimenti - più che giusti - ottenuti al Sundance, occorre sfatare ogni dubbio ed affermare che Fruitvale Station è un film che non lesina colpi bassi: a partire dall'agghiacciante apertura - che sfrutta un filmato reale del fatidico momento che costò la vita ad Oscar - fino alla conclusione - anche in questo caso legata a riprese di non fiction -, troviamo tutti gli ingredienti capaci di sconvolgere, commuovere, colpire ed indignare lo spettatore che, seppur non sfruttati con la tipica ruffianeria dei prodotti mainstream, rendono l'idea di quello che Coogler desiderava portare a compimento con il suo lavoro: commuovere il mondo attraverso la storia di un ragazzo morto davvero per nulla, a causa di un abuso di potere sconvolgente e terribile.
E sia che lo si veda attraverso gli occhi della madre di Oscar - credo che nessun genitore, in nessuna occasione e tantomeno per cause come questa vorrebbe trovarsi dall'altra parte di un vetro per il riconoscimento del cadavere del proprio figlio, impossibilitato perfino a toccarlo a causa delle indagini in corso -, sia attraverso quelli della figlia - splendida la chiusura muta sotto la doccia, taglio che non aggiunge parole altrimenti superflue ad una perdita enorme -, il risultato è un misto di lacrime e denti stretti, che vorrebbe una punizione ben superiore agli undici mesi che sono stati stabiliti per l'agente responsabile della morte del ragazzo - che ottenne il ridimensionamento dell'accusa da omicidio di primo grado a colposo nel momento in cui dichiarò di aver confuso il taser con la pistola -.
Destino o no, è sempre terribile pensare che ogni volta in cui salutiamo qualcuno dei nostri cari potrebbe essere l'ultima in cui li vediamo vivi, o viceversa.
E se il concetto non è concepibile in generale, figurarsi per tutti coloro che avrebbero ancora una vita da vivere.
Un applauso, dunque, a Ryan Coogler, che non ha dimenticato, e ha fatto conoscere al mondo una storia che si spera possa non ripetersi.
Uno ad Oscar Grant III.
Ed uno a sua figlia Tatiana.
Oggi è la Festa del papà, e sono sicuro che il suo vecchio apprezzerebbe.



MrFord



"So I'm taking the Mr.
from out in front of your name
cause it's a Mr. like you
that puts the rest of us to shame
it's a Mr. like you
that puts the rest of us to shame."
Ben Harper - "Excuse me Mr." - 



lunedì 27 febbraio 2012

Academy Awards: i risultati

La trama (con parole mie): e così anche per quest'anno è andata. Le statuette sono state sollevate, i verdetti pronunciati, i grossi nomi dello stardom hollywoodiano hanno potuto calpestare felicemente il red carpet. Tutto come da copione.
Anche i risultati, a ben vedere.
Rispetto alla scorsa edizione non posso lamentarmi, considerato che molti dei miei preferiti tra i nominati hanno portato a casa l'ambitissimo Oscar, eppure un senso di incompiutezza resta.
Sarà colpa dell'assenza di pellicole come Drive o Take shelter!?
Può essere.
Non mi resta comunque che fare buon viso a cattivo gioco e commentare - più o meno - i risultati.


MIGLIOR FILM

The Artist

Non posso che essere contento della vittoria di The artist, un'opera in grado di unire l'amore per il Cinema, un ottima tecnica e tutta l'emozione possibile.
Per una volta, applausi all'Academy.

MIGLIOR REGIA
 
 
Michel Hazanavicius – The Artist
 

Anche qui, nulla da dire. In ogni caso, sarei stato comunque soddisfatto, tranne per il piuttosto bollito Scorsese.

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA


Jean Dujardin – The Artist

Una delle statuette che ho apprezzato di più.
Bravissimo Dujardin, il mio personale favorito della cinquina.

 
 
MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA

Meryl Streep – Iron Lady

Forse la statuetta che ha più solleticato le mie turbinanti bottiglie.
Per me, in questo caso, l'Oscar aveva un nome e un cognome.
Rooney Mara.

"Mi alleno per benino, così posso prendere a cazzotti in faccia la mia nemesi. No, non il Cannibale. Meryl Streep."
 
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
 
Christopher Plummer – Beginners

Statuetta telefonatissima. Mi spiace davvero per Jonah Hill.
  
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
 
Octavia Spencer – The Help

Avrei davvero visto bene la Bejo, ma in fondo Octavia Spencer, in onore dell'ottimo cast di The help, ci sta tutta.

 
MIGLIOR FILM STRANIERO

Altro Oscar più che annunciato, ma non posso che esserne contento. Uno dei film migliori degli ultimi mesi, anche a scapito del mio favorito Rundskop

MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE
 

Grande soddisfazione. Il discreto Rango ci evita cose pessime come Il gatto con gli stivali. Bene così.
 
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE
 
Woody Allen - Midnight In Paris

Avrei voluto vedere premiato Chandor per il suo ottimo Margin Call, ma anche in questo caso, il vecchio e ritrovato Woody è solo che ben accetto.
 
SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
 
Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash - Paradiso amaro

Paradiso amaro niente male, ma sinceramente avrei optato per Le idi di marzo o Moneyball.
Voglio però vedere il bicchiere mezzo pieno, e quindi mi accontento che non abbia vinto Hugo Capretto.
 
MIGLIOR COLONNA SONORA
 
Ludovic Bource - The Artist

MIGLIOR CANZONE

Bret McKenzie ("Man or Muppet") - I Muppet

MIGLIOR FOTOGRAFIA 
 
Robert Richardson - Hugo Cabret
 
MIGLIOR MONTAGGIO
 
Angus Wall, Kirk Baxter - Millennium - Uomini che odiano le donne

MIGLIOR SCENOGRAFIA

 
Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo - Hugo Cabret

MIGLIORI COSTUMI

 
Mark Bridges - The Artist

MIGLIOR TRUCCO

 
Mark Coulier - The Iron Lady

MIGLIOR SONORO

 
Philip Stockton e Eugene Gearty - Hugo Cabret


MIGLIOR MISSAGGIO DEL SUONO

 
Tom Fleishman e John Midgley Hugo Cabret


MIGLIORI EFFETTI SPECIALI

 
Rob Legato, Joss Williams, Ben Grossmann e Alex Henning - Hugo Cabret

MIGLIOR DOCUMENTARIO

 
Undefeated di TJ Martin, Dan Lindsay e Richard Middlemas


MIGLIOR DOCUMENTARIO CORTOMETRAGGIO

 
Saving Face

MIGLIOR CORTO ANIMATO

 
The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore (2011): William Joyce, Brandon Oldenburg

MIGLIOR CORTO

 
The Shore: Terry George
Tuba Atlantic (2010): Hallvar Witzø


I premi sono stati, in qualche modo, lo specchio dell'anima: a The artist il cuore, a Hugo Cabret la testa. Una giusta metafora di quello che sono stati i due film più discussi, amati e criticati dell'ultimo periodo, uno sguardo al passato del Cinema ma anche una via verso il suo futuro.
Drive, come prevedibile, non ha portato a casa neanche l'unica insulsa statuetta per la quale era stato nominato, così come Malick, che ancora una volta torna a casa a mani vuote dal Kodak: mi prefiggo, però, di escogitare comunque il modo per costringere il Cannibale a vedere un Van Damme qualsiasi.

MrFord

"Ridi ridi, che tanto Rooney Mara ti sta aspettando dietro il tendone!"
 

domenica 26 febbraio 2012

Academy Awards: Fordpredictions

La trama (con parole mie): come tutti voi saprete, questa notte al Kodak Theatre si terrà la cerimonia per l'assegnazione degli ottantaquattresimi Academy Awards.
Come ogni anno le delusioni sono state parecchie, soprattutto per tutti noi che abbiamo amato alla follia Drive come fu all'ultima edizione per Inception, ma come ogni anno eccoci qui, pronti a parlare - e sparlare - di uno degli eventi più chiacchierati del Cinema di ogni stagione.
Ho scelto di dare un'occhiata alle dieci categorie principali, pronosticare quello che credo sarà il vincitore ufficiale, dare la mia scelta personale ed inserire un piccolo commento.


 MIGLIOR FILM





- The artist di Michel Hazanavicius (scelta dell'Academy)
- Paradiso amaro di Alexander Payne
- Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Dauldry
- The help di Tate Taylor
- Hugo Cabret di Martin Scorsese
- Midnight in Paris di Woody Allen
- The tree of life di Terrence Malick
- War horse di Steven Spielberg
- Moneyball di Bennett Miller (scelta di Ford)

Personalmente mi farebbe solo che piacere vedere premiato The artist, che a dire il vero è anche la mia prima scelta, ma giusto per andare un pò contro l'Academy, tiferò gli outsiders allenati da Brad Pitt, da buon Goonie che non sono altro.
E in un angolino del mio cuore, quasi quasi tifo anche per Malick, dato che la sua vittoria costerebbe al Cannibale la visione di un Van Damme qualsiasi.


MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA


- George Clooney per Paradiso amaro (scelta dell'Academy)
- Demian Bichir per A better life
- Gary Oldman per La talpa
- Brad Pitt per Moneyball
- Jean Dujardin per The artist (scelta di Ford)

L'Academy si sdebiterà con Clooney per non aver inserito tra i nominati il suo ottimo Le idi di marzo premiandolo come migliore attore, anche se sarà un peccato dato che Dujardin ha fatto un lavoro straordinario per reinventarsi interprete del muto.



MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

 
- Meryl Streep per The iron lady (scelta dell'Academy)
- Glenn Close per Albert Nobbs
- Viola Davis per The help
- Michelle Williams per My week with Marilyn
- Rooney Mara per Millennium - Uomini che odiano le donne (scelta di Ford)


Oscar telefonatissimo alla Streep, che sinceramente ha stracciato un pò i maroni.
Io premierei a occhi chiusi la sorprendente Rooney Mara, che ha dato un volto nuovo, fragile eppure violentissimo, alla memorabile Lisbeth Salander.

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA


- Christopher Plummer per Beginners (scelta dell'Academy)
- Kenneth Branagh per My week with Marilyn
- Nick Nolte per Warrior
- Max Von Sydow per Molto forte, incredibilmente vicino
- Jonah Hill per Moneyball (scelta di Ford)

Massimo rispetto per un'icona come Plummer, ma io farei largo ai giovani e premierei l'outsider Jonah Hill, già idolo di casa Ford dai tempi di SuXbad.


MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA


- Octavia Spencer per The help (scelta dell'Academy)
- Jessica Chastain per The help
- Melissa McCarthy per Le amiche della sposa
- Janet McTeer per Albert Nobbs
- Berenice Bejo per The artist (scelta di Ford)

Stupefacente Octavia Spencer, simbolo del miglior cast di questa edizione degli Academy Awards, ma anche in questo caso vale il discorso fatto per Dujardin.
Il lavoro sul muto della Bejo è stato da manuale.


MIGLIOR REGIA


- Martin Scorsese per Hugo Cabret (scelta dell'Academy)
- Woody Allen per Midnight in Paris
- Terrence Malick per The tree of life
- Alexander Payne per Paradiso amaro
- Michel Hazanavicius per The artist (scelta di Ford)

Inutile dire che, tra i due film che omaggiano la magia del Cinema che fu, la mia preferenza va tutta al magnifico lavoro di Hazanavicius, che surclassa quello del vecchio Marty e si impone come mattatore della nottata al Kodak Theatre.


MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE


- Michel Hazanavicius per The artist (scelta dell'Academy)
- Kirsten Wiig e Annie Mumolo per Le amiche della sposa
- Woody Allen per Midnight in Paris
- Asghar Fahradi per Una separazione
- J. C. Chandor per Margin Call (scelta di Ford)

Una delle selezioni migliori dell'Academy di quest'anno, per un premio che, nonostante il magnifico Una separazione, va allo straordinario esordio di J. C. Chandor, ancora colpevolmente ignorato dalla distribuzione italiana.


MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE


- John Logan per Hugo Cabret (scelta dell'Academy)
- Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash per Paradiso amaro
- Steven Zaillian, Aaron Sorkin e Stan Chervin per Moneyball
- Bridget O'Connor e Peter Straughan per La talpa
- George Clooney, Grant Heslov e Beau Willimon per Le idi di marzo (scelta di Ford)

Uno dei grandi esclusi alla lista dei nominati come miglior film merita, nonostante il lavoro migliore di questa cinquina sia quello di Zaillian e soci, un riconoscimento, così a Mr. Nespresso and friends va l mia personale statuetta, in barba alla favoletta di Logan e Scorsese.


MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE


- Chris Miller per Il gatto con gli stivali (scelta dell'Academy)
- Alain Gagnol e Jean Loup Felicioli per Une vie de chat
- Jennifer Yuh per Kung fu panda 2
- Fernando Trueba e Javier Mariscal per Chico&Rita
- Gore Verbinski per Rango (scelta di Ford)

Un anno non particolarmente florido per l'animazione, condito da esclusioni a dir poco eccellenti come quella del meraviglioso Arrietty firmato dallo Studio Ghibli, che corre dritto verso una scelta scellerata tutta giocata sul dio denaro.
Io, di contro, premio l'ottimo Rango, una delle cose migliori degli ultimi mesi. Tiè, Dreamworks!



MIGLIOR FILM IN LINGUA STRANIERA


- Asghar Fahradi per Una separazione (scelta dell'Academy)
- Joseph Cedar per Hearat Shulayim
- Agnieszka Holland per In darkness
- Philippe Falardeau per Monsieur Lazhar
- Michael R. Roskam per Rundskop (scelta di Ford)

Nulla da eccepire sulla già annunciata vittoria dello splendido Una separazione.
Giusto per spirito di contraddizione rispetto all'Academy, comunque, tiferò il sorprendente Rundskop, una delle cose più interessanti che la vecchia Europa abbia sfoderato negli ultimi mesi.


Questo è solo un anticipo, in fondo mancano tutti gli Oscar tecnici e quelli "minori".
Ma ci sarà tempo di approfondire a cerimonia conclusa.
Voi, nel frattempo, da che parte state?
A quali titoli, registi o attori verranno assegnate le vostre statuette?

MrFord

mercoledì 25 gennaio 2012

The help

Regia: Tate Taylor
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 146'

 
La trama (con parole mie): siamo dalle parti di Jackson, nel cuore del Sud degli Usa nei primi anni sessanta, in leggero anticipo rispetto all'epoca delle lotte per i diritti civili che scuoteranno le fondamenta dell'America tutta Coca Cola e chiesa della buona società bianca ipocrita e sfruttatrice.
Skeeter Phelan, aspirante giornalista, al contrario delle sue coetanee e del senso comune, coltiva l'idea di scrivere un libro che possa raccontare l'esperienza delle donne di colore assunte come tutrici e governanti dalle famiglie della buona borghesia, e per rendere possibile la sua impresa - oltre ad inimicarsi le compagne al circolo del bridge - contatta Abileen Clark e Minny Jackson, in modo che possano per la prima volta parlare liberamente della propria esperienza umana e di lavoro.
Le due donne, tutte cuore e cucina, saranno solo l'inizio di una vera, piccola, grande rivoluzione culturale.




Chiariamolo subito, senza pensarci troppo: The help è un film fatto apposta per essere quel titolo ruffiano abbastanza da piacere a pubblico e critica nel periodo caldo che della notte degli Oscar.
Una cosa come già furono Forrest Gump, Salvate il soldato Ryan o La vita è bella: quei titoli che, in genere, fanno incazzare a morte i radical chic e la gente con la puzza sotto il naso perchè troppo popolari nel senso dispegiativo del termine.
Invece ve lo devo proprio dire: il lavoro di Tate Taylor è davvero ottimo, funziona in tutto e per tutto, dalla risata alla lacrima, ed è in grado - pur da gran paraculo, su questo non c'è dubbio - di coinvolgere ogni spettatore, anche quando lo stesso potrà negarlo. 
E' un film coinvolgente, onesto, di cuore come - fortunatamente - me ne sono capitati molti in questo periodo, giustamente incensato per una colonna sonora ottima ed un cast in forma strepitosa, in grado di risvegliare - o almeno, fare in modo che il dubbio possa esserci - una certa coscienza sociale nell'audience andando ben oltre una sceneggiatura ben calibrata pur rimanendo sicuramente accademica.
Il grande merito del successo di questa trascinante pellicola va all'uomo dietro la macchina da presa, che con un'umiltà non comune tra i suoi colleghi sceglie di lasciare tutto il palcoscenico alle sue attrici, brave abbastanza da non apparire involontariamente caricaturali o troppo ruffiane, sfoderando una serie di personaggi già a loro modo cult - nel bene o nel male - divenendo, di fatto, una sorta di versione anni zero del noto Il colore viola: dall'emancipata Skeeter di Emma Stone - ormai in ascesa inarrestabile - alle meravigliose Aibileen e Minny di Viola Davis e Octavia Spencer, passando attraverso l'irritante Hilly interpretata da Bryce Dallas Howard - in un ruolo che pare cucito addosso a lei - e l'ingenua Celia - sorprendente Jessica Chastain dopo la paresi permanente di The tree of life - tutte le straordinarie protagoniste di questa piccola epopea raccontano non soltanto un'epoca vista da un'ottica completamente "in rosa", ma divengono portatrici di un messaggio che va ben oltre il razzismo illustrato senza eccessiva retorica dal regista, e si lega al concetto di cattiveria celato - e neanche troppo bene - spesso e volentieri nell'animo dell'Uomo, eppure mai univoco e sopra le righe.
In questo senso, la splendida sequenza delle interviste alle governanti accorse in massa per sostenere il progetto di Skeeter, Aibileen e Minny - a mio parere il momento migliore della pellicola - porta davanti agli occhi dello spettatore episodi vergognosi per ogni bianco - dai piccoli soprusi ai grandi drammi - così come atti di generosità e d'amore ben lontani da una realtà allora fatta di schiavi e padroni legalizzati - da brividi il racconto dell'anziana donna che ricorda il Dottore che acquistò gli appezzamenti di terreno che lei sfruttava come scorciatoia per recarsi al lavoro nella sua casa -, rendendo The help un monito legato di certo ad un'epoca e ad episodi ben precisi eppure in grado di far riflettere su un problema per il quale il razzismo non è altro che una scusa: quello dell'ignoranza bigotta ed egoista di alcuni tipi di esseri umani.
E nonostante il dramma e la questione sociale, la pellicola di Taylor offre anche numerosi spunti legati ad una natura di commedia, da quelli più clamorosamente "da Oscar" come quel fantastico "eat my shit" che tutti attendono dalla prima apparizione del personaggio della Howard alle venature sottili del rapporto tra Aibileen e Skeeter o gli irresistibili siparietti con una Sissy Spacek in grande spolvero nel ruolo della madre ormai sopra le righe della brycedallasiana Hilly.
Ma torniamo al principio: The help è un film spudoratamente ruffiano? Certo.
E' confezionato per essere uno dei favoriti alle statuette dell'Academy? Di sicuro.
Eppure, rispondete ad una domanda: vogliamo davvero essere come quei finti alternativi che no, non vanno a vedere il film "da Oscar" made in Usa perchè loro sono ad un altro livello?
Sinceramente, se prendessi una decisione simile mi parrebbe di essere una delle sciapissime finte amiche di Skeeter che raccolgono fondi per i bambini africani e poi fanno costruire un bagno secondario perchè non vogliono appoggiare le loro reali e grinzose chiappette bianche dove si accomodano i morbidi ed abbondanti fondo schiena delle donne nere che hanno fatto da madri ai loro figli.
Fanculo agli Oscar e fanculo a tutte queste stronzate da casa e Chiesa e KKK.
Io The help me lo sono goduto, e tanto.
Come un pranzo preparato con gratitudine ad una donna che è un esempio per tutte le altre.
Non solo un "aiuto".
Ma ben altro: una madre.


MrFord



"We got married in a fever, hotter than a pepper sprout,
we've been talkin' 'bout Jackson, ever since the fire went out.
I'm goin' to Jackson, I'm gonna mess around,
Yeah, I'm goin' to Jackson,
Look out Jackson town."
Johnny Cash&June Carter-Cash - "Jackson" -


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